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Autore: EvgeniaPsyche Rox    08/08/2014    9 recensioni
''Benvenuti nella vita di Roxas Daver, un ragazzo di diciotto anni che vive in una caotica città e che ama la fotografia sin da quando era bambino. Se desidera trovargli un fottutissimo lavoro, prema uno. Se desidera aiutarlo a liberarsi di suo fratello gemello, prema due. Se desidera far capire a Jack che esistono i microonde, prema tre. Se desidera parlare con la fortuna per chiederle gentilmente di andare a baciare un po' Roxas, la preghiamo di attendere: in questo momento la fortuna è impegnata a dare botte di culo a tante altre persone molto più importanti dei suddetto Roxas Daver. Se nel frattempo vuole rompere le palle al ragazzo, faccia pure; tanto ormai è diventato un hobby per tutti!''
[Cross-over tra ''Kingdom Hearts'' e ''Le Cinque Leggende.'']
Genere: Commedia, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Roxas, Un po' tutti
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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Between photos and chaotic days.


Capitolo 1: Roxas Daver.


«Benvenuto nel servizio clienti. Se desidera conoscere le nuove offerte, prema uno. Se desidera avere informazioni sulla sua linea, prema due. Se invece vuole scoprire il suo piano tariffario e il suo saldo punti, prema tre. Se desidera parlare con un operatore, la preghiamo di attendere in linea; in questo momento i nostri operatori sono tutti occupati in altre conversazioni. Se nel frattempo desidera saper-»
Roxas chiuse di scatto la chiamata con la testa pulsante e la fronte aggrottata; la mano, scossa da fremiti, ancora stringeva la cornetta del telefono, e gli occhi blu emettevano lampi e tuoni, prossimi ad un vicino temporale.
''Mantieni la calma, Roxas. Mantieni la calma e il controllo. Ricordati quello che ti avevano insegnato quei rompicoglioni del corso di yoga che hai frequentato a quindici anni.''
Contare fino a dieci prima di reagire d'impulso e chiedersi se vale davvero la pena arrabbiarsi per un cosiddetto ''futile motivo''.
Che cos'è un futile motivo? Semplice, un motivo inutile e banale; arrabbiarsi per un futile motivo equivarrebbe a rovinarsi la giornata per qualcosa che tra due o tre mesi avrai già scordato.
Roxas sospirò pesantemente e si lasciò andare sul divano, massaggiandosi ripetutamente le tempie con aria stanca.
Odiava quelle fottutissime compagnie telefoniche che non facevano altro che asfaltargli i coglioni con inutili discorsi, utilizzando parole che neanche conosceva: piano tariffario, saldo punti e cazzate del genere. Insomma, tutto ciò che desiderava era soltanto capire perché diavolo il suo computer aveva smesso di punto in bianco di funzionare.
Odiava le compagnie telefoniche, sì. Le odiava a morte. Proprio come da bambino aveva odiato i suoi amichetti stronzi che gli scoppiavano i palloncini per dispetto e proprio come da liceale aveva odiato i suoi compagni di classe che passavano il loro misero tempo a scrivere scemenze su Facebook.
Ecco, a proposito di Facebook; inutile dire che per lui era l'invenzione più idiota che l'uomo avesse mai potuto tirare fuori dal proprio cervello.
O forse l'invenzione più idiota era l'autobus? O il treno? In fondo nessuno dei due era in grado di arrivare puntuale. Hai un colloquio di lavoro alle otto e trenta? Ma chissenefrega! Ci pensa il treno a farti tardare di mezz'ora, non ti preoccupare!
Prendere un taxi? Impossibile! Perché? Semplicemente per il fatto che ti fanno fare dei giri assurdi, il più lunghi e intricati possibili, tutto pur di prendere dei fottutissimi soldi in più.
E i fottutissimi soldi in più non poteva di certo tirarli fuori dal culo con una bacchetta magica. 
Un altro sospiro, forse addirittura più rumoroso del precedente; Roxas accese la televisione con aria annoiata, iniziando a fare zapping con il telecomando e commentando con affilata ironia tutto ciò che gli passava di fronte agli occhi.
Un'altra cosa, o meglio, un'altra persona che odiava era sicuramente quel ritardato di suo fratello gemello Sora. Ogni maledettissimo giorno della sua dannatissima esistenza si chiedeva come diavolo avesse fatto ad uscire un essere così stupido, idiota, tonto e con una ghianda al posto del cervello. Una ghianda che, tra l'altro, era stata mangiata da uno scoiattolo; di conseguenza il cranio di suo fratello era vuoto. Vuoto e desolato, proprio come un deserto.
Sora sembrava il risultato della fusione tra un'ameba, un coleottero e un bradipo. Anzi, se proprio doveva commentare la presenza di suo fratello, le uniche parole che gli venivano in mente erano quelle che aveva sentito parecchi anni fa in un cartone animato: ''Sembrava un'alce che aveva dato alla luce un elefante.''*
«Noioso. L'ho già visto. Sdolcinato. Stupido. Questo è per pseudo-rincoglioniti.», mormorò come una macchinetta passando da un canale all'altro, mantenendo un'espressione apatica e indifferente.
E odiava suo cugino quando si intrufolava a casa sua giusto per sgraffignare qualche leccornia e andarsene via; sì, odiava Jack quando si piazzava in cucina e iniziava a mangiare quintali e quintali di roba fredda e surgelata, ignorando totalmente l'esistenza di un oggetto chiamato ''microonde''.
Spense la televisione e sospirò per la terza volta; allungò la mano e afferrò la cornetta del telefono, componendo nel frattempo il medesimo numero di prima.
«Benvenuto nel servizio clienti. Se desidera conoscere le nuove offerte...»
E, mentre ascoltava distrattamente il solito discorso di quella dannatissima voce robotica, pensò che sarebbe stato proprio bello avere una sorta di segreteria nella propria vita.
''Benvenuti nella vita di Roxas Daver, un ragazzo di diciotto anni che vive in una caotica città e che ama la fotografia sin da quando era bambino. Se desidera trovargli un fottutissimo lavoro, prema uno. Se desidera aiutarlo a liberarsi di suo fratello gemello, prema due. Se desidera far capire a Jack che esistono i microonde, prema tre. Se desidera parlare con la fortuna per chiederle gentilmente di andare a baciare un po' Roxas, la preghiamo di attendere: in questo momento la fortuna è impegnata a dare botte di culo a tante altre persone molto più importanti dei suddetto Roxas Daver. Se nel frattempo vuole rompere le palle al ragazzo, faccia pure; tanto ormai è diventato un hobby per tutti!''
Sì, la sua segreteria, probabilmente, sarebbe stata più o meno così.

 





«E muoviti, brutta faccia da culo!», strillò un ragazzo tirando fuori la testa dal finestrino dell'auto e allungando nel frattempo la mano per dare maggiore enfasi alla propria rabbia. «Perfino il bisnonno di mio nonno andava più veloce, cazzo! E schiaccia quel fottutissimo acceleratore, porca miseria!»
«Hayner, ti ho già detto tre volte che è inutile sbraitare in questo modo. Tanto il traffico non si muoverà comunque.», borbottò Roxas con aria esasperata, scuotendo ripetutamente la nuca. «Cerca di mantenere la calma.»
L'altro presente gli lanciò una fugace occhiata di traverso e sollevò un soppraciglio, sistemando intanto lo specchietto. «Lo sto facendo per te, bello», spiegò successivamente con fare raggiante, accennando un allegro sorriso. «E poi non sono mica incazzato davvero con quei fottutissimi automobilisti. Semplicemente mi diverto un sacco a suonare il clacson e a imprecare a gran voce; è un modo elegante per iniziare la giornata, non trovi?»
A quella domanda retorica Roxas non riuscì a fare a meno di ridere; era incredibile come Hayner riuscisse sempre a migliorargli le giornate con quella sua incredibile ironia che lo caratterizzava.
«Assolutamente. Suonare il clacson e imprecare alle sette e quarantacinque del mattino sono proprio dei gesti da persone di classe.», proseguì il discorso Roxas mentre arrotolava l'indice intorno al laccio della macchina fotografica che aveva attorno al collo.
«Certo che sì!», concordò energeticamente l'altro, illuminandosi non appena si accorse che la fila aveva finalmente iniziato a muoversi.
Hayner Dietrich era il suo migliore amico da tempo ormai immemorabile; si era trasferito dalla Germania in tenera età e si erano conosciuti in mezzo alle monotone lezioni scolastiche, tra risate e rimproveri da parte della professoressa di matematica -Poiché non facevano altro che prenderla in giro dalle otto del mattino fino alle tredici e un quarto-. 
La cosa strana è che a primo impatto Roxas aveva pensato che Hayner fosse il solito tedesco antipatico e rompipalle; rigido, freddo e distaccato, o comunque qualcosa del genere. E invece ben presto aveva capito che Hayner di tedesco, a parte il cognome, l'amore per la birra e forse il colore dei capelli (I quali ora avevano addirittura assunto una tinta decisamente più scura), non aveva praticamente nulla: con quel suo sorriso sghembo perennemente stampato sul volto, il suo atteggiamento strafottente e per nulla elegante, sembrava l'esatto opposto del classico stereotipo tedesco.
Nonostante alle superiori avessero scelto indirizzi differenti, non si erano mai persi di vista; ogni volta che termivavano i tanto odiati compiti e ogni sorta di impegni extrascolastici, cercavano di vedersi, anche se solo per mezz'ora.
Insomma, Hayner era una delle poche persone alle quali voleva veramente bene; non solo perché avevano trascorso praticamente l'adolescenza insieme, ma anche perché era stato l'unico ad incitarlo a buttarsi a capofitto nel mondo della fotografia, credendo veramente in lui.
«Un giorno di questi dovrai venire a trovarmi in qualche locale.», Hayner interruppe nuovamente il silenzio, abbassando leggermente la musica proveniente dalla radio. «Tanto per spassarcela un po'... Se hai capito che cosa intendo.»
Ecco, un altro dettaglio sicuramente di fondamentale importanza è la diversità dei due, la quale si poteva notare già semplicemente dalle loro passioni e dai loro lavori; se Hayner era un'amante del caos e del casino, al contrario Roxas era un tipo piuttosto tranquillo e pacato. Non per nulla, il primo si era lanciato da circa un anno in una carriera da Disc Jockey, meglio conosciuta come Dj; passava praticamente tutte le sue serate a mixare la musica in qualche locale, possibilmente di volta in volta uno diverso dall'altro, e, nel frattempo, se ne approfittava per conoscere gente nuova e divertirsi un po'.
Roxas non aveva mai approvato del tutto quel suo stile di vita così confusionario ed imprevedibile; nonostante ciò aveva comunque cercato di appoggiarlo, proprio come aveva fatto lui con la sua passione verso la fotografia.
E, nonostante Hayner non fosse mai stato una cima negli studi, la sua cosiddetta ''fatica'' sembrava aver dato i suoi frutti; era un Dj certamente conosciuto e ricercato nella città, probabilmente anche per il fatto che il suo aspetto fisico attirava un mucchio di ragazzine in calore, come le chiamava Roxas.
Sì, insomma, Hayner riusciva comunque a farsi notare, con le sue iridi marroni maliziose, i suoi modi di fare, la sua affilata ironia e i suoi tanto amati pantaloni militari.
«Mi stai per caso chiedendo implicitamente di voler fare sesso con me?»
A quella domanda Hayner scoppiò in una grassa risata e tirò una pacca sulla spalla del vicino, suonando nel frattempo il clacson un'altra volta, giusto per dare maggiore enfasi al proprio divertimento. «Ma certo, in fondo sai che io ti amo alla follia!»
Roxas allora scosse leggermente la nuca e rise appena; dopodiché lanciò un fugace sguardo all'ambiente riflesso attraverso il finestrino, alle auto, alla gente, ai negozi pronti ad aprire e al solito via-e-vai mattutino. 
La finestra, in un modo o nell'altro, era qualcosa che gli aveva sempre messo una certa tristezza. Guardare il mondo esterno sembrava in qualche maniera turbarlo, forse perché non si sentiva esattamente al proprio posto. O, chissà, il gesto di osservare la finestra era una conseguenza della sua improvvisa malinconia che talvolta, di punto in bianco, pareva interrompere l'andamento della sua giornata, come quegli scogli particolarmente grandi che, quando era bambino, gli avevano impedito di fare incredibili tuffi in mare.
«E se non dovesse andare bene neanche 'sta volta?». Hayner in risposta si voltò immediatamente verso il biondo, rischiando addirittura di non frenare in tempo di fronte al semaforo rosso. «Dicono che la terza sia la volta buona.»
«Hai detto la stessa cosa anche la settimana scorsa.», gli fece notare con aria alquanto infastidita Roxas, sentendosi quasi preso in giro. «Forse dovrei...»
«Dovresti cosa?», alzò improvvisamente il tono di voce l'amico, guardando nervosamente di fronte a sé nella speranza di non far notare che in realtà la propria rabbia era dovuta a Roxas e non al semaforo che sembrava essersi bloccato in eterno sul rosso, come al solito. «Lasciare perdere? Buttare nel cesso il sogno di una vita? E che cosa farai? Andiamo Roxas, dopo tutti gli anni passati a lottare con i tuoi genitori. Mi ricordo ancora quando in seconda superiore sei scappato di casa e sei venuto a dormire da me per due giorni.»
Il giovane dalle iridi blu ridacchiò leggermente, ripescando tra i meandri della sua mente quel ricordo che, vissuto sul momento, era parso come una vera e propria tragedia, mentre oramai si era trasformato semplicemente in un episodio particolarmente divertente da raccontare, seppur in fondo aveva sempre un sottile gusto un po' amaro. «Penso di aver fatto quasi venire una crisi di nervi a Cloud e a mio padre.»
«Però dai, i poliziotti erano davvero simpatici», annuì Hayner con un sorrisetto beffardo dipinto sul volto; successivamente fece finalmente ripartire l'auto e alzò appena la musica alla radio, giusto per distrarsi un po', ma non troppo da impedirgli di ascoltare il compagno. «Comunque non puoi arrenderti, cazzo.»
«Non mi avevi lasciato finire di parlare, scemo.», lo ammonì il biondo, scrollandosi le spalle. «Volevo solo dire che... Non so, però, sai, dopo un po' diventa stressante cercare un lavoro che ti piaccia.»
«Ma se hai provato solo due volte!», tuonò Hayner, battendo la mano sul volante. «Conosco gente che per trovare un lavoro ha impiegato un anno intero!»
Ecco, se c'era una cosa che non sopportava proprio del suo migliore amico erano i suoi sbalzi improvvisi. Non tanto d'umore, in fondo anche lui era piuttosto lunatico, più che altro la sua voce che, di punto in bianco, si alterava perfino per gli argomenti più banali.
Nonostante ciò forse, in fondo, almeno in quel momento, non poteva biasimarlo di certo. Anzi, a dire il vero Hayner aveva tutta la ragione del mondo ad arrabbiarsi così con lui.
Erano gli ultimi giorni di Settembre e Roxas era uscito dagli esami di maturità con un voto decisamente alto, il che lo aveva messo in serie difficoltà: tentare di frequentare l'Università, o comunque qualche corso legato alla fotografia, o buttarsi direttamente nel mondo del lavoro?
Dopo aver passato il mese di Luglio a chiedere consigli a tutti i suoi conoscenti, inclusi anche i più stupidi e impensabili come Sora, il quale se n'era uscito con una frase del tipo ''Sono sicuro che sceglierai la cosa giusta, devi solo seguire il tuo cuore!'', era passato poi a Cloud, suo fratello maggiore, che, proprio come si era immaginato, gli aveva caldamente consigliato di frequentare un'Università che avrebbe potuto in qualche modo aumentare il prestigio della famiglia.
Ma Roxas aveva bellamente ignorato Cloud e alla fine aveva seguito il consiglio di Hayner: «Università? Mi prendi per il culo? Vuoi passare altri cinque anni a fracassarti le palle con tutti quei libri? Ma anche no, è giunta l'ora di riempire i portafogli, insomma!»
Così si era immediatamente messo a lavorare sul suo curriculum e aveva ottenuto un risultato che poteva definire più o meno accettabile, o comunque decente, poiché, grazie ai suggerimenti di Hayner, aveva aggiunto un sacco di dettagli inventati come ''Mia madre mi ha raccontato che da bambino invece di bere il latte io passavo il tempo a scattare fotografie'', o ancora ''In realtà non amo vantarmi, ma vi assicuro che prima di muovere il mio primo passo ho imparato ad accendere una macchina fotografica.''
Il mese successivo aveva avuto quindi al suo primo colloquio, il quale però era stato un fiasco totale, poiché si era presentato con un'abbigliamento poco appropriato alla situazione; il secondo direttore che lo aveva ricevuto, invece, lo aveva considerato troppo piccolo e privo di esperienze nonostante il ricco curriculum degno di un racconto fantasy.
Almeno Roxas ormai aveva capito come funzionava; quella mattina, infatti, non aveva indossato né qualcosa di particolarmente elegante, né i primi stracci che aveva trovato nel suo armadio; un paio di pantaloni neri e una camicia bianca accuratamente abbottonata fino al collo.
Non doveva parlare quando non veniva interpellato e se direttore gli poneva qualche domanda non doveva limitarsi a rispondere a monosillabi, ma cercare di comporre dei periodi con un minimo di senso.
E, soprattutto, alla fatidica domanda ''Hai mai svolto un lavoro del genere, o comunque, hai mai frequentato qualche corso?'', non doveva farsi prendere dal panico e agitarsi tanto da iniziare a balbettare.
Sì, insomma, in fondo il direttore era un essere umano proprio come lui, no? Soltanto che aveva praticamente in mano il suo futuro, ma quelli erano dettagli di poca importanza... Più o meno.
Hayner svoltò improvvisamente a destra e Roxas sentì il cuore salirgli in gola; si irrigidì sul sedile e strinse con forza la sua amata macchina fotografica. 
L'auto proseguì per una decina di metri fino a giungere di fronte ad un'imponente edificio di almeno dieci piani; le mura esterne erano particolarmente curate e numerosi colori sfarzosi spiccavano in mezzo al grigiore circostante.
Hayner rallentò progressivamente fino a fermarsi del tutto accanto al marciapiede; a quel punto alzò ulteriormente la radio, pronto a continuare la strada da solo, e si voltò verso l'amico, sorridendogli calorosamente. «Dai, andrà bene.»
«Guarda che da queste parti c'è un parcheggio; puoi fermare la macchina lì, così scendi anche t-»
«Roxas, andiamo! Ormai sei preparato, vedrai che questa sarà la volta buona.»
«E se così non fosse?»
«Beh, potrai insultarmi a morte per almeno un mese. E poi riproveremo fino a quando non riuscirai ad avere un fottutissimo lavoro. Adesso smettila di fare la checca e scendi.»
«Ma vaffanculo», brontolò tra sé e sé il biondo, sentendosi ferito nell'orgoglio; aprì finalmente la portiera e, appoggiando i piedi sulle piastrelle, si accorse di reggersi a malapena in piedi a causa dell'estrema tensione che si era accumulata in tutto il suo corpo.
«Dopo passo da te e mi dirai com'è andata.», Roxas annuì e gli fece un cenno con la mano, chiudendo la portiera; dopodiché rimase fermo per qualche secondo, giusto per assicurarsi del fatto che Hayner fosse svanito dietro l'angolo, e, finalmente, si mise le mani ai capelli, lasciandosi sopraffare dal panico più totale.
«Andrà male, anzi, malissimo, me lo sento», mormorò ripetutamente, iniziando a pensare di fuggire via di punto in bianco, ignorando completamente il colloquio: al massimo poi avrebbe detto ad Hayner che era andato male e non ci sarebbe stato alcun problema.
«Merda, merda, merda... Perché quello stronzo mi ha lasciato qui?! Avrebbe potuto accompagnarmi, merda, merda...», Roxas si guardò attorno, come alla ricerca della strada più veloce per scappare, quando vide improvvisamente le porte dell'edificio spalancarsi automaticamente: una ragazza scese frettolosamente i cinque gradini che la dividevano dal marciapiede e superò il giovane in un lampo, stringendo nel frattempo una cartellina di plastica tra le mani.
Roxas, che aveva serrato di scatto le labbra, stando ben attento a non fare alcuna sorta di figuraccia, allora, in un improvviso impeto di coraggio, decise finalmente che era il momento di affrontare le proprie paure; prese un profondo respiro e iniziò a salire i gradini di cemento una volta per tutte. Fisicamente stava salendo le scale, certo, ma psicologicamente si sentiva sprofondare, ogni attimo di più.
Quando appoggiò il piede sinistro sull'ultimo gradino le porte si aprirono automaticamente e, una volta dentro, Roxas si scontrò con una vitalità che non credeva possibile.
Sì, vide per davvero la vitalità. Tutta insieme, accumulata in quell'edificio che spiccava in mezzo alle altre costruzioni.
C'era gente ovunque; a sinistra, a destra, al centro. Gente che andava e veniva, proprio come il via-e-vai del traffico. C'era un'altra città che viveva parallelamente, in quell'edificio; pareva che ognuno avesse un incarico ben preciso e, al tempo stesso, sembrava che, al contrario, nessuno sapesse che cosa fare, poiché i lavori erano troppi e ventiquattro ore non bastavano per completare tutto.
Era un ambiente diverso, anzi, diversissimo, dalle altre due aziende che aveva visitato; in quest'ultime regnava la pace, il silenzio, e addirittura, quando era entrato, aveva sentito i suoi passi rimbombare per i corridoi.
E, per quanto fosse un'amante della pace e della tranquillità, in quel momento preferì di gran lunga il caos, dal momento che, proprio grazie ad esso, nessuno si accorse della sua presenza.
Roxas deglutì e per un attimo l'ansia sembrò allentare la sua presa; dopo aver lanciato un'altra fugace occhiata all'ambiente circostante, raggiunse quella che, molto probabilmente, era la segretaria, la quale era seduta dietro un'enorme scrivania, intenta a premere i tasti del computer. 
Era una giovane particolarmente esile, dai lunghi capelli biondi e un paio di occhi blu che lasciavano trasparire tutta la gentilezza presente nel mondo; insomma, proprio ciò che serviva a Roxas. 
Quest'ultimo si schiarì la voce, cercando di scacciar via l'imbarazzo e attirando l'attenzione della diretta interessata che accennò un candido sorriso: «Oh, salve, io sono Naminè, come posso... Aiutarla? Aiutarti?», poi rise leggermente e allontanò le mani dal computer, concentrandosi esclusivamente sul nuovo arrivato. «Scusa, è che mi fa strano dare del lei ad un ragazzo così giovane.»
Aveva una voce bassa, soave e candida, insomma, una voce che si addiceva perfettamente alla fanciulla in questione. La pelle era chiara, quasi diafana, sulla quale spiccava maggiormente il colore dei suoi grandi occhi.
«No, infatti non mi sembra il caso essere troppo formali», mormorò Roxas, incerto su quale tono utilizzare e, soprattutto, quale espressione assumere. «Io volevo... Parlare con... Ecco...»
«Il direttore?», continuò con dolcezza la ragazza, senza smettere di sorridere.
«Ecco, sì.»
«Hai preso un appuntamento?»
Il biondo annuì e Naminè fece altrettanto; dopodiché digitò qualcosa di incomprensibile al computer e sorrise nuovamente. «Ti aspetta nel suo ufficio. Non è lontano; devi soltanto proseguire dritto e, alla fine del corridoio, svoltare a sinistra. A quel punto ci saranno due porte; quella del direttore è la prima, non puoi sbagliare.»
Roxas cercò di memorizzare le parole della ragazza, sperando di non farsi ingannare dalla sua scarsa memoria. «Bene, grazie.»
«Di nulla. Oh, e buona fortuna.»
Il ragazzo in risposta accennò un sorriso tirato e piuttosto falso, poiché a tutto credeva, meno alla fortuna; ormai era certo che la sfiga lo amasse alla follia, non c'era altra ipotesi possibile che potesse spiegare l'infinità di avvenimenti che avevano sconvolto la sua vita.
Si voltò e iniziò così ad incamminarsi verso la direzione indicata; fece attenzione a non calpestare i piedi di nessuno, a non dare nell'occhio, a sembrare una persona come un'altra, in mezzo a tutto quel trambusto e a quella vitalità.
Vitalità, trambusto. Se era quella la vitalità, significava forse che essa era un sinonimo di trambusto?
Forse sì.
Forse no.
Roxas si accorse nel frattempo, passo dopo passo, che l'ansia aveva preso nuovamente possesso del suo corpo; era agitato, agitatissimo, non come la prima volta, certo, ma, stranamente, lo era più della seconda, e non riusciva proprio a capire perché.
In fondo non doveva fare nulla di difficile. Solo trovare la porta giusta, bussare, entrare e parlare. Niente di difficile. Nulla di impossibile. Non era certamente più difficile del suo esami di Giugno. No, certo che no. O forse sì. Non lo sapeva. In quel momento aveva la mente sfumata, l'ansia sembrava aver risucchiato tutto, tutto quanto, perfino l'equilibrio e la vista. 
Soprattutto l'equilibrio e la vista.
«PISTAAAAAA!». L'urlo lo sentì, senza alcun dubbio. Infatti fu proprio quello a salvarlo; a causa della vista offuscata e dell'estrema velocità dell'individuo, infatti, lo localizzò tardi e, di conseguenza, si scostò a destra, contro il muro, fuori tempo.
L'individuo in questione stava correndo come un ossesso, e Roxas non sapeva esattamente il perché. Ecco il motivo per cui detestava il caos, il disordine: non lo comprendeva, insomma.
Comunque lo strambo individuo stava correndo molto velocemente, con in mano un bicchiere di plastica che, probabilmente, conteneva del caffè. 
Correva. Con il caffè in mano. Gridando ''pista'' a tutti i presenti.
A che scopo? Roxas proprio non lo sapeva.
Poco importava, poiché il biondo riuscì a spostarsi; si attaccò al muro, ma, a causa del suo ritardo, non ebbe il tempo di ritirare anche la gamba sinistra, la quale fu la causa che scatenò una serie di conseguenze. In breve, la sfiga, quella mattina, aveva deciso di stanziarsi nella sua gamba sinistra.
L'individuo del caffè, infatti, inciampò rovinosamente sulla gamba di Roxas e fece volare in aria il bicchiere, finendo poi con con la faccia a terra.
Successe tutto così velocemente che la mente di Roxas impiegò qualche secondo prima di elaborare in ordine la sequenza degli eventi; a quel punto il biondo abbassò leggermente le iridi verso l'individuo folle, incerto sul da farsi. Chiedergli scusa? Controllare se era ancora vivo? Proseguire facendo finta di nulla?
E, mentre tentava pateticamente di prendere una decisione definitiva, Roxas non si era accorto che in realtà il vero problema era un altro; infatti c'era un'altra minaccia, una nuvola nera pronta ad oscurargli la giornata, ed era proprio sopra la sua testa.
C'era appunto una seconda persona che aveva partecipato alla scena e sembrava anche particolarmente incazzata.
Roxas non riuscì ad identificarlo più di tanto; l'unica cosa che attirò la sua attenzione furono i suoi capelli improponibili, evidentementi tinti di un rosso acceso, che se ne stavano lì, in aria, prepotenti ed egocentrici, sfidando qualsiasi legge di gravità.
Non vide altro perché quel rosso si era in qualche modo mimetizzato con il colorito della pelle che stava assumendo l'uomo in questione; con i pugni serrati, la maglia completamente inzuppata, pareva davvero un vulcano pronto ad eruttare.
Il pazzo del caffè intanto si rialzò e, non appena si accorse dell'individuo dai capelli rossi, sbarrò gli occhi, sconvolto, e si affrettò a tirare fuori un fazzoletto. «A-Axel, mi dispiace tanto, oddio, non volevo, è che c'era lui, io non l'ho visto, cioè, l'ho visto, ma lui non si è spostato, era lì, lo vedi? E' colpa sua, non mia, guarda non si è spostato, io ho anche urlato, ma non ha sentito, oddio, mi spiace tanto Axel, ti prego, non prender-»
«Demyx, 'sta zitto.», ringhiò a denti stretti il fulvo, tentando in ogni maniera di non esplodere per davvero; si morse furiosamente le labbra e focalizzò lo sguardo sul terzo presente, il quale era rimasto paralizzato per qualche secondo. «Di chi è la colpa, allora?! Tua o di questa sottospecie di fungo?!»
Demyx fece per rispondere, quando il fungo in questione strinse la macchina fotografica tra le mani e si voltò, iniziando a correre il più velocemente possibile; raggiunse così in pochi secondi la fine del corridoio e svoltò a sinistra, svanendo dalla visuale degli altri due.
Il cuore gli stava battendo a mille e molto probabilmente stava seriamente per esplodergli in petto. Un infarto, ecco, presto avrebbe avuto un infarto, altro che il corso di yoga che aveva frequentato a quindici anni. Erano tutte un ammasso di balle, quelle.
E se lo avessero raggiunto? E se quella specie di vulcano, tra l'altro il doppio di lui in altezza, lo avrebbe preso a pugni fino a costringerlo ad una chirurgia plastica? Il direttore lo avrebbe cacciato ancor prima di sentirlo parlare.
Era una giornata storta, sì. Non avrebbe dovuto alzarsi da quel maledettissimo letto. Sarebbe stato meglio se fosse rimasto in auto con Hayner, fingendo un malore. Molto meglio, sì.
Poi, improvvisamente, Roxas arrossì violentemente dai piedi fino alla punta dei suoi biondi capelli ribelli.
In realtà non successe proprio improvvisamente, poiché dietro ciò esisteva una spiegazione logica; semplicemente si era fatto prendere così tanto dall'ansia che si era praticamente catapultato nella prima porta senza bussare, ritrovandosi a pochi metri di distanza dalla scrivania di colui che aveva in pugno il suo futuro: il direttore.
Quest'ultimo alzò lentamente la testa dall'enorme quantità di fogli presenti e inarcò il soppraciglio sinistro in un'espressione accigliata e alquanto perplessa. «Qualche problema?», domandò dopo qualche secondo di silenzio con voce piatta.
Signori e signori, vi presento quel genio di Roxas, l'unico ragazzo in grado di mandare a puttane un colloquio di lavoro prima ancora di iniziarlo.
E dopo essersi lodato mentalmente con estrema ironia, il ragazzo si sforzò di parlare, nonostante tutto quello che uscì dalla sua bocca fu una specie di presentazione balbettata: «Ehm, sono... Sono Roxas...  Roxas Daver...»
Le iridi ambrate dell'altro a quel punto si illuminarono appena e l'uomo gli fece cenno di prendere posto sulla piccola poltroncina di pelle tinta di un verde acceso. «A quanto pare sei una persona che non ama perdere tempo. Bene, mi fa piacere, perché qui gli scansafatiche non sono affatto accettati.»
Roxas si sforzò di sorridere, ma tutto quello che ottenne fu un'espressione alquanto inquietante, poiché era ancora agitato per l'assurda situazione che gli era capitata poco prima e, contemporaneamente, tentava pateticamente di scacciare del tutto l'imbarazzo, sforzandosi dunque di assumere un tono adeguato al contesto in cui si trovava: «La ringrazio», mormorò senza alcun motivo ben preciso, avvicinandosi alla poltrona prima di prendervi posto, leggermente titubante sulla postura da assumere.
''Devi praticamente sdraiarti: metà del tuo corpo sulla sedia, le gambe invece distendile sulla scrivania del direttore, capito? Così ti darai importanza, cazzo, devi fargli vedere che tu hai carattere, mica sei un pappamolle!''. Queste erano state le istruzioni del suo migliore amico riguardo alla postura, anche se, effettivamente, se c'era una cosa che Roxas aveva capito in tutti quegli anni, era che tra i numerosi consigli di Hayner non c'è n'era neanche uno che funzionasse davvero.
«Bene Roxas, spero non ti dispiaccia se ti darò immediatamente del tu», riprese a parlare il direttore, appoggiando la schiena sulla propria poltrona, come in segno di sfida.
E, in un certo senso, quella era davvero una battaglia per Roxas.
Anche perché per quest'ultimo era difficile mantenere la concentrazione; non sapeva se guardare direttamente l'uomo, o se lasciare lo sguardo vago e più sciolto. Inoltre era assai complicato staccare gli occhi dai capelli del direttore, dal momento che, oltre ad essere estremamente lunghi e avere una strana pettinatura dovuta al gel, erano completamente grigi, il che creava un forte contrasto con l'abbigliamento elegante.
Una nuova moda? Chissà.
«Ho letto molto attentamente il tuo curriculum e ti dirò, ne sono rimasto piacevolmente sorpreso, non so esattamente il perché. Come ben sai, un'azienda come questa, così importante, ha bisogno di lavoratori efficienti e per questo non assumiamo il primo che capita. Inoltre tu sei molto giovane e probabilmente inesperto... O sbaglio?», il direttore incrociò le mani e squadrò con estrema attenzione l'esile figura del biondo, soffermandosi per qualche secondo sulla macchina fotografica che portava al collo.
«Ehm, no, non sbaglia», borbottò il diciottenne, schiarendosi poi la voce. «Cioè non ho mai avuto esperienze in ambito lavorativo, ma... Ma scatto fotografie da molti anni, glielo posso garantire. La fotografia per me è essenziale, è tutto. Indispensabile, sì.»
«Indispensabile?»
Roxas si irrigidì, temendo di aver detto qualcosa di sbagliato; si immaginò già l'aria furibonda dell'uomo e la mano che indicava l'uscita più vicina. «Sì...»
«Capisco, capisco», mormorò l'uomo più a se stesso che al suo interlocutore, tirando poi fuori il curriculum del biondo. «Anche le fotorafie che mi hai inviato sono molto interessanti. Non posso dire che non hai talento, anzi... Certo, dovremmo soltanto abituarti a fotografare soggetti differenti.»
Il giovane, che nel frattempo si era sporto leggermente in avanti per poter leggere cosa ci fosse scritto sul cartellino bianco accuratamente appoggiato sulla scrivania, commentando poi mentalmente su quanto fosse stravagante il nome Xemnas, alzò di scatto le iridi blu cobalto, allarmato. «Soggetti differenti?»
L'uomo allora sollevò nuovamente un soppraciglio. «Certo. Non vorrai farmi credere che in un'azienda di moda hai immaginato che si fotografassero ambienti naturali?». 
La domanda fu posta in maniera così minacciosa che Roxas non pensò alle conseguenze propria risposta e si affrettò dunque a parlare: «Ma no, certo... Certo che no!»
«Ottimo», il volto di Xemans si distese nuovamente e sembrò quasi sul punto di sorridere, anche se ciò non avvenne. «Sei assunto. La tua immagine darà freschezza all'azienda, sei proprio la persona che cercavo, anche se dovrai allenarti molto.»
Roxas dunque si lasciò sfuggire un flebile sospiro; a quanto pare Hayner aveva torto, la terza volta non era quella fortuna-... No, un momento.
Xemnas aveva detto che lo avrebbe assunto.
Era assunto.
Aveva superato il colloquio.
Aveva un lavoro.
Roxas aveva un lavoro.

Gli occhi del giovane si illuminarono e contenne con estrema fatica l'entusiasmo, tanto che fu costretto a mordersi furiosamente il labbro inferiore; ebbe una tremenda voglia di abbracciare non solo il direttore, ma anche il suo migliore amico, poiché era stato lui a trovare il volantino dell'azienda.
«Immagino che ora tu sia al settimo Cielo», disse Xemnas con un tono che aveva assunto una vaga sfumatura divertita. «Bene Roxas, benvenuto nella ''Organization Style''», disse poi alzandosi e porgendo la mano al giovane.
«La ringraz-», Roxas fece per rispondere alla stretta di mano, quando, di punto in bianco, sentì il sangue nelle vene gelarsi; rimase come pietrificato per una manciata di secondi, mentre il suo cervello si affrettava a ripescare una frase in particolare detta precedentemente dal direttore.
''Non vorrai farmi credere che in un'azienda di moda hai immaginato che si fotografassero ambienti naturali?'' 
Qual era la parola che lo aveva reso perplesso?
Ambienti?
Naturali?
Credere?
No, no e ancora e no.
Azienda di moda.
Azienda di moda?
Azienda di moda?!
«Qualcosa non va?», Xemnas sollevò nuovamente un soppraciglio e ritirò la mano, stizzito dallo strambo comportamento del biondo che si affrettò a scuotere la testa, sforzandosi in ogni maniera di apparire lontanamente normale. «N-No, va tutto bene, n-non si preoccupi! Stavo solo... Sono solo molto felice, ecco tutto!»
«Meglio così, perché inizierai a lavorare domani.», decise con fermezza l'uomo, riprendendo posto sulla propria poltrona.
«D-Domani?!»
«Sì, perché, la cosa ti infastidisce?»
«No, ma si figuri! Allora domani, sì...»
«Alle 08.00 in punto. Esigo la massima puntualità dai miei lavoratori, mi raccomando». Il direttore nel frattempo tornò a concentrarsi sulla manciata di fogli sulla scrivania e, con un cenno, fece intuire al ragazzo che poteva prendere il congedo. «A domani.»
Roxas era troppo sconvolto per rispondere al saluto; si limitò dunque a fare dietro-front e ad avviarsi verso la porta, riuscendo a malapena a girare la maniglia per poter abbandonare finalmente l'ufficio.
Ci fu un attimo, giusto il tempo per compiere il tragitto tra la poltrona e la porta, nel quale la mente di Roxas si svuotò completamente; e, davvero, per lui fu anche una sensazione alquanto piacevole. Insomma, in breve era passato dallo stato di shock totale al vuoto più assoluto; se solo avesse avuto la possibilità di controllare le proprie emozioni, avrebbe lasciato l'interruttore premuto su quello stato per il resto della sua esistenza.
Ma, siccome non esisteva nessun interruttore, o almeno, se lo avessero mai inventato Roxas non sarebbe nemmeno riuscito a sfiorarlo, il diretto interessato, una volta fuori dall'ufficio, si ricordò di quanto successo poco prima: e allora l'azienda di moda svanì magicamente nel nulla, facendo posto allo svitato del caffè e al vulcano che era pronto a sbranarlo.
Forse, però, poteva salvarsi.
No, stupidaggini, sarebbe morto.
Roxas si sistemò il colletto della camicia e deglutì rumorosamente, avvicinandosi a passi felpati verso la fine del muro; a quel punto, dopo essersi fatto coraggio, porse leggermente il volto verso il corridoio di fronte a sé e si scontrò il medesimo via-e-vai che aveva visto poco prima.
La cattiva notizia è che in mezzo a quell'ammasso di persone era praticamente impossibile distinguere ogni singolo individuo; quella buona è che forse, in questo modo, sarebbe stato altrettanto difficile per gli altri notarlo.
Però, contemporaneamente, una seconda cattiva notizia gli diceva che forse per quei due sarebbe stato più facile scovarlo, poiché, molto probabilmente, conoscevano il posto e coloro che lo frequentavano.
Roxas pensò che magari avrebbe potuto passare la notte in quel corridoio; avrebbe mangiato la sua macchina fotografica, o la camicia, con la scusa che voleva semplicemente evitare di arrivare in ritardo la mattina successiva.
L'unico problema è che sarebbe stato praticamente impossibile prendere sonno. Quel pavimento era estremamente scomodo e nei paraggi non c'erano né cuscini né tanto meno delle coperte.
Avrebbe potuto chiamare Hayner; sì, l'avrebbe chiamato e lo avrebbe obbligato a venire a prenderlo fino al corridoio. Almeno non sarebbe stato il solo a prendere qualche pugno e una manciata di calci; sapeva come funzionavano cose del genere... Se mi stai sul culo tu, automaticamente anche il tuo migliore amico mi sta sul culo.
Dopo questo breve viaggio mentale Roxas decise di tornare finalmente alla realtà e si impose una volta per tutte di affrontare le sue paure, proprio come aveva fatto prima (Anche se, a quanto pare, non funzionava granché come metodo); iniziò così ad incamminarsi verso il corridoio, utilizzando prima un passo incerto e tremante, assumendo poi un'atteggiamento più sicuro, giusto per mimetizzarsi con gli altri.
E, miracolosamente, Roxas intravide la segretaria, nuovamente intenta a lavorare al computer; gli sembrò davvero un'angelo, non tanto per l'aspetto fisico, ma perché era il simbolo della sua salvezza divina.
Accelerò il passo, pronto a catapultarsi verso l'uscita, quando quello stesso angelo che avrebbe dovuto salvarlo lo fermò: «Oh, rieccoti! Com'è andata?»
Roxas grugnì qualche imprecazioni a denti stretti e sospirò pesantemente, imponendosi però di mostrarsi gentile: «Bene, bene... Mi hanno assunto.»
Gli occhi della fanciulla si illuminarono immediatamente. «Davvero? Ma è una splendida notizia!»
Il biondo non poté fare a meno di accennare un lieve sorriso di fronte alla dolcezza della ragazza. «Sì, però devo ammettere che non è andata esattamente come mi aspetta-», successivamente voltò casualmente lo sguardo alla propria sinistra e notò, in lontananza, una folta capigliatura tinta di un rosso acceso.
Merda.
«Scusami, ma adesso devo proprio scappare!», trillò allora il diciottenne, precipitandosi poi verso la porta scorrevole senza lasciare nemmeno il tempo alla segretaria di rispondere al saluto.
Dalla fretta rischiò addirittura di inciampare sui gradini, ma fortunatamente evitò di concludere la sua mattinata con un'altra abominevole figuraccia; appoggiò i piedi sul marciapiede e si voltò verso l'enorme edificio, alzando le iridi blu.
Ed ecco la prova inconfutabile, proprio davanti al suo naso: un'enorme insegna che all'arrivo non aveva notato, molto probabilmente a causa dell'ansia, e che ora invece fu la prima cosa che saltò all'occhio del giovane.
''Organization Style.''
Roxas Daver era stato appena assunto alla Organization Style, una delle aziende di moda più famose della regione.
E di fronte a quella consapevolezza si accorse che l'unica cosa che avrebbe voluto avere tra le mani era la gola di Hayner. Non per fargli qualcosa di male, no, certo che no.
Soltanto per strozzarlo e cancellarlo così definitivamente dalla faccia della Terra.




''Sembrava un'alce che aveva dato alla luce un elefante.''* Citazione tratta da ''Le Tenebrose Avventure di Billy & Mandy''. Non ho resistito, dovevo postarla, ho sempre amato quel cartone.
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*Note di Ev'*
Andando su ''Proprietà'' del mio documento WordPad, ho scoperto che questo primo capitolo l'ho scritto tipo il 4 Gennaio dell'anno scorso, e, quasi sicuramente, l'avevo in testa già da prima. 
Quando mi sono iscritta a questo sito ripudiavo da morire le Crossover; le trovavo insensate e assai sciocche, ma, dopo aver visto ''Le cinque leggende'', mi sono accorta che sarebbe stato molto divertente creare una storia con un Jack Frost cugino di Roxas. (Ps. Se ve lo state chiedendo, no, non infilerò gli altri tipi del ''The Big Four'', ovvero Rapunzel, Merida & Hiccup. Loro già sono sopportabili (?), ma Elsa non nominatela nemmeno, perché Frozen lo odio con tutta me stessa.)
Quando la mia mente ha iniziato ad archittetare questa long ero gasatissima e ogni volta che ci pensavo mi veniva da sorridere, perché allora (?) avevo proprio voglia di scrivere una storia leggera e più divertente. Attualmente il mio entusiasmo si è un po' smorzato, ma spero che, pubblicando il primo capitolo, mi possa venire più voglia di proseguire, dal momento che sarebbe un grande peccato gettarla ai quattro venti. 
Non saprei se aggiungerò anche Final Fantasy nel Crossover, ma non credo, dal momento che comparirà solo Cloud, penso. 


Il protagonista è Roxas Daver, un diciottenne piuttosto sfigatello che, ovviamente, come in ogni benedettissima storia, ha Hayner come migliore amico (E ricordo che l'anno scorso quando stavo tentando di trovare un mestiere adatto a lui mi era gasata un casino anche per averlo abbinato al lavoro del Dj, uh-uh). La sua più grande passione è la fotografia e dopo due colloqui è riuscito finalmente a trovare un posto per sé, anche se non nel luogo in cui si aspettava...

Sulla storia credo che per ora sia tutto, ovviamente, come al solito, vi invito caldamente a recensire perché non ha un cazzo di senso leggere i capitoli, infilare la storia tra le seguite senza lasciare uno straccio di commento, uhm.
Credo di non avere nulla da aggiungere, se non che vorrei afferrare l'estate con i denti e tenerlo per sempre con me. Sono terrorizzata all'idea che tra circa un me- VABBEH NON NE VOGLIO PARLARE.
Alla prossima, spero, uh.

E.P.R.

 

   
 
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