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Autore: Yoan Seiyryu    02/08/2014    2 recensioni
[Elsa/Jefferson]
Elsa vive ad Arendelle, nel suo Palazzo di Ghiaccio. Jefferson, al soldo di Tremotino, deve condurla nella Foresta Incantata affinché il Signore Oscuro possa servirsi dei suoi poteri. Qualcosa però farà cambiare idea a Jefferson, non più propenso a portare a termine il suo lavoro.
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Menzogne. Le aveva raccontato solo menzogne. Nonostante ora non fosse altro che un liquido azzurro all’interno di un vaso dorato, Elsa riusciva ancora a percepire le sensazioni e soprattutto le emozioni. Era adirata, ma quella gabbia costruita appositamente per lei non le permetteva di sfoderare i suoi poteri.
Genere: Angst, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elsa, Jefferson/Cappellaio Matto
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Grazie a Marti, Pikky, Lilyachi, Ally, Bumbunì e Mania. 



 

Run Away With Me 

 

 







 


Ti porterò via, in un luogo dove ti accetteranno per ciò che sei.

Menzogne. Le aveva raccontato solo menzogne. Nonostante ora non fosse altro che un liquido azzurro all’interno di un vaso dorato, Elsa riusciva ancora a percepire le sensazioni e soprattutto le emozioni. Era adirata, ma quella gabbia costruita appositamente per lei non le permetteva di sfoderare i suoi poteri. Il suo corpo non esisteva più e la forma assunta si adagiava perfettamente tra quelle pareti fredde, gelide come il ghiaccio. La sostanza però era rimasta intatta e la sua coscienza viva più che mai. Un giorno si sarebbe presa la sua vendetta. Un giorno Jefferson l’avrebbe pagata per ciò che le aveva fatto.


 
*




Non temeva la solitudine, lì in quell’alto Palazzo di Ghiaccio, costruito come rifugio di un ego spossato e dilaniato da un mondo che non accettava la diversità. Si era costruita la sua corte tra pupazzi di neve e statue di ghiaccio, ma non sentiva la mancanza di nessuno. Nemmeno di Anna, perché  per una volta aveva messo da parte gli altri per scegliere se stessa. Temeva soltanto che il ghiaccio le raggiungesse il cuore, eliminando ogni sentimento e lasciandola priva di emozioni. Invece, giorno dopo giorno, un groviglio di pensieri si affollavano nella sua mente, alla ricerca di risposte che non riusciva a darsi.
Per ora quella vita le andava bene, chiusa nel suo Palazzo bianco, lontana da chi l’aveva messa al bando. Ma poi? Poi non avrebbe desiderato di vedere il mondo?
I pupazzi di neve potevano essere un diversivo, ma l’umanità era una questione del tutto diversa. Probabilmente nessuno avrebbe accettato quella natura così inspiegabilmente strana e il suo futuro sarebbe stato quello di soccombere alla marea del tempo, lasciandosi consumare dalla solitudine e dal ghiaccio. Almeno finché qualcuno, impaurito, non avesse deciso di creare una spedizione contro di lei e togliere di torno il problema.
- Mi auguro che non sia questa la sala di accoglienza per gli ospiti giunti da lontano. Oserei dire che si tratti di un luogo decisamente... freddo – una voce scura, rauca, si introdusse nelle sue orecchie che la riportò immediatamente alla realtà.
Elsa si voltò dalla terrazza da cui osservava l’orizzonte e sospinse lo sguardo all’interno, dove vi trovò un uomo rivestito da un soprabito nero, un panciotto rosso e teneva tra le mani un cappello di dubbia eleganza.
- Chi siete? Come avete fatto a varcare la soglia? – furono le prime domande a sorgerle spontanee e le pronunciò non appena lo raggiunse.
Gli occhi azzurri si soffermarono a lungo in quelli di lui, ma fu difficile sostenerli. Per un attimo provò la sensazione di perdersi in un labirinto, un vortice oscuro.
- Non è proprio ciò che mi aspettavo dalla Regina di Arendelle, insomma, questo non è un luogo adatto per i ricevimenti. Così rischierete di far perire chiunque per assideramento e a mio avviso, non vi tornerebbe proprio a favore – commentò con tutta calma, prendendo a guardarsi intorno senza tralasciare di mostrare una smorfia sulle labbra.
Elsa non riusciva a capacitarsi di quanto stesse accadendo. Uno sconosciuto era piombato nel suo Palazzo senza sapere come e pretendeva persino di darle consigli sull’arredamento di quello che era il suo rifugio, la sua salvezza. In più non rispondeva alle sue domande ma anzi fingeva di non averle udite.
Si schiarì la voce e provò a ripeterle: - Chi siete e come avete fatto a varcare la soglia – ora assumevano il tono di un’affermazione contrariata.
- Siete a dir poco prepotente – l’uomo la raggiunse compiendo pochi passi, faceva girare il cappello sulla mano destra ma non smetteva di guardarla con un’aria di derisione – non vi hanno insegnato che se la persona in questione non risponde una prima volta alle vostre domande, è perché non vuole rispondere? Porle una seconda volta è maleducazione. Ma, purtroppo, dimenticavo che scorre sangue reale nelle vene. I nobili sono tutti così poco sensibili – concluse con un gran sospiro insieme ad una torsione leggera del capo diretta ad osservare dietro di lei, verso l’ampia terrazza di ghiaccio.
Elsa sentì il respiro affannarsi per un momento ma poi riprese il controllo su di sé e socchiuse appena le palpebre. Condusse le mani in avanti, congiungendole, e assunse un’aria composta quanto distaccata.
- Siete coraggioso a presentarvi qui. Sapete chi rappresento, ma forse non siete a conoscenza di ciò che sono davvero. Altrimenti non mi parlereste in modo così sconsiderato e piuttosto avreste timore di me – concluse con un tono di voce perentorio, impositivo.
Ed ecco che il controllo su di sé iniziava a svanire poco a poco. Le mani bruciavano di ghiaccio freddo che si cosparse sulle dita e sul dorso, non aveva ancora imparato a gestire i suoi poteri, soltanto a liberarli senza porvi alcun ostacolo.
Lui invece non lasciava trapelare il minimo senso di paura. In modo tranquillo, ma cauto, la superò e si diresse verso la terrazza assolutamente noncurante di averla lasciata indietro, in uno spazio che non era suo.
- E’ proprio perché so chi siete che mi trovo qui – si soffermò di fronte al parapetto di ghiaccio e si voltò verso di lei, mostrandole un sorriso compiaciuto – il mondo da cui provengo brulica di magia e di persone in grado di utilizzarla. Persino le Regine, ormai, hanno imparato – avrebbe continuato volentieri, per spiegarle una volta per tutte il significato della sua presenza, ma Elsa non glielo permise.
- Il mondo da cui provenite? – lo seguì quasi incantata, accarezzandosi la treccia posta sulla spalla, fino a fermarsi di fronte a lui.
Annuì di riflesso e tentò di continuare – Non crederete che l’universo sia costituito solo dal vostro, di mondo? – domandò retoricamente e si lasciò sfuggire una risata sarcastica, accadeva così tutte le volte – Io sono nato nella Foresta Incantata, un luogo dove la magia è molto potente. Ma non tutti i mondi la possiedono e alcuni ne sono sprovvisti, come il vostro. E’ interessante che voi invece riusciate a fare tutto questo – cercò di specificare il meno possibile, a volte tendeva a dire troppe cose.
Elsa non riusciva a credere alle proprie orecchie. L’esistenza di altri mondi, la magia al di fuori di lei, persone in grado di usarla. Che quella fosse la sua occasione per vivere davvero? Il sorriso che si era creato autonomamente sulle labbra però finì per scivolare via. L’uomo che aveva davanti non le ispirava alcuna fiducia e anzi, quello sguardo inclemente non le permetteva di ragionare in tutta tranquillità.
- Allora cosa volete da me? – domandò con una certa preoccupazione.
Lui sbuffò e sollevò gli occhi al cielo bianco, carico di neve.
- Gliel’avevo detto che ci avrei impiegato più tempo di così – sussurrò tra sé e sé e poi riprese l’espressione fintamente lieta che aveva prima – voglio portarvi con me nella Foresta Incantata. Nei mondi che conosco la magia esiste a prescindere dagli esseri umani, ma  dovete aver varcato le soglie di questo equilibrio poiché la magia è dentro di voi, non al di fuori. Non è uno strumento, piuttosto è la vostra essenza.
Elsa si morse ripetutamente le labbra e costrinse le braccia sotto il seno, intenta ad osservare l’uomo di cui nemmeno conosceva il nome.
- Sono un mostro, nessuno mi…
- Vi porterò via di qui, in un luogo dove vi accetteranno per ciò che siete – tentò ancora di farle comprendere quanto fosse importante la possibilità che le stava offrendo.
- E lasciare Arendelle, il mio Regno? – le prime preoccupazioni reali insorsero nella mente di lei. Si voltò di spalle e portò una mano alle labbra, come a voler bloccare ogni motivo di ansia e paura.
Lui, ancora, sospirò contrariato. Detestava perdere tempo più del necessario.
- Nessuno sentirà la vostra mancanza – affossare le speranze faceva parte del suo mestiere – inoltre, non si vive per accontentare gli altri [1]. Non vorreste vivere in un mondo dove potreste essere una vera Regina, apprezzata da tutti? – domandò, sfoderando uno dei suoi sorrisi più convincenti.
Elsa continuò a dargli le spalle, caduta ormai in una riflessione profonda. Non poteva credere davvero alle sue parole e soprattutto la paura perversa di non trovare un mondo in grado di accoglierla affiorò nella sua mente, distruggendo ogni volontà di seguirlo. Il Palazzo di Ghiaccio era la sua casa, lì nessuno le avrebbe fatto del male. Chiusa nella sua perpetua solitudine poteva dare sfogo ai propri poteri, non voleva affidare se stessa ad uno sconosciuto.
- Andate via – fu più un rimprovero, che un ordine.
Lui sollevò un sopracciglio e la aggirò per essere certo che non stesse sognando.
- Rinuncereste ad un’opportunità simile?
- Sì – Elsa sollevò lo sguardo verso di lui, gli occhi lucidi spauriti mostravano una rinnovata sicurezza. Il ghiaccio sotto le sue calzature iniziò a contrarsi e a formare pieghe che spezzarono poco a poco il pavimento su cui stavano sostando.
- E’ un peccato che sia questa la vostra scelta. Solitamente è più difficile intraprendere la strada più semplice – sorrise lui, per niente turbato – ma sono certo che prima o poi potreste avere dei ripensamenti. E’ stato un piacere, Jefferson al vostro servizio – così facendo l’uomo che era comparso poco prima nella sua casa, gettò  il cilindro a terra e non appena iniziò a vorticare velocemente, vi si gettò dentro per scomparirvi subito dopo.
Elsa fu costretta a reggersi al parapetto di ghiaccio per non essere trascinata anche lei nel vortice magico, ma non riusciva a credere a ciò che aveva visto. Dunque la magia esisteva al di fuori di lei, quel Jefferson non stava mentendo!



 
*
 


L’empatia non rientrava nelle competenze del suo lavoro e questo Jefferson lo sapeva piuttosto bene. Ingannare e rifilare pensieri altrui nelle menti delle persone non gli permetteva di provare il minimo senso di oppressione nel momento in cui i clienti subivano il suo trattamento. Lavorava per il Signore Oscuro ormai da anni e quella non era certo stata la prima volta che fu mandato a convincere qualcuno di fare qualcosa, o consegnargli un oggetto particolare. Ma Elsa non era facilmente piegabile ai suoi giochi mentali, fredda e distaccata come si era posta, sarebbe stato difficile convincerla a lasciare Arendelle. Non aveva esattamente idea di che cosa volesse farne Tremotino, ma sapeva che chiunque vi entrava in contatto finisse irrimediabilmente per soffrire. La magia ha sempre un prezzo. Una volta arrivato nel suo Palazzo di Ghiaccio aveva provato un moto impercettibile di timore, sapendo di cosa fosse in grado di fare. Poi, però, accorgendosi di una certa fragilità nel cuore di lei, ogni paura svanì immediatamente. Eppure non aveva idea del motivo per cui, una volta ritornato alla Foresta Incantata, avesse provato un certo rammarico nei confronti di Elsa. Chi non doveva combattere contro la propria natura quotidianamente? Nonostante questo, la compassione che solitamente non provava, non lo abbandonò per diversi giorni.
Poiché il lavoro non era stato portato a termine, doveva affrettarsi a concluderlo per ricevere la quantità d’oro che gli aspettava da Tremotino. Dunque quasi ogni tre giorni si recava ad Arendelle, sulla Montagna innevata, a far visita alla Regina dei Ghiacci come aveva preso a nominarla. Le prime volte che comparse dal cilindro, Elsa si mostrò ostile e costantemente adirata poiché non desiderava in alcun modo la sua presenza. Una volta, a causa della rabbia, aveva scatenato la sua potenza di ghiaccio e per poco non gli sfiorò il cuore. Per fortuna era a conoscenza di quell’inconveniente e si procurò di non farlo accadere mai più. Inizialmente tendeva a convincerla a seguirlo nel suo mondo, perché potesse trascorrere una vita felice, più umana, invece di starsene distaccata e sola in un freddo permanente. Poi, si dimenticò quasi del suo lavoro, accorgendosi di quanto quella strana solitudine non fosse totalmente da evitare. Imparò a conoscere Elsa a fondo, poiché lei si lasciò andare, come se improvvisamente avesse avuto il bisogno di fidarsi di qualcuno. Jefferson non apparteneva al suo passato, era figura che compariva e scompariva di continuo, eppure fu più presente di quanto non avesse mai permesso a nessuno di essere.
Conobbe la sofferenza, la solitudine dei suoi trascorsi, le debolezze ma anche l’estrema forza che l’aveva contraddistinta. Aveva messo da parte la sua felicità per il bene altrui, questo Jefferson non riusciva a concepirlo. Si era costruita una barriera di ghiaccio impenetrabile perché non potesse fare del male ad alcuno.
Il giorno che fece ritorno da lei, le cose cambiarono.
- Elsa, ascoltami. Il vero motivo per cui sono qui è perché – Jefferson tentò di dare adito ad una sincerità che difficilmente aveva mostrato con le persone che doveva ingannare.
Lei non gli diede modo di continuare. Erano seduti sul parapetto del terrazzo da cui avevano intravisto insieme diversi tramonti, Jefferson ormai si era talmente abituato alla bassa temperatura di Arendelle che non provava nemmeno più freddo. I baci di Elsa, perché non era riuscito proprio a resisterle, erano divenuti quasi fondamentali. La prima volta fu per pura curiosità; la seconda per verificare che non lo avesse solo sognato; la terza perché non poteva farne a meno. Ormai erano diventati pericolosi, poiché lo avevano messo con le spalle al muro e lei? Non riusciva a leggere così a fondo nel suo cuore, da capire cosa provasse davvero.
- Prima che tu possa dire qualunque cosa, Jefferson, vorrei comunicarti che ho preso la mia decisione: lascerò Arendelle e ti seguirò.
Fu spiazzante ed inaspettato. Jefferson rimase immobile ad osservarla negli occhi perché non era certo di aver compreso davvero quanto gli avesse detto. Come poteva svelarle ora la verità? Come poteva dirle che all’inizio aveva solo mentito per ingannarla? Adesso era tutto diverso, doveva ritirare quella folle idea di sincerità ed inventarsi una strada diversa.
Condurla con sé sarebbe stato pericoloso, ma lasciarla in quel luogo avrebbe significato confinarla in un mondo di solitudine, bianco e senza scappatoie. Prima però avrebbe dovuto sistemare le cose con Tremotino.
- Sembri risoluta – le sorrise, afferrandole le mani – non c’è altro da fare che portarti con me, allora. Verrò a prenderti domani, devo solo occuparmi di una cosa che mi sta molto a cuore.
Elsa inarcò un sopracciglio.
- Non posso seguirti ora? – forse aveva paura di un qualche ripensamento.
- Domani, domani mi seguirai. Non preoccuparti di un eventuale ritardo, la puntualità è ladra del tempo [2] – così facendo la lasciò per scomparire nel cilindro.


 
*




Come aveva potuto credere di convincere il Signore Oscuro? Arroganza, superbia, tutto era andato a suo sfavore. Tremotino si era deciso a recarsi da sé ad Arendelle per recuperare Elsa, ma questo Jefferson non poteva permetterlo. Lei non gli sarebbe sfuggita mai poiché nessuno fino ad allora era in grado di competere con il mago più potente dei mondi conosciuti.
Fu allora che decise di tentare, di fare l’unica cosa che forse avrebbe salvato Elsa dalla sofferenza, confinandola però in un dolore abbastanza intenso. La speranza di Jefferson era solo quella di restituirle un giorno la felicità che meritava di avere. Il giorno dopo, come promesso, si recò da lei imbracciando un vaso dorato. Era bello, ma freddo come il ghiaccio.
- Sei qui – sorrise lei, come per constatare che aveva mantenuto la promessa.
Elsa era irrimediabilmente bella. Nonostante la giovane età possedeva la maturità di una donna, non di una ragazza, avendo sopportato sin da bambina una vita che non aveva meritato di avere.
- Ti porterò via, in un luogo dove ti accetteranno per ciò che sei – le sorrise con calore, un calore però che sapeva di freddo, di neve.
Elsa non ebbe il tempo di avvicinarsi che Jefferson aprì il vaso e un vortice magico d’improvviso si avvinghiò alle sue caviglie.
- Che stai facendo? – gridò incredula, mentre tentava di dilaniare quella presa impossibile da sciogliere.
Tentò di scagliare fulmini di ghiaccio verso l’oggetto, ma sembrava totalmente immune.
- Perdonami, ma non vi è altro modo per salvarti! – rispose Jefferson, fermo nella sua decisione.
Elsa si sentì avvampare e solo alla fine, quando il vortice aveva preso ad afferrarle tutto il resto del corpo, smise di lottare.
- Come puoi salvarmi, chiudendomi lì dentro? Io mi bastavo come prigione! – furono le ultime parole che riuscì a pronunciare e che lui udì.
Non appena fu risucchiata all’interno del vaso, esso si riempì di un liquido azzurro, denso e pesante. Jefferson si affrettò a chiuderlo e questo si sigillò perché nessuno tentasse ti aprirlo.
 

 
*
 


Era da tanto che non provava più quella sensazione. Ricordarsi dell’esistenza del proprio corpo, quando questo era stato trasformato in liquido, le provocava una certa irrequietezza, una certa impazienza. Le gambe serrate al pavimento iniziavano ad irrobustirsi e i muscoli a contrarsi. Sciolse lentamente le mani verso l’esterno, come a volerle stiracchiare e da esse iniziarono a spuntare cristalli di ghiaccio.
Non aveva idea di chi l’avesse liberata, né era a conoscenza del luogo in cui si trovava. Semplicemente qualcuno l’aveva portata via da quella prigione infernale. Era libera. Libera di vendicarsi di chi le aveva dato un cuore di ghiaccio.







 
Note:
[1] Frase de La Regina Bianca in Alice in Wonderland
[2] Aforisma di Oscar Wilde






NdA:

Salve a tutti!
Per chi conosce le mie storie, sa quanto io ami le Crack e quanto mi piaccia scrivere su coppie strane ed improbabili, ma che possano avere un appiglio su cui basarsi.
Sono uscite così tante immagini su Elsa e Jefferson che non ho proprio saputo resistere.
Questa volta non ho descritto il Jefferson che solitamente delineo nelle storie riferite a lui. E’ meno strano, meno prepotente, meno egoista e non così folle. Credo che Jefferson abbia diversi lati di sé da esplorare, per questo è uno dei miei personaggi preferiti di Ouat.
Per quanto riguarda Elsa, avendo una raccolta di one-shot su di lei nel fandom che le spetta, ho scritto abbastanza sulla sua personalità e sul suo profilo caratteriale per rifarlo anche qui. Ho lasciato emergere solo alcuni tratti, come la fragilità e la forza che la contraddistingue.
In più è la prima volta che lascio ai personaggi uno spazio di romanticismo. Non che ne abbia descritto molto in questa one-shot, ma nelle mie storie è abbastanza difficile che i personaggi si lascino andare ai sentimenti e alle emozioni come se fosse la cosa più facile del mondo.
Piuttosto questa one-shot è nata dalla volontà di creare un’idea sul come Elsa sia finita in quel vaso, accostandola alla figura di Jefferson, un malandrino di prima categoria.
Spero vi sia piaciuta e chiedo perdono per i possibili errori, purtroppo sono senza connessione ed ora che mi trovo nella possibilità di poter pubblicare, non ho avuto tempo per revisionarla.
(Immagine presa da tumblr)
Grazie mille! 
   
 
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