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Autore: breath    23/07/2014    7 recensioni
Sei momenti della vita di Slash raccontati da un'altra prospettiva, quella di chi si è imbattuto in lui per caso e non è più riuscito a dimenticarlo. Sei donne ci raccontano, ognuna a suo modo, Slash così come lo hanno visto loro, come lo hanno vissuto e magari come lo hanno amato, anche solo per un attimo.
Un piccolo omaggio tutto al femminile a uno dei più grandi chitarristi della sua generazione, e non solo, ma anche un omaggio alla persona dietro quegli occhiali da sole.
"Non so se sia stato il destino, il fato o il caso ma so che ti ho incontrato e ho riconosciuto un pezzo di me in te, così come hai fatto tu. Sono la donna che hai scelto di amare ma sono infinite altre donne. Sono la sconosciuta che ti vede per strada,la ragazza che ti sogna da lontano, l'amica, la madre, l'amante e molte altre ancora. Sono tutte queste persone e sono io."
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Fu creato forse allo scopo
di rimanere vicino al tuo cuore,
sia pure per un attimo?"

[Ivan S. Turgenev]

Ero io.
Era un tiepido, piovoso giorno di fine Luglio. Cosa aspettarsi tra l'altro? Siamo nello Staffordshire dopotutto! Anche se la mia memoria non è più quella di una volta me lo ricordo bene quel giorno e quell'umidità che sembrava attaccarsi alla pelle come una sgradevole coperta bagnata. Quando racconto loro di quel giorno i miei nipoti mi sorridono benevoli e, con infinita pazienza, mi dicono
- nonna, nessuno di noi è nato a Luglio, devi aver fatto confusione con qualcun altro-
- ah sciocchezze, io so quando siete nati tutti voi! Ho aiutato io le vostre madri a darvi alla luce, lo saprò bene quando è successo- rispondo io cercando di mascherare il rossore che può ancora colorare le mie guance anche se ho passato da un bel po' l'età in cui si arrossisce. Non sono disposta ad ammettere che mi sono sbagliata di nuovo, che in realtà i ricordi nella mia testa formano solo un grande guazzabuglio: si mescolano e si confondono l'uno con l'altro portandomi spesso a scambiare una cosa per un'altra. Certo, le medicine mi aiutano ma non sempre mi ricordo di prenderle e di andare in una casa di riposo non ci penso neanche. Nossignore! Sono nata in questa casa e in questa casa morirò!
Ad ogni modo, di cosa stavo parlando? 
Ah sì! Era un tiepido, piovoso giorno di fine Luglio quando sei nato. In realtà non era un giorno speciale, non so neanche perché me lo ricordo con tanta nitidezza. Ero stanca perché quello sarebbe dovuto essere il mio giorno libero ma una mia collega si era ammalata quindi avrei dovuto sostituirla io anche se avevo passato la notte in bianco. Ma ero lì quando una donna di colore è stata portata nel reparto maternità urlando per il dolore. Le doglie erano iniziate da ore e lei era già sufficientemente dilatata, non so perché avessero aspettato così tanto prima di portarla all'ospedale. Chiesero a me di occuparmene. 
Quindi eccomi qui, in una stanza d'ospedale quarantanove anni fa, a far partorire quella poveretta che non la smetteva più di urlare. Le mie povere orecchie! In realtà alla fine non ci ha messo neanche troppo, considerando che ho assistito a parti che sembravano durare eoni, un'ora ed eccoti lì, venire alla luce. All'inizio ho solo pensato a tagliare il cordone, a pulirti un po' e a darti alcuni colpetti sulla schiena perché non ne volevi proprio sapere di emettere alcun suono. Poi la tua minuscola bocca si è aperta e il tuo pianto ha finalmente invaso quella stanza bianca. 
Che polmoni che avevi! Tale quale tua madre! Anche per quanto riguarda i capelli che, già lunghi, coprivano quel tuo viso che allora trovai buffo, sembravi un piccolo gnomo. Solo allora ti ho avvolto in una coperta e ti ho dato a tua madre che, benché sfinita, era in attesa con le braccia allungate verso me. 
Il primo sguardo che una madre rivolge a suo figlio è impagabile, colmo di un amore che non può essere spiegato a parole né tanto meno capito fino a quando non lo si prova sulla propria pelle. Era per sguardi come quello che avevo iniziato a fare quel mestiere. Tua madre ti ha stretto al suo corpo, completamente indifferente a tutto ciò che non fossi tu, e ti ha accarezzato la testa cercando di mettere in ordine quei tuoi capelli
- Benvenuto fra noi, Saul.-

***


Ero io. 
Ero io quella ragazza che è quasi inciampata in te quel giorno del 1979 alla Fairfax High. Ero stata buttata fuori dalla classe perché durante l'ora di Storia a quanto pareva stavo dando fastidio. Fastidio? E ci credo! Cosa fareste voi se scopriste che la vostra migliore amica,  mi correggo: EX migliore amica, se la sta facendo con il vostro ragazzo da settimane? Quella bastarda! E pensare che mi diceva sempre che lui era uno sfigato che non mi meritava, che ero troppo per lui. A quanto pare per lei andava benissimo invece. 
Ah ma sto divagando, mia madre dice sempre che inizio un discorso e poi mi perdo. Dunque, ero stata sbattuta fuori e stavo correndo, camminando velocemente dai, per quei corridoi deserti e lindi. Avevo sempre amato quei corridoi, dalla prima volta che li avevo percorsi: il pavimento in linoleum, gli armadietti gialli e quell'impressione di pulito e ordine. Almeno durante le lezioni quando erano tutti in classe. Comunque, volevo uscire in cortile per calmarmi, tirare qualche calcio contro una panchina o magari riuscire a rimediare qualche tiro di canna dal gruppo dei fattoni. Avevo cominciato a scendere per le scale cercando con tutte le mie forze di non far uscire quelle stupide lacrime che tanto sapevo avrei versato. Avevo già la vista un po' offuscata quindi ti avevo visto all'ultimo e mi ero fermata a un centimetro dalla tua schiena evitando per un pelo di travolgerti in pieno. Mi ricordo di averti guardato confusa: avevo memorizzato quasi ogni viso della scuola ma il tuo mi sfuggiva. Solo all'ultimo mi ero ricordata che era arrivato un ragazzo nuovo ma non ti avevo più visto molto in giro. Eri seduto sui gradini con una chitarra sulle gambe ed eri tanto concentrato da non accorgerti della mia presenza. Allora io mi ero posizionata proprio di fronte a te, a quel punto non avresti potuto non notarmi, e avevo incrociato le braccia osservandoti. Non è che avessi passato le mie giornate a pensarti da quando eri arrivato alla Fairfax ma ero stranamente incuriosita da te
- cosa ci fai seduto sulle scale? Non dovresti essere in classe?-
- e tu non dovresti farti i cazzi tuoi? E poi potrei fare la stessa domanda a te- mi avevi risposto ma non con cattiveria, solo con indifferenza, come se i tuoi pensieri stessero viaggiando in tutt'altra direzione e non ti importasse realmente di conoscere la risposta. Ricordo che non mi ero arrabbiata  per le tue parole, in un'altra occasione lo avrei fatto ma forse sapevo che non ti avrebbe fatto né caldo né freddo la mia reazione e io ero più desiderosa di sapere qualcosa in più su di te piuttosto che risponderti per le rime
- sono stata buttata fuori dalla classe- avevo ammesso con imbarazzo. A quelle parole avevi alzato la testa e mi avevi guardato con interesse, come se solo in quel momento io fossi diventata degna della tua attenzione
- ah sì? Perché? Cosa hai fatto?-
- a quanto pare parlavo a voce troppo alta-
- ah- il tuo tono era quasi dispiaciuto, forse ti aspettavi che fossi colpevole di qualche crimine più interessante
- e tu invece cosa fai qui con quella chitarra? Fai parte di un gruppo?-
- più o meno, in realtà ci manca il cantante quindi non so se possiamo definirci un gruppo, ci chiamiamo Tidus Sloan.Vuoi sentire qualcosa?-
- mmm ok- mi ero seduta di poco più in basso rispetto a te e tu avevi iniziato a suonare una canzone che non conoscevo dimenticandoti di nuovo di me, totalmente assorto dalle tue dita che, agili ma ancora un po' incerte, si muovevano sulla tastiera della chitarra
- wow non sei male- ti avevo detto, sinceramente impressionata e ormai dimentica dei miei problemi che prima mi sembravano tanto importanti ma in quel momento erano solo lontani. Come se il mio cuore si fosse riempito di quella musica e avesse buttato fuori i sentimenti negativi che prima lo opprimevano. Tu ti eri limitato a sorridere, forse un po' imbarazzato, e a passarti le dita tra quei capelli che, lo notavo solo in quel momento, portavi lunghi e ti facevano sembrare un cespuglio umano. Mi avevi sorriso in una maniera gentile che mi aveva scaldato il cuore e mi ridato un po' di fiducia nell'umanità
- io sono Slash comunque-.

***


Ero io.
Cammino per il Sunset Boulevard e mi sento la regina del mondo. Forse é merito della coca che ho tirato su prima a casa di Laurie o forse è perché sono euforica e basta. Forse sono euforica per la coca. Sì molto più probabile. 
Questa sera non abbiamo niente in programma, é Martedì e i club sono noiosi e brutti. Voglio dire, di solito la gente che suona i primi giorni della settimana fa schifo o comunque non è abbastanza brava per rendere una serata degna di essere ricordata. Senza musica decente tutto fa più schifo e io non sto a sprecare due cazzo di dollari per una prevendita di un merdosissimo gruppo glam che un ragazzo, già mascherato con lustrini e rossetto, mi sta allungando con fare ammiccante. Prima di provarci con me pensa a tornare ad avere un aspetto vagamente maschile bello, mi viene voglia di gridargli ma Laurie mi trascina via e sono più impegnata a cercare di rimanere stabile sulle mie gambe. Questi fottuti trampoli. E pensare che quando li avevo visti in quel negozio mi erano sembrati comodi e non troppo alti. Impressione sbagliata naturalmente. Dovrei ricordarmi che le scarpe con il tacco possono sembrare comode solo per i primi due minuti da quando le hai messe e dopo rivelano la loro vera natura di strumenti di tortura. Però sono belle.
Laurie mi trascina come un cane al guinzaglio e io cerco di mantenere un minimo di dignità e di non ruzzolare, gambe all'aria e mutandine in bella vista, in mezzo alla cazzo di Sunset Strip
- e che cazzo Laurie! Vuoi rallentare?-
- ah sì scusa ma lì ci sono Alex e i suoi amici!- alzo gli occhi al cielo ma non dico niente, ridacchio un po'. 
Alex Greyhound. Il nuovo amore della vita di Laurie.Da settimane è tutto un Alex di qua e Alex di là e io ormai so più cose di quel ragazzo di quante ne abbia mai sapute sua madre. Del tipo, chi mai saprebbe che va matto per hot dog con burro d'arachidi? Personalmente a me fa vomitare solo il pensiero ma i gusti sono gusti no? 
Mentre riacquisto un'andatura normale e anche la mia dignità, ancora per mano con Laurie, vedo anche io l'oggetto dei suoi desideri che è appostato fuori da un minimarket insieme alla sua combriccola. C'è anche Jason e, se in un'altra occasione me la sarei data a gambe davanti alla prospettiva di un'altra serata passata a cercare di depistare lui e i suoi ridicoli tentativi di abbordaggio mentre Laurie e Alex si appartano in qualche bagno,in questo momento non me ne frega un emerito cazzo. 
Ho già menzionato il fatto che mi sento la regina del mondo? 
Magari stasera faccio capire a Jason una volta per tutte che questo non è pane per i suoi denti.
 Appena raggiungiamo i ragazzi Laurie si dimentica della mia esistenza ma non mi importa. Grazie Signora Cocaina, grazie. Anche se, gli occhi di Jason che mi fissano, o forse dovrei dire meglio: che mi fissano il culo, mi fanno venire un po' di paranoia. Non pensarci, non pensarci. Mi accendo una sigaretta e adocchio i biglietti che uno del gruppetto tiene in mano
- ehi cosa hai lì?- gli chiedo più per noia che per reale interesse
- ieri abbiamo comprato i biglietti per un concerto di un gruppo che dovrebbe suonare stasera al Madame Wong's- 
- fa vedere- dico e, senza tante cerimonie, gli prendo i biglietti per osservarli. 
Le band di LA si inventano di tutto pur di attirare l'attenzione, a cominciare dal logo del gruppo o dalla grafica delle prevendite. E questa mi piace, semplice, ben disegnata e di effetto: due pistole sulle quali si intrecciano delle rose con tanto di spine e  gocce di sangue sopra alle quali svetta la scritta Guns n' Roses. Non c'era una band che si chiamava Hollywood Rose? Forse questa delle rose sta diventando una fissa
- beh andiamoci no?- dico, tanto non ci sono prospettive migliori per la serata e, noto facendo un veloce calcolo, ci sono giusto due biglietti in più. Concerto gratis e, forse, anche alcool gratis. Mi piace.
Quando arriviamo al locale non è che ci siano molte persone e non c'è da stupirsi visto che è Martedì. Mi dirigo subito al bar, seguita da Jason che non mi molla un attimo, e mi posiziono lì osservando la band che ha già iniziato. Dopo poco mi rendo conto che non sono per niente male. Certo, sono i soliti tipi con una cotonatura migliore della mia, truccati e con vestiti che evidentemente qualche amica o fidanzata ha prestato loro, ma hanno qualcosa di diverso. C'è qualcosa in loro che mi tiene con gli occhi incollati al piccolo e fatiscente palco,una sorta di scintilla grezza che richiama il rock come lo intendo io. Quello puro e spontaneo,quello fuori di testa che ti fa dimenticare tutto ciò che non sia il suono ruvido di una chitarra accompagnata dalla carezza di una voce. Ignoro Jason e mi concentro su uno dei due chitarristi. Mi sembra che il mio cuore stia vibrando insieme alle corde della sua chitarra, mi eclisso da tutto ciò che non sia quel suono e mi perdo in esso. Dio quanto amo questa sensazione. La purezza della musica che ti entra dentro, ti riempie, ti emoziona, rende tutto il resto irrilevante e poi ti lascia attonita, stupefatta perché non pensavi che potesse esistere una cosa così giusta per te, una cosa che ti si potesse modellare così bene addosso facendoti sentire un po' meno fuori posto, un po' meno sbagliata. La bocca di Jason vicino al mio orecchio rompe questo incantesimo 
- cosa?- chiedo distratta
- vuoi qualcosa da bere?- mi chiede lui appoggiando una mano sul mio fianco
- ok! Che ne dici di offrirmi una birra e... una bottiglia di Jack?- lo provoco sapendo che non avrà mai le palle di farlo. Ma lui mi sorprende e, con un atteggiamento tronfio che non mi impressiona ma mi infastidisce soltanto, tira fuori una banconota e la appoggia sul bancone del bar facendo l'ordine.
 Ringrazio Jason con un bacio sulla guancia, non sono maleducata io, poi afferro il collo della bottiglia e la porto a un cameriere dicendogli cosa farne. Poi prendo la mia birra e mi avvicino al palco mentre Jason mi segue stupefatto, probabilmente rimpiangendo quei soldi appena sprecati. 
Sorseggio tranquilla la mia birra e guardo il cameriere avvicinarsi con la bottiglia al chitarrista di prima e porgergliela per poi indicarmi. Sento lo sguardo di questo trafiggermi e percepisco chiaramente un brivido risalire lungo la mia schiena ma non abbasso lo sguardo, gli sorrido e aspetto che sia lui a farlo per primo. Alza la bottiglia nella mia direzione e la apre per poi prenderne un lungo sorso. La passa poi a uno dei suoi compagni e ruba il microfono al cantante 
- voglio ringraziare la bellezza che ci ha offerto una bottiglia di Jack. Eravamo assetati e nessuno ha pensato di darci un cazzo-. Gli faccio l'occhiolino e alzo a mia volta la birra nella sua direzione. Non c'è di che riccio, sono io che dovrei ringraziare te e la tua chitarra, hai parlato alla mia anima e non pensavo che qualcuno ne fosse ancora in grado.

***


Ero io.
Camminavo per le strade quasi completamente deserte di New York quella quella mattina d'estate. Il caldo non aveva ancora riscaldato i suoi palazzi e le uniche persone che calcavano le sue strade erano quelli che andavano a lavorare a quell'ora. Fra questi c'ero anche io. Caffè di Starbucks in mano e mente ancora assonnata. 
Ti ho notato subito, sembravi svettare in mezzo al grigio che ti circondava: una figura interamente vestita in pelle nera che stonava con tutto il resto, si direbbe quasi con il mondo intero. Eri seduto per terra con la schiena appoggiata al muro di un hotel, le ginocchia raccolte al petto circondate dalle braccia e la testa china, il viso completamente oscurato da una cascata disordinata di riccioli, neri anch'essi. Non so perché mi sono fermata, perché non ho tirato dritto continuando a pensare ai fatti miei. Forse era la solitudine che ti avvolgeva e sembrava scaturire a fiotti dal tuo corpo o forse era solo che volevo ritardare il più possibile l'arrivo in ufficio. Mi sono avvicinata e mi sono persino seduta accanto a te incurante del tailleur di Chanel che si sarebbe sporcato. 
Ritornando con il pensiero a quella mattinata mi sono spesso ritrovata a pensare che quella era stata una mossa azzardata, non ti conoscevo e mi sarei anche potuta cacciare nei guai con tutti i pazzi che girano nella Grande Mela. 
Ma in quel momento tutte quelle cose non hanno neanche sfiorato la mia mente, avvicinarti mi è venuto istintivo.
- Ehi, tutto bene?- ho chiesto dopo un po' visto che tu non sembravi esserti accorto della mia presenza. A quelle parole finalmente hai alzato lo sguardo su di me e io ho potuto vedere il tuo viso stanco, segnato dalle occhiaie, dal dolore e, ho notato con stupore, dal pianto. 
Ti sei frettolosamente passato le mani, sulle cui dita spiccavano molteplici anelli, sulle guance e mi hai guardato di nuovo. Ho incrociato i tuoi occhi scurissimi e ancora lucidi e ti ho sorriso
- ti ho visto qui tutto solo e ho pensato ecco, di fermarmi. Stai bene?- ho continuato allora gioviale, sottoponendomi al tuo esame silenzioso
- è morto- hai sussurrato tu, quasi sorpreso, a voce bassissima guardando davanti a te come se stessi parlando con te stesso
- come scusa? Chi è morto?- ti sei di nuovo girato verso di me
- no niente scusa, non penso ti interessino i cazzi miei-
- sono una buona ascoltatrice, se ti interessa- ho detto io sorridendo di nuovo per poi riprendere davanti al tuo silenzio
- ascolta, tutti hanno bisogno ogni tanto di sfogarsi e parlare spesso è liberatorio. Che ti importa se non ci siamo mai visti?- mi hai rivolto di nuovo un'occhiata indagatrice e hai sospirato per poi cominciare a raccontarmi brevemente del tuo amico, un certo Todd, che era morto poche ore prima in una camera di quell'hotel che era alle nostre spalle per overdose di eroina. 
Non ho detto niente, in casi come quello non esistono parole che possano alleviare la sofferenza di qualcuno che ha assistito alla morte del proprio amico, e se ci sono io non le ho mai conosciute. Ti ho abbracciato, incurante del fatto che non ci conoscessimo, e ho cercato in quel modo di esserti di conforto. Ho sentito il tuo corpo, prima rigido, rilassarsi contro il mio e poi stringersi a me come se fossi stata una tua carissima amica o la tua ancora di salvezza per te, perso in quell'oceano di morte. 
Siamo stati così, in silenzio, tu a cercare di lasciare andare un po' di quel dolore che ti portavi dentro e io ad accoglierlo. Poi ti sei staccato da me e mi hai guardata di nuovo con curiosità malcelata che trapelava da quei pozzi neri. Me li ricordo ancora adesso sulla pelle quegli occhi, sebbene fossi evidentemente stanco e preso dai tuoi problemi, dalla tua sofferenza, mi hai guardata con una profondità che mi ha scosso, sembrava che mi stessi scavando dentro.
- Adesso devo andare. Io devo andare all'obitorio a riconoscere il... corpo- hai detto evitando il mio sguardo, lasciando che quella coltre scura di capelli ti proteggesse dal mondo. 
Ho annuito e poi ti ho dato il mio caffè
- tieni, ne hai più bisogno tu di me- mi hai guardato sorpreso e poi ho finalmente visto un accenno di sorriso sulle tue labbra. 
Non mi sono mai scordata quel sorriso e quegli occhi che sentivo su di me mentre rientravo nella mia vita e nella mia quotidianità lasciandoti alle mie spalle, facendoti diventare il mio passato. Non ti ho mai dimenticato. Tu, straniero, all'apparenza così duro e minaccioso nei tuoi vestiti di pelle ma così fragile. Non ti ho detto il mio nome e non ti ho chiesto il tuo, mi piaceva l'idea che rimanessimo due fugaci presenze senza nome l'uno nella vita dell'altra. Poi, alcuni anni più tardi ho visto la tua faccia su un giornale e ho scoperto chi eri, ho scoperto quale era il tuo nome. Ma non mi è mai importato che tu fossi la grande rockstar osannata da milioni di persone, per me sei sempre rimasto quel ragazzo solo che ha accettato la gentilezza di una sconosciuta e le ha concesso di scorgere, in una mattina d'estate a New York, un pezzo della sua anima.

***


Ero io.
C'ero anche io quella notte in quella sala operatoria, anche se tu non lo saprai mai. Ero una tirocinante che si stava specializzando in chirurgia toracica e quello era il mio primo mese al St. Clair Hospital di Pittsburgh. Ero stanca morta e per di più dovevo affrontare altre cinque ore lì dentro prima di poter tornare a casa. Mi ricordo che il dottor Jones mi aveva chiamata dicendomi che avrebbe dovuto operare un paziente affetto da cardiomiopatia e informandomi che lo avrei dovuto assistere.
 Quando sono entrata nella sala operatoria mi sono affrettata a posizionarmi di fianco al dottore e il mio interesse è stato inizialmente catturato solo dalla porzione di quel torace, simile a tanti altri che avevo già visto, che avremmo dovuto aprire.Mi ricordo che il mio sguardo si è poi posato, per caso, sulle tue braccia dove ho riconosciuto dei tatuaggi a me ben noti. Solo a quel punto ho guardato il tuo viso, troppo stupefatta per realizzare appieno la situazione, e ti ho visto. 
Negli anni avevo passato gran parte del mio poco tempo libero a osservare il tuo viso sulle pagine patinate di qualche giornale quindi non mi sarei potuta sbagliare in nessun caso, anche se in quel momento ho desiderato ardentemente che fosse così, che non fossi tu quello sdraiato su quel tavolo operatorio. Ho anche pensato che fosse uno scherzo della mia mente dettato dalla stanchezza e dalla troppa caffeina ma, osservando imbambolata il tuo viso, mi sono alla fine tristemente convinta che fossi tu.
Ho visto il tuo cuore quella notte, letteralmente. 
Il medico che è in me si è limitato a considerare quanto fosse gonfio ma l'altra parte di me, quella umana, sognatrice e ancora leggermente infantile, lo ha guardato con stupore, come se stesse osservando un tesoro. Vedevo il tuo cuore e, mentre le mie mani seguivano meccaniche gli ordini che ricevevo, il mio di cuore, sano e pompante, batteva furiosamente, come un uccellino chiuso in una gabbia che si dibatte alla ricerca della libertà. 
Mi tornavano in mente tutte le volte che aveva preso a battere più forte, emozionandosi come poche altre volte, sentendo quell'insieme di note che tu e solo tu sai produrre. Mentre le mie dita si muovevano insanguinate, macchiate del tuo sangue, e le mie gambe protestavano per tutto quel tempo passato in piedi io vedevo il tuo cuore e mi chiedevo scioccamente dove fosse la tua anima. 
Sentivo bruciare sulla mia pelle, a sinistra, in corrispondenza del costato, quel marchio di amore che era stato indelebilmente inciso su di essa, quell'intreccio colorato di rose e pistole che anni prima mi ero fatta tatuare di nascosto dai miei genitori. Quella notte sembrava aver preso vita, mi sembrava quasi di sentirlo muoversi sulla mia pelle, di sentire il freddo metallo delle pistole, la graffiante legnosità delle spine e la setosa dolcezza dei petali di rosa. Era come se il mio corpo, ogni fibra e ogni cellula, ogni pezzetto di me ti avesse riconosciuto e si stesse agitando nella spasmodica ricerca di te. Non del tuo corpo anestetizzato ma di quella parte di te a me sconosciuta, che avevo provato a immaginare nella mia solitudine, che avevo intuito nell'ascoltare la tua musica ma che continuava a sfuggirmi. Come un segreto a portata di mano ma destinato a rimanere inesorabilmente sconosciuto. Un segreto in bocca a un muto.
Quella notte ho visto il tuo cuore e il mistero che racchiudeva mi sembrò meraviglioso in una maniera straziante e perfetta. 
Quella notte mi sono ritrovata, per la prima volta in vita mia, a pregare. 
Io, donna di scienza, ho pregato qualcuno lassù nel cielo per farti rimanere un altro po' sulla Terra. Ho pregato perché il tuo cuore continuasse a pompare sangue e la tua anima musica.

***


Sono io.
Il traffico certe volte a Los Angeles è infernale. Mi viene quasi da ridere al paradosso che è questa città, a partire dal nome. 
Sono uscita di casa in ritardo e questo traffico non mi sta certo aiutando. Spero che tu non ti sia accorto della mia assenza ma so, e un calore dolcissimo avvolge il mio cuore a questo pensiero, che lo hai già fatto. Maledetto traffico! 
Suono all'indirizzo di un tizio che sta cercando di infilarsi di fronte a me e glielo impedisco avvicinandomi ulteriormente alla macchina davanti a me. Anche io ho fretta, sai bello? 
Il mio uomo mi aspetta.
Cammino velocemente, riuscendo comunque a mantenere un'andatura elegante su queste scarpe altissime, e mi avvio verso l'entrata posteriore del teatro, quella per gli artisti. Mostro il mio pass e mi fanno entrare per poi condurmi attraverso una serie di corridoi in penombra proprio fin dietro il palco. Mentre avanzo in questa processione silenziosa la musica cresce di volume ed esplode quando arrivo a destinazione, di fianco a una colonna di amplificatori Marshall dai quali scaturisce quel suono che prende vita dalla tua chitarra, o da una parte più profonda di te. 
Mi ci vuole mezzo secondo esatto per riconoscere la canzone, è Watch This e sono contenta di essere riuscita ad arrivare in tempo per sentirla da qui. 
Amo tutta la tua musica, nessun assolo o riff esclusi, ma questa canzone... non so, è speciale. Hai sempre detto che riesci a esprimerti meglio attraverso la musica e l'ho sempre capito ma non l'ho mai compreso per davvero, appieno, fino a quando non mi hai fatto sentire per la prima volta questa canzone. Sei tu questa canzone. Le note aspre e ruvide dell'inizio che sfumano in un pezzo più dolce e così intenso che non manca mai di farmi venire la pelle d'oca. Questo sei tu e in questa canzone ti metti a nudo, mostri a tutti quelli che sono in grado di ascoltare, non sentire ma ascoltare, chi sei veramente, chi si nasconde sotto la superficie di muscoli, tatuaggi, vestiti in pelle nera, capelli lunghi e occhiali da sole. Perché tu sei tanto di più e non sprechi parole per dirlo, lo fai muovendo le dita sulle corde della chitarra. All'inizio non l'avevo capito, quando ti ho conosciuto ti ho trovato sì interessante ma non ho capito chi fossi veramente finché una notte, svegliandomi in una camera illuminata dalla magica luce azzurrina della luna, non ti ho sentito suonare. Mi hai spiazzata completamente perché non avevo mai sentito un suono così personale, era la tua anima filtrata attraverso quelle sei corde. E anche adesso è lo stesso, sono passati anni, anni da quando suoni e anni da quando ci siamo incontrati, ma è come la prima volta, l'emozione è la stessa. 
Osservo il pubblico sotto di te, alla tua mercé, completamente rapito. Sono come dei burattini guidati dai fili della musica che li muove, li accende, dà loro vita. E sei tu che muovi quei fili. Chiudo gli occhi immergendomi in questo mondo fatto di suoni ed emozioni in cui niente di ciò che sia logico, razionale o etico trova posto. Lascio che la mia anima venga imbrigliata e mi lascio trasportare sui fiumi di un'altra realtà. Piacere sublime, sentimento puro, estasi dionisiaca. Anche se tu lo hai paragonato semplicemente a un orgasmo un po' più lungo. E' questa la musica e questi sono i musicisti che sono in grado di donarle vita o sono semplici canali di carne attraverso cui essa può esprimersi. 
E io sono infinitamente grata, ogni giorno, per averti trovato. Non so se sia stato il destino, il fato o il caso ma so che ti ho incontrato e ho riconosciuto un pezzo di me in te, così come hai fatto tu. Sono la donna che hai scelto di amare ma sono infinite altre donne. Sono la sconosciuta che ti vede per strada,la ragazza che ti sogna da lontano, l'amica, la madre, l'amante e molte altre ancora. Sono tutte queste persone e sono io. Non una fugace presenza nella tua vita, non una rapida cometa destinata ad attraversare il tuo cielo solo per qualche istante. Io sono qui e rimango qui perché non ho trovato da nessun altra parte quello che ho trovato in te. Sono un fuoco perpetuo che tu alimenti continuamente con il tuo corpo, la tua mente, la tua musica e il tuo spirito.
La canzone è finita e gli applausi del pubblico mi risvegliano. Ti osservo mentre ti avvicini a me, mentre ti togli la chitarra per cambiarla e mi noti. Vedo il tuo sorriso, gemello del mio, aprirsi sulle tue labbra mentre ti fermi di fronte a me oscurando, in tutti i sensi, ogni cosa con la tua presenza. Incrocio le braccia dietro il tuo collo e sento il fuoco del mio cuore ardere più vivo
- Buon Compleanno Slash.-

Volevo scrivere qualcosa per il compleanno di Slash e mi è uscita fuori questa cosa, spesso i personaggi mi sono sfuggiti di mano e hanno voluto a tutti i costi raccontare qualcosa in più di se stessi, costringendomi così a dilungarmi rispetto al mio piano iniziale. Il tema di fondo, oltre a Slash naturalmente, è la musica perchè io ormai li vedo come una cosa unica e inseparabile. Non ho molto da dire tranne che spero vi piaccia e che non troviate il mio Slash troppo distante dalla realtà, per me lui è questo. Ah, e mi scuso per possibili errori di carattere medico che sicuramente ho commesso.
Breath
  
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