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Autore: Harleequinzel    05/08/2014    4 recensioni
«Pensavo di essere single.»
«Pensavi di essere single?»
«Sì, è quello che succede dopo che due stanno insieme, ma uno si scopa un altro e poi decidono di comune accordo di lasciarsi e dividere le proprie strade. Dopo tutte queste cose uno è single.»

[ Rin/Haru, violenza gratuita, 2.500 parole e un Haru un po' più psicopatico del solito ]
Genere: Angst, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Haruka Nanase, Makoto Tachibana, Rin Matsuoka
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Violenza
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.Il sapore delle cose.
 
Quand’era piccolo e lui o i suoi amici si facevano male in qualche modo, la prima domanda era “il tuo sangue è dolce o amaro?”. Ciascuno assaggiava le proprie ferite e dava il verdetto, quasi sempre “è amaro”, perché era più da uomini, più da eroi. Il dolce era qualcosa per femminucce e bamboline.  
Negli anni Rin, ripensando a quella pratica disgustosa, cominciò a chiedersi se ai tempi sentisse davvero il proprio sangue amaro, e quando quel giorno che era rincasato dopo il turno Haru aveva aperto la porta e gli aveva piantato il fondo di una padella sulla tempia, decise che, decisamente, doveva avere il sangue più amaro di tutti.
 
 
Si svegliò con la sensazione di essere ad un passo dal pisciarsi addosso.
Il suo polso destro stava tremando nella circonferenza metallica di un paio di manette, mentre quasi non sentiva più la mano sinistra, legata da una catena come carne da macello, entrambe contro le maniglie dei cassetti laterali al forno contro cui aveva appoggiata la schiena.
Strinse le gambe e, digrignando i denti, sentì chiaramente il sangue secco sul volto incresparsi.  
«Haru…»
Era pieno giorno. Dalla porta vedeva chiaramente la luce viva penetrare dalla finestra del salottino, e sul pavimento davanti a lui si stendeva una macchia di sole.
«Haru-chan.»
«Avevo cominciato a preoccuparmi.»
Haruka ciabattò fino alla soglia, fissandolo dall’alto. Aveva addosso il camice bianco da lavoro e il grembiule blu col delfino, il suo preferito. La manica destra della sua divisa era sporca di sangue.
Rin provò a sorridergli, a sorridergli in quel modo che lui aveva sempre definito “da maniaco del cazzo”. Probabilmente, nelle condizioni in cui riversava in quel momento, doveva esserlo ancora di più.
«Cosa?»
«Avevo cominciato a preoccuparmi. Staccavi il turno alle diciotto, no? Sei rientrato alle ventuno.»
Rin sospirò, leccandosi le labbra secche. «Sì, sì, ero andato a bere qualcosa.» La catena con cui aveva legato la mano sinistra tintinnò contro il legno del bancone. «Era il compleanno di Ai.»
«Non me ne frega un cazzo se era il compleanno di Ai.»
Rin rise, chinando il capo verso il basso e notando che aveva la zip dei pantaloni sbottonata.
Con una punta di terrore si chiese cosa Haru avesse avuto il coraggio di fargli mentre era svenuto; aveva sempre avuto fissazioni strane a letto. Due istanti dopo se lo sentì addosso, accucciato contro, a richiudergliela come se gli avesse letto nel pensiero.
Rin approfittò del contatto intimo. «Piccolo, devo pisciare.»
«Vuoi una tazza?»
«Haru.»
«Non vergognartene, abbiamo fatto di peggio.»
Rin scosse le braccia e la testa, ringhiando. «HARU!»
Haruka sollevò lo sguardo, trattenendo fra le mani ancora il suo cavallo, e lo guardò a lungo mentre riprendeva fiato e sbatteva la testa contro la maniglia del forno.
«Haru…»
«Perché l’hai fatto?»
Rin chiuse gli occhi per un istante, ispirando ed accasciando la testa su una spalla.
«Fatto cosa? Lasciarti?»
L’urto delle nocche del pugno contro il suo zigomo sinistro fu uno schianto orrendo. In quel contatto furioso Rin sentì chiaramente tutti gli anni che aveva passato al fianco di quello psicopatico malato del cazzo a sputare sangue dietro lui e le sue richieste assurde, tutto, tutto quanto concentrato in un singolo e silenzioso schianto di pelle contro pelle, ossa contro ossa, rabbia contro rabbia, che gli fece sbattere la testa nel forno tanto da scheggiarne il vetro.
«Perché hai scopato con Sosuke?»
La stanza cominciò a girare vorticosamente mentre diventava tutto un po’ più arancione.
«Pensavo di essere single.» Ansimò.
«Pensavi di essere single?»
«Sì, è quello che succede dopo che due stanno insieme, ma uno si scopa un altro e poi decidono di comune accordo di lasciarsi e dividere le proprie strade. Dopo tutte queste cose uno è single.»
Un altro pugno, questa volta all’altro zigomo e insensibile. Rin accusò solo il dolore, ma non c’era niente di più, niente messaggi nascosti o rabbie represse. Haruka aveva sempre avuto il brutto vizio di fare del male tanto per farne.
«Quindi ci eravamo lasciati?»
«Già, può sembrarti estrema come cosa.»
L’arancione era diventato un po’ più arancione. Rin odiava l’arancione.
«Non prendermi per il culo.»
«Ho smesso quando ha cominciato a farlo Makoto.»
«Ti sei mai chiesto perché?»
«Non so.» Rise. «Il pompiere pompa meglio del poliziotto, immagino.»  
Haru afferrò la maniglia del forno e lo aprì, sbattendolo contro la sua testa una, due, tre volte consecutive. Rin gemette altrettante volte temendo di sputare i polmoni sui propri pantaloni della divisa.
«Mi fai schifo.»
Non provò nemmeno a rispondere, lo stomaco in subbuglio tentò a mandar su un conato di vomito che riuscì a reprimere per miracolo. Haruka si sistemò meglio addosso a lui, sedendosi a gambe aperte contro il suo bacino e avvicinando il volto al suo, fronte contro fronte.
Rin riuscì a pensare che, di Haru, erano cose come quelle che lo avevano convinto per anni a non lasciarlo andare, gesti così semplici ma nella sua intimità così grandi da fargli accapponare la pelle per l’emozione.
«A succhiare sei più bravo tu.»
Si chiese se avrebbe dovuto esserne felice o meno.
Il cellulare di Haru vibrò nella tasca dei suoi pantaloni, entrambi ne avvertirono chiaramente il ronzio, anche se Rin lo sentiva un po’ più distante, come se la sua testa fosse rinchiusa in una bolla.
Haruka accettò la chiamata ma non rispose.
Rin riconobbe come uno spillo premuto contro il collo la voce irrequieta di Makoto che lo pregava di non fare pazzie. Doveva sapere qualcosa, sicuramente, o perlomeno doveva averlo saputo.
«Non sto facendo niente.»
Makoto chiese dove fosse adesso.
«A casa di Rin.»
E dov’è Rin?
«E’ qui con me.»
Haru, ti prego. Haru, ti prego. Rin quante volte l’aveva detto?
«Stiamo bene.»
Sto venendo lì, okay?
«Non ti aprirò. Sto cercando di far pace con Rin, non c’entri.»
Haru.
«Sei geloso anche tu, adesso? Che cazzo avete tutti con questa storia del lasciarsi, dello scopare?»
Haru, non sono gelos-
Beep.
«Che carino.» Sorrise Rin.
Haru lo guardò, lanciando il cellulare contro il muro e lasciando che si sfasciasse in mille pezzi sul pavimento. Rin aveva sempre amato il rumore delle cose che si sfasciano, e più in quel momento che mai avrebbe voluto avere le mani libere per rompere di tutto, pisciare, e poi rompere ancora cose, sentire sulla lingua il sapore della rabbia che vola via scoppiando a fiotti, piccole esplosioni umide e amare.
«Era preoccupato.»
«Non mi importa se Makoto è preoccupato, non so cosa abbia capito che voglio farti.»
«Perché, che vuoi farmi?» Fu una vera e propria provocazione. Si morse la lingua subito dopo.
«A questo punto non mi importa più.»
Haru gli sbottonò di nuovo i pantaloni e gli abbassò la zip così come l’aveva alzata, accucciato contro lui in un incastro decisamente spiacevole e poco omogeneo. Messi così, Rin lo immaginava, davano l’impressione di una tenda mal montata, esattamente come quando facevano sesso ma non avevano davvero voglia di toccarsi, aversi e sentirsi. Probabilmente era sempre stato in una brutta tenda che avevano alloggiato i loro sentimenti nel periodo in cui erano stati insieme. 
«Che cazzo stai facendo?» Era già incarcerato in una mano di Haruka.
«Cosa ti sembra che stia facendo?»
«Potrei non essere in vena.» E nel frattempo che pronunciava quelle parole ebbe la piena sicurezza che sarebbe stata la bocca di Haru la sua tomba.
 
Quando rinsavì fu come avere gli occhi screziati di sangue. La stanza sembrava essere stata improvvisamente dipinta di rosso, e fu solo secondi dopo che si rese conto che doveva essere il tramonto e per questo tutto sembrava così caldo e illuminato.
Aveva ancora i pantaloni aperti e il sesso scoperto, sporco.
La prima cosa che pensò fu che Haru se ne fosse andato lasciandolo lì, incatenato e ammanettato, ma sarebbe stato poco da lui. Poi pensò che non si ricordava minimamente quando fosse svenuto; Haru doveva averlo pestato di brutto dopo che gli era venuto in faccia, ed infatti sentiva tutto un gonfiore sul volto, le palpebre bruciare e la lingua molla come un budino, ma non ricordava niente.
Brutta storia.
Haruka comparve nuovamente sulla soglia dopo circa quindici minuti e gli andò incontro.
Rin era stato talmente distratto dal dolore e dall’affanno che non si era reso conto che, sopra la sua testa, i fornelli erano accesi, le fiammelle bluastre danzavano, e il sangue che gli tappava le narici gli aveva impedito di sentire il buon odore di brodo di pesce.
Fissò per minuti interi le gambe di Haru, e il suo stupido grembiule blu col suo stupido delfino stampato sopra, finché lui non si inginocchiò con un mestolo di legno in mano e gli fece bere la brodaglia bollente tutto d’un sorso. Le spezie piccanti gli mandarono a fuoco il palato più di quanto non fosse già.
«Mi ami ancora?»
La domanda di Haruka, poi, fu come sbattere la testa contro il forno altre cento volte.
Non lo sapeva. Lo amava ancora? Poteva amarlo con tutto quello che gli stava facendo? Lo aveva imprigionato nella sua cucina, lo aveva battuto, gli aveva fatto un pompino e poi lo aveva battuto ancora fino a farlo svenire. Poteva amarlo ancora? Si era fatto Makoto dopo due anni di fidanzamento ufficiale, e poi penetrava in casa sua per tramortirlo con una padella perché lui aveva trovato sfogo con Sosuke.
Poteva amarlo ancora?
«Se non ti amassi avrei già trovato il modo di farti inalare tutto il gas della cucina.»
«Mpf. Sei un poliziotto, non un agente di spionaggio, Rin.»
«Ho partecipato ad addestramenti che tu non conosci.» Provò a ridere e nel farlo sputacchiò del sangue sul suo grembiule bianco e sul mestolo. Haru glielo conficcò fra le clavicole, strozzando un mezzo respiro.
«Quindi mi ami ancora, no?»
Rin non rispose, chiudendo lentamente gli occhi.
«Perché, sai, nelle ultime ore penso di aver capito qualcosa, riguardo questa roba. Cioè, tipo che non sarei dovuto andare a letto con Makoto se non volevi, così magari tu non mi avresti detto che, boh, cos’è che mi dicesti? Che ero una troia, e poi non saresti andato a letto con Yamazaki e forse adesso staremmo ancora facendo del disgustoso sesso senza nemmeno averne una gran voglia.»
«Il disgustoso sesso sarebbe stato comunque meglio di questo sangue e, complimenti Haru-chan, sei riuscito a mettere più di quindici parole insieme in una frase. Facciamo progressi.»
Haruka gli picchiò il mestolo sulle labbra con una violenza tale che Rin sentì i tagli ricominciare a sanguinare.
«Non mi è mai piaciuto parlare, a differenza tua.»
Rin si leccò il labbro inferiore. «Fallo adesso.»
«Penso che se tu non avessi parlato tanto in tutti questi anni non saremmo a questo punto.»
«Probabile.»
Cominciava a diventargli difficile anche spiccicar parola, i dolori avevano cominciato a svegliarsi per bene insieme alle sue membra e ai suoi muscoli.
«Cos’altro pensi?»
«Che siamo sbagliati.»
Quelle parole furono probabilmente più dolorose di un’ipotetica ultima sferzata che Haruka avrebbe potuto dargli con una cosa un po’ più prestante di un mestolo.
«Ci facciamo solo del male, noi, e ne facciamo agli altri. Dovremmo morire.»
Rin singhiozzò dal dolore, provando a muoversi e a dire che non si riteneva propriamente d’accordo, ma gli occhi di Haru – gli occhi di Haru-chan – parlavano per entrambi e raccontavano di una determinazione e sfrontatezza tale da far inorridire chiunque, compresi quelli che una volta li avrebbero creduti innamorati.
Rin non voleva morire. Rin non aveva alcuna intenzione di morire. Non ne aveva avuta quando Makoto gli aveva confessato che lui e Haru avevano fatto sesso, non ne aveva avuta quando Haru non aveva ricambiato il suo primo ti amo, non ne aveva avuta quando suo padre era morto.
Rin non voleva morire, non la ricordava nemmeno la volta in cui aveva desiderato di morire.
Non c’era stata, non doveva esserci.
«Haru, amore…»
«Rin, dovremmo ucciderci.»
«Haru, aspetta, stai calmo.»
«Rin, accendo il forno, possiamo baciarci con la testa lì dentro se vuoi.» Sembrava serio.
Oh cazzo, oh cazzo, oh cazzo.
«Haru-chan, ti prego, pensa al ristorante, pensa ai nostri amici.» Sporgendo la mano oltre il suo orecchio sinistro Haruka cominciò a settare i parametri del forno. «Pensa a Makoto, pensa a chi vuoi, ma… CAZZO, HARU!» Rin aveva appena cominciato a scalciare e a dimenarsi, tanto che il nodo allentato della catena che gli incarcerava la mano si fece abbastanza largo da sfuggirne alla presa.
«Rin.»
Il suo nome fu l’ultimo soffio di Haru prima che gli schiantasse la fronte contro il marmo del piano da cucina. Sul volto fu tutto rosso e poi amaro.
 
Di sera le cose si facevano sempre un po’ più nitide.
O forse era Makoto, a far sempre le cose un po’ più nitide.
Rin, dopo aver abbattuto Haru stroncandolo come una bestia, si era trascinato dietro il cassetto per trovare le chiavi delle manette, e quando una mezz’oretta più tardi Tachibana aveva bussato alla sua porta non se l’era proprio sentita di lasciarlo fuori.
Makoto leccava le ferite di Haru, Rin leccava le proprie come da bambino e ,in una bolla di pensieri confusi e strozzati, rimpiangeva che Haruka non fosse sveglio per vedere quant’era solo, adesso.
«Cosa hai intenzione di fare?»
Rin smise per un secondo di tamponarsi con il ghiaccio la faccia livida.
«Mi stai chiedendo se ho intenzione di arrestarvi entrambi?»
Makoto non sembrò preoccuparsi di essere stato tratto in ballo senza che davvero c’entrasse qualcosa in quella carneficina di sentimenti, pazzi, robe a caso. La sua preoccupazione al momento, sembrava essere  disinfettare la brutta ferita di Haru sulla fronte e pensare ad un posto sicuro dove portarlo e dove non avrebbe mendicato vendetta o giustizia, che dir si voglia.  
Rin sospirò, il primo e più lungo sospiro pulito che era stato in grado di fare in ventiquattr’ore.
«Temo solo che non finisca qui.»
«Non finisce qui, infatti.»
Affondò il volto nei palmi aperti delle mani e si stropicciò gli occhi con le dita, e si pentì di quello che stava per dire ancor prima di pensarlo.
«Stagli vicino, okay? Voleva ucciderci entrambi, voleva uccidersi.»
Makoto alzò lo sguardo, forse per la prima vera volta da quando era arrivato lì.
«E se un giorno scompaio, nessuno mi trova e nessuno trova il mio corpo… tu non sai niente, chiaro?»
Makoto si aspettava di vederlo ridere, dopo, ma Rin non lo fece. Era serio, più serio di quanto non fosse mai stato, e quell’improvvisa ovvietà sbattuta in faccia come una bottiglia di vetro fredda fece tremare il fegato ad entrambi e, come un riflesso spontaneo, abbassare gli occhi sul volto di Haruka.  
Rin si leccò le labbra spaccate a sangue e si passò una mano fra i capelli.
Se Haruka gli avesse creduto quando gli aveva risposto che sì, lo amava, sarebbe stato già morto.
 
 
Now he's gone. I don't know why
And till this day, sometimes I cry
He didn't even say goodbye
He didn't take the time to lie.
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice:
Mi dispiace essere una di quelle persone che trova divertente scrivere cose violente senza senso e magari anche un po’ demenziali con protagonisti maniaci/psicopatici. Sì, in poche parole mi dispiace essere un’ammiratrice della cinematografia di Tarantino (a proposito, la citazione alla fine è della canzone “You shot me down” perché stamattina ho rivisto per la trentesima volta “Kill Bill” e perché SSSI’).
Mi dispiace anche vedere Makoto come eternamente innamorato di Haruka e arrendevole, Rin eternamente innamorato di Haruka ma consapevole di quanto sia pazzo, e Haruka eternamente innamorato di entrambi ma consapevole che, se Makoto non lo abbandonerà mai, Rin ha bisogno di essere un po’ spronato a stargli vicino (magari legandolo ad un forno a gas, sì!). Perché loro tre sono la mia OTP (beh, OT3) in questo fandom, ma per Makoto qui c’era un po’ di spazio in meno.
 
Ero un po’ insicura nel postare questa… roba, ma alla fine mi son detta “boh, al massimo mi metteranno qualche bandierina rossa e mi lanceranno un paio di pomodori bannandomi dalla sezione, che sarà mai?”
 
Direi che possiamo terminare qui.
Au revoir! :*
   
 
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