Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
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Autore: CreAttiva    28/07/2014    4 recensioni
Una volta ogni dieci milioni di anni un angelo perde i poteri, diventando vulnerabile. Questa volta tocca al sovrano degli angeli caduti: Satana, il re degli Inferi. Soddisfatto del suo operato durante la sua lunga esistenza, ha già accettato di svanire per sempre. Ma il Signore ha in serbo per lui qualcosa di diverso dalla morte.
Genere: Erotico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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In vita

Questa è un'opera di fantasia. Nomi,

personaggi, istituzioni, luoghi ed episodi

sono frutto dell'immaginazione dell'autore

e non sono da considerarsi reali.

Qualsiasi somiglianza con fatti, scenari,

organizzazioni o persone,

viventi o defunte, vere o immaginarie,

è del tutto casuale.



Bianco ovunque, abbagliante. Un fischio sordo nelle orecchie, una morsa pressante attorno alla testa. Giusto: aveva una testa; e quindi anche un corpo, da qualche parte. Provò a muovere qualcosa. Seppe di esserci riuscito quando una confusa macchia rosea invase il suo campo visivo. Cercò di metterla a fuoco, non senza una certa difficoltà. Si sforzò il più possibile, aumentando quel senso di vertigine che aveva avvertito in precedenza. Una mano tesa sopra di lui. Gli ci volle un po’ per concludere che era la sua. Sbatté le palpebre e la testa si fece via via più leggera, svuotata. Ma un dolore improvviso gli confermò di avere davvero un corpo. Serrò la mascella, tentando di combattere contro il bruciore che gli attanagliava i muscoli: gambe, braccia, torace, collo, schiena. Una stilettata al bacino gli provocò un movimento convulso, che lo fece sbattere con un capitombolo sul finto parquet del pavimento. In un attimo il dolore svanì e Satana tornò presente a se stesso.

La sua nuova coscienza lo informò dell’accaduto: era appena rinato.

L’antico Satana si guardò attorno: era in una stanza quadrata dalle pareti di un arancione pallido, illuminata dalla luce fioca che filtrava da dietro le tende marroncine di una finestra. Una scrivania con pc portatile incastrata in un angolo, sovrastata da tre mensole cariche di libri, e dal lato opposto il letto da cui era caduto. Si alzò in piedi e barcollò fino alle ante specchiate dell’armadio accanto alla porta. Il suo riflesso lo colpì. Non erano avvenuti cambiamenti nel suo aspetto, a parte le orecchie tonde e il pigiama blu con pesci ricamati che aveva indosso. Ciondolò verso la finestra, aprì le tende, e la spalancò. Una strada caotica e trafficata lo accolse con il suo frastuono assordante. Calcolò la distanza dal suolo. Quarto piano, l’ultimo (a constatare dal tetto sopra di lui) di un appartamento modesto. Davanti e a sinistra altri palazzi. A destra.. Satana rimase impietrito, le mani strette al davanzale, la testa inclinata da un lato.

Alla sua destra era visibile a un occhio non umano una parte di ciò che Satana ricostruì con la memoria. Giganteggiava possente sullo sfondo del cielo la cupola michelangiolesca, la cui tinta grigio-azzurra sfumava raccordandosi alla volta celeste. Nascosti e inglobati nella città, bracci semicircolari di colonne collegavano la piazza ellittica alla basilica. Preceduta da una scalinata a tre ripiani, la facciata bianca rifletteva la luce e la sacralità dell’edificio. La monumentalità del complesso sembrava accogliere con un abbraccio universale tutta l’umanità.

San Pietro, Roma. Satana digrignò i denti. Qualcosa in lui lo spingeva a odiare quella città e il dio che l’aveva rilegato in quella condizione ripugnante; ma l’indifferenza che avvolgeva il suo cuore lo portò a rilassarsi. Si voltò chiudendo la finestra e cercò un mezzo per capire cosa dovesse fare. Frugò nella giacca appesa all’appendiabiti e vi trovò un documento.


Carta d’identità: Luciano Ferro.

Altezza: 1, 84 m.

Capelli: rossi.

Occhi: neri.

Segni particolari: cicatrice sulla schiena.


Si toccò le scapole, dove fino a un attimo prima c’erano state le sue ali. Quello era il suo destino: una vita mortale, privata quasi per intero dei suoi poteri. Dio aveva detto che non glie li avrebbe sottratti tutti: quali gli erano rimasti?

Chiuse gli occhi e interrogò il proprio corpo. Aveva appena compreso l’impossibilità di volare. Si concentrò.

Magia elementare: il palmo della sua mano rimase freddo. Uno in meno.

Magia mentale: non recepì alcun pensiero degli umani sulla strada, né rammentò le loro identità. Due in meno.

Magia evocativa: nessun demonietto servitore apparve nella stanza. Tre in meno.

Forza fisica: il pugno chiuso gli restituì un messaggio positivo. Sorrise e riaprì gli occhi. Li trovò riflessi nello specchio. Capacità seduttiva, come sempre, al cento per cento. Conclusione: non aveva perso le sue armi migliori.

Decise di approfondire la ricerca di informazioni: sapeva troppo poco del luogo in cui si trovava. Uscì lentamente dalla stanza, visualizzando ogni indizio che si presentava. Lo accolse un corridoio buio con delle porte chiuse. Scelse di aprire quella che supponeva lo avrebbe condotto al bagno. Le piastrelle azzurrine gli suggerirono che aveva indovinato. Rimandò l’indagine a quando avesse riavuto un aspetto dignitoso, senza quell’imbarazzante tenuta da notte. Si lavò frettolosamente, rientrò in camera e aprì l’armadio. Rimase sorpreso di trovarlo vuoto. Gli sarebbe piaciuto vestire qualcosa di elegante ed eccentrico… ed ecco comparire dal nulla un completo verde bottiglia. Oh, doveva trattarsi di un piccolo regalo di Sua Altezza Celeste.

Ammirò per un attimo il prodotto della propria vanità, ma ebbe un ripensamento. A giudicare dalla quantità di libri nella stanza, era previsto che fosse uno studente, perciò era più opportuno indossarne i panni. Si tolse il pigiama e desiderò una maglietta bianca a maniche corte, una felpa grigia e un paio di jeans scuri attillati. Si mise le scarpe da ginnastica nere e un braccialetto d’acciaio. Meglio di una boutique.

Una morsa allo stomaco e la gola asciutta lo colsero alla sprovvista: non aveva mai provato una sensazione simile. Prima di uscire dalla camera fece materializzare una giacca e la agganciò all’appendino, preparandosi ad ogni evenienza. Era confuso e pieno di domande. Stavolta dalla fessura di una porta si intravedeva uno spiraglio di luce. C’era qualcun altro?

Aprì con cautela, pronto a qualsiasi...

«...sorpresa!» Una cascata di ricci rossi lo assalì con un abbraccio. Il diavolo rimase inebetito per una frazione di secondo, poi tuonò minaccioso:«Lasciami, donna!»

«Tanti auguri, figliolo!» ruggì un uomo alto e pienotto dai capelli ingrigiti.

«Che vai blaterando, vecchio?»

«Oh, cielo!» esclamò la signora, sbattendo le ciglia infoltite dal mascara «Non ti sarai dimenticato che oggi è il tuo compleanno?!»

Satana squadrò gli umani da capo a piedi. Lei era una donna in vestaglia beige sulla quarantina passata, gracile e minuta, il viso dolce e gentile; lui un omaccione in pigiama a righe, che sfiorava la cinquantina, un po’ stempiato, con un cipiglio vagamente severo. La sincerità dei loro sguardi, la semplicità delle loro parole, la naturalezza dei loro gesti: non poteva più leggere nel pensiero, ma era sicuro che quei due lo considerassero davvero suo figlio. Non avevano reagito all’asprezza delle sue parole: sembrava normale routine. Decise di assecondarli; cos’altro poteva fare?

«Sono solo un po’ frastornato da questa accoglienza mattutina.» abbozzò. La donna emise un risolino acuto e lo fece accomodare a un tavolo tondo. Davanti a lui c’era una piccola torta di cioccolato ricoperta di panna. I suoi presunti genitori intonarono il “tanti auguri a te”, poi Satana spense venti candeline con un soffio. Il suo falso padre (chiamato dalla donna “Cesare”) tagliò tre fette di torta e le mise nei piattini che la consorte (il suo nome era “Giada”) gli porse. Satana impugnò la forchetta, prese un pezzo di dolce, lo portò alla bocca e lo ingoiò. Il sapore era gradevole, ma non fu quello a sorprenderlo: si accorse invece che lo stomaco aveva allentato leggermente la stretta. Finì la sua fetta in pochi bocconi e si sentì molto meglio. Era dunque fame quella sensazione? E la gola secca? La associò alla sete e ne ebbe conferma provando a bere un sorso di coca-cola. Fece il bis della torta, imitato da quei genitori che gli avevano affibbiato, quindi accettò con precaria gratitudine il loro regalo: un orologio da polso, che si allacciò al braccio sinistro.

«Hai intenzione di uscire oggi?» gli chiese la donna sparecchiando la tavola.

«Penso di sì.»

«Non fare tardi. Domani mattina hai il corso alle otto, vero?

«Sì.» Di cosa stesse parlando non aveva idea.

Cesare intervenne:«Perché non esci con quel tuo compagno... Giorgio?»

«Giovanni!» lo corresse Giada.

«Credo che lo farò. Vado a mettermi la giacca.» Satana si diresse in camera.



Non appena aprì la porta sentì che qualcosa era cambiato. Finse di non accorgersene ed entrò. Tolse la giacca dall’appendino e la mise indosso, dando le spalle all’armadio. Tirata su la lampo, disse senza voltarsi:«Cosa vuoi, Michele?»

«Oh! Ti eri accorto di me?» rispose una voce lieve e vaporosa. Satana girò su se stesso, puntando i suoi occhi neri sul riflesso dello specchio. Come si aspettava, al posto della sua immagine a restituirgli lo sguardo c’era un angelo dai capelli lunghi e biondi, talmente splendenti da sembrare raggi luminosi. I lineamenti erano molto effeminati; eppure la sua bellezza sembrava rifulgere dallo specchio, in particolare dagli occhi blu topazio. Una sottile armatura dorata gli copriva il petto e una spada gli pendeva dalla tunica. Satana gettò uno sguardo a quelle ali bianche ed enormi, le ali di un arcangelo: quelle degli angeli ordinari erano molto più piccole. Inoltre, la maggior parte degli angeli tramuti in diavoli le perdevano; solo Satana e Sargatanas le avevano riacquistate dopo la trasformazione. E ora il sovrano degli Inferi le aveva perdute per sempre.

«Ti ha mandato Lui?»

«Preferisco chiamarla Lei, lo sai.»

«Credevo fosse Gabriele l’uccello del malaugurio!»

Michele lo studiò in silenzio «È curioso vederti in quelle vesti.»

«E allora? Vuoi provocarmi o riferirmi il messaggio?»

«Chiedo venia. Non intendevo essere scortese. Comunque, da questo momento tu sarai Luciano Ferro, un ragazzo di ventidue anni appena compiuti che frequenta il terzo anno di Storia, antropologia e religioni all’università La Sapienza...»

«Che ne è stato dei miei ricordi legati a questo mondo?» lo interruppe il diavolo «Non rammento nulla a proposito delle persone intorno a me, eppure ne ho tentato una buona parte.»

«Si tratta di un inconveniente dovuto alla rinascita: a breve ti tornerà la memoria. Un recupero che metterà in pericolo tutti gli umani con cui verrai a contatto.» Michele contrasse la mascella, contrariato dalle proprie conclusioni «Dicevo: essendo un tipo molto schivo, le tue conoscenze si limitano ai tuoi genitori e al tuo compagno di corso Joe. Questo dovrebbe semplificare la ricerca del tuo cammino.»

«“Joe”?»

«Giovanni Tordo. Non chiamarlo col suo vero nome, lo detesta. Continuerai la vita che tutti credono tu abbia condotto finora, ma la gestirai come preferisci.»

«Tutto qui? Non ti aspetterai che mi comporti come un umano! A che servirebbe? Non sarò mai uno di loro.»

«La Signora ha fiducia in te. Crede che tu possa tornare a essere Lucifero.»

«Ma tu no.» Era uno scenario di pensieri piuttosto chiaro. Satana aveva inquadrato l’angelo fin da subito.

Michele inasprì lo sguardo «No, non penso che tu possa cambiare. Un demone rimane un demone, fino alla morte. Chi ha scelto il male sporcandosi le mani non può lavare via il sangue come se niente fosse.»

«Quindi non credi nel perdono.»

«Soltanto del genere umano: loro non sanno, non hanno le nostre conoscenze. Posso concepire che abbiano comportamenti erronei. Ma noi angeli siamo gli araldi celesti. Abbiamo poteri al di là di ogni creatura vivente e perciò non possiamo permetterci di sbagliare. Non è plausibile.»

«Stai dicendo che siamo esseri superiori?» fece Satana sorridendo.

«Saresti lieto di portarmi al peccato, ma non affermerò mai di considerarmi migliore di qualcuno: non cadrò nella superbia come hai fatto tu. Sto cercando di comunicarti che le nostre doti sono un dono e che dovremmo ritenerci fortunati a possederle. Essere un angelo significa avere delle responsabilità: se la nostra forza non venisse adoperata in modo corretto, le conseguenze sarebbero terribili. Se tutti gli angeli si tramutassero in diavoli, sarebbe il caos. Ma immagino che le mie parole siano inutili. Tu non puoi cambiare.»

«Se è così che la pensi, perché non l’hai detto al tuo Dio?»

«Non ce n’è bisogno. Ella conosce tutto di me. Sa che avrei preferito cancellarti, ma rispetto la Sua scelta: anche se non credo in te, io credo in Lei.» Il volto di Michele si distese e ogni traccia di ostilità scomparve. «Questo è tutto. Ma, Satana... prima di andarmene posso farti una domanda?»

Il diavolo lo assecondò con un sorriso sincero:«Dimmi pure.»

«Perché tu hai smesso di credere?»

«Io non ho mai smesso.» Michele ne rimase colpito, ma si ricompose in fretta. Lo salutò con un cenno del capo e scomparve dallo specchio, lasciando spazio al riflesso di Satana. Era così: considerava ancora Dio suo Padre. Lo stimava e lo teneva in alta considerazione, nonostante fossero nemici. Sospirò, prendendo il mazzo di chiavi e imboccando il corridoio.

«Salutami tanto Gigi!» disse Cesare dalla cucina.

«Giovanni!» strillò Giada.


Satana scese le scale dell’edificio (non c’era un ascensore, e che cavolo!) fino al piano dei garage. Su una delle chiavi era inciso il numero quattro. Cercò il box corrispondente e lo aprì. Vi trovò una Citroen C4 di colore grigio metallizzato (probabilmente del suo falso padre), una bicicletta con la scritta “Giada” sul manubrio e una Kawasaki VN900 Custom nera. Girò attorno alla moto, studiandone la linea elegante e minacciosa al tempo stesso. Un veicolo che gli assomigliava parecchio... Doveva ammettere che anche gli umani sapevano realizzare cose interessanti; anche se lui vi avrebbe aggiunto un “tocco” di stravaganza. Per l’essere umano chiamato Luciano Ferro, però, andava più che bene. Si allacciò il casco e salì sulla moto. Infilò le chiavi nella serratura e diede gas.

Lo accolse il ruggito del motore. Guidò il veicolo sulla strada e subito ebbe dei ripensamenti. Il traffico della città non gli permetteva di sfrecciare sull’asfalto, come gli sarebbe piaciuto. In quel groviglio di macchine, semafori e pedoni incauti gli fu impossibile lasciarsi andare e tralasciare la frustrazione per l’umiliante condizione in cui si trovava. La vergogna in cui Lui l’aveva incastrato. In breve si arrese al ritmo frenetico di Roma e abbandonò la moto al primo parcheggio individuato (o ricavato spingendo qualche macchina). Proseguì a piedi, vagando senza una direzione precisa. L’aria fredda gli penetrava nelle ossa e lo faceva rabbrividire. Si sarebbe mai abituato alle debolezze umane?

Si accorse dell’ora tarda solo quando lo sorprese la fame. Guardò il suo orologio nuovo di zecca: l’una passata. A quel punto poteva tornare a casa. Sembrava la scelta più ragionevole, ma si bloccò alla vibrazione nella tasca della giacca. Cercò la causa della musichetta che riconobbe come “Dance with the devil dei Breaking Benjamin: qualcuno aveva il senso dell’umorismo. Prese il cellulare e rispose alla chiamata.

«Pronto?»

«Ehi, Lu!»

«... Joe?»

«No, sono Tonio Cartonio... certo che sono io, sciocchino! Chi ti aspettavi? È tutta la mattina che non rispondi ai miei messaggi, perciò te lo dico a voce: buon compleanno!»

«Grazie.» C’era qualcosa in quella voce che lo insospettiva.

«Che programmi hai per oggi? Dove vuoi festeggiare? Volevo invitare anche Samuele, ma ha detto che deve studiare...» emise un lungo sospiro. Satana alzò gli occhi al cielo. Ecco cosa aveva di diverso: era omosessuale. Non era una novità per il diavolo che era sempre stato, ma non sapeva come comportarsi da umano. Come avrebbe dovuto rivolgersi a lui? Tentò di sembrare a suo agio in quella conversazione.

«Come va con Sam?» L’abbreviazione del nome funzionò.

«A gonfie vele! Te l’ho detto che l’altro ieri sono stato a cena da lui?»

«Ehm...» Forse sì, nei suoi ricordi distorti, ma non poteva saperlo.

«Eravamo al lume di candela. Era tutto così romantico! Cucina benissimo ed è talmente dolce... mi batteva forte il cuore quando mi ha chiesto...»

«Per favore, Joe, evita i particolari.» lo interruppe Satana irrigidito.

«Ops, scusa. Dimenticavo che sei diverso. Tornando a noi, cosa hai intenzione di fare? Oggi è il tuo giorno!»

«Devo ancora mangiare, per il resto mi va bene tutto.»

«Il solito noioso. Dovresti avere più entusiasmo: oggi sei un anno più affascinante! Neanch’io ho ancora pranzato; dove sei che ti raggiungo? Ho una voglia matta di Mc Donald e visto che a te “va bene tutto”…»

Satana valutò la sua posizione e la distanza che aveva interposto fra sé e la moto:«Preferirei che mi dicessi tu dove vederci.»



Al fast food c’era un viavai continuo di gente. Mentre si avvicinava all’ingresso, Satana cominciò a preoccuparsi: come avrebbe riconosciuto Joe? La risposta arrivò quasi immediata: era impossibile non notare il ragazzo biondo e robusto che si sbracciava verso di lui. Ne osservò il bel viso mascolino e si convinse dell’enorme perdita per il genere femminile. Niente a che vedere con la sua figura, certo. Era impossibile competere con lui. Non appena si era sfilato il casco, dal parcheggio al Mc Donald aveva fatto strage di cuori. E non si era nemmeno impegnato.

«Eccoti qua! Spero che tu non abbia incontrato l’ingorgo che mi sono sorbito io: guidare a Roma è un inferno.»

«Sono stato più fortunato.» Se avesse visto il vero inferno, allora? Scelse di introdurre la conversazione con cortesia:«Ora che ricordo, il mio vecchio ti saluta.»

Joe sorrise. Era più basso di Satana e meno muscoloso, ma aveva un sorriso solare e sincero che in qualche modo lo rendeva attraente. Proprio un peccato per le donne.

«Che aspettiamo qui impalati? Io non ci vedo più dalla fame!»

Si misero in fila per ordinare il menu; Joe continuava a parlare di Sam, dilungandosi sui suoi infiniti pregi, e Satana dovette ricordargli un paio di volte che preferiva non sapere cosa avessero fatto quando “Sam lo aveva spinto in camera da letto”. A quel punto Joe arrossiva e si scusava asserendo: «Non avrei dovuto dirtelo. Di solito mi vergogno... però da adesso non mi spingerò più tanto avanti!» E invece continuava a farlo... anche se con evidente imbarazzo. A quel ragazzo mancava un amico che non lo giudicasse, qualcuno con cui confidarsi, e stava riponendo fiducia nella persona sbagliata.

Rimediato il pasto (offerto da Satana in occasione del compleanno), si sedettero per consumarlo. Nel frattempo Joe non stava zitto un secondo. Ogni tanto si riavviava una ciocca di capelli dietro l’orecchio o gesticolava animatamente. Satana comprese che a parlare con lui c’era una donna costretta nel corpo di un uomo. La sua tendenza al pettegolezzo, i movimenti aggraziati e la voce alterata ne erano segni evidenti. Ritenne di aver ascoltato a sufficienza Joe, comportandosi da buon amico: era il momento di interrogarlo sfruttando il suo piacere per la chiacchiera.

«La prima volta che ti ho visto non pensavo saremmo diventati amici.»

«Certo che no!» confermò Joe «Quando ti ho chiesto indicazioni per l’aula sei rimasto zitto a fissarmi, come se ti aspettassi qualcosa da me. Ho pensato che fossi uno svitato: con quello sguardo truce mettevi paura! Poi ti ho visto alla prova di verifica della conoscenze e ho capito che dovevi essere solo nervoso. Dopo ti ho offerto una gomma e ti sei scusato per non avermi risposto. Incredibile come da quel momento abbiamo legato.»

Satana si limitò ad annuire, nascondendo la sorpresa per quei ricordi falsi e vividi. Che Luciano Ferro fosse un vero essere umano e lui ne avesse preso il posto?

«Oh, direi che ti ho fatto aspettare abbastanza.» disse Joe porgendogli il pacchetto che teneva appoggiato sullo sgabello accanto a lui.

«Mi stavo giusto chiedendo se il regalo non fosse per qualcun altro.» asserì il diavolo scartandolo.

«Era solo un piccolo scherzo.»

Satana tolse l’involucro ed estrasse un libro dalla copertina sgargiante; era intitolato “Il linguaggio del corpo - Segreti e bugie”. Ringraziò l’amico, che spiegò il motivo della sua scelta:«Ti può essere d’aiuto in quella cosa che fai sempre.»

«Cosa?»

«Osservare le persone. Lo stai facendo anche adesso.»

Questa volta Satana non riuscì a celare il proprio sgomento. Da quando era rinato in quella forma si era impegnato ad analizzare il comportamento umano. Non possedeva più la facoltà di leggere nel pensiero, così era obbligato a studiare le espressioni del volto, il tono di voce, i gesti del corpo. Era un procedimento duro e complicato che richiedeva una particolare concentrazione, specialmente mentre sosteneva una conversazione con il suo amico. L’esperienza millenaria lo agevolava; aveva iniziato quasi a trovarlo divertente.

Si sentì vulnerabile per essere stato scoperto, e comprese di dover adoperare una maggiore cautela in presenza di Joe. Dopotutto lui era immune al magnetismo demoniaco che rendeva Satana desiderabile dal punto di vista fisico e psicologico. Se ne era reso conto da subito, e l’unico motivo poteva essere che era una persona dai sentimenti molto puri. Una rarità per la contemporanea società corrotta. Forse era per quello che Dio l’aveva scelto come suo amico. Provò un lieve rispetto nei suoi confronti… per quanto potesse goderne un essere inferiore come un umano.

Ripresero la chiacchierata, mentre Satana scopriva che il giorno successivo avrebbero frequentato insieme le lezioni. L’università sarebbe stato il prossimo banco di prova per intensificare la sua influenza in quel mondo. Perché la sua sfida aveva avuto inizio prima ancora che si rendesse conto dell’effetto sortito sul genere umano dalla sua figura: anche in quelle condizioni lui, come gli altri angeli decaduti, risvegliava negli uomini i sentimenti più nefasti. Gli erano stati sottratti i poteri, e la sua vita era mortale, ma la punizione inferta lo aveva smosso dalla noia degli ultimi secoli, risvegliando in lui la passione per la battaglia contro il Bene. Ora il Signore delle Tenebre avrebbe condotto personalmente all’inferno gli sventurati che ne incrociavano lo sguardo. Con i suoi occhi neri e profondi li avrebbe risucchiati nelle viscere della Terra e condannati quali esseri inferiori e molesti.

Avrebbe perpetuato la sua guerra contro Dio, allo scopo di cancellare dal mondo gli insetti che lo insozzavano con la loro lordura. Per farlo gli bastava condurre una vita umana, un’idea che lo avrebbe disgustato fino al giorno prima e che adesso si stava dimostrando un’inaspettata occasione.

Nulla avrebbe placato la sete di sangue di Luciano Ferro.




(S)parla con l’autrice

Dia dhaoibh, lettori!

Eccoci al secondo capitolo: che ne pensate? Vi aspettavate la sorte di Satana? E le sue reazioni? Avete domande? Liberate le vostre opinioni!

Il nome umano del diavolo l’ho scelto per assonanza con Lucifero, ma credo ci siate arrivati subito ^_^

Forse vi ha mandato in confusione l’uso dei pronomi nell’incontro fra Michele e Satana, in riferimento a Dio. Non temete: c’è una spiegazione, non si tratta di un errore di battitura.


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Al prossimo capitolo! Slán libh!


CreAttiva

   
 
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