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Autore: Little Firestar84    09/09/2008    1 recensioni
[Post Distretto di Polizia 8] Dopo la morte di Irene, Alessandro Berti si è chiuso in sè stesso, rinunciando ai sentimenti. ma a quasi due anni dalla scomparsa della sua amata, Elena decide che è ora che vada avanti, e, nei panni (metaforici) di Cupido, gli farà incontrare una donna che potrebbe cambiargli la vita, se lo vorrà... Spoiler per i primi episodi della nuova serie, ambientato nel futuro. [Ispettore Alessandro Berti/Nuovo].
Genere: Romantico, Triste, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: Spoiler!
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Vieni a cena da me; ti faccio conoscere i miei amici

Vieni a cena da me; ti faccio conoscere i miei amici. Vedrai che ti piacerà. Un po’ di nuove conoscenze le devi fare, e tanto vale se inizi con quelle che ti presento io, no?

Questo le aveva detto Elena quando, quel mattino, le aveva telefonato invitandola a cena nel suo nuovo appartamento. Sofia Carboni era stata tentata di dire di no, e per molti motivi. Il primo, che non vedeva l’adesso Ispettore Elena Argenti da quasi una vita, da quando, cioè, Elena aveva finito il corso di specializzazione a Quantico – corso che pure lei aveva seguito, e non solo perché si sentiva attratta dalla materia – secondo, perché a Roma, non sapeva ancora bene perché, si sentiva ancora un po’ a disagio – forse che l’aver passato tutti quegli anni tra Quantico e nEw York iniziasse a pesare? – terzo, detestava quando qualcuno si metteva a giocare a Cupido con lei, e l’impressione che il tono di voce di Elena le aveva dato – e magari pure tutti quei  discorsi che le aveva fatto, che doveva piantarla di piangere, guardare avanti, ecc ecc, le avevano fatto sorgere il sospetto – era che Elena volesse effettivamente giocare a Cupido con lei…. Mah, chissà, magari mi diverto davvero… sì, do retta ad Elena per stavolta!

     “Non è che abbia tutta ‘sta voglia di divertirmi, Elena, mi fermo giusto un attimo e poi vado…” Elena stava ancora apparecchiando la tavola quando Alessandro Berti, più semplicemente “Ale”, suonò al campanello, e quella fu la sua prima frase. L’ispettore aveva l’aria cupa che aveva assunto da quando, anni prima, aveva stretto tra le braccia il cadavere di Irene, al donna che amava, e parte della sua vita si era spenta con quella di lei. Ma, ad appena 35 anni, Alessandro stava sprecando la sua vita, e Elena lo sapeva bene, come lo sapeva tutto il X Tuscolano; da quando Irene era morta, due anni prima, Ale aveva smesso di essere la persona gioiosa che era sempre stata, aveva perso il sorriso, la voglia di vivere. Vederlo uscire era una rarità, e questo faceva già di per sé felice Elena, che, essendo stata la migliore amica di Irene, aveva preso un po’ la responsabilità di far andare avanti l’uomo, ma il vero problema non era quello. Due anni, e lui non aveva più avuto una storia. Donne,quelle sì, ne aveva avuta qualcuno, anzi, forse pure qualcuna in più, Elena sapeva che lui era stato famoso, in passato, come uno “sciupafemmine”, ma storie, quelle no, non ne aveva più avute, usciva un paio di volte con una ragazza, ci passava la notte, e basta. Nessuna poteva essere alla pari di Irene. O forse pensava che, dovunque l’ex compagna fosse, lo avrebbe criticato per le scelte? Elena, nonostante fosse esperta di psicologia, non lo aveva ancora capito. Ma sapeva che era ora che Alessandro la piantasse di piangere, e riprendesse la sua vita nelle mani, perciò, volente o nolente, quella sera sarebbe rimasto con loro, e si sarebbe divertito.

“No, senti, non se ne parla nemmeno. Tu adesso entri, mi dai la giacca, e ti vai a sedere al tuo posto senza fare grane. Non fare casini pure tu, Ale, che sono già abbastanza incazzata per colpa di quell’idiota di mio fratello, perciò, almeno tu, stattene qui buono e fai come ti dico, io. Fammi contenta almeno tu, d’accordo?”. Alessandro le porse la giacca, sbuffando e alzando gli occhi al cielo; quando Elena iniziava a parlare di suo fratello, si poteva fare ben poco, e bisognava per forza compiacerla.

“Ma, senti, a ‘sta cena ci sono solo io o c’è pure qualcun altro, giusto per sapere che cosa devo affrontare, sai. Stava facendo del leggero sarcasmo. Ok, meglio che niente, pensò la ragazza.

“No, solo che tu sei l’unico ritardatario cronico” dall’altra stanza sentì la ben familiare voce del commissario Benvenuto; entrato in sala, Ale vide che non solo lui, ma anche Anna era già arrivata.

“Di tutto il distretto, noi 4 ci stiamo. E a sentire Elena, doveva esserci tanta di quella gente….  Anna fece un gesto con la mano, per enfatizzare la frase, ridendo e scherzando.

“Come se fosse colpa mia se tutti mi danno buca. Ugo deve stare a casa perché il bambino sta mettendo i denti e ha le coliche, Ingargiaola e Vittoria sono in crociera,Parmesan e sua moglie avevano già preso un impegno. E comunque – sottolineò guardando l’orologio – sappiate che non ci siete solo voi.”

E quanti altri mancano?” le chiese Luca, non potendo contenere la risata che si stava scatenando in lui, euforico.

Elena stava per dirgli qualcosa, quando, finalmente, il campanello suonò: L’ultimo ospite era arrivato, e Luca adesso poteva pure piantarla di prenderla per i fondelli come aveva fatto fino a quel momento; e così, mentre Ale prendeva posto a Tavola, nuovamente Elena sparì, nascosta alla loro vista ma abbastanza facilmente udibile. La situazione era, tuttavia, non delle più facili: trovare un argomento di cui parlare con Ale, che non fosse lavoro, era diventato praticamente impossibile, e così i tre rimasero in un assai non confortevole  silenzio finché non udirono rumori di passi che si avvicinavano alla stanza e il fresco suono di calorose risate e di un acuto chiacchiericcio: una delle due voci era quella di Elena, ma l’altra, l’altra nessuno dei tre la conosceva.

“Ragazzi, lei è la mia amica Sofia, eravamo insieme a Quantico, lei studiava da profiler e mediatore. Non intavolate conversazione con lei, perché tanto è inutile, è una secchiona pallosa da morire e morireste di noia nel giro di un minuto.” Nella voce di Elena c’era divertimento e scherno, e questo Sofia lo sapeva bene, per questo, quando l’ex compagna si allontanò per posare il suo cappotto di velluto vede scuro, indicandolo con un veloce gesto della mano quale fosse il suo posto, la ragazza dai capelli castani e dagli occhi nocciola non se la prese per nulla. Anzi, ridere le avrebbe fatto bene, ne era certa.

“Ma la sentite? Ma se lo sappiamo tutti che più secchiona di te non c’è nessuno!”

“Perché non conoscevate ancora lei – disse Ele ritornando in sala, con, tra le mani, una terrina di coccio con delle bruschette – sì, allora, dalla vostra destra Sofia Carboni ex FBI, l’ispettore Alessandro Berti, il commissario Luca Benvenuto,l’ispettore Anna Gori.Adesso che vi siete presentati, potete anche iniziare a magiare o fare conversazione.

Ti divertirai certo, come no, si stava divertendo davvero. Quand’era stata l’ultima volta che si era sentita così a disagio? Sofia manco se lo ricordava…

     Cioè, fammi capire, sei americana al 25%, e al 75% italiana, perché tuo padre era mezzo italiano, e tua madre, invece, era romana?”

“Già.”

E difatti mi sembrava che avessi poco o nulla l’accento inglese. E come mai hai lasciato l’FBI?” era quasi l’una di notte, e Anna, Elena e Sofia erano sul balcone dell’appartamento al secondo piano, chiacchierando, quando, proprio Anna, pose la questione. Ad Elena raggelò il sangue per un attimo, sapeva che l’argomento FBI era piuttosto delicato per l’amica, perciò, quando Sofia, sorseggiando un bicchiere di vino roso, rispose con totale nonchalance, rimase piuttosto colpita.

“Avevo voglia di cambiare. O forse dovevo cambiare, manco io ne sono certa. Però era stufa del mio lavoro, e allora sono tornata qua. Ho ancora qualche parente a Roma, perciò non è che sia poi così difficile andare avanti. Saranno 4 gatti, ma è pur sempre gente che conosco…”

E hai già trovato lavoro?”

“Guarda Anna, se non trova lavoro lei, non so chi lo trova.”

Se, ma intanto sono finita a fare il consulente per la procura. Tanto valeva che me ne stessi a New York all’FBI.”

“Si, ma intanto, primo, adesso magari finiamo a lavorare insieme su qualche caso, anzi, ne sono certa, e poi non ti saresti potuta allontanare da…” Sofia la congelò con lo sguardo, anche se tuttavia fu inutile, perché quella frase, Elena, non poté in ogni caso finirla, fermata da Alessandro, che fece capolino dalla porta di vetro che dalla sala dava sul balcone.

“ Ragazze, io devo andare. ci vediamo domani mattina in ufficio, e grazie per la serata, Ele.” Come no, pensò Ele, ha passato la serata in un angolo in silenzio e mogio come un cane bastonato, e mi dice grazie. Ma adesso lo sistemo io.

Senti Ale, ti spiace dare un passaggio a Sofia? Casa sua sta di strada, e non mi va che se ne vada in giro per Roma in piena notte da sola.”

Cosa? No, davvero, non è il caso. Insomma, posso chiamarlo un taxi, e poi scusa, non è che non me la sappia cavare da sola…” Sofia stava ancora litigando con Ele, ma l’amica le aveva già messo in mano il cappotto, e stava spingendo i due giovani fuori dalla porta, porta che i due, o almeno Sofia, si ritrovarono a fissare a bocca aperta, mentre Ale sembrava più propenso a ridere. Era da tanto che non lo faceva, ma vedere la reazione dell’amica di Ele lo stava facendo davvero impazzire… ma durò poco, e anche Sofia se ne accorse: il pensiero di Ilaria lo colpì, come una stretta al cuore, e il sorriso e la risata sparirono nel nulla.

“sì, allora, l’indirizzo preciso… dov’è che stai?” e Ale non disse nulla per il resto della sera.

**********

“Io ho finito; ci vediamo domani. – uscendo dall’ufficio al commissariato, Elena fece per andare verso l’uscita, ma si fermò un attimo, sapendo fin troppo bene che aveva promesso all’amica, lì per lavoro, che l’avrebbe aspettata, e difatti, dall’ufficio denuncie, Sofia apparve, accompagnata da Valeria, poco dopo – Sofia, ti vuoi muovere o no? È già tardi…”

“Elena, quel rapporto lo hai già finito?” Ele si volse in direzione della voce – e dei passi- che aveva udito: dall’ufficio del commissario, erano usciti Luca e Alessandro, carichi di cartellette gialle: qualcuno si sarebbe fermato fino a tardi quella sera a lavorare…

“Già fatto. Guarda, dovrebbe essere sulla tua scrivania…credo che sia tra quelli che ti ha portato Ugo stasera.”

“Vorrà dire che dopo controllo pure quello, dovevo solo verificare un punto… non importa, lo farò dopo. Tu che fai, già finito? Vai a casa?”

“No, stasera sono a cena da…”

“Sofia, tutto bene?” Elena non aveva potuto finire la frase, al suo posto, a farlo, era stato Ale, che aveva visto la poco più che trentenne avvicinarsi all’amica, amica che non tardò a notare un paio di cose: la prima era che Ale stava sorridendo…

“Sì…ecco… infatti…è…è a cena da me, giusto. Sì, comunque, sto, sto bene, grazie.” La seconda era che Sofia stava quasi balbettando, e aveva problemi ad articolare le frasi, e questo, pensò mentre sul suo viso appariva un sorriso di sfida e compiacimento, poteva significare una cosa sola…

“Bene, mi fa piacere, allora ci vediamo, a presto ragazze.”

Erano passate due settimane circa dalla cena, e quel giorno, la procura aveva mandato Sofia al X Tuscolano per un caso; Elena aveva fatto una “perizia” su un tipo che avevano arrestato, e il magistrato le aveva chiesto di confermarla, tanto per scrupolo. Adesso, finiti di firmare tutta una serie di documenti e i rapporti, le due ragazze stavano uscendo dal portone dello stabile, a braccetto, come due vecchie amiche di cui una deve tirare su di morale l’altra, e stavano facendo progetti per la serata, quando ad un certo punto Elena fece un’espressione maliziosa e la guardò dritta negli occhi.

“Allora… l’altra sera, con Ale, com’è andata?”

Sofia cascava dalle nuvole. O forse fingeva di cascare dalle nuvole, chissà. “No, scusa, perché, secondo te cosa ci sarebbe da raccontare, esattamente?”

“Non so, i particolari piccanti? - Elena stava di nuovo scherzando, e Sofia lo sapeva, ma la cosa la seccava, e tanto, e non sapeva esattamente perché – eddai Sofia, guarda che ho visto gli sguardi languidi che gli lanciavi a cena. E soprattutto, ho visto che eri in imbarazzo, prima, quando vi siete incontrati in corridoio e lui ti ha salutato, eri rossa come un peperone e senza parole, beh, quasi senza parole. Tu sei sempre in imbarazzo quando ti piace un ragazzo, come se non ti conoscessi abbastanza. E poi… non so, Ale sembra diverso. Allora, me lo dici o no cosa è successo tra te e il bel tenebroso?”

Cosa vuoi che ti dica che è successo, che è salito su da me e mi ha strappato i vestiti di dosso? Ele, mi ha accompagnata a casa, gli ho chiesto se voleva un caffè, o bere qualcosa per sdebitarmi della gentilezza, ci siamo salutati, l’ho ringraziato e non ci siamo più visti fino ad oggi. Fine della storia. E tanto per la cronaca, ammesso e non concesso che io lo possa trovare attraente, e non ho detto che lo trovo attraente, è solo un’ipotesi, lui non sembrerebbe ricambiare il sentimento, perciò sarebbe comunque un capitolo chiuso, ergo tu non potresti né dovresti giocare a fare cupido.”

Vabbè, ho capito, me ne starò qui buona buona a guardare due single che passano il loro tempo a lamentarsi del fatto che sono single e non farò nulla…” Già, peccato che siate troppo carini insieme, e che vi serva decisamente una spintarella nella giusta direzione… ma state tranquilli, che a tempo debito intervengo io.

“Guarda che non mi sono mia lamentata che sono single, anzi.

Vabbè, nemmeno Ale se è per questo, ma mica potete passare il resto delle vostre vite a piangere sul passato, no? Prima o poi vi dovrete dare una svegliata… o un giorno vi accorgerete che lo avete fatto troppo tardi.”Va bene, te l’ho detto, starò buona…però domani andiamo al cinese? Dai, come quando avevamo il fine settimana libero, e da quantico prendevamo l’aereo Per New York e ci passavamo il weekend, e andavamo sempre in quel ristorante cinese… c’è ne uno qui, a due passi dal commissariato… visto? Proprio qui, dietro l’angolo…”

“sai, a volte sembra passata una vita, a volte sembra ieri che studiavamo all’accademia insieme…”

“Adesso quant’è che abbiamo fatto quel corso? Sette anni quasi? sono capitate tante di quelle cose, in sette anni…l’avresti mai detto?”

“ci sono parecchie cose che non avrei mai detto, credimi…” e così dicendo, le due amiche scoppiarono a ridere.

*******

La sera successiva, Sofia era al ristorante, ed aspettava Elena. Si erano date appuntamento lì, e la poliziotta era in ritardo, in clamoroso ritardo. Tipico di Elena, ma soprattutto tipico di un poliziotto. Sofia aveva fatto un lavoro simile lei stessa, per parecchio, perciò, nonostante tutto, riusciva a mantenere un briciolo di pazienza; pazienza che si sbriciolò quando la vide. Elena stava entrando nel ristorante, ma non era sola: la seguivano due uomini. Uno non lo conosceva, ma l’altro sapeva benissimo chi era. Quale parte di “non sono interessata al tuo collega e lui non lo è a me” non avrà capito, esattamente? Cos’è, ho perso la capacità di parlare italiano?

“Scusa il ritardo, dovevo finire un rapporto, e poi è arrivato un amico mio e di Ale, e abbiamo pensato di usc… - si corresse immediatamente – di cenare tutti insieme, spero non ti spiaccia.”

Ciao” sbiascicò Alessandro guardandola poco o per nulla, posando la giacca sulla sedia accanto a quella di lei.

“Ispettore Raffaele Marchetti, piacere, lavoravo con Alessandro e Elena. Tu sei l’americana, vero?” l’uomo, sui 45, le strinse la mano, sedendosi davanti a lei, tra Elena e Ale, che stava già leggendo il menù, senza pensare ad altro.

“Sofia Carboni, piacere. Ma sai che Elena mi ha raccontato un sacco di storie su di te? Dice che sei il prozac fatto persona!”

“Addirittura un antidepressivo, adesso! No, scherzi a parte, mi piace tener su la gente… ma sai che hai proprio un bell’accento? Non sembri americana! Stai qui da tanto?”

“Sta qui da un mesetto, Raffaè, ed i suoi erano italiani, quindi ha l’accento italiano. Ora, vogliamo ordinare o abbiamo intenzione di starcene qua fino a domani?”

Ale è rimasto seccato dal fatto che Raffaele stesse flirtando con lei… beh, è un buon segno. Magari l’attrazione è reciproca…

“Grazie per avermi fatto risparmiare fiato, ma saprei parlare anch’io, quindi, se una persona mi fa una domanda, gradirei rispondere personalmente…”

Oh oh, non è esattamente come immaginavo che le cose sarebbero andate….

“Allora, tesoro, la prossima volta, datti una mossa, che non abbiamo tutti tempo da perdere, vuoi?”

“Scusa, come mi hai chiamato?”

Ahi. Ancora peggio.mi sa che forse avevo torto su ‘sti due…e pensare che ieri sembrava una tale buona idea, ed ero pure riuscita a convincere Raffaele a darmi una mano, all’ultimo minuto… “Oh, guardate, un cameriere. Allora, ordiniamo?”

 ***************

“Ma si può sapere che cazzo credevi di fare? Sai che per merito tuo e delle tue idiozie adesso il bastardo è fuori, libero di fare quello che vuole, libero di fare ancora male? Allora, te ne rendi conto oppure no? Giusto per sapere quanto sei cretina!” gli ultimi mesi erano stai parecchio duri, per Elena, se non dal punto di vista lavorativo, almeno da quello delle amicizie. Dalla sera della cena al cinese, le cose non erano andate esattamente bene… e con “cose non andate bene”, Ele intendeva le cose tra Ale e Sofia. Si era convinta che tra loro potesse esserci alchimia, che potesse nascere qualcosa, non importava cosa, ma bastava che fosse qualcosa, anche solo sesso, ma, evidentemente, si era sbagliata. Quasi tre mesi, ed il 90% delle volte in cui si incontravano, fosse al distretto o fosse fuori, litigavano, o rimanevano in silenzio, o erano acidi. Certo, c’era ancora quel 10% di volte in cui si comportavano da persone mature e civili,e sembrava quasi che flirtassero, quelle volte, ma poteva bastare? Certo, bisogna dire che secondo alcune correnti di pensiero, questo potrebbe essere anche solo il modo in cui ognuno di loro tenta di attirare l’attenzione dell’altro, ma non è detto… come adesso. Adesso stavano litigando come due pazzi furiosi, perché Sofia aveva stillato un profilo criminale che non coincideva con quello dell’arrestato, e così, l’avvocato del presunto colpevole aveva avuto un’arma in più a suo vantaggio per convincere le autorità a rilasciare il suo cliente.  Perfino Luca non sapeva più che pesci pigliare, con loro due che si insultavano a vicenda urlando come se ci fossero venti forza sette; l’unico risultato che aveva ottenuto era che si era messo ad urlare pure lui, sotto gli occhi increduli del resto degli uomini del X Tuscolano.

E adesso sarebbe colpa mia? Voi siete venuti da me a chiedermi una conferma, non è colpa mia se il profilo non coincide!”

“Magari se la qui presente miss perfezione si fosse preso il disturbo di fare un po’ meglio il suo lavoro…”

Stava oltrepassando il limite, e questo a Sofia non piaceva; si avvicinò all’uomo, puntandogli un dito in direzione del viso, furiosa come mai prima di allora.

“Vuoi dirmi che sono una stronza, e che faccio delle cazzate? Va bene, dimmelo pure, non me ne frega un accidenti! Ma non ti permettere di dirmi che non si fare il mio lavoro, o che non mi impegno abbastanza!  Se sei un frustrato represso che è arrabbiato con il mondo perché la vita è stata ingiusta, io non ne posso niente, perciò fammi il favore di andare a cercare qualcun altro con cui prendertela!”

“Non permetterti tu mai più – fece une breve pausa, mimando le azioni che aveva fatto prima la donna – non ti permettere mai più di sparare giudizi su di me, o di comportatati come se mi conoscessi o mi capissi. Tu non ne sai niente, capito? Cosa ne sa il perfetto ex agente FBI, il negoziatore e “profiler”, cosa ne sa lei di cosa significa perdere chi si ama, stringere tra le braccia il cadavere della persona al cui fianco si vuole passare la vita? Allora, me lo dici che ne sai? Tu non ne sai niente, ecco che ne sai!”

Ci fu attimo di interminabile silenzio, poi Alessandro le vide. Vide le lacrime che rigavano il suo viso, i solchi del mascara che si stava sciogliendo, i denti stretti, stretti come i pugni. Le bastò guardarla per capire che stava trattenendo a forza i singhiozzi: aveva passato il limite. Stava per scusarsi, o per dire semplicemente qualcos’altro, quando lo sentì: non sapeva bene cosa fosse giunto prima, se il suono o il bruciore, nel punto in cui lei gli aveva dato uno schiaffo, subito prima di voltarsi e afferrare la giacca di pelle di renna e la borsa, per fondarsi, senza altro aggiungere, senza più voltarsi, verso l’uscita.

Gesù, Ale, ma tenere la bocca chiusa, tu proprio non puoi farlo, vero? Più che sparare cazzate, tu non fai…”

“Sì, va bene Elena, lo ammetto, avrò pure esagerato, ma lei pure, cosa sta a dire come se…”

“è venuta qua quando è morto il marito”

“No, scusa, cos’è che hai detto?”

T’ho detto che, anche se tu l’accusi di non capire un accidenti di niente, lei ti capisce, eccome, perché mio intelligentone, come ho già detto, lei è vedova – scandì maggiormente le ultime tre parole, di fronte ad Ale – un po’ meno di due anni fa, il marito, un federale, è morto in un conflitto a fuoco. Lei è andata avanti per un po’, poi però non ce la faceva più, e così ha deciso di cambiare aria. Ma lo sai quanto tempo ci avevamo messa per farla sorridere di nuovo? Adesso, merito tuo, sta di nuovo male.”

“Senti Ele, mi spiace, ma mi spieghi come potevo sapere che….

“Vedi? È questo il problema! – tuonò, bloccandolo – tu credi di essere l’unico a stare male, ti comporti come se il resto del mondo dovesse sentirsi in colpa verso di te perché credi che tutti gli altri stiano bene! Ma porca miseria ale, quand’è che crescerai? Che la smetterai di essere stronzo con tutti, come se le tue disgrazie fossero causa nostra?”

Nemmeno Ale sapeva chi dei due stava andando oltre, sapeva solo che voleva ribattere, e quando uscì dal commissariato, non lo aveva fatto.

     “Sofia, lo so che sei qui, aprimi.” Molte ore, e anche almeno un paio di bionde medie dopo, Ale stava citofonando a Sofia, nel suo appartamento. Aveva esagerato, lo sapeva, e voleva scusarsi, non tanto di quello che aveva detto, perché in nessun modo lui poteva sapere del suo passato, ma per come lo aveva detto: stava arrivando l’anniversario della morte d’Irene, e questo lo rendeva più che mai furioso verso il mondo intero, e lui se l’era presa con la prima venuta. Comodo, considerato soprattutto che lei era anche l’ultima venuta. Si era già voltato, e se ne stava andando, quando udì il rumore elettrico di una serratura che stava scattando; si voltò, e non si lasciò ripetere l’invito due volte: in men che non si dica, era davanti alla porta già aperta del di lei appartamento; entrò, chiudendo il pesante battente alle proprie spalle, e vide che Sofia era sul divano, rammigolata, piangente, con una vecchia maglietta delle maniche corte dell’FBI,  di almeno 5 o 6 taglie in più e paio di pantaloncino sgualciti. La raggiunse, e si sedette vicino a lei, cingendole le spalle con le braccia, lasciando che lei si gettasse sul suo petto, che le di lei lacrime finissero sulla sua camicia azzurra, che i di lei pugni chiusi picchiassero delicatamente contro le sue spalle. E permise che le sue stesse labbra si posassero sulla fronte della donna, mentre i suoi sensi si perdevano, inebriati dal profumo di fiori che sentiva annusandole i capelli. E mentre posava il mento sulla fronte di lei, che stava nascondendo il volto ancora solcato dalle lacrime sotto il collo dell’uomo, mentre le sussurrava dolci parole, cercando di tranquillizzarla,  mentre le sue labbra abbandonavano la fronte, per dedicarsi, sempre più insistenti, al suo collo prima e alle sue labbra poi, mentre le sue mani lasciavano le spalle della giovane per esplorare – anzi, assaporare attraverso il tatto, sì, sapeva che era questo che stava facendo, la stava assaporando – la morbida pelle nuda sotto la maglietta, sempre più bramose, desiderose di qualcosa di più che un semplice pezzo di pelle, sapeva che forse stava per commetter un errore, lo sapevano tutti e due, ma non gli importava più di tanto.

******

Ad un certo punto della notte, erano migrati dal salotto alla camera da letto dell’appartamento di Sofia, dove al momento, quasi le 4 di mattina, si trovavano ancora. Sdraiata sul fianco destro, ancora senza vestiti, Sofia guardava Alessandro, e tentava di capire cosa esattamente avesse portato agli avvenimenti della nottata precedente- e delle prime ore del nuovo giorno che aveva seguito, per quel che poteva contare. Perché aveva passato la notte con lei, esattamente? Senso di colpa, solitudine? O era effettivamente attratto da lei, e Elena, quando le diceva che quello era il suo modo di attirare l’attenzione, aveva ragione? Che lui fosse attratto da lei come lei lo era da lui? No, non poteva essere così. Aveva visto le donne a cui normalmente Alessandro si accompagnava – loro erano la Venere di Botticelli, e lei la brutta copia della più brutta imitazione del più brutto quadro immaginabile. Non c’era paragone, non c’era speranza di vittoria per lei. Ma lei, la vittoria, la voleva, o la notte passata con lui l’aveva soddisfatta pienamente, togliendole ogni capriccio? No, ammise dentro di sé, sorridendo timidamente mentre lo guardava dormire nudo, coperto dallo stesso lenzuolo che la copriva, alla sua destra, un braccio disteso lungo un fianco e l’altro piegato dietro alla testa, lui non era un capriccio. Non lo era stato, fin dal principio. E allora perché si sentiva come se fosse tutto sbagliato, mentre lo osservava dormire, sorridente? All’improvviso, anche lui si mise su un fianco, ma ancora addormentato, ed il sorriso sparì, mentre iniziò a parlare nel sonno. Sofia non capì nulla, se non la prima parola, quella che le aveva fatto cadere il mondo addosso: “Irene….

Stringendo i denti come aveva fatto la sera prima, si coricò nuovamente, ma stavolta dandogli la schiena, impedendo all’uomo di vedere che era ancora sveglia. Non sapeva cosa stesse accadendo nella mente di Alessandro, e francamente, non le importava più, sapeva solo una cosa: che lui aveva fatto sesso con lei, che il suo corpo era con lei, ma non il suo spirito. Come poteva sperare di competere con il suo defunto grande amore, con qualcuno che lui aveva idealizzato a tal punto? Non poteva, ecco la risposta. Aveva perso la partita in partenza, senza averla nemmeno giocata. Anzi, proprio non avrebbe dovuto giocarla. Lui non era stato un capriccio, ma lei? Cos’era stata lei per lui?

     Poco dopo, si svegliò anche lui. Coricato su di un fianco, i suoi occhi erano diretti verso la schiena nuda di Sofia. La osservò, in silenzio, per interminabili minuti, minuti che parevano ore, poi decise. Si alzò, in cerca dei suoi abiti, e se ne andò, senza aver detto o aggiunto altro, senza sapere che qualcosa lo aveva effettivamente fatto.

******

“Sofia come sta? È da un po’ che non la sento” Era in auto con Ele, a controllare un casolare abbandonato. Erano passati due mesi da quella notte, e lui non riusciva a togliersela di mente, anche perché Sofia era divenuta sfuggente; lui aveva tentato di parlarle, di spiegarle perché si fosse comportato così, ma era stato tutto inutile: lei non voleva fargli spiegare. Le prime settimane, tutto sommato, era stato tutto abbastanza normale. Si erano ancora incontrati, sia per lavoro che tramite Elena,anche se ora la compagnia era sempre più numerosa, ma lei lo aveva sempre evitato, come pure aveva evitato di guardarlo. Che si vergognasse di aver passato un a notte con lui, di essersi concessa così facilmente, senza troppi preamboli? O si vergognava di essersi concessa ad un uomo che non aveva avuto nemmeno il coraggio di affrontarla al mattino seguente, sgattaiolando fuori casa alle 4 di notte? E adesso faceva che non farsi vedere, e basta

“Mi ha detto che doveva tornare a New York per una certa faccenda, non è stata molto chiara, mi ha telefonato dall’aeroporto, m’ha detto che era una cosa urgente, piuttosto seria. Manco sa se e quando torna… doveva essere piuttosto grave perché sembrava così strana al telefono… la cosa strana è che mi ha detto che mi avrebbe telefonato, ma non si è fatta più sentire…”

Se e quando? Cosa significa se e quando? Esattamente, quanto era stato stupido?

*******

I close both eyes below the windows, I close both blinds and turn away. Sometimes goodbye’s the only reason, sometimes goodbye’s the only way…. And the sun will set for you, the sun will set for you. And the shadow of the day will embrace the world in grey, and the sun will set for you…

e così alla nostra Ele piacciono i Linkin Park. Ma sai che non lo avrei mai detto? Ero convinto che ti piacesse Beethoven e che avessi, non so, la nona sinfonia come suoneria, non una canzone dei Linkin Park… ” Elena e Ale erano di pattuglia insieme, cosa accadeva il 90% delle volte, e stavano tornando al commissariato, dopo aver accompagnato a casa una donna che era stata rapita e ritrovata. Elena  era piuttosto stanca e scocciata, suo fratello, anche se ancora in carcere, ultimamente le aveva dato altri problemi, e le sfrecciatine di Alessandro non erano esattamente quello di cui aveva bisogno…

“Tu pensa a guidare, intanto, e non distrarti pensando alla musica che ascolto. La mio telefono ci penso già io – fece una breve pausa, mentre prelevava dalla tasca interna della giacca nera un piccolo cellulare nokia, minuscolo, constatando che non veniva visualizzato l’identificativo del chiamante, ma solo un numero – Ispettore Elena Argenti, con chi parlo?... sì, sono io….. sì, infatti… cosa…. Ma sta scherzando, vero? Dove…? Sì, mi scusi, me lo ha già detto, può solo…. Sì, la ringrazio, arrivo subito.”

Mentre riponeva il cellulare, Elena si fece pallida, e iniziò a singhiozzare. Come se il suo tono non avesse già spaventato abbastanza Alessandro…

“Elena… che cavolo hai? Marco ha combinato qualche altra stronzata? Sta male? Ele, dai, rispondimi… che hai?” Mentre le  parlava, e tentava di guardare la a allo stesso tempo, cercando di evitare di andare a finire in qualche fosso o campo,  la voce della ragazza era divenuta un singhiozzo incontrollabile, il suo pianto, quasi isterico. Il viso appoggiata tra le mani, tentò di ricomporsi, se non altro per dire ciò che doveva all’uomo.

“devo andare al Gemelli, subito.”

Al Gemelli? Marco…”

“Marco sta in galera e sta pure bene, Ale! Non è lui che sta male, dannazione, Ale, mi ci vuoi accompagnare sì o no?” interrotte dal pianto, le parole della donna erano divenute un urlo straziante, ricolmo di dolore e di incertezza, un urlo di preoccupazione, ma, forse, anche di delusione.

     “Chi diavolo ci sta al Gemelli, Elena, me lo vuoi dire?” Erano finalmente arrivati in ospedale, e Alessandro stava seguendo Elena su per le scale, cercando di starle dietro, senza sapere dove stesse andando. Si sentiva a disagio, odiava gli ospedali, da dopo la morte di Irene, e soprattutto odiava essere tagliato fuori. L’aveva quasi raggiunta, quando la vide avvicinarsi ad un medico, alto e moro, che le indicò una stanza, circondata da due pareti di vetro, e ad esso la accompagnò, parlandole dolcemente, mettendole una mano su una spalla, come a rassicurarla di qualcosa, però, non per consolarla: lo poteva cogliere dal suo sguardo, dal suo fare.

“Elena, si può sapere che sta succe…. - E si bloccò, guardando la stessa scena che il medico ed Elena, che stava ancora singhiozzando, ma un po’ meno, stavano osservando: al centro della stanza, collegata a diversi macchinari, a delle flebo, ad una busta di sangue, c’era una donna. C’era Sofia, incosciente, ancora viva. Ma per quanto? – che diavolo…”

“il mio collega, l’ispettore Alessandro Berti lui e Sofia erano…  sono amici. Senta dottore, per favore, dato che io ero nella lista delle persone da avvertire, mi vuole dire che è successo?”

“Senta, se vuole che me ne vada, io posso benissimo tornare dopo e…”

“La signorina Carboni aveva già avuto un principio di aborto spontaneo, e il suo medico l’aveva avvertita di stare tranquilla,ma a quanto apre, non è bastato… alcuni giorni fa, ha avuto un altro principio, ma stavolta per fermarlo, e salvare la vita  a lei e alla bambina abbiamo dovuto effettuare un cesareo d’emergenza. Il suo corpo era però già debilitato dallo stress e dalle minacce d’aborto, e dopo l’emorragia che si è venuta a creare, abbiamo dovuto indurre il coma farmacologico, che tuttavia riteniamo di poter sospendere in pochi giorni…”

Partorito? Sofia era incinta, e non mi ha detto nulla? Ma è la mia migliore amica! Che cosa le è venuto in mente? Perché diavolo mi ha mentito?

“Sette mesi? Sofia… la signorina Carboni era incinta di sette mesi quando è nata la bambina?”

“Sì ispettore Berti, proprio così,ora, se volete seguirmi, vi accompagno dalla piccola Lisa Carboni…immagino vogliate vederla. È anche lei a questo piano. – l’uomo fece loro strada fino ad una stanza, e li fece cambiare prima di entrarvi. All’interno, diverse incubatrici facevano bella mostra di sé, e dei loro già vitali ospiti. - sta bene,a che se è ancora piccola, ma è molto forte. Si riprendere in un battibaleno, e comunque sette mesi sono più che adeguati, la speranza di vita è già tra le più alte… e lei ha già superato la fase critica, anche perché era già abbastanza in avanti con lo sviluppo, e non eccessivamente sottopeso. Al massimo un paio di settimane e sarà fuori di qui, ora, se mi volete scusare, devo proprio andare.

Possiamo… possiamo… non so, accarezzarla? Questo genere di cose?” Ale si voltò verso un’infermiera, che stava accudendo altri bambini, che gli si avvicinò, e mostrò loro come fare. Elena continuava a sorriderle e dirle di fare ciao a zia, mentre Ale, era sul punto di piangere, mentre le teneva le manine minuscole e le accarezzava i piedini, il pancino e tutto il minuscolo corpo.

“Elena, Sofia… lei non… non andrebbe mai a letto con un uomo mentre sta con un altro, vero?” le chiese, un po’ titubante, ma già certo della riposta.

“Sofia? Sofia è la correttezza fatta persona! Oddio, mi ha mentito sul trasloco, però, in linea di massima…”

“né dormirebbe con un uomo mentre è incinta di un altro…”

“In linea di principio, no, ma non è mai rimasta incinta prima, quindi non potrei giurare…”

“e a meno che lui non fosse uno stronzo abissale, del tipo che al mattino se ne va prima che lei si svegli per evitare di parlare  e poi la evita, lei glie lo direbbe che sta per avere un figlio da lui, vero?”

Se lui è il tipo di stronzo che hai descritto, manco morta glielo direbbe, considerato i precedenti, avrebbe troppa paura che il bambino rimanesse ferito. Quando i suoi hanno divorziato e suo padre se n’è lavato le mani, lei è andata a Quantico, dove faceva l’istruttore, per avere la sua attenzione…”

Che stronzo…”

     Il giorno dopo, Ale era al distretto, ma la sua mentre era altrove, in quel letto d’ospedale, in quella culla. Ci aveva pensato e ripensato. Aveva fatto tutti i calcoli, più e più volte. E la soluzione era una e una solamente… e non riusciva a reggere il pensiero da solo. Doveva dirlo a qualcuno. E chi meglio del suo migliore amico, Luca? “Anna, ti spiace se ti rubo il capo un attimo? Gli dovrei parlare un attimo da solo.” Gli disse, avvicinandosi alla guardiola di Ugo dove i due stavano controllando alcuni dati appena forniti da Palmesan.

“Tanto io lode sopportare 24 ore su 24, se te lo becchi un po’ tu, non mi dispiace affetto, anzi…” e così dicendo, allo stesso tempo, i due uomini andarono in direzione dell’ufficio del commissario, e Anna in quella opposta.

“Elena t’ha detto di Sofia?” esordì immediatamente senza mezzi termini Alessandro, prima ancora che uno dei due potesse sedersi.

“me l’ha detto sì, lo sa tutto il distretto. Ma mi dici come si fa a mollare una bambina? Elena è furiosa, se le dovesse capitare il bastardo sotto mano…”

“Sono io il bastardo, Luca; Cristina è mia figlia. Almeno credo. Spero. ”

Cioè, scusa, che vuol dire, credi, e speri? Non ne sei certo? E perché Cristina?”

“Cristina Berti suona molto bene, non credi?”

“Ale, per favore, che cavolo hai combinato? Me lo vuoi spiegare una volta per tutte?“

“Sette mesi fa circa, sono stato così stronzo e bastardo da andarmene vie nel cuore della notte, senza svegliarla, dalla casa di Sofia, dopo che avevamo fatto l’amore. Ed ecco che , dopo aver tagliato fuori dalla vita tutti quelli che conoscono non solo lei, ma pure me, sette mesi dopo lei dà alla luce una bambina. Ora, non so tu, però io un po’ di sospetti li avrei.

E se è davvero tua, che conti di fare?”

“Ciò che devo. Non mollerò mia figlia in mezzo ad una strada, Luca, né lo farò a Sofia.

******

 Una settimana dopo, Sofia era fuori dal coma. Per essere più precisi, lo era già da almeno un paio di giorni, ma le ci era voluto un po’ di tempo per riabituarsi a muoversi, e soprattutto ci era voluto un po’ di tempo affinché Ale la potesse finalmente beccare senza Elena. Dovevano parlare, e dovevano farlo da soli.

“Dì, bell’addormentata, ti ricordi ancora di me?”  si staccò dallo stipite della porta a cui era appoggiato, e si diresse verso il letto, su cui lei era seduta, ponendole un mazzo di fiori – bianchi, Elena aveva detto che erano i suoi preferiti – e un bacio sulla fronte, subito prima di sedersi accanto a lei, e cingere con le sue braccia le spalle dell’ancora convalescente, che, come la prima volta, pianse sulla sua camicia, a denti stretti. Ma, stavolta, silenziosamente.

“Non voglio perdere tempo in chiacchiere inutili, né in spiegazioni. Non me ne importa niente, Sofia. Voglio solo sapere, è mia?” le sue lacrime, i suoi singhiozzi,il suo silenzio gli dettero la risposta che voleva.

“E’ stato un errore, Alessandro. Quella notte… lo sai pure tu. Anzi, sei stato tu a farmelo capire. Sei stato – gli disse allentandosi da lui, ed evitando il suo sguardo – molto chiaro al riguardo.

“So che non avrei dovuto andarmene, ma quando ti ho vista lì, addormentata vicino a me, non ho potuto fare a meno di pensare al passato. Mi sono – fece una breve pausa, deglutendo – mi sono spaventato, Sofia. Ho capito che non eri come le altre, che volevo qualcosa di più, e ho avuto pura di perderti, come avevo perso Irene, sapevo che se ti fosse successo qualcosa sarei impazzito…”

“L’hai chiamata nel sonno, Ale. Avevi appena fatto l’amore con me, e l’hai chiamata nel sonno. E poi te ne sei andato. Hai idea di come mi sono sentita? Mi sono sentita la cretina che si lascia portare a letto dal primo tizio dal bel faccino che le fa un po’ di moine!”

“Non dico che non me lo sono meritato, anzi. Ma ora che so che ho una figlia, ora che ho una figlia, è tutto diverso, capisci? Non si tratta di noi, si tratta di lei. Dammi la possibilità di farle da padre, ti prego. Ti dimostrerò che ne vale la pena.”

         Quando, dieci giorni dopo, uscì dall’ospedale insieme alla bambina( a cui i medici, dietro consiglio di Elena, che aveva parlato con Ale, Luca e Anna, avevano effettivamente dato il nome Cristina, anche se il sui cognome era ancora quella madre), Sofia non trovò Elena ad aspettarla, come sperava, ma Ale. La cosa non la stupì, però, più di tanto: dalla nascita di Cristina, era sempre stato molto presente, e si prendeva cura di entrambe. Sofia sapeva che voleva essere perdonato, ma non sapeva se lei era pronta a farlo.

“Casa mia è dalla parte opposta…” gli disse quando girarono ad un incrocio.

“Stiamo andando in un altro posto, prima. C’è una cosa che voglio farti vedere, prima. - Dieci minuti dopo, stavano parcheggiando sotto un condominio, attraverso cui lui le fece strada, fino ad un appartamento, in cui fece accomodare tutti quanti – benvenute a casa mia. Allora, alla mia Cristina piace la casa di papà?”

“Ale, senti, apprezzo, ma non possiamo, qui non hai nulla per…” entrando nella stanza in cui lui, poco prima, era entrato con la piccola in  braccio, Sofia rimase a bocca aperta, senza parole: Ale aveva preparato una stanza per la bambina, e non mancava nulla!

“Nella camera da letto ci sono le tue cose, almeno, una parte di esse. Fino a che starai qui, quella stanza è il tuo regno, e il mio… è il divano.

“Ale, io non posso…”

“Non accetto un no come risposta, davvero. Voi due starete qui, con me, almeno per ora. E speriamo che tu decida di voler stare qui con me per sempre, poi.

******
Erano passati diversi mesi, dall’inizio della convivenza “forzata” a tre tra Ale, Sofia e Cristina, e per mesi Sofia era stata testimone di che tipo d’uomo il ragazzo fosse. Aveva creduto che fosse un verme, un approfittatore, un poco di buono, ma aveva capito che era solo un uomo che non riusciva ad andare avanti con la sua vita perché aveva sofferto troppo. Come me. Ci saremo incontrati per questo? Per far smettere di far soffrire l’altro? Si chiedeva mentre, nel cuore della notte, si era alzata, e stava osservando Ale nella stanza di Cristina, intento cambiarla e darle il biberon. Era davvero dolcissimo, non aveva mai visto niente del genere, le faceva sobbalzare il cuore. Anzi, un sobbalzo così lo aveva già avuto: la notte che si era svegliata con a fianco Ale, dopo la nottata di passione, e quando, alzatasi dal letto, lo trovava a dormire sul divano, e se ne stava lì, a guardarlo, senza dire una parola. E sapeva che anche lui faceva lo stesso, e aveva capito benissimo il motivo: provavano entrambi la stessa cosa, si erano ritrovati a vivere come una famiglia, ridendo, scherzando, condividendo ogni cosa, dai piccoli gesti (come lei che lo aiutava a farsi il nodo alla cravatta, quando la doveva mettere, il sapere cosa piacesse e cosa no a ciascuno dei due) alle grandi difficoltà. E attraverso questo processo, e grazie a Cristina, si erano scoperti innamorati. Forse di nuovo, o, forse, chissà, per la prima volta. Sofia lo guardò per un bel po’, cullare la piccola sul dondolo, e poi, una volta che l’aveva messa nel lettino, stette lì, aspettando che lui si avvicinasse, e quando lo fece, le sorrise, col più dolce dei sorrisi che avesse mai riservato ad una donna.

“Ehi, torna a letto, qui ci penso io, ok? Tutto a posto?” e le diede un bacio sulla fronte, come faceva spesso ormai, e, cingendole le spalle con un braccio, la accompagnò in camera da letto.

“Vado a letto solo se ci vieni anche tu, Ale.

“Nessun problema, torno subito al divano” ma lei lo fermò, afferrandolo per un braccio.

“Ho detto letto, Ale, non “divano”.  lesse incertezza nei suoi occhi, la stessa che, lo sapeva, aveva pure lei – Ale, tutta questa storia, non ha senso. O facciamo le cose per bene, o non le facciamo. – silenzio - Ale, so cosa pensi. Ma più rapidi di cosi? Abbiamo pure già una figlia! Cos’abbiamo da perdere?”

“tutto?”

“Io voglio rischiare. Sono disposta anche a bruciarmi, ma voglio provarci, a stare con te. Viviamo come una coppia sposata da anni, miseria, tanto vale provarci per davvero, a stare insieme, no?”

Ale non le rispose, si limitò a sorriderle, e, avvicinandosi, la baciò sulle labbra, ripentendo quei gesti che oltre un anno prima avevano portato al concepimento della loro bambina; ma stavolta, nessuno dei due pianse, lui pensava ad un’altra donna, viva o morta che fosse: stavolta erano insieme, nello stesso luogo e nello stesso momento, come pure lo furono ore dopo, quando, nel cuore della notte, Sofia si svegliò, e si ritrovò che Alessandro non le stava accanto, ma la stava abbracciando nel sonno, mento sopra la sua fronte, mentre lei pure lo abbracciava, con il viso appoggiata nel suo petto; ciò che la stupì di più fu però constatare che lui non stava dormendo, era sveglio, e la stava guardando, e inalava a profondi respiri il suo profumo.

“Domani dobbiamo andare in comune. Cristina porta ancora il mio cognome. Sei suo padre, le vuoi bene, la vuoi riconoscere. È giusto che porti il tuo cognome, anche se non siamo sposati.

“Non ancora, almeno. Ma magari presto diventerai la signora Berti… e poi chissà, l’ultima volta che abbiamo fatto una cosa del genere, è nata Cristina. Adesso potrebbe essere il momento buono per darle un fratellino… e non credo che sposarti col pancione sia un problema, no?”

“tu che ne sai che stanotte sono rimasta incinta, scusa? E poi cosa sarebbe, questa, una proposta?” Sorridendole, la baciò nuovamente, e Sofia in quel bacio lesse tutto quello di cui aveva bisogno, tutte le risposte che cercava. Sì, era una proposta, sì, desiderava darle nuovamente un figlio al più presto, e condividere con lei tutti i momenti clou della gravidanza, e sì, lei lo avrebbe sposato. La sofferenza era un rischio calcolato, certo, ma non obbligatorio. E sapevano entrambi che era un rischio che valeva la pena di correre.                   

  

  

   
 
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