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Autore: finnicksahero    31/07/2014    3 recensioni
Chi era la madre di Katniss? Come ha conosciuto il signor Everdeen?
Io ho provato a rispondere a queste domande.
Dal testo:
'Le strade del giacimento erano deserte, si sentivano i canti dei bambini e qualche rumore di stoviglia, ma per il resto il silenzio era assordante, neanche gli uccellini cantavano, il cielo da azzurro era diventato nuvoloso. Rendendo l'ambiente ancora più grigio, i miei stivali alzavano la cenere argentea per aria, creando delle piccole nuvole che stancamente si riposava a terra. Era così folle alzarla, dargli della speranza, facendogli credere di poter volare, quando in realtà si sarebbe schiantata al suo suolo da li a poco. Mi ritrovai a pensare che prima o poi tutti diventavamo polvere.
Polvere alla polvere.
Cenere alla cenere.'
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maysilee Donner, Mr. Everdeen, Mr. Mellark, Mrs. Everdeen, Mrs. Undersee
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I'm in love with you ...'
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Capitolo due.


 

Caddi a terra, alzando un gran polverone. L'argento della cenere si alzò, verso il cielo, sovrastandomi, vedevo la sagoma di quel ragazzone e, per tutta quella cenere mi sembrava una fenice, che stava rinascendo da se stessa. Il polverone mi fece tossire, e fare delle smorfie, odiavo quando mi andava nel naso. Mi solleticava e mi faceva starnutire per giorni.

Quando la folla di cenere iniziò a cadere, lentamente come la neve a terra la sagoma del ragazzo si fece sempre più chiara, da poter notare i muscoli delle braccia, del petto, il viso squadrato i capelli lunghi, aveva anche una sacca, a tracolla dietro la schiena, sembrava vuota.

Tossii ancora un poco, mentre tutto tornava come prima. Alzai lo sguardo su di lui, che sorrideva a mo di scuse, mostrando la dentatura perfetta, le labbra erano scure, bellissime, inumidii le mie, perché erano secchie, lo fissai ma non mi mossi. Analizzai in quel silenzio perfetto il suo volto, con le sopracciglia spesse, il naso un po' grosso che sul suo volto stava da dio, le labbra strette in un sorriso. Tutti i denti, uno più dritto dell'altro, e di un bianco brillante. Il viso era un po' squadrato, la mascella un po' pronunciata.

Nel complesso un gran bel ragazzo. Ma la cosa che mi tolse il fiato erano gli occhi. Grigi, e brillanti, vicino alla pupilla diventavano più scuri, ma nella parte esterna toccavano l'azzurro. Non riuscivo ad identificare altri colori, da quella distanza.

Indossava un maglione con più toppe che altro, dei pantaloni da caccia e delle scarpe, che avevano visto giorni migliori -Scusa- mormorai, lui scosse la testa -Oh no, scusami tu- disse, lo guardai con una smorfia -No. Ti ho detto di scusare me- ripetei, lui sorrise, veramente per la prima volta, -Okay, allora non ti scuso- disse, si sfregò le mani per poi incrociare le braccia al petto, rimasi confusa e a terra, non mi scusava, ma che tipetto avevo incontrato! -O almeno- iniziò, vedendo la mia espressione turbata -finché non mi perdoni prima tu- fini con un sorriso divertito.

Non potei fare a meno di ridere, buttai la testa all'indietro e la scossi, ancora ridendo, -Oddio, sei pazzo- conclusi, poi sospirai -Senti, facciamo così, tu mi aiuti ad alzarmi e io ti perdono, e tu perdoni me, aiutandomi. Ti va?- chiesi, ci pensò un attimo, con una smorfia sul viso, notai che aveva una fossetta sul mento, carina. -Va bene- disse allungando una mano scura e callosa, l'afferrai e sentii la ruvidezza della sua pelle, la maniera in cui la mia piccola manina entrava dentro la sua enorme.

Il contatto con la sua pelle rovinata dal lavoro mi provocò uno strana reazione dentro la pancia. Mi si seccò la bocca e d'un tratto mi sentii scema. Come se non sapessi che fare e che dire, in sua presenza, nessuno mi aveva mai fatto stare così. Nessuno. -Grazie- dissi, e nel silenzio imbarazzante raccolsi la borsa e la spazzolai con una mano, per poi pulirmi i pantaloni e la maglia, togliendo almeno un po' di cenere.

Lo guardai negli occhi, e gli sorrisi, per poi superarlo e andare per la mia strada. Non sapevo che ore erano, ma sicuramente ero in ritardo, camminai velocemente superando case devastate e vicoli con ancora persone sdraiate, forse erano vivi. Forse no. Tenni lo sguardo basso fino al quartiere che separava il giacimento dalla città, li non c'erano i benestanti come me e Alus. Li ci stavano delle persone che non faticavano ad avere almeno un pranzo al giorno, tutto il contrario del giacimento, dopo pochissimi mangiavano tutti i giorni.

-Heyy, fermati- urlò una voce profonda, mi girai di scatto, essendo l'unica in tutta la strada, vidi il ragazzo di prima, venirmi incontro con un sorriso, mi raggiunse facilmente con le sue lunghe gambe, mi resi conto che mi sovrastava di almeno venti centimetri, trattenni il fiato quando mi trovai faccia-a-torace. Come un robot, alzai il naso verso di lui e feci un passo indietro, sembrava fierissimo della sua altezza, in quel momento -Si?- chiesi, lui si grattò le mani, cosa che mi fece sorridere, tutti i ragazzi di sedici anni si grattavano le mani? -Volevo sapere il nome di colei che è rimbalzata sul mio possente petto- disse, una risata gorgogliò fuori dalla mia gola, mi coprii la bocca con le mani, e iniziai a guardarmi i piedi, cercando di rimanere seria -Sono Anse- risposi, lui sembrò aspettarsi altro -Anse Preter- aggiunsi, lui annui e fece per andarsene -Oh no caro- esclamai, lui si fermò, con il riso sulle labbra -Io ora sono curiosa di conoscere il nome di colui che mi ha fatto cadere nella cenere- decisi, mettendo le mani sui fianchi, cercai di rimanere seria, ma il sorriso che baciò le mie labbra mi tradii -Io sono John Everdeen- disse, fece un mezzo inchino, alzai gli occhi al cielo.

Rimanemmo in silenzio imbarazzati per un po' -Senti John, io sono in ritardo- dissi, lui mi prese per il polso, che nella sua enorme mano ci entrava alla perfezione -Dove vai?- chiese, sinceramente curioso, strattonai il polso e lo liberai, non lo teneva così stretto, -Devo andare a casa dei Mellark- dissi, lui sembrò deluso -Hey, domani possiamo vederci? Vieni al prato, verso le quattro, okay?- chiese, dubbiosa lo guardai -Ci saranno le sorelle Donner, Abernathy e un mio amico con la sua ragazza- promise, mettendo apposta la sacca che gli stava scivolando dalla schiena. Rimasi un attimo perplessa e dubbiosa ma alla fine mi ritrovai ad annuire -Certo, verrò- decisi, alzai lo sguardo e annui. I nostri occhi si incontrano per la seconda volta.

-Alus, lo so, non ripetermi che sono stata una sciocca- dissi, ero seduta a gambe incrociate in camera di Alus, suo fratello aveva ancora la febbre alta, e non potevo curarlo, quella malattia per noi era mortale. A loro però, non avevo detto niente -Ma lo sei stata- ribatte il mio amico, che era sdraiato sul letto, e stava giocherellando con una palla fatta di pezzi di stoffa, era ipnotica quella cosa che andava in aria e poi tornava giù, alle sue mani. Gli tirai una sua camicia, e lui rise.

Si mise seduto e sospirò, passandosi una mano sul viso mi guardò, era preoccupato -Anse, Ector che ha di preciso?- chiese, inizia a guardarmi le mani, giocherellai con un filo che usciva dalla mia maglietta e scrollai le spalle -I sintomi non li capisco, sono troppo vari e...- cercai di sembrare visibilmente ignorante su quello che aveva. Ma non era così, io sapevo che aveva. Ma non l'avrei curato. Ne ora ne mai. -Anse, Ector che ha di preciso?- chiese nuovamente, gli occhi azzurri glaciali e infuocati allo stesso tempo, mi passa la lingua sulle labbra prima di morderle, abbassai lo sguardo per poi rialzarlo -Sta morendo- sussurrai. Il poco colore che aveva sul volto sparii, chiuse gli occhi e una autentica espressione di dolore gli attraversò il viso -C'è un modo per...- iniziò, lo bloccai subito -No, no mi dispiace- dissi, la mia voce era incerta.

Lui riaprii gli occhi e annui, si morse le labbra, guardando me ma allo stesso tempo non guardandomi -I miei lo sanno?- chiese, scossi pian piano la testa -Voglio che abbiano ancora un po' di speranza. E poi forse, chissà, ho sbagliato diagnosi- dissi, alzando una spalla e con un sopracciglio sollevato. Sapevamo entrambi che era una bugia. Io non sbagliavo mai una diagnosi. Mai. -Anse- sussurrò, mi alzai e andai ad abbracciarlo, insieme ci sdraiammo nel letto.

Gli accarezzai le braccia nude e lo tenni stretto a me, si voltò così da poter essere naso a naso, i suoi ricci castani mi solleticavano la fronte, gli occhi azzurri erano allacciati ai miei -Soffrirà tanto?- chiese, la sua voce era rotta, scossi la testa e feci un sorriso rassicurante -No, sarà come addormentarsi- sussurrai, lui mi strinse al suo petto e ricambia, con tanta dolcezza quanta ne avevo in corpo.

-Promettimi che rimarrai con me- disse piano al mio orecchio, annui sul suo petto. Avevo gli occhi chiusi, ma riuscivo lo stesso a vedere tutto il mondo -Rimarrò con te- promisi, mi staccò da lui, gli occhi erano lucidi, si passò la lingua sulle labbra -Sempre?- chiese, annui per poi tornare ad abbracciarlo -Sempre.

  
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