Film > Captain America
Ricorda la storia  |      
Autore: Alley    09/08/2014    4 recensioni
“Come ti chiami?”
“Steve.”
“Steve.”
Ripete il suo nome con una certa applicazione, quasi ne stesse testando il suono.
“Io sono James, ma gli amici mi chiamano Bucky.”
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Steve Rogers
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
A Steve piace disegnare all’aperto. Ogni giorno si reca al parco e, dopo aver preso posto su una panchina, poggia l’album sulle ginocchia e assapora la quiete assolata del primo pomeriggio con la matita già stretta tra le dita. Di solito completa lavori già iniziati, ma a volte gli capita di venir rapito da un volto o da un dettaglio dell’ambiente circostante e allora accantona il disegno che attendeva d’esser portato a termine e comincia a ritrarlo, e il mondo attorno a lui tace mentre incamera contorni e colori per poi trasporli su carta. Questo è uno di quei giorni. La ragazza intenta a leggere a qualche panchina di distanza è qualcosa che vale la pena di rappresentare, forse perché Steve è convinto d’assumere la stessa identica espressione che campeggia sul suo volto – assente, assorta, a tratti estatica – quando fa vagare la matita sul foglio. Abbassa il capo e comincia, e a conferma di quanto disegnare riesca ad estraniarlo nemmeno s’accorge di essere osservato.
 
“Wow.”
 
Steve trasalisce, tracciando involontariamente uno scarabocchio che va a deturpare il basco della ragazza, e si volta. È un bambino come lui quello che fissa il foglio col capo appena sporto oltre la sua spalla – no, non smunto e rachitico, ma dimostra all’incirca la sua stessa età. Nei suoi occhi brilla una scintilla d’ammirazione così genuina che Steve deve impedirsi di sorridere.
 
“Dove hai imparato?” gli chiede, e a Steve pare strano che uno sconosciuto possa nutrire interesse nei confronti delle sue doti figurative – nei confronti suoi, che non ha mai avuto stuoli di coetanei a spasimare per rivolgergli la parola.
 
“Da nessuna parte” risponde, scrollando appena le spalle. Tra lui e la matita c’è stata una sintonia immediata e naturale, che non s’è nutrita d’altro se non del suo esercizio e della sua abnegazione.   
 
“E come fai a disegnare così bene?”
 
“Non lo so. So farlo e basta.”
 
Il bambino distoglie lo sguardo e s’acciglia, come a valutare la credibilità della risposta. Stando al modo in cui la sua espressione muta al termine della breve riflessione, sembra abbia deciso che la spiegazione sia sufficientemente plausibile.  
 
“Come ti chiami?”
 
“Steve.”
 
“Steve.”

Ripete il suo nome con una certa applicazione, quasi ne stesse testando il suono.

“Io sono James, ma gli amici mi chiamano Bucky.”
 
*
 
Il giorno dopo James – Bucky – ritorna. Si posiziona dietro di lui e lo guarda disegnare, esattamente come il giorno precedente, ma a differenza del giorno precedente, dopo qualche minuto di silenziosa contemplazione, si siede sull’altra estremità della panchina. Steve sente addosso i suoi occhi e deve sforzarsi per reprimere la tentazione di sollevare i propri, per verificare se il guizzo ammirato scorto il pomeriggio prima sia ancora lì.
 
Non gli è mai piaciuto essere osservato mentre disegna – è il motivo principale per cui gli piace farlo all’aperto. Non ha una sua stanza, l’appartamento in cui vive con i suoi genitori non è abbastanza spazioso per ospitare una cameretta -, eppure, stranamente, lo sguardo di Bucky non lo infastidisce nè lo mette a disagio.
 
Non lo farà nemmeno il giorno dopo, né quello dopo ancora.
 
*
 
Bucky gli lancia la borsa del ghiaccio e Steve se la preme contro lo zigomo gonfio.
 
Non è la prima volta che vive una scena del genere – non è nemmeno il pestaggio peggiore che abbia subito -, e come sempre il morso della vergogna torna puntuale ad attanagliargli le viscere. Chi ha detto che ci si abitua a tutto non ha mai partecipato ad una rissa i cui contendenti sono alti il doppio di te e larghi il triplo.
 
“Quando la smetterai di fare l’eroe?”
 
Lividi, indolenzimento e Bucky; il consueto post dei suoi avventati slanci d’audacia.
 
“Quando non ci saranno più persone ad aver bisogno d’aiuto.”
 
L’amico non ha bisogno di risposte ad effetto, ma il suo orgoglio evidentemente sì.
 
“Dove l’hai letta questa? In un fumetto? Perché sembra uscita dalla bocca di un supereroe.”
 
“Non sei divertente” ribatte Steve, indispettito, e gli occhi di Bucky indugiano sul taglio che nel frattempo ha ripreso a sanguinare.
 
“Non volevo esserlo” replica, la voce un po’più dura – ma non troppo -, ed emette quello che suona come una via di mezzo tra uno sbuffo ed un sospiro. “Devi smetterla Steve, o finirai male” dice in tono accorato, ma quello che gli punta addosso non è uno sguardo di rimprovero - non veramente.
 
*
 
“Ce l’hai un sogno, Steve?”
 
È una domanda posta senza pensarci, una di quelle che riescono a spiazzarti pur non avendone l’intenzione. Un ricordo gli balena nella mente, uno sprazzo di verde e una panchina e due bambini le cui strade s’erano appena incrociate – per non dividersi più.  
 
“Qualcosa che vorresti più di ogni altra.”
 
Steve pensa alle botte prese e alle mille porte sbattutegli in faccia, alle umiliazioni e all’esercito che continua ad essere una chimera.
 
Essere abbastanza.
 
“Non lo so.”
 
È una bugia e sa che l’amico ne è consapevole, ma è anche certo che non glielo farà notare. È a se stesso che sta mentendo, non a lui, e Bucky non è mai stato così crudele da sbattergli in faccia la sua vigliaccheria.
 
“Immagino che il tuo sia arruolarti” dice, per spezzare un silenzio fattosi improvvisamente pesante.
 
“La guerra non è il sogno di nessuno.”
 
I suoi occhi sono velati da un’ombra che Steve è certo di non avergli mai visto prima.
 
*
 
Sono seduti sul pavimento uno accanto all’altro, la schiena poggiata contro il bordo del letto e le ginocchia raccolte al petto.
 
La stanza di Bucky è stata il loro mondo sin da quand’erano bambini, e il futuro era qualcosa di troppo lontano e indefinito per fare davvero paura.
 
Bevono – soprattutto Bucky. Per lui l’alcol non è mai stato una particolare attrattiva - e parlano di sciocchezze, rivangano ricordi e ridono, il più delle volte senza un motivo preciso. Steve potrebbe persino cedere all’illusione che si tratti di una sera come le altre, se non fosse per il macigno che gli opprime il petto.
 
“Potrebbe essere l’ultima volta che ti vedo.”
 
C’è una gravità inaspettata nella voce di Bucky, e Steve è sorpreso dalla velocità con cui l’allegria di poco prima è sparita dal suo tono – forse non c’è mai stata davvero. Basta un attimo per sfilare una maschera e rivelare quel che nasconde.  
 
“Da quando sei così pessimista?” domanda, ostentando una leggerezza che non possiede realmente.
 
Sapeva che sarebbe arrivato questo momento, il momento in cui le burle avrebbero lasciato il posto a parole ben più difficili da pronunciare, ma ha la sezione che sia avvenuto troppo presto – sarebbe stato sempre troppo presto.
 
“Non è pessimismo, Steve. La gente muore in guerra.”
 
“Non sarà l’ultima volta” dice e ci crede davvero, perché non potrebbe accettare il contrario. “E sta’ tranquillo” aggiunge, per stemperare una tensione a cui non sa dare un nome ma che, d’un tratto, risulta troppo scomoda per essere affrontata in silenzio “me la caverò senza di te.”
 
“Lo so” replica Bucky, triste e solenne a un tempo. Non è la risposta che s’aspettava, e non sa come lo faccia sentire.   
 
Bucky piega il capo e adagia la testa sulla sua spalla, e Steve vorrebbe fare qualcosa – sfioragli la nuca o il dorso della mano – ma alla fine desiste, e nessuno dei due aggiunge altro.
 
Steve pensa che sia un bene non poter vedere i suoi occhi, perché probabilmente vi troverebbe qualcosa con cui non è in grado di fare i conti.
 
*
 
Lo specchio gli restituisce un’immagine che non gli appartiene, ed è più destabilizzante di quanto si fosse aspettato.
 
È la svolta che attendeva da una vita, eppure non c’è traccia d’euforia negli occhi che ricambiano il suo sguardo – e Steve stenta a credere che siano i suoi. Dubbi e domande sono l’unica cosa che vi legge, e cominciare quello che dovrebbe essere un nuovo cammino con le stesse insicurezze che da sempre l’accompagnano è più avvilente di tutti i colpi che il vecchio lui ha incassato.
 
Chiederselo, a quel punto, diventa inevitabile; basta questo – un nuovo involucro - per essere abbastanza?
 
Un cigolio, un rumore di passi alle sue spalle, e Steve smette di fissare il riflesso di un se stesso a cui faticherà ad abituarsi.
 
Bucky lo osserva per un istante lunghissimo, e lui è assalito dalla paura del tutto irrazionale che non lo riconosca. Continua a fissarlo con aria impassibile fino a quando un sorriso non si schiude sul suo volto, ed è rassicurante come tornare a casa dopo un viaggio che si credeva senza fine.
 
“Dovrai rifarti il guardaroba.”
 
Gli occhi di Bucky ridono e sono sempre lì, e tutto fa un po’meno paura.
 
*
 
“In realtà avrei preferito che tu non ci fossi.”
 
“Grazie, Buck. È bello sapere che gradisci la mia compagnia.”
 
“Non è per quello. Potrebbe succederti qualcosa.”
 
“Sono Capitan America adesso.”
 
“Resterai sempre Steve, per me.”
 
*
 
L’ha guardato negli occhi e ha capito che sarebbe successo. Forse l’aveva capito addirittura prima, quando quella mattina sul campo di battaglia quel proiettile gli era sfrecciato così vicino che il sibilo l’aveva assordato, e gli occhi di Bucky avevano grondato un terrore così viscerale da mozzargli il fiato. Forse è quello il momento in cui ha realizzato che sarebbe avvenuto, e s’è ritrovato a desiderarlo con un’intensità così forte da far male.
 
Per questo non è sorpreso quando Bucky entra nella sua tenda e gli si avvicina senza dire niente – non c’è niente da dire e lo sanno entrambi.
 
Incrocia i suoi occhi e vi legge un’ultima, definitiva conferma, e quando un attimo dopo sente la sua bocca sulla propria non sa chi dei due si sia sporto verso l’altro per primo. Dopo è tutto caotico e veloce, troppo perché la sua mente possa annotarlo; l’unica cosa che avverte è il dolore che segue al primo affondo e che si spande in fitte lancinanti lungo la schiena, fino a quando il piacere non comincia a lenirlo e finisce per assorbirlo completamente. Si aggrappa a Bucky – si è sempre aggrappato a Bucky – , le cosce strette attorno ai fianchi e le dita artigliate alle sue spalle, e i suoi occhi sono l’ultima cosa che vede prima che l'orgasmo annulli la realtà intorno a loro.
 
*
 
Bucky precipita, e Steve sente qualcosa frantumarsi all’altezza del petto mentre i suoi occhi s’allontano e il vuoto sotto di lui lo risucchia.
 
*
 
Steve chiude gli occhi e rivede quelli del Soldato d'Inverno, vuoti e così diversi da quelli che aveva imparato a conoscere in una vita tanto lontana che pare non essergli mai appartenuta. 

Quello sguardo senz’anima è una colpa che non riuscirà mai ad espiare. 
  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Captain America / Vai alla pagina dell'autore: Alley