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Autore: Bloomsbury    07/08/2014    7 recensioni
[Storia in revisione] Capitoli revisionati: 14/35.
Jay era un ragazzo come tanti, con qualcosa in più o in meno degli altri, un ragazzo normale, un ragazzo omosessuale: particolare insignificante per ogni persona di buon senso.
Si vergognava di tante cose, tranne che di questo.
Jay bramava la luce, la libertà.
Fece la scelta sbagliata nel contesto meno appropriato e quel particolare insignificante diventò la spada che lo uccise, la macchia scura che lo inghiottì.
«Mio figlio è morto il giorno stesso in cui ha tradito la natura che gli ho donato con orgoglio.»
«La natura che mi hai donato è quella che ti ho confessato…»
«È una natura che mi fa ribrezzo!»
Così comincia la storia di Jay Hahn, fatta di dolori, di abbandoni, di amore, di amicizia, di segreti, di bugie, di tempesta.
E le tempeste intrappolano nel proprio occhio ogni cosa, risputandoti fuori lacerato, diverso, un mostro.
Jay uscirà ed entrerà da quelle raffiche di vento, diventerà lui stesso la tempesta e annienterà ogni cosa al suo passaggio.
Compreso se stesso.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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"If you must wait,
Wait for them here in my arms as I shake
If you must weep,
Do it right here in my bed as I sleep
If you must mourn, my love
Mourn with the moon and the stars up above
If you must mourn,
Don't do it alone."

You- Keaton Henson 

 




33. You
 
Se n’era andato.
Beatrix si svegliò sola la mattina dopo, Jay non c’era ma le aveva lasciato la colazione sul tavolo e la tv accesa per non farla sentire sola.
Si massaggiò gli occhi feriti dalla luce del sole che entrava prepotente dalla finestra e si mise a sedere, ancora accaldata dalla coperta che il ragazzo le aveva avvolto con più cura addosso. Fissò la tv per qualche minuto ascoltando il notiziario e si accorse che non era propriamente mattina: aveva dormito per quasi undici ore e così profondamente da non aver neanche sentito Jay uscire. Ravvivò i lunghi capelli neri inclini al disordine, soprattutto dopo aver dormito, e poggiò i gomiti sulle ginocchia unite, reggendosi il mento per pensare a cosa avrebbe dovuto fare. Jay era stato gentile con lei ma, probabilmente, era arrivata l’ora di togliere il disturbo.
Prese il cellulare dalla borsetta e trovò due chiamate perse di sua madre: almeno lei l’aveva cercata.
La richiamò: «Mamma…» alzò gli occhi al cielo, sorbendosi una ramanzina: «Perdonami, lo so che sono sparita, ma ho avuto delle cose da fare. Tutto bene lì a casa?» chiese senza reale interesse.
I genitori, immigrati indiani, vivevano in una piccola cittadina del Kent; Beatrix era nata in Inghilterra ed aveva sempre sognato di trasferirsi nella City finché un giorno, durante una vacanza a Londra, riuscì a trovare un impiego part-time. Colse la palla al balzo, andando via da Aylesford con grande disapprovazione dei suoi.
Fosse stato per loro, all’età di sedici anni sarebbe dovuta tornare in India per sposare un tizio che non conosceva neanche, ma la sua caparbietà l’aveva premiata: ormai viveva a Londra da circa dieci anni e i genitori si erano finalmente arresi alle sue scelte.
Mentre chiacchierava con sua madre per tranquillizzarla notò una chiave e un biglietto incastrato sotto la tazza di caffè che Jay le aveva lasciato.
“Sono andato a sbrigare delle cose, non tornerò prima di stasera. Tu puoi rimanere se vuoi, fa’ come se fossi a casa tua. Jay.”.
Sorrise felice, avrebbe fatto qualcosa nell’attesa.
Strinse le chiavi di casa e salutando frettolosamente sua madre interruppe la chiamata. Innumerevoli progetti per la serata si accumularono nella sua mente e anche se avesse fatto la figura della gentile massaia in attesa del ritorno del marito avrebbe comunque preparato la cena per Jay; lo avrebbe coccolato e viziato come nessuno aveva fatto.
«Come nessuno avrà mai fatto, per lui.» si ripeté a fior di labbra, e non ne fu più così sicura.
Conosceva poco Jay, ciò che pensava di lui poteva non essere del tutto vero.
La casa era vuota, probabilmente non aveva mai ospitato nessuno diverso da lui, ma darlo per scontato sarebbe stato ingenuo, così sperò che a Jay facesse piacere la sua intenzione di accoglierlo in un vero ambiente familiare, con una donna capace di prendersene cura, e dopo essersi preparata uscì di fretta per recarsi a casa sua, prendere qualche vestito comodo per poi andare a fare la spesa.
Acquistò bacchette d’incenso, qualche fiore per rendere l’appartamento più confortevole e una sveglia perché, stranamente, in casa non ce n’era neanche una.
 
«Izaya, perché sei fissato con le sveglie?» urlò Jay in preda ad un attacco isterico dopo aver udito il suono dell’ennesimo orologio seminato per casa.
«Una sveglia sola non sarà mai capace di svegliarmi» rispose alzando la voce per farsi sentire dal suo ragazzo ancora nel letto, mettendo fine all’ultimo trillo del buongiorno che aveva invaso il bagno.
«Un giorno le butterò tutte.»
«Dovrai passare sul mio cadavere!».

***
 
Era andato da Brad perché l’aveva cercato, fosse stato per lui non si sarebbe mai recato spontaneamente a casa sua, ma l’uomo aveva insistito.
Brad non si capacitava del fatto che Jay fosse sparito, soprattutto dopo aver stabilito insieme come avrebbero dovuto improntare il loro nuovo rapporto.
Aveva preso i suoi soldi e se n’era andato, senza farsi più sentire.
Trovò quel gesto abietto ed egoista e non avrebbe mai accettato un simile comportamento.
Avevano parlato molto e Jay, per tutto il tempo, aveva cercato di spiegargli che non sarebbe stato così semplice riuscire a vederlo diversamente, come un fidanzato buono e generoso. Gli spiegò che in passato si era sentito come un giocattolo e che sarebbe servito qualche altro mese prima di riuscire a togliersi quella sensazione da dosso; aveva ammesso di aver preso quei soldi per rassegnazione, perché ormai si era arreso al fatto di essere messo al pari di una prostituta, di una proprietà.
A Brad non andò giù tanta arrendevolezza e diffidenza nei suoi confronti, poiché stava cercando in tutti i modi di cambiare e di diventare per Jay un buon compagno.
Non riuscivano a capirsi, ad avere pazienza l’un l’altro e quando la comprensione è nulla da entrambe le parti, succede che uno dei due pecca di prepotenza, sovrastando l’altro.

***
 
Arrivò a casa verso sera; non ricordava neanche più di aver lasciato Beatrix nel suo appartamento. Aprì la porta e, immediatamente, un profumo intenso lo stupì.
Si ricordò di Izaya quando, nei giorni liberi, amava coccolarlo preparandogli manicaretti, ma se l’artefice di quello sfizioso profumo fosse stato davvero Izaya non si sarebbe ritrovato a sentire il dolore acuto che gli invadeva le guance.
Se lui fosse stato ancora vivo, non sarebbe mai caduto sotto le grinfie di Brad.
Beatrix raggiunse la porta sentendo il rumore della chiave nella toppa e quando vide la faccia tumefatta di Jay il sorriso le si paralizzò.
«Cosa ti è successo?» chiese spaventata, con le mani alla bocca dallo stupore.
«Sto bene.» il filo di voce ammaccato diceva il contrario.
«Sei sicuro?»
«Sì, non è niente.» rispose entrando in casa zoppicando.
Beatrix non riuscì a dire altro ma lo scrutò con attenzione e ciò che vedeva fece più male di qualsiasi altra cosa: Jay aveva la T-shirt strappata sulla spalla marchiata da un livido rosso, quasi violaceo, e il sangue, ormai rappreso, gli ricopriva le labbra e il naso segnato dalle percosse. Gli occhi rigonfi non permettevano di cogliere la sua espressione e lei, d’istinto, gli si mise davanti per sostenerlo.
«Mi fai passare, per favore?» la implorò privo di forze, con voce tremolante.
Beatrix si scostò e scrutando le spalle ricurve e fiacche di Jay poté intravedere ciò che esisteva davvero sotto la sua pelle: era l’anima a bruciare, a fare male, non il livido sul viso né la schiena piegata dai colpi; l’umiliazione che provava era infinitamente più grande di qualsiasi ferita aperta e sanguinante.
Si mise da parte, lasciandolo solo. Capì che non era stata una semplice scazzottata, lui era stato privato di qualcosa, lo sentiva nettamente: qualcuno gli aveva rubato un pezzo importante e l’aveva ridotto in cenere.
Era un Jay incompleto quello che aveva davanti, ma qualcosa le disse che stava sbagliando ancora, forse qualcuno l’aveva solo spogliato della sua maschera e quello che vedeva adesso era il vero Jay.
Il ragazzo si diresse verso la stanza da letto a passi lenti e mozzati dalla vergogna, non era più se stesso, non aveva reagito; si era lasciato picchiare e violentare senza combattere, ormai era stanco di nascondersi e aveva permesso a Brad di abusare della sua stanchezza.
Aveva sempre finto di essere un battagliero capace di tenere testa a chiunque, stavolta non riuscì a mentire e si lasciò prosciugare, fino a farsi svuotare a suon di pugni e calci. Brad aveva perso le staffe, d’altronde era stanco anche lui di lottare contro un ragazzo incapace di comportarsi in modo coerente; pensava questo, dandosi tutte le colpe, mentre si privava dei pantaloni intrisi di sangue asciutto.
Beatrix entrò nella stanza e lo aiutò a spogliarsi.
Lui ripeteva di continuo che stava bene, accennando un sorriso, ma tutto quell’ottimismo non la rassicurò neanche per un attimo poiché avevo imparato a sue spese, in passato, che quando si cerca di convincere qualcuno mascherando la realtà palese non si vuole fare altro che nascondere, agli occhi degli altri, ciò che è veramente importante, tuttavia in quel momento non era rilevante sapere se stesse bene, ma era prioritario, per lei, capire chi l’avesse ridotto in quel modo e perché.
Lo aiutò a stendersi sul letto ancora in ordine e mai usato per quella notte; non gli chiese nulla, voleva dargli i suoi tempi senza pressarlo, ma una rabbia incontenibile si fece strada in lei e pensò che se avesse avuto davanti chi l’aveva ridotto in quello stato l’avrebbe fatto a pezzi con le sue stesse mani.
Lo lasciò solo nella stanza per preparargli un bagno caldo e non appena udì il cellulare di Jay squillare spense l’acqua della vasca per ascoltare la conversazione.
Lui parlava con un filo di voce tremante, era ancora scosso e debole, così Beatrix accese di nuovo l’acqua e si diresse verso di lui per ascoltare la conversazione: era certa fosse il suo aggressore dall’altro capo del telefono.
«Sì, non ti preoccupare. Sì, sì… non è successo niente, non mi hai fatto niente, sto bene!».
Beatrix odiò quel suo “sto bene” come nient’altro nella sua esistenza e cominciò ad urlare in preda alla rabbia più nera: «Non stai bene per niente…» prese il telefono dalle mani di Jay, stringendolo tanto da farsi male: «Non sta affatto bene!!! Ti avverto, brutto depravato e pazzo che non sei altro, giuro che se ti becco ti faccio una faccia come un pallone. Giuro! Non ti avvicinare più a lui.» riattaccò ansimando.
Jay era allibito, la fissò come un cucciolo impaurito, ma la ragazza decise di non farsi intenerire e ritornò nel bagno come se nulla fosse successo.
Poco dopo, la raggiunse con aria spaesata ed imbarazzata: si vergognava ed era certo di non averla ingannata con le sue parole rassicuranti. Stava male nel corpo e nell’anima e sapeva che non l’avrebbe mai potuta convincere del contrario.
«Spogliati! Il bagno è pronto.».
Jay, togliendo l’accappatoio, cercando di nascondere i lividi ed i graffi che aveva addosso, si bagnò gradualmente saggiando con le dita dei piedi il calore dell’acqua che, a poco a poco, una volta essersi immerso completamente, si tinse lievemente di rosso. Alla vista di quel sangue Beatrix chiuse gli occhi cercando di placare la rabbia e si inginocchiò sul pavimento, accarezzandogli dolcemente la mano aggrappata al bordo della vasca per cancellare con l’amore tutto il dolore che aveva addosso, senza riuscire, però, a lavare via l’umiliazione che avviluppava la sua anima.
Gli sciacquò con cura il viso che, lentamente, si riappropriò dei suoi delicati e puliti lineamenti; accarezzò i suoi capelli che si inzupparono, dando vita a tiepide e gentili gocce che, scendendo lungo il collo e le spalle, restituirono sollievo alla sua pelle. Con dolci e generose carezze, Beatrix liberò la sua schiena dalle ferite e si accorse che la pelle di Jay non era più abituata alla dolcezza; così tentò di estinguere il dispiacere e la sofferenza sporgendosi un po’ verso di lui, dandogli un bacio sugli occhi, svegliandoli dalla fissità data dalle sue memorie. Sorrise nel tentativo di rassicurarlo e lui rispose, a sua volta, con una lieve e sgualcita manifestazione di gratitudine che gli illuminò impercettibilmente le iridi che, ormai, avevano quasi totalmente preso il colore dell’acqua. Beatrix soffocò un lamento di dolore: occhi così belli e trasparenti ma pregni di un dolore così lancinante non ne aveva mai visti, e per alleggerire l’atmosfera lo schizzò con un po’ d’acqua sul viso, giocando con lui come fosse bambino. Ottenne l’effetto desiderato: una piccola e fiacca risata riempì i pochi metri quadrati del bagno; Jay rideva di cuore, sinceramente, seppur a fatica.
Non si diedero un tempo preciso per scambiarsi tenerezze e cure, fecero tutto con una calma quasi ipnotica tanto da rilassarsi abbastanza da mettersi a letto con un peso in meno. Finì asciugandogli il corpo ed i capelli con movimenti lenti e delicati per non fargli del male e lo accompagnò a letto dopo avergli cambiato le lenzuola per farlo dormire nel profumo che rasserena, nella freschezza che consola e lenisce le ferite.
Si stese, infine, accanto a lui, continuando a regalargli attente carezze sul viso.
«Sto be…» non riuscì a finire poiché lei lo zittì con un solo sguardo.
Jay rise ma Beatrix decise, a malincuore, di privarlo anche di quell’ultima risata; doveva sapere: «Perché?»
«Cosa?»
«Perché ti sei venduto a quell’uomo?».
Il ragazzo abbassò lo sguardo come se qualcuno gli stesse suggerendo che era arrivata l’ora di parlarne e voltandosi verso il cassetto del comodino raccolse l’unica foto che gli era rimasta del suo unico vero amore.
Beatrix la guardò dispiaciuta; non sapeva chi fosse quell’uomo nella foto, ma capì che non esisteva più perché, se fosse ancora esistito, ci sarebbe stato lui accanto a Jay.
«Questo è Izaya.»
«Chi è?».
Jay liberò di colpo tutta la malinconia che aveva tenuto imprigionata nel fondo dei suoi occhi e la riversò tutta nel tono della sua voce, nelle mani deboli che cominciarono a stringere le lenzuola: «È l’uomo che amo.».
Per paura di chiedere troppo, Beatrix titubò per un istante ma capì che se voleva salvare Jay avrebbe dovuto ferirlo anche con le domande: «Dov’è, adesso, Izaya?»
«È morto e questa è una delle poche cose che mi sono rimaste di lui.»
«Per questo ti sei venduto a quell’uomo?» chiese asciugando la piccola lacrima aggrappata alle ciglia del ragazzo.
«Mi sono venduto per soldi, per debolezza, per incapacità di reagire, per mancanza di lucidità…»
«Quando stavi con Izaya ti vendevi?».
Jay distolse lo sguardo come se volesse nascondersi dalla foto e dagli occhi del suo uomo che fissava l’obiettivo, che sembrava lo guardasse: «No, quando stavo con lui no. Ho iniziato dopo la sua morte.» si fermò per poi lasciarsi andare sinceramente per la prima volta, raccontando la storia per intero, dall’inizio. «Quando ho conosciuto Izaya non avevo niente. Ero figlio di una famiglia piuttosto agiata che, dopo aver scoperto le mie “tendenze”, mi ha dimenticato. Vivevo ancora in casa mia ma come un fantasma, senza farmi notare troppo. Né mia madre né mio padre hanno avuto più considerazione di me. Sembrava di vivere in un girone dell’inferno, dove vedi la tua famiglia proseguire felice senza di te, lasciandoti indietro. Un giorno sono andato a bere qualcosa in un bar, avrei voluto cancellare tutto e tutti come si fa con i profili di facebook: con un tasto…” Beatrix sorrise, avevano avuto lo stesso pensiero, ma lo lasciò continuare perché aveva compreso che, in quel momento, Jay non stava facendo altro che raccontare a se stesso ciò che gli aveva rovinato la vita. «Ma non fu così. Cercavo di pensare ad altro ma non ci riuscivo e più ricordavo, più avrei voluto morire, e proprio mentre stavo per perdere ogni speranza di risalita ho visto Izaya seduto al tavolo di un bar da solo, che mi fissava. Lo notai subito… da lì cominciarono una serie di corteggiamenti neanche troppo velati, ho deluso un amico per lui e, te la faccio breve, ci siamo incontrati ripetutamente in quel bar fino a che ci siamo innamorati.» sorrise, era arrivato alla parte più bella della sua storia. «Izaya è entrato a far parte della mia vita come una tempesta e mi ha salvato in ogni modo possibile, mi ha preso con sé liberandomi letteralmente da quella prigione fatta di indifferenza, di silenzi e delusioni. Ho passato i momenti più belli della mia vita con lui. Non andavamo sempre d’accordo, io ho il mio caratterino e lui aveva il suo, siamo stati insieme due anni solo che, poi, alcune divisioni non si possono cancellare: la sua morte ci ha divisi per sempre.».
Finalmente le sue lacrime cominciarono a sgorgare mischiate alla sofferenza e Beatrix gli strinse la mano per dargli coraggio; la cosa funzionò perché ricominciò a raccontarle il resto: «Quando è morto ho vissuto come uno zombie per mesi e mesi, per cancellare il dolore mi dimostravo indifferente a me stesso e ai miei sentimenti e ho proseguito la mia vita facendo di tutto pur di non pensarlo, senza riflettere troppo sul passato. Sapevo di seppellire un ricordo che basta un filo di vento o una corrente di risacca per farla ritornare in superficie, ma mi ostinavo a farlo senza affrontare veramente la sua morte; così un giorno ho incontrato quell’uomo all’Escape: non mi piaceva, non mi è mai piaciuto, ma mi sono lasciato raggirare. Non voglio giustificarmi, ma mi sono lasciato ingannare da lui e dalla mia incapacità di far fronte al dolore, ai problemi pratici che si accumulavano e non sapevo come risolvere.» si perse nei suoi pensieri e, subito dopo, continuò frettolosamente: «Mi ha portato a casa sua, abbiamo fatto sesso e la mattina dopo mi ha pagato con duecento sterline… ho iniziato così ad accettare di essere il suo giocattolo.»
«Posso capire perché ci sei caduto, si può dire che tu non fossi completamente in te, ma perché hai continuato? Sei un ragazzo che può avere tutto dalla vita, perché hai scelto di continuare?»
«Beatrix, quando ti accorgi che non sei più capace di provare niente e che la tua vita consiste di solitudine e affitti da pagare, allora, anteponi i soldi e qualsiasi cosa non ti faccia pensare a te stesso. Alla fine, a suo modo, Brad mi ama.»
«Credi che quello sia amore?»
«Una strana forma di amore. Mi tratta bene se evito di farlo impazzire con i miei comportamenti incoerenti: una volta dico , altre volte dico no, poi gli chiedo di sparire dalla mia vita e successivamente lo accolgo di nuovo.»
«Jay, lui ti compra con i soldi, non è amore! Crede che tu sia di sua proprietà perché ti ha comprato, la tua vita gli appartiene; pensa di avere il diritto di poter disporre di te come vuole, tanto da picchiarti e trattarti come un giocattolo, da pretendere da te qualsiasi cosa e se ti rifiuti crede di potersi avvalere della facoltà di farti del male senza conseguenze perché tanto, poi, il giocattolino Jay dice: Sto bene!».
Jay abbassò lo sguardo, sapeva di essere entrato in un circolo senza fine ma, ormai, se n’era fatto una ragione, ci aveva fatto l’abitudine.
«Beatrix, perché hai pianto quando te l’ho detto?».
Il cuore le si fermò. Avrebbe potuto dire di tutto, ma l’unica realtà, che non avrebbe mai ammesso, era che dal primo momento in cui aveva posato gli occhi su di lui, l’aveva amato. «Perché tu non hai idea di cosa sei, Jay. Appena ti ho visto ho pensato fossi il più bel ragazzo al mondo: la tua luce mi ha accecata e, chiamami sentimentale, ma penso che tu sia di un altro pianeta, la più bella persona che io abbia mai visto. Insomma Jay: credo che tu ti veda meno importante e speciale di quello che sei.» concluse con convinzione, provocando una risata scrosciante di Jay: «Forse sei tu che mi vedi migliore di quello che sono.»
«No. Io sono convinta che tu provi una disistima tale da credere che la vita non abbia più importanza, ti vendi perché non dai più valore a te stesso, pensi che non ti costi nulla venderti perché tu ti ritieni un nulla, questo perché Izaya, per te, era tutto. Per questo ho pianto, Jay. Perché non riuscivo a capacitarmi del fatto che un ragazzo così speciale, con quegli occhi sinceri e trasparenti, potesse svalutarsi così tanto per i soldi. Adesso so che non sono stati i soldi a muoverti, ma tu devi prendere coscienza di ciò che sei, devi rivedere la tua scala di valori ed è indiscutibile che al primo posto devi mettere te stesso… sopra a tutto! L’uomo della tua vita non c’è più ma tu esisti, vivi, il tuo cuore batte. Tu meriti di vivere e di ritrovare la fiducia, l’amore, le persone importanti, te stesso. Ti prego, fallo.» lo pregò piangendo, sentendo spezzarsi il cuore nel petto ad ogni parola. Desiderava fortemente ciò che diceva, voleva vederlo reagire e combattere per la sua vita, liberarsi di tutto il marcio del quale si era circondato.
Per la prima volta, Jay avvertì veramente il suo cuore scalciare nel petto, Beatrix era stata in grado di farglielo sentire ancora, ma non per rabbia o per dolore, sentì l’amore.
Beatrix non capì quali sentimenti avessero scatenato la reazione di Jay che cominciò a piangere così dolorosamente e apertamente che sembrava si potesse toccargli l’anima con un respiro. «Mi manca, mi manca come l'aria che respiro. Mi manca il suo abbraccio, il suo calore. Beatrix, a me manca Izaya» ruggì disperatamente tra le lacrime, stringendo la maglietta di lei che, inerme, assisteva alla manifestazione di un dolore più insostenibile di ciò che credeva. In quel pianto vide un ragazzo fragile e solo che non chiedeva altro di essere amato ancora, come aveva fatto Izaya; vide un ragazzo lacerato dal dolore della perdita, che aveva perso prima la sua famiglia, poi l’unico uomo che avesse mai veramente amato; vide un ragazzo smarrito al quale un uomo meschino e putrido aveva fatto credere che il suo valore potesse essere acquistato con il denaro, vide un ragazzo che non si perdonava per la sua incapacità di essere forte, per la sua debolezza nell’accettare il distacco, la perdita e l’abbandono. Beatrix l’abbracciò sciogliendosi in lacrime, sperando di poter allontanare dal cuore di Jay il dispiacere, la disillusione e il disprezzo per questa vita che l’aveva lasciato solo, in balìa degli eventi e dei suoi stessi errori.
Pensò che tutti quelli che l’avevano lasciato solo, compresi i suoi genitori, si fossero comportati come lei stessa aveva fatto con il suo account facebook: lo avevano cancellato dalla propria vita come una piccola foto vicina ad un nome, cestinando ogni suo sogno, ogni ricordo, ogni sentimento.
Ma Jay non era un contatto di facebook, lui era una persona, un ragazzo, un uomo capace di provare sentimenti talmente profondi e travolgenti da non riuscire ad accettare di essere lasciato indietro. Jay era stato rifiutato, ripudiato dal mondo, dalla vita delle persone, da Dio stesso.
Così lo abbracciò più forte, poggiandolo sul cuore, con la speranza che si sarebbe addormentato con la chiara sensazione che qualcuno, in questo maledetto mondo, non l’avrebbe mai abbandonato.
Si addormentò dopo ore di lacrime e di frasi sconnesse, ferito nella carne e nello spirito e Beatrix, a poco a poco, si assopì con lui, avvicinandolo a sé come solo una donna innamorata può stringere la persona più preziosa della sua vita.




Angolo Autrice.
Ciao miei cari, siamo a meno due e non immaginate quanta tristezza ho adesso. Sì, perché in realtà nel mio pc Jay è finito da un pezzo. Adesso mi tocca condividerlo con voi. Voglio ringraziare tutti quelli che mi hanno sostenuto sempre e puntualmente e mi scuso per la lunghezza di questo capitolo. Forse, per renderlo meno enorme, avrei dovuto dividerlo, ma a furia di dividere capitoli troppo lunghi 'sta fine mi sta diventando più lunga di una divina commedia.
Spero davvero di non deludervi.
Grazie a chi ha inserito la storia nelle seguite/preferite/ricordate.
Aspetto vostri pareri.
Bacini sparsi.
Bloomsbury

   
 
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