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Autore: littlemoonstar    28/07/2014    1 recensioni
Il mio nome è Cappuccetto Rosso, ma in questo nuovo mondo mi chiamano solo Red.
E in questo mondo un tempo fatato cerco di sopravvivere ora dopo ora, cercando di capire cosa lo abbia ridotto in questo stato pietoso e deprimente.
Io sono Red, e vivo in un mondo pericoloso, in cui il vissero felici e contenti non ha più senso di esistere.
Sono una sopravvissuta, e questa è la mia storia.
 
[Capitolo 18]
Ed ora era lì, quella bestia che sempre avevo temuto. Di fronte ai miei occhi, così feroce da paralizzarmi. Riusciva a risvegliare le paure più recondite, i ricordi più dolorosi e macabri della mia infanzia. Era la mia debolezza, il centro di tutta la mia paura.
Era il Lupo cattivo, ed era pronto a mangiarmi di nuovo.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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16. The better to eat you with, my dear. 







Cosa ci faceva lì? E perché la sua voce e quella del lupo erano così simili, adesso?
Erano passati molti anni, ma ricordavo perfettamente il Cacciatore: mi aveva salvato la vita, e aveva salvato quella di mia nonna uccidendo il lupo prima che ci sbranasse. Gli ero debitrice, ed ero diventata Red ispirandomi a lui e alla sua forza.
E ora era lì, identico a tanti anni fa ma dall'aria decisamente più curata: sembrava davvero un principe senza la tenuta da boscaiolo e la barba incolta. Aveva un'aria affascinante e pericolosa al tempo stesso.
Poi capii. Non era il cacciatore quello che avevo davanti.
O meglio, lo era, ma solo in quel momento.
Erano la stessa persona. Due facce della stessa medaglia. Cacciatore e Lupo: forma umana e bestia.
Ripensai ad Adam, e alla sua trasformazione. Il Lupo riusciva a farlo a suo piacimento.
« Oh, vedo che hai capito perfettamente, bambina mia. » commentò lui, facendomi sussultare. Riusciva a leggere nella mia mente meglio di quanto pensassi.
« Cosa vuoi da me? » sibilai, carica d'odio. Volevo ucciderlo, e volevo sapere dove si trovasse Peter.
« Oh, mio piccolo tesoro, è semplice. » rispose lui, sorridendo. « Voglio che tu sparisca da questa terra per sempre, così da lasciarmi libero di governare il Mondo delle Fiabe a modo mio. Semplice, no? ».
Bingo. Finalmente i suoi progetti erano chiari. Governare sull'intero Mondo, senza una stupida ragazzina ad intralciare i suoi piani. Perché in qualche modo dovevo essere in grado di farlo, anche se non sapevo come.
« Come hai fatto ad impossessarti di lui? » gli chiesi ancora, cercando di capire. Lui sorrise. Un sorriso meschino, disonesto. Di chi ricordava qualcosa di orribile e ne gioiva.
Bastardo.
« L'animo umano è facilmente corruttibile, mia cara. » mi spiegò lui, sospirando in modo teatrale. « Ero quasi morto quando proposi al Cacciatore di risparmiarmi. Se lo avesse fatto, avrei donato a lui il mio corpo e la mia anima. E lui accettò. Ovviamente i suoi propositi erano lodevoli, il suo era un animo nobile. Diventare un essere perfetto, dotato di forza e intelligenza, sia bestia che uomo: te lo immagini? Aveva in mente un sacco di buoni propositi. » pronunciò quelle due parole con disgusto. Rimasi ad ascoltarlo, incredula.
« Ma quando ci unimmo, misi in atto il mio piano. » continuò lui, sfoderando nuovamente quel ghigno. « mi impossessai sempre di più di quel corpo, prendendo le decisioni per entrambi. Mi imposi con la mia forza, fino a farlo scomparire pian piano. Alla fine il suo Io è scomparso definitivamente, lasciandomi con un corpo perfetto. Perfetto per la mia vendetta. Mi ci sono voluti un po' di anni, mi sono nascosto nelle terre più desolate e nei regni più lontani per evitare di essere scoperto. Ma alla fine ce l'ho fatta. Il Cacciatore soccombe ed io mi prendo tutto il merito. È così che funziona. ».
Ero senza parole. L'animo nobile del cacciatore aveva lasciato il posto a quell'essere orribile, quella bestia disgustosa che ora era anche uomo, un essere perfetto e spietato.
« Purtroppo ci sono stati dei piccoli intoppi durante il percorso. » mugugnò lui, alzando gli occhi al cielo. « a cominciare da quel braccio. ». Indicò il mio braccio, e subito lo guardai.
« Cosa? » sibilai, sull'attenti.
« Ovviamente sarebbe stato un piacere vederti morire dissanguata. Lentamente, e inesorabilmente. Ma l'anima del Cacciatore ha preso il sopravvento – inaspettatamente – e ti ha salvato la vita. Quel lavoro di ingegneria è opera sua. ».
Il mio respiro si mozzò quando udii quelle parole. Così era quella la verità. Era stato il Cacciatore a salvarmi, bloccando l'emorragia e sostituendo il mio braccio con quell'arma meccanica. Troppe informazioni.
Troppe rivelazioni.
Avevo bisogno di una pausa, maledizione.
« Dov'è mia nonna? E Peter? » le mie parole echeggiarono nell'aria intrisa di neve, raggiungendo le sue orecchie in un moto d'odio e impazienza. Ero lì, di fronte a lui. Ora doveva ridarmi la mia famiglia.
Dovevo riaverli indietro.
« Ehi, con calma. » biascicò lui, divertito. « abbiamo appena cominciato. ».
Piazzai bene i piedi per terra, per evitare di scivolare sulla neve, e strinsi a me la lancia con forza. Se voleva combattere, ero pronta. Non c'era nulla che mi impedisse di ucciderlo all'istante, ma dovevo stare attenta: se si fosse trasformato in una bestia, sarei stata in tremendo svantaggio.
Di positivo c'era che, con il Cacciatore davanti, non avevo paura. La sua figura mi avrebbe sempre ricordato qualcosa di buono, un eroe che mi aveva salvato la vita e a cui mi ispiravo. Così ero più forte.
Più forte.
E a quel punto mi chiesi perché non stesse cercando di mettermi in difficoltà: se avesse mutato forma probabilmente sarebbe stato in vantaggio. Ma allora perché si ostinava a rimanere lì di fronte a me,un semplice e fragile umano?
Abbiamo appena cominciato.
Cominciato cosa?
Hunter spalancò le braccia, il palmo di entrambe le mani aperto in mia direzione, le dita attorcigliate ai margini del cappotto scuro, che brandiva come un mantello. Percepii di nuovo quello strano presentimento, quell'aura negativa che sapeva di oscuro, di malvagio.
Di maledizione.
E a quel punto Hunter cominciò a correre – no, non a correre, a fluttuare – sulla neve in mia direzione, più veloce di quanto mi aspettassi. Il suo mantello spazzava via la neve, le braccia aumentavano sempre più la loro apertura, facendolo somigliare ad un grande e spietato volatile.
Mi raggiunse, coprendomi con il mantello oscuro senza che potessi fare nulla per fermarlo. Ero come immobilizzata, ma questa volta la paura non c'entrava nulla. Era un vero e proprio incantesimo.
Incantesimo?
Quella era una magia. Il Cacciatore non solo era l'essere perfetto, ma per qualche strano motivo aveva acquisito dei poteri di cui ignoravo l'esistenza.
Quando il suo mantello mi avvolse, in pochi istanti fui circondata da oscurità. Gridai, senza realmente sapere cosa mi stesse accadendo. Ero vigile, non era un sogno, ma quel buio mi accecava.
Dov'era il cielo? E la neve, che fine aveva fatto?
Lentamente un freddo spinoso iniziò ad impossessarsi del mio corpo, come se la temperatura fosse improvvisamente calata. Sentivo delle voci rimbombare nella mia mente e farmi male, fino a che una in particolare non si impose sulle altre.
« Vedrai la sofferenza in volto, Cappuccetto Rosso. » sibilò il lupo nella mia testa. Gridai ancora.
Era un incubo.





Gli occhi misero lentamente a fuoco qualcosa. Non riuscivo a capire se stavo recuperando i sensi o solo la vista. Non riuscivo a rendermi conto del mio stato di coscienza, non sapevo se avevo perso i sensi o se invece ero sempre stata vigile. Avevo gridato più e più volte, ma la mia voce aveva echeggiato nel vuoto ed era tornata nella mia testa, infestandola con parole orribili. Il lupo era sempre lì, da qualche parte.
Misi a fuoco uno spiraglio di luce, proveniente dall'alto. Alzando lo sguardo, non riuscivo a vedere nulla se non oscurità. Sotto di me, un freddo pavimento di pietra mi stava ospitando. Sentivo il rumore lontano di acqua, goccioline che lentamente scendevano sulla pietra modificandone la struttura. Doveva essere la condensa della roccia che scivolava lungo le pareti, o l'umidità di quello strano luogo che metteva i brividi.
Mi guardai attorno. Avevo recuperato la vista, ma nonostante tutto non avevo la minima idea di dove mi trovassi. C'erano delle sbarre d'acciaio in pessime condizioni, il che mi portava a sospettare di essere in una rozza prigione sotterranea. Oltre la grata non vedevo nulla se non un grande buio.
L'unica luce proveniva dal misterioso spiraglio sul soffitto, che illuminava una zona circolare al centro del piccolo rettangolo in cui ero stata gettata. Mi alzai in piedi, disorientata. Maledizione.
« Red... ».
Il mio cuore balzò fuori dal petto, ma non per la paura. Riconoscevo quella voce, l'avrei riconosciuta ovunque. Mi voltai osservando il timido cerchio di luce pallida al centro della cella: oltre i suoi confini, una sagoma giaceva a terra nel buio.
« Peter! » gridai raggiungendolo di corsa. Mi inginocchiai a terra, prendendolo fra le braccia. Era gelato.
« Peter, dio mio... » sussurrai, angosciata. Avevo un terribile groppo alla gola. Il suo volto era pallido ed emaciato, l'espressione assente. Aprì gli occhi e mi squadrò, cercando di mimare un debole sorriso che mirava a rassicurarmi. Ovviamente non ci riuscì. Lo abbracciai, tenendolo stretto. Avevo ancora la mia sacca, mentre la lancia giaceva abbandonata all'angolo della cella.
« Non sono riuscito a fermarlo, ho... » iniziò a dire lui, senza che potessi fermarlo. « Ha attaccato l'Isola che non c'è, e non sono riuscito a fermarlo. Mi dispiace, Red, avrei voluto avvisarti. Mi dispiace... ».
« Non parlare, così peggiori le cose. Coraggio. » risposi io, cercando di trovare una soluzione. A cosa, questo non lo sapevo. C'erano troppi problemi da affrontare.
Scrollai la testa, cercando di far chiarezza nella mia mente. Dovevo affrontare un problema alla volta. Frugai nella sacca e trovai l'ultima bottiglia di sidro che Biancaneve mi aveva regalato. Non ne era avanzato molto, ma sarebbe bastato per scaldarlo un po'. Lasciai che lo bevesse a piccoli sorsi. Gli occhi erano circondati da pesanti occhiaie scure, e sulla guancia apparivano i resti di un livido violaceo, che fino a poco tempo prima doveva essere grande il doppio. Il labbro inferiore era spaccato proprio a metà, e una serie di graffi erano distribuiti sulle braccia e sul resto del corpo. Era in condizioni pessime, decisamente.
« Ah... » sibilò, dopo aver bevuto il sidro. « Grazie. ». Lo abbracciai di nuovo, cercando di riscaldarlo il più possibile. Mi sfilai la mantella e lo coprii come meglio potevo, continuando a tenerlo tra le braccia. Scostai qualche ciocca arruffata dal viso distrutto. Vedevo la condensa dei miei respiri oltre le labbra. Dio, se faceva freddo.
« Red! ».
Mi voltai di scatto, stringendo a me Peter istintivamente. Volevo proteggerlo a tutti i costi. Ma quella voce che mi chiamava, così vicina e conosciuta, mi calmò improvvisamente. Capii che non si trattava di un pericolo, ma al contempo non riuscivo a crederci. Forse me l'ero immaginata. Rimasi in silenzio, in attesa.
« Red! » ripeté la voce, e questa volta mi resi conto che era tutto vero. « Sono qui! ».
Lasciai Peter disteso a terra, con la mia mantella a coprirlo, e mi alzai in piedi. Raggiunsi il perfetto cerchio di luce al centro della cella, esponendomi del tutto. Cautamente, avanzai ancora, fino a raggiungere le sbarre. Mi ci appoggiai, stringendole con le mani. Erano fredde e odoravano di ruggine e sangue. Respiravo a fatica, sopraffatta da quegli strani eventi. Non poteva essere. Non poteva davvero essere vero.
« Jim... » sibilai, senza più la forza di sorprendermi. Ero devastata, distrutta, e non riuscivo a capire perché lui fosse lì, a pochi metri di distanza, nella cella di fronte alla mia. Si appoggiò alle sbarre e improvvisamente si rasserenò. Un sospiro di sollievo gli sfuggì dalle labbra.
« Stai bene, per fortuna. » mormorò, stanco. Tossì un paio di volte, ma riuscii a vedere solo i contorni sfocati dei suoi movimenti a causa della scarsa illuminazione. Ma i suoi occhi, quelli li vedevo bene. Non poteva essere che lui.
« Com'è possibile? » chiesi, forse a lui o forse a nessuno, con l'accenno della sconfitta nella voce. « Perché sei qui? ».
« Mi ha catturato. Dopo che hai espresso il desiderio di tornare a casa, la tempesta ci ha portati via entrambi. Mi sono svegliato qui, e tu non c'eri. » mi spiegò lui, ed io lo ascoltai attentamente. Era ovvio. Quel bastardo di un cane ci conosceva entrambi, sapeva che Jim aveva cercato di proteggermi quando ci aveva attaccati nel bosco la prima volta. E ora l'aveva portato lì per farmi soffrire di più. Lui e Peter erano le persone a cui tenevo di più, e ora erano imprigionate insieme a me in quell'incubo.
« Credo che mia nonna sia morta. » sibilai, con la voce incrinata dall'emozione. « Perché dovrebbe averla tenuta in vita? Mi ha ingannato, non è qui. ».
« Red...non devi arrenderti. Tu sei più forte. » sussurrò Jim oltre le sbarre. Fece per allungare la mano in mia direzione, ma eravamo troppo distanti. Eppure, in quel momento avrei voluto raggiungerlo davvero. Stringere quella mano, sentire il suo tocco sulla mia pelle. Mi avrebbe dato tanta forza.
Ora invece mi sentivo debole, e sola.
Peter tossì, e subito tornai da lui. Mi inginocchiai, lasciando che posasse la sua testa sulle mie gambe.
« Ehi, sono qui. » mormorai, cullandolo. « Va tutto bene, ci sono io. Ci sono io. ».
Non sapevo dove mi trovavo. Dovevamo marcire tutti e tre lì, in quelle celle sotterranee? Era questa, la vendetta dell'Originale?
Peter si mise a sedere, così lasciai che poggiasse la schiena alla parete della cella. La mia mantella non bastava a tenerlo al caldo. Così la indossai nuovamente e mi sfilai la pesante giacca per darla a lui. La pelliccia di lupo di certo l'avrebbe tenuto più al caldo. Gli sfiorai il viso con la mano, sperando che la fioca luce del sole aumentasse la temperatura. Alla luce del sole i suoi occhi avevano lo stesso guizzo di energia, seppur molto ridotto, che ricordavo. Un tempo quell'energia era tanto travolgente da sconvolgermi. Frugai ancora nella sacca, e tirai fuori delle gallette di riso. Gliene offrii una ma lui voltò appena la testa.
« Non fare il bambino. » mugugnai, avvicinandole di nuovo. « Devi mangiare qualcosa. ».
« L'ha uccisa lui. » disse improvvisamente Peter, e mi accorsi che aveva gli occhi lucidi. Una lacrima silenziosa scese sulla guancia martoriata, cadendo sui vestiti malconci.
« Chi? Chi ha ucciso? »
« Wendy. L'ha uccisa lui, Red. » ripeté lui, voltandosi verso di me. Mi irrigidii, sconvolta. Portai una mano alla bocca, cercando di contenere lo stupore.
« Mi ha detto di averla portata via. L'ha portata via e l'ha uccisa. » mormorò ancora Peter, affondando il viso nelle mani. Io non riuscivo a crederci.
« Peter... »
« Credevo di avere una speranza. Continuavo a cercarla nonostante tutto. E invece... » sibilò ancora, e le parole gli morirono sulle labbra. Lo abbracciai, stringendolo per tutto il tempo necessario. Non importava dove ci trovassimo, o in che condizioni fossimo. In quel momento eravamo insieme, ed io dovevo sostenerlo a qualunque costo. Jim ci osservava, in silenzio. Con la coda dell'occhio vedevo la sua figura, e desiderai di averlo qui vicino a me nonostante tutto.
Peter tossì di nuovo, sputando sangue. Lo aiutai a ripulirsi con un fazzoletto, cercando di tranquillizzarlo.
« Sto morendo, vero? » riuscì a dire lui nel mezzo dell'ascesso di tosse, ridendo. Si, ridendo. Forse rideva perché quella situazione era assurda, e non poteva finire così.
« Smettila. Hai capito? Smettila di dire così, Peter. » ribattei, alterata. « Non è finita, chiaro? ».
Lui manteneva quel sorriso sulle labbra. Un sorriso rassegnato, e amareggiato per quell'apparente conclusione. Ma io mi rifiutavo di crederci. Non l'avrei lasciato morire così facilmente. Gli lasciai bere dell'acqua per sciacquarsi la bocca, e finalmente mangiò una delle gallette.
« Grazie. » gli dissi, sapendo che l'aveva fatto esclusivamente per farmi contenta. Lui mi sorrise, sfiorandomi di nuovo il viso con la mano. Le sue dita erano più calde, ed era un buon segno. Quel tocco mi fece comunque rabbrividire, riportando in me un po' di forza.
« Ce la faremo, Peter. » lo rassicurai io, cercando di essere convincente. La luce adesso ci illuminava entrambi. Era calda e confortevole, e solo ora mi rendevo conto che poteva trattarsi realmente del sole, e non di qualche altra diavoleria magica.
« Ricordi cosa ti ho detto qualche tempo fa? » mormorò lui, la voce tinta di un debole vigore.
« Cosa? »
« Di non cacciarti nei guai. ». Sorrisi, constatando che aveva ripreso un po' del suo vecchio umore.
« Ops. » sussurrai, stando al gioco. Dovevo fare in modo di tenerlo vigile, viste le sue condizioni precarie.
« Fai sempre a modo tuo. » commentò lui, avvicinandosi. Negli occhi c'era tanta di quella tristezza che per un attimo colpì anche me. La sofferenza che stavamo condividendo per quel momento, per i nostri compagni caduti. Per Wendy, e la mia famiglia. Era tutto così palpabile da sembrare reale.
« Ne usciremo. Ne usciremo, maledizione. » dissi a denti stretti. Lui mi prese il viso tra le mani, fissandomi con quegli occhi pieni di cose, di ricordi, e di dolore. Si avvicinò e posò le labbra sulle mie, baciandomi con tutto quel dolore dentro, e la rabbia. Era furioso con la vita, con sé stesso e con l'Originale. Stava combattendo una battaglia così intima che nessuno avrebbe potuto aiutarlo.
Quel bacio fu come un assaggio di un vecchio ricordo. Era come se conoscessi già le sue labbra, il suo volto e il suo respiro. Mi baciava con trasporto, tradendo una grande emozione. Avvicinò ancora di più il mio viso al suo, tenendomi la testa con entrambe le mani, intrecciando le dita sottili ai miei capelli scompigliati.
Percepii il dolore che stava provando, e mi resi conto che non ce l'avrebbe mai fatta a sostenerlo da solo. Che da troppo tempo la sua anima era tormentata dall'angoscia per Wendy, per Pennino e gli altri bimbi sperduti, per la sua terra. Sorreggerla, per una persona sola, era davvero troppo. E con quel bacio mi sembrava quasi di aiutarlo, come se in quel momento stessi contenendo quel dolore insieme a lui. Non riuscivo a capire le sensazioni che stavo provando, ma non mi retrassi. Peter aveva bisogno di quel bacio, di quel contatto.
E io?
Io ne avevo bisogno?
Si separò da me dopo un po', rimanendo a distanza ravvicinata. Sentivo il suo respiro sul mio viso, leggermente accelerato. Le sue mani scivolarono sulle mie spalle, e li si fermarono. Sentivo la sua stretta, piena di di quel dolore che aveva tentato di abbandonare.
Lo abbracciai, e lui mi tenne stretta per tutto il tempo. Jim era a pochi metri da noi, ed ero sicura che avesse visto tutto. Mi sentivo strana, in colpa. Perché quel bacio mi aveva ricordato quella notte che avevamo passato insieme, e ora i miei sentimenti erano talmente confusi che per un attimo la mia battaglia con il Cacciatore passò in secondo piano.
C'era una lotta anche dentro di me. Una battaglia terribile tra testa e cuore. O forse dentro il cuore stesso, diviso perfettamente in due.







« Nonna! Nonna, ci sei? » gridai, bussando un'altra volta. Il cestino era terribilmente pesante, la mamma come al solito aveva esagerato con le dosi. Sentivo l'intenso profumo di formaggio e di pane fatto in casa, il rumore del latte nella bottiglia e l'aroma di ciliegie della crostata sfornata la mattina stessa. Avevo il sospetto che ci fossero anche le uova delle nostre galline, e mi pentii subito di aver fatto oscillare il cestino così tanto nel bosco.
« Nonna? » gridai ancora, bussando più forte. Solo a quel punto mi resi conto che la porta era socchiusa. La aprii, entrando nel salottino buio. Il fuoco nel camino era ancora acceso, e scoppiettava allegramente riscaldando la stanza. Sul tavolo c'era un vaso colmo di fiori di campo colorati.
« Nonna? » la mi voce si era fatta più leggera, quasi un sussurro. Lasciai il cestino sul tavolo e mi avvicinai alla camera da letto. La porta era socchiusa, le finestre sbarrate e la candela spenta.
Qualcuno si agitava nel letto. « Nonna, ti senti bene? » mormorai, avvicinandomi. La mamma si sarebbe preoccupata, se le avessi detto di aver trovato la nonna malata nel letto. Mi avvicinai ancora, concentrandomi sul suo respiro. Era pesante, e affannato.
La figura scura di fronte a me ringhiò.
E delle grandi fauci si aprirono davanti ai miei occhi.
Gridai, spalancando gli occhi e respirando a fatica. Rivedere la cella putrida in cui ero stata gettata fu quasi un sollievo.
« Finalmente ti sei svegliata. » si affrettò a dire Peter, accanto a me, con un sospiro di sollievo. « Hai cominciato a gridare nel sonno, non sapevo come fare per svegliarti. ».
« Oh... » mormorai, cercando di riprendere fiato. Avevo sognato. Quegli incubi che mi tenevano sveglia la notte, e che non riuscivo a superare. Madida di sudore, cercai di capire come avevo fatto ad addormentarmi così facilmente in quello schifo di posto.
« Avevi bisogno di riposo, eri a pezzi. ». Peter mi sistemò la giacca di pelliccia sulle spalle. La indossai, infilandomi nuovamente la mantellina e il cappuccio per evitare di prendere freddo. Peter stava decisamente meglio: forse il cibo e l'acqua gli avevano dato quell'energia che era venuta a mancare. Ma i lividi e il dolore nei suoi occhi erano sempre presenti.
Mi alzai, e in fretta raggiunsi le sbarre. « Jim? » lo chiamai, sperando che rispondesse in fretta. Quel luogo ci stava consumando, e cominciavo a pensare che la disposizione dei posti fosse uno dei giochetti del lupo per metterci l'uno contro l'altro.
« Red, sono qui. » rispose lui, ancorandosi alle sbarre.
« Oh, grazie a dio. Tutto bene? » gli chiesi, e lui tossì. Cercai di vederlo alla luce del sole, ma riuscivo a distinguere solo a grandi linee il suo volto. Ero contenta che fosse lì.
« Si. E tu? » rispose lui, calmo.
« Bene. Dobbiamo uscire da qui, non possiamo marcire fino alla fine dei nostri giorni. ».
Silenzio.
« Tranquilla, a questo ci penso io. ». Sobbalzai. La voce del lupo arrivò dall'alto e mi entrò nella testa, come se non avesse aspettato altro.
« Lasciaci uscire, bastardo di un cane! » gridai, furiosa. Finalmente era uscito allo scoperto.
« Come desidera, principessa. » sibilò ancora lui, apparentemente divertito dalla mia scenata. Lo spiraglio di luce sulle nostre teste si fece improvvisamente più vivido, talmente forte da accecarci.
Chiusi gli occhi, con la voce di Peter che mi chiamava come ultimo avviso.
Luce.
Luce.
Ancora luce.
Accecante.
Calda e bellissima.
E poi, di nuovo bianco. Candore ovunque.
Neve.
Mi guardai attorno, mettendo a fuoco il bosco attorno a me.
Questa volta non c'era solo la neve a fare da sfondo, ma una struttura in legno abbandonata a sé stessa.
Chiusi gli occhi, poi li riaprii.
Era la casa della nonna.














Nb. Visto che l'ultima volta ci ho messo un bel pò ad aggiornare, questa volta ho deciso di farvi una sorpresa e pubblicare il nuovo capitolo in anticipo. Spero lo apprezziate, soprattutto voglio sapere cosa ne pensate, se avete consigli o suggerimenti, domande o dubbi amletici che vi assillano. In questo capitolo mi sono voluta concentrare sugli aspetti più intimi di Red, cercando di mettere in luce la lotta interiore che non è solo fisica, ma per la maggior parte emotiva. Con l'occasione vi auguro tanti giorni di sole ( non so voi, ma qui da me sembra Novembre tra pioggia e temporali)!

L.



  
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