Videogiochi > Sonic
Segui la storia  |       
Autore: Kilian_Softballer_Ro    05/08/2014    10 recensioni
Silver è un impacciato cameriere di tavola calda, con un fratello da mantenere e una storia non proprio allegra alle spalle.
Blaze è la tranquilla figlia di due ricchi imprenditori, forse un po' viziata ma in fondo di buon cuore.
Sembrano appartenere a due mondi diversi. Ma cosa succede se questi due mondi non solo si incontrano,ma si scontrano e si intrecciano? E se tutto ciò accade fra le mura di un luogo all'apparenza tranquillissimo come il South's Diner?
Questo resta tutto da scoprire.
(AU, Human!Verse, presenza di OC e probabilmente di personaggi OOC)
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Blaze the Cat, Silver the Hedgehog, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Blaze avrebbe potuto pensare centouno modi migliori per passare la serata,come minimo.E di sicuro nessuno di questi avrebbe incluso l’accompagnare suo padre in uno squallido quartiere di periferia. Ma aveva bisogno di metterlo di buonumore. Ventun anni di esperienza le avevano insegnato che suo padre non le avrebbe mai negato niente, se fosse stato dell’umore giusto. Perciò, doveva fare buon viso a cattivo gioco e sedere al suo fianco in macchina, cercando di non sembrare troppo scocciata. Più tardi gli avrebbe chiesto il permesso che desiderava.
- Dov’è che stiamo andando,di preciso? – Chiese, bloccando il telefono che aveva in mano e chiudendolo nella borsa, al riparo da possibili ladruncoli. Non si poteva mai sapere, in zone come quelle.
- Devo andare a sollecitare un pagamento. Il tizio che ha preso in affitto uno dei miei appartamenti  è in ritardo di cinque giorni,e sai che lì,se non dai loro una scrollata di persona, non si muovono mai. - Blaze non aveva mai capito quanti appartamenti possedesse suo padre di preciso. Potevano essere tre come venti.
- Beh, non sai che faccia ha? Magari lo hanno arrestato e al telegiornale non l’hai riconosciuto. – Cercò di scherzare la ragazza.
- Tutto è possibile, tesoro, ma dal contratto risulta che ci abitano in due persone. Perciò, se proprio uno è stato arrestato, mi farò dare il denaro dall’altro.
L’uomo fermò la macchina davanti a un palazzo grigio e anonimo, un condominio. Blaze notò che diverse persone si fermavano stupite sui marciapiedi,a fissare quella che per i loro standard  doveva essere un’automobile praticamente di lusso. E pensare che non era neanche la più costosa del loro garage.
Si affrettò a seguire il padre all’interno del palazzo. – Perché hai proprio voluto che venissi con te? – Chiese ancora, mentre salivamo le scale. La maggior parte delle porte era aperta e le madri parlavano da casa a casa, mentre i bambini entravano e uscivano correndo, ma molti si bloccarono a guardarli mentre passavano. Blaze intuì che diversi di loro dovevano riconoscere suo padre come padrone di casa e quindi persona da tenere d’occhio, ma un paio di ragazzini non ancora adolescenti stavano guardando lei. Beh, che guardassero. Sapeva di essere una bellezza non comune, con i lunghi capelli viola ereditati dal padre e gli occhi quasi a mandorla, gli zigomi alti e il colore caldo della pelle presi da una madre di origine asiatica. Lo sapeva, e non era il tipo di persona da falsa modestia.
- Perché tu devi tenere d’occhio la macchina mentre io parlo con l’inquilino – grugnì lui in risposta – e se c’è una ragazza con me,quello si sentirà meno invogliato a passare alle mani. Ecco, ci siamo.
Erano arrivati al penultimo piano. Lì vi erano solo due porte, entrambe chiuse, e suo padre suonò a quella più vicina.
Si aprì dopo qualche istante e ne spuntò fuori un ragazzo. Fra tutte le idee che Blaze si era fatta del fantomatico inquilino, non se l’era certo immaginato così. Poteva avere la sua età, forse qualcosa di più,alto,  con lunghi capelli bianco-argentati e occhi dorati. Aveva l’aria stupita. Non certo il tipo che sarebbe potuto saltare addosso a suo padre per picchiarlo, comunque, perciò la ragazza guardò giù dalla finestra del pianerottolo. L’auto era ancora al suo posto e sembrava fondamentalmente intera, così tornò a guardare il ragazzo.
- Sto cercando Silver Whitness – disse suo padre in tono fermo.
- Sono io – rispose l’altro.
- Tu? Non...tuo padre? – Ora era l’uomo ad avere l’aria confusa.
- No, signore. Sono io. – Silver Whitness uscì e accostò la porta alle sue spalle. – Lei dev’essere il signor King. Per...per l’affitto.
- Esattamente. – Ora il padre di Blaze si era ricomposto. – Sei in ritardo con il pagamento di quasi una settimana.
- Lo so,signore, lo so. La prego, ci sono stati degli...degli imprevisti. Mi dia ancora un paio di giorni, signore, venerdì mi arriva la paga e potrò darle tutto il denaro. La prego.
- A rigor di logica dovrei buttarti fuori. Non sono una persona paziente.
Sul viso del ragazzo era dipinto terrore puro. – No, signore,per favore, non ho mai saltato un pagamento,non...
In quel momento la porta dietro di lui si aprì con un cigolio e ne uscì un bambinetto, terribilmente somigliante al giovane che avevano davanti, in pigiama e con uno sgualcito orso di peluche sotto il braccio. – Silver? – Chiese incerto.
Silver Whitness si girò di scatto. – Vai a letto. Arrivo subito. Sto parlando di cose importanti.
- Ma...
- Dodge. A letto. Adesso. – Scandì il ragazzo. Il bambino trasalì e si reinfilò in casa.
Blaze decise che non poteva restare lì ferma senza fare niente. La situazione le sembrava troppo penosa, il bambino da mantenere (perché se gli abitanti della casa erano solo due era ovvio che non c’erano genitori che si occupassero di entrambi), il lavoro precario, la casa in affitto. Decise di intervenire.
Si appoggiò al braccio del padre e disse con la sua miglior voce suadente: - Dai, papà, dagli un’altra possibilità. Se è vero che non ha mai saltato un pagamento, sfrattarlo sarebbe un rischio. Sai che quasi tutti saltano anche tre o quattro rate di fila. L’appartamento potrebbe finire a una di quelle persone e sarebbe peggio.
L’uomo sembrava incerto. Blaze era trionfante, sapeva che quella tattica non falliva mai. Continuò imperterrita. – Venerdì è solo dopodomani,no? Penso che possiamo permetterci di aspettare due o tre giorni. E – concluse, certa del successo – se proprio continuasse a non pagare, puoi sempre sfrattarlo in seguito.
Era fatta. Il signor King trasse un sospiro seccato e si rivolse al ragazzo: - Tre giorni. Non uno di più. E ringrazia che ci fosse mia figlia, altrimenti saresti nei guai.
-Sì, signore! Grazie, signore! – Mancava poco che quello si mettesse a saltare dalla gioia. – Non ritarderò, glielo prometto.
- Lo spero bene. – L’uomo fece cenno a Blaze di seguirlo e si avviò di nuovo giù per le scale. La ragazza gli andò dietro, ma si voltò un attimo per fare un cenno di saluto. Silver era ormai in casa, ma la vide e le sillabò “Grazie” in silenzio dalla porta semiaperta. Blaze sorrise e riprese a scendere le scale.
Forse non avrebbe più potuto usare le sue doti di convincimento per quella sera, ma andava bene così.
 
 
Riuscì in ogni caso nel suo intento.
Quando due giorni dopo si ritrovò ad attraversare la città a piedi, accaldata dall’afa estiva,aveva ottenuto il permesso che desiderava. Cosa che non la stupiva, conosceva il suo pollo e sapeva come ottenere ciò che voleva. E ora, ecco fatto: aveva avuto il consenso di suo padre a invitare le sue due migliori amiche a passare parte delle vacanze a casa sua.
Non era stato difficile. Avevano una casa davvero grande e di sicuro non c’erano problemi di spazio. E poi i suoi genitori erano sempre fuori per lavoro,anche nel pieno dell’estate, e non sarebbero stati disturbati da tre ragazze rumorose. Lei, Rouge e Amy avrebbero potuto fare tutto ciò che volevano.
Le mancavano davvero molto. Andavano tutte e tre alla stessa università prestigiosa, ma questa era lontanissima dalla sua casa a Metal city, e così le case delle sue amiche. L’idea di non vederle per tre mesi la faceva impazzire, e così aveva deciso di invitarle.  Sapeva che quella non era una città molto mondana, ma per contro era tranquilla, perché d’estate partivano tutti per vacanze sulla costa o simili. Il luogo ideale per riposarsi prima di un’altra decina di mesi scandita da esami e feste di campus.
Si asciugò il sudore dalla fronte. Era uscita per andare a pranzo a uno dei suoi locali preferiti,perchè non aveva alcuna voglia di pranzare a casa da sola, ma aveva sopravvalutato le sue capacità. Il ristorante era dall’altra parte della città e uscire a piedi con quel caldo era stata una stronzata. Anzi,un suicidio. Le sarebbe esplosa la testa prima ancora di essere arrivata a metà strada.
Si guardò intorno. Era in una zona di Metal city che aveva sempre e solo attraversato, senza mai fermarsi in un posto particolare.  In strada non c’era praticamente nessuno (comprensibile, era l’una ,nel momento più caldo della giornata, e solo lei era stata tanto idiota da uscire di casa) e non c’era niente che facesse un’ombra sufficiente a ripararla dal sole. Però...però, qualcosa come venti metri prima, aveva oltrepassato una tavola calda che ora le sembrava più invitante che mai, fresca e vicina. A meno che non si fosse trattato di un miraggio dovuto al caldo.
La raggiunse più in fretta che poteva senza correre. No, non era un miraggio. Era vera. Su di essa campeggiava un’insegna che la indicava come “South’s Diner” e sulla porta a vetri era appeso un cartellino con la scritta APERTO. Perfetto.
Blaze si infilò dentro e sospirò di sollievo, nel sentire la ventata di aria condizionata che le piombò addosso. Solo dopo essersi goduta quella sensazione paradisiaca si guardò intorno.
Il locale era quasi vuoto. C’erano solo alcuni vecchietti, una donna seduta da sola e, in uno dei tavoli verso il fondo, un bambino con una massa di capelli argentati dall’aspetto familiare.
La ragazza sorrise. Certo non poteva trattarsi dello stesso bambino dell’appartamento in affitto, sarebbe stata una coincidenza troppo assurda, eppure....
Eppure doveva essere proprio lui, perché in quel momento Silver Whitness in persona uscì dalla cucina con addosso un grembiule, lanciò un’occhiata agli altri tavoli occupati come per controllarli e poi si diresse verso il ragazzino. Si chinò alla sua altezza e scambiò qualche parola con lui, poi alzò lo sguardo con tutte le intenzioni di tornare da dov’era venuto e la vide.
Blaze lo vide praticamente pietrificarsi sul posto e fece un risolino. Si diresse verso di lui e si sedette al tavolo accanto a quello del bambino. – Buongiorno.
- S...Salve. – Balbettò lui in risposta. – E’ qui...l’ha mandata qui suo padre?
- No, sono qui perché vorrei mangiare qualcosa. Perché mai mio padre dovrebbe mandarmi qui?
- Ecco,non.....non importa. Vuole un menù o preferisce un consiglio?
- I consigli sono sempre ben accetti.
- Allora abbiamo una meravigliosa tortilla di patate e insalata fresca come contorno. Tutto preparato oggi. E si fidi, meritano veramente un assaggio. Glielo dice un esperto.
Lei sorrise. Era il genere di cameriere alla mano che i ristoranti di lusso odiavano e che al contrario quasi tutti i clienti amavano. – Allora prenderò quelle. E una coca media.
- Arrivano subito. – Si voltò e si diresse verso il bancone.
Mentre aspettava il suo pranzo, Blaze si guardò intorno. Aveva l’aspetto tipico di una tavola calda qualunque,ovvero molto anni ottanta e molto casalinga, ma non aveva niente di particolare. In mancanza di meglio da guardare, si girò verso il piccolo al tavolo accanto al suo.
Quest’ultimo era stato occupato in tutta la sua superficie da ogni genere di oggetto, fogli bianchi, matite colorate,automobiline e altri fogli pieni di scarabocchi. Sembrava un posto che fosse stato occupato da parecchio tempo e che sarebbe stato occupato altrettanto a lungo. Il bambino era all’opera su uno dei fogli, intento a disegnare quella che sembrava essere un’automobile. Aveva un’aria molto concentrata, come se stesse compiendo un lavoro molto difficile. Alzò la testa per cercare un’altra matita, vide che lei lo stava osservando e inclinò la testa di lato, guardandola con curiosità.
- Ciao – gli disse Blaze, tanto per fare conversazione.
- Ciao. – Lui continuò a studiarla, la fronte aggrottata come se cercasse di ricordare qualcosa. – Tu sei quella che è venuta a casa nostra dopo l’ora della nanna. – Disse alla fine, con tono quasi di accusa.
- Sì. Mi chiamo Blaze. Tu come ti chiami?
- Dodgeball. – Visto da vicino la somiglianza con Silver era ancora più impressionante. Lo si sarebbe potuto scambiare  per un Silver in miniatura, se non fosse stato per la rotondità infantile del volto e per il colore più scuro degli occhi, più tendente al verde che non al dorato. – Sei un’amica di Silver?
- Più o meno.
- Se non lo sei non ti posso parlare. Silver dice che non devo parlare con gli estranei.
- Silver ti ha detto una cosa giusta. – In quel momento il diretto interessato ritornò con un vassoio in una mano e un bicchiere di Coca-cola nell’altro. Li appoggiò sul tavolo e spostò lo sguardo dalla ragazza al bambino.
- Dodge, non disturbare la signorina.
- Non mi stava affatto disturbando. – Blaze tornò a sedersi composta. – Anzi, avevo iniziato io a parlare. – Abbassò lo sguardo sulla tortilla. – Uh, sembra invitante.
- Lo è, mi creda.
- Senti, ti sembra che siamo a un incontro di lavoro?
- Come?
- Continui a darmi del lei. Per favore, non farlo, mi fa sentire vecchia.
- Oh. Ecco, io.....pensavo..... – Torse il grembiule, visibilmente imbarazzato. – Non so nemmeno come si chia...come ti chiami.
- Questo è facilmente risolvibile. – Gli tese la mano. – Blaze King.
L’altro esitò un momento, poi allungò la propria mano e gliela strinse. – Silver Whitness. Anche se credo che le...che tu lo sappia già.
- Credo proprio di sì. – Blaze alzò la voce di un’ottava per farsi sentire dal tavolo accanto. – Dodgeball,adesso conto ancora come un’estranea?
- No no – le rispose una vocina da dietro le sue spalle. – E’ vero, Silver?
- Già. Dodge, continua a disegnare. Mostrami che sei un vero artista.
- Io non sono un’artista! Io sono un supereroe!
- Certo, certo.
- Silver! – Esclamò una voce da dietro il bancone. Blaze si voltò e vide una ragazza pel di carota che guardava nella loro direzione. – Smettila di flirtare con tutto il locale e vai a pulire quel tavolo!
- Agli ordini, capo. – Silver si voltò mestamente verso Blaze. – Il lavoro mi chiama.
- Non ti trattengo. Piacere di averti rivisto, allora.
- Spero....oh, beh,arrivederci.
Contaci, si disse Blaze mentre il ragazzo di allontanava.  Non era stata una cattiva conoscenza, dopotutto, e anche se non poteva ancora considerarsi sua “amica”, come desiderava il giovanissimo individuo dietro di lei, non c’era motivo perché non potessero parlare ancora.
E quella tortilla che aveva davanti sembrava davvero una scusa gustosa per tornare al Diner.
 
 
- Chi era quella ragazza con cui parlavi oggi a pranzo?
Silver alzò lo sguardo dalla propria borsa, dove stava riponendo le (poche) cose che aveva usato durante il giorno. Erano le sei passate, il suo turno era finito e così quello di Tikal, ovvero la persona che gli aveva posto la domanda.
Erano nel retro del locale. Dalla sala arrivavano i rumori dei primi clienti per la cena. La madre di Tikal, Mercedes, che durante il loro turno era stata in cucina, ora era passata al servizio, mentre ai fornelli c’era suo padre, Pachacamac. Da dov’erano, lui e Tikal li sentivano parlare. Erano rumori graditi;volevano dire che la giornata era finita e potevano tornare a casa.
Tikal aspettava la sua risposta, tirando su i capelli biondoarancio in una coda di cavallo. – Dai, Silv, non guardarmi con quella faccia da pesce lesso. Sai di chi sto parlando. Quella con i capelli viola. Sembravate molto in confidenza.
- Hai un concetto di confidenza molto storto, ragazza mia. Ci siamo visti due volte e parlati una sola. E’ la figlia del mio padrone di casa,quella che mi ha salvato il culo l’altro giorno.
- Davvero? E cosa ci faceva qui?
- Passava per caso, credo.
- Potevi dirmelo, scemo, le offrivo il pranzo. Qualunque cosa per la tizia che ha parato il culo al mio fratello.
- Se io fossi tuo fratello, Tik, verrebbe da chiedersi da che padre sono nato io.- Tikal infatti era del tutto diversa da lui, bassina, con gli occhi azzurri e una marea di lentiggini. I colori di suo padre, visto che la madre era una tipica sudamericana coi capelli scuri e la pelle olivastra.
- Non lo so, io sospetto il postino.
Scoppiarono a ridere mentre uscivano dal retro. – Non vai a casa? – Le chiese Silver. Lei e la sua famiglia abitavano nell’appartamento sopra il Diner.
- No, io e Knuckles usciamo. Toh, guarda, è là con tuo fratello. – In effetti, la testa rossa del fidanzato di Tikal era accanto a quella argentata di Dodge.
- Hai ragione. – Il ragazzo agitò la mano in direzione della donna bruna al bancone. – A domani, Mercedes.
- Vieni immediatamente qui, Silver, se vuoi la tua paga.
- Oddio, è vero, me l’ero scordata. – Si affrettò a tornare dietro il bancone, mentre Tikal si avviava verso il tavolo di Knucles. Mercedes lo aspettava con una busta in una mano e un piatto avvolto nella stagnola nell’altra.
- Se fossi un briciolo meno onesta, non avresti mai i tuoi soldi. Tieni, testa vuota. – Il donnino gli allungò la busta, poi tirò su il piatto. – Questa torta salata si è sfasciata, non posso servirla ai clienti, ma è ancora buona da mangiare.
Silver sorrise, per il sollievo (quella torta gli avrebbe evitato di dover correre a fare la spesa, il loro frigo era clamorosamente vuoto) e per la gratitudine. Mercedes poteva sembrare una donna brusca, ma aveva un cuore d’oro e praticamente aveva adottato lui e Dodge. Era assai probabile che avesse distrutto lei stessa la torta per avere la scusa di dargliela.
- Sicura? Non la volete tu o....
- No. Sei tu il mio cestino ufficiale per gli scarti. – Gli indirizzò un breve sorriso. – Vai a casa,ora, c’è gente che deve lavorare.
- Sissignora. – Silver raggiunse suo fratello e Tikal. Scambiò un sogghigno e un colpo di pugno con Knuckles, poi sollevò Dodge fra le braccia. – Preso tutto, bestiolina?
- Sì! – Il bambino rise di gusto. Anche lui era felice che la giornata fosse finita e che il suo fratellone fosse di nuovo tutto per lui. – Andiamo a casa?
- Assolutamente sì.
Mentre uscivano dal ristorante,scambiarono ancora qualche parola con la coppia.
- Dove andate di bello? – Chiese Silver, cercando di tenere il fratello se non fermo almeno più fermo.
- Un posto di lusso. – Affermò Knuckles.
- ....certo. A casa mia si chiama “Il Mc Donalds più vicino” – lo rimbeccò Tikal. – Volete venire anche voi?
- Grazie, no. Devo mettere a letto questo essere, altrimenti cadrà addormentato da qualche parte.
Si salutarono e si separarono. Silver infilò Dodgeball in macchina, chiudendogli la cintura di sicurezza (era la prima cosa che faceva ogni volta. Non aveva più viaggiato senza cintura dopo...l’incidente), poi si sedette al volante e mise in moto.
L’automobile era vecchia e scassata, e perciò lentissima, ma il viaggio non era mai noioso. Dodge parlava in continuazione, raccontava al fratello scoperte mirabolanti fatte durante il giorno (come potesse scoprire tante cose seduto a un tavolo rimaneva un mistero) e poneva domande, spesso spassose, a volte imbarazzanti, ogni tanto davvero assurde. Era stato durante un viaggio di ritorno che aveva chiesto a Silver come nascevano i bambini e quello sarebbe rimasto sempre un momento indimenticabile per entrambi.
Arrivati al loro condominio, Silver lasciò che il bambino corresse fino all’ultimo piano mentre consegnava alla portinaia l’affitto da pagare al proprietario, e quando finalmente lo raggiunse, la prima domanda che Dodgeball gli pose fu di poter guardare la replica del Doctor who prima di cena.
Era il suo premio. Aveva il permesso di guardarlo soltanto se si era comportato bene, e generalmente così accadeva. Perciò il ragazzo lo lasciò davanti allo schermo a fissare delle specie di cestini della spazzatura alieni che sparavano alla gente mentre scaldava la torta, che poi mangiarono di gusto. Nonostante fosse sfasciata, era davvero buona.
Dopodiché Dodge andò a giocare sulle scale con gli altri bambini del palazzo mentre Silver lavava i piatti e preparava quello che sarebbe servito loro il giorno dopo. Tornò a casa verso le nove e si lasciò mettere a letto senza protestare, addormentandosi praticamente subito.
Tutto come al solito, dunque. Tutto che andava come era andato nell’ultima decina di mesi,da quando aveva trovato lavoro al Diner (prima, nello spazio di tempo cominciato dalla morte dei loro genitori, era stato tutto molto più caotico). Eppure c’era stato qualcosa di diverso, rifletté Silver mentre terminava i suoi ultimi lavori di casa (ce n’era sempre qualcuno, dal caricare la lavatrice allo spazzare il pavimento perché Dodge aveva combinato un macello).
Quella ragazza. Blaze. Che nome stupendo. Lo aveva scombussolato. Era stata così gentile...e lo conosceva appena. E lui, si ricordò con un sussulto mentre si infilava nel letto accanto al fratello e spegneva la luce, non l’aveva nemmeno ringraziata, se si eccettuava quel patetico “grazie” appena sussurrato. Che idiota che era stato. Non che facesse differenza, era assai improbabile che la rivedesse mai più, ma non riusciva a togliersi dalla testa la convinzione di essere stato un cretino. Per ben due volte lei era stata cortese e simpatica e lui aveva fatto la figura...dell’idiota. Come al solito.
Affondò la testa nel cuscino, cercando di scacciare via quei pensieri. Lei era una ragazza ricca, la figlia del padrone di casa, e non l’avrebbe vista mai più. Inutile farsi problemi su come si era comportato. Doveva mettersi il cuore in pace.
Peccato che sembrasse impossibile.
 
Sapete chi è la persona masochista che ha deciso di iniziare una nuova fic non appena ha messo le mani su un computer funzionante? Proprio io! Ma volevo scrivere assolutamente questa storia perché...perché l'idea mi piaceva tanto. E anche se da questo capitolo la storia sembra la cacca che è,è solo il primo capitolo, più o meno funge da introduzione. Spiegherò tante delle cose che qui sono appena accennate in seguito.
Detto ciò, se gradite, recensite!
^Ro
 
  
Leggi le 10 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Sonic / Vai alla pagina dell'autore: Kilian_Softballer_Ro