L'accademia
I passi dell’uomo che la stava trasportando rimbombavano sulle pareti del cunicolo sotterraneo, coprendo quasi ogni altro rumore, eccetto l’insistente gocciolio dell’acqua che si faceva più forte man mano che avanzavano. Al di fuori del cerchio di luce della torcia era completamente buio e lei era molto spaventata. Nascose il viso contro la spalla dell’uomo e il dolce dondolio della sua andatura rischiò quasi di farla addormentare, ma lei aveva tutte le intenzioni di restare sveglia. Voleva sentire cosa si stavano dicendo gli adulti, voleva capire dove stavano andando e perché l’avevano strappata dal suo letto quella notte. «Capisco che non te la senti di prenderti cura della bambina, ma devi almeno tenerla con te. Lui l'avrebbe voluto.»
Sua
madre rimase zitta, come al solito. Camminava dietro di loro,
silenziosa come un’ombra, ma poteva vederla sbirciando da dietro
la spalla di quell’uomo grande e grosso che sapeva di sudore.
«Abbiamo pensato a tutto. Si è liberato un appartamento
sopra casa degli Acquafredda. Ti aiuteranno a badare a lei e ti
troveranno un lavoro. Hanno anche un figlio della sua età,
sarà più semplice per la bambina.»
Adesso stavano salendo dei gradini e l’uomo iniziava ad avere il fiato corto. Quando si trovarono all’aria aperta socchiuse gli occhi alla luce grigia e piatta che precedeva l’alba e sentì un forte odore di fiume.
«Non raccontarle nulla… troppo rischioso… basso profilo…» Ormai non riusciva più a seguire il discorso. Un attimo dopo stava già dormendo.
Ancora
non si era spento il rimbombo del primo dei sei rintocchi di campana,
che Emma aveva spalancato gli occhi e calciato via le coperte come se
l’avessero attaccata. Abituata per gran parte della sua vita a
svegliarsi nel silenzio totale, essere destata da quel rumore cupo
che vibrava nelle ossa per lei era ancora un trauma.
Lanciò
un’occhiata in tralice alla sua compagna di stanza. Yuri non
aveva il suo stesso problema, e se lei non l’avesse svegliata
personalmente e costretta ad alzarsi, avrebbe continuato a dormire
tutta la mattina. La cosa era notevole, visto che la loro stanza era
nella torre del campanile e il rumore era tale da far vibrare le
finestre.
Si
alzò in fretta mettendo i piedi scalzi sul pavimento di pietra,
ignorando i brividi di freddo che le risalirono per la spina dorsale, e
fece i tre passi che la separavano dal letto di Yuri saltellando
agilmente per evitare i libri sparsi sul pavimento dalla sera prima. «Yuri,
la campana!» Urlò inutilmente per cercare di sovrastare il
rumore della campana stessa. Le scosse una spalla per svegliarla e le
strappò le coperte di dosso, mentre lei si contorceva e si
copriva gli occhi.
Gli
altri studenti dell’accademia avrebbero avuto tutto il tempo di
alzarsi con calma, fare il bagno, vestirsi, parlare dei compiti e delle
lezioni della mattina facendo colazione con latte, pane fresco e, chi
poteva permetterselo, frutta. Emma e Yuri, invece, avevano il tempo
molto risicato: gli studenti dei rioni dovevano rispettare delle
corvè massacranti, per ripagare le divise e i pasti alla mensa
che diversamente non avrebbero potuto permettersi. "E se Yuri non si da una mossa anche oggi saltiamo la colazione". Pensò Emma scocciata.
Si
diede due colpi di spazzola, letteralmente, senza nemmeno guardarsi
nello specchietto crepato appeso sopra il catino, poi si legò i
capelli castani in una coda corta, che le rimase dritta sulla nuca in
modo leggermente ridicolo. Si infilò la divisa, badando a stento
che non fosse a rovescio e, pronta per uscire, si girò verso
Yuri, la quale era ancora seduta sul letto disfatto, con le gambe
incrociate e le ginocchia magre che spuntavano da sotto la candida
veste da notte, che si guardava intorno con aria confusa, gli occhi
grigi pieni di sonno. «YURI!» Urlò esasperata,
mentre Yuri sussultava e la guardava stupita, come per chiedersi che ci
facesse un’estranea in camera sua. Poi con l’espressione di
chi ha avuto un’epifania improvvisa sembrò ricordarsi chi
era quell’estranea impaziente con cui condivideva la stanza da
tre anni, e che la buttava giù dal letto tutte le mattine da
allora. «‘Giorno!» disse con il sorriso rilassato di
chi ha tutto il tempo del mondo e i bei capelli rossi che la
incorniciavano come un’aureola.
Emma
sospirò, le prime ciocche di capelli avevano già iniziato
a sfuggire dal nastro, incorniciandole disordinatamente il viso.
Yuri
si alzò senza scomporsi e iniziò a pettinarsi con cura e
a intrecciare i capelli anche troppo lunghi. Emma nel frattempo aveva
un gran voglia di prendere a testate la porta, ma siccome sarebbe stato
controproducente, decise di iniziare ad andare senza la compagna. Anche
perché la porta era, come tutte le cose che si trovavano in
quell’area del collegio, piuttosto precaria e malconcia,
probabilmente non avrebbe retto a una sua testata.
«Cerca
di sbrigarti, ci vediamo alla scala.» La esortò uscendo e
sapendo benissimo che sarebbe arrivata che il lavoro era quasi finito.
Il ballatoio di legno dava sul chiosco più grande
dell’edificio, con un prato ben curato dagli sforzi congiunti dei
giardinieri e degli studenti dei rioni. Divideva in due la scuola, la
parte femminile da quella maschile, ed era uno dei pochi posti in cui
gli studenti di sesso opposto potevano incontrarsi, sotto lo sguardo
attento dei sorveglianti. Attraversò il ballatoio senza guardare
il cortile vuoto e si diresse decisa verso la scalinata
dell’ingresso.
Emma
non amava quel compito. Il problema non era pulire le scale in
sé, anzi: la scalinata principale era di lucida pietra chiara,
resa molto liscia e scivolosa dall’uso. Strofinare quei gradini
con la spazzola e vederli tornare al loro candore naturale dava un
senso di soddisfazione, e passare la mano sulla pietra levigata era
rilassante.
Il
problema era che la mattina a quell’ora gli studenti che
abitavano nel Cuore della città passavano di lì per
andare a lezione, e non perdevano occasione per schernire chiunque
dovesse svolgere quelle umili mansioni.
Quando
si trattava di Emma, poi, erano particolarmente attenti a non perdere
l’occasione di punzecchiarla e di calpestare il più
possibile gli scalini ancora bagnati, in modo da sporcarli. Alcuni,
soprattutto i più giovani, facevano su e giù dalle scale
tante volte da farsi venire il fiatone, con una determinazione
ammirevole nel loro intento di dare il più fastidio possibile.
Emma si era chiesta più volte perché farle svolgere quel
lavoro a quell’ora del mattino, quando tutti gli studenti
facevano su e giù dalle scale. Non aveva evidentemente nessuna
utilità, e più tardi, mentre tutti sarebbero stati a
lezione, una donna di servizio avrebbe dovuto pulirle da capo.
«Lavoro
inutile» Borbottò arrabbiata fra sé, strangolando
lo straccio innocente. Da sempre aveva il sospetto che il punto delle
corvè non fosse contribuire alla manutenzione della scuola, ma
ricordare agli studenti più poveri che per quante ambizioni potessero avere e per quanto
potessero studiare le loro origini umili sarebbero rimaste tali. Per
sempre.
Yuri
la raggiunse ovviamente tardissimo e iniziò a canticchiare
dolcemente mentre lavorava a testa bassa. Molti ragazzi passando di
lì cominciarono a girare la testa di quasi centottanta gradi per
osservarla il più a lungo possibile. Era piegata in avanti sui
gradini e il suo petto offriva uno spettacolo evidentemente gradito dal
pubblico maschile, facendo sì che a chi continuava a passare con
l’unico intento di sporcare si aggiungesse un nutrito gruppo di
ragazzi interessati alle grazie di Yuri.
Come fa ad essere sempre così allegra? Pensò
quasi con rabbia, provando una strana voglia di tirarle lo straccio.
Era sicurissima che una persona sempre di buon umore non poteva essere
normale, anzi, era il genere di persona che la inquietava di
più: i tizi sempre serafici e sorridenti alla fine, con matematica certezza, impazziscono e uccidono qualcuno. Questione di giorni, di sicuro.
E lei sarebbe stata la vittima.
O forse era solo invidiosa.
Sospirò,
lanciando un’occhiataccia a Yuri, che stava osservando lo
straccio con un sopracciglio sollevato in un’espressione di
profondo interesse. «Secondo te uno straccio è contento di
essere uno straccio?» Emma ormai era abituata a queste domande
bizzarre e non ci faceva più molto caso. Ogni volta però
doveva trattenersi dal dare una risposta caustica. «Dovresti
chiederlo allo straccio.»
«Non so parlare con gli stracci.» La informò Yuri un po’ dispiaciuta riprendendo a strofinare.
Lo
stomaco di Emma gorgogliò forte, come a volerle risparmiare la
fatica di rispondere. «Certo che sei sempre molto affamata
Emi.» Osservò Yuri con cortese distacco, come se non fosse
colpa sua se era il terzo giorno di fila che saltavano la colazione.
Emma
si limitò a sorridere e a scrollare le spalle. «Forse in
una vita passata eri un orso, e l’anima dell’orso vive
ancora nel tuo stomaco. Spiegherebbe tante cose.» Se chiunque
altro le avesse detto una cosa del genere forse si sarebbe offesa, ma
l’assoluta mancanza di malizia di Yuri la lasciava sempre
disarmata. Si limitò a un mugolio che poteva significare tutto e
niente e portarono secchi, strofinacci e spazzoloni nel locale di servizio.
Le
zone di servizio erano completamente diverse dal resto della scuola,
tanto che era difficile credere che facessero parte dello stesso
edificio. I locali frequentati dagli studenti erano caratterizzati da
larghi corridoi, stanze luminose e ben arieggiate, pavimenti di
piastrelle lucide e muri intonacati e decorati da elaborati stucchi e
dipinti murali. I locali di servizio, così come le stanze degli
studenti dei rioni, erano fatti di legno scheggiato, pietra e mattoni
di terracotta. Erano bui e caotici, corridoi stretti che si
incastravano fra le intercapedini dei muri e scale nascoste dietro ad
arazzi.
Ovviamente
serviva a non far incrociare le strade degli studenti e della
servitù, e questo diminuiva un po’ l’aria di
mistero, ma Emma amava quella faccia nascosta della scuola, e preferiva
prendere questi passaggi piuttosto che quelli normali. Anche se a volte
le allungavano un po’ la strada, avevano l’indiscusso
pregio di essere deserti. E poi, per quanto fosse un po’
infantile, si sentiva privilegiata nel conoscere il volto segreto della
scuola meglio di quanto qualsiasi studente del cuore della città
potesse mai sognare. O desiderare, ma questo era un dettaglio
trascurabile.
Lo stomaco le gorgogliò dolorosamente. La cena della sera prima, a base di pane nero e zuppa di verdure con un vago sentore di carne, era un ricordo lontanissimo e il suo stomaco era desolatamente vuoto. A pranzo erano di turno in cucina, per cui era difficile che non riuscisse a sgraffignare nemmeno un pezzo di pane, si ricordò per consolarsi. Solo sei ore… lo ripeté mentalmente come un mantra, mentre si arrampicavano per una ripida scala di legno dal locale di servizio al piano delle aule, mettendo nel “solo” molta più enfasi di quanto in realtà sentisse.
Ehilà! Avevo già pubblicato questa storia, ma visto che la sto ristrutturando e cambiando i nomi ecc ecc, ho deciso di cancellarla e ricominciarla da capo. Chiedo scusa a chi stava seguendo la vecchia versione, cioè non tanti, a dir la verità XD
Spero che questa versione 2.0 sia più interessante! Fatemi sapere qualcosa!