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Autore: MaDeSt    09/08/2014    12 recensioni
Non è necessario leggere il prologo ma è caldamente consigliato.
Sei ragazzini provenienti da un villaggio sperduto, cresciuti in un piccolo paradiso, ignoranti dell'orrore che li circonda, si ritrovano ad avere tra le mani sei uova di drago, di cui poi diventeranno amici... e la loro leggenda ha così inizio.
Dovranno salvare il mondo, ecco ciò che ci si aspetta da loro. Ma ne saranno all'altezza? Riusciranno a capire chi è il loro vero nemico prima che questo li distrugga?
[Pubblicazione interrotta. Non aggiornerò più questa storia su EFP, non aggiornerò i capitoli all'ultima versione, pubblicherò solo in privato per chi realmente è interessato a seguire la storia a causa di plagi e ispirazioni non autorizzate non tutelati a discapito del regolamento apparentemente ferreo. Trattandosi della mia unica storia, a cui lavoro da anni e a cui sono affezionata, non vale la pena rischiare. Chi fosse interessato a capire come seguire la storia troverà tutte le informazioni nelle note all'inizio dell'ultimo capitolo pubblicato. Risponderò comunque alle recensioni qualora dovessi riceverne, ma potrei accorgermene con del ritardo.]
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dargovas'
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PROLOGO per chi fosse interessato

NOTE DELL'AUTRICE
Beh che dire, innanzitutto benvenuti nel mondo in cui spesso mi sono rifugiata per fuggire dalla realtà!
Spero sia scritto bene e in maniera scorrevole, che vi piaccia e beh... vi avverto, la storia è un po' lenta e lunga, lunga. Cercate anche di comprendere le stupidaggini commesse a volte dai personaggi, cose del tipo che si offendono per un nulla; sono ragazzini che muovono i primi passi verso il periodo della vita forse peggiore: l'adolescenza!
La storia è ancora in fase di sviluppo e non è assolutamente definitiva, la sto cambiando in questo momento per la settima o forse ottava volta. I vostri pareri e critiche a riguardo sarebbero estremamente utili, ho bisogno di un punto di vista esterno che non conosca la storia per sapere cosa non va e cosa invece funziona.
Che altro dire, godetevi la storia e... benvenuti a Dargovas!

Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

WEIRD FINDINGS

La mia storia inizia in una giornata di mezza estate nella terra di Dargovas, in un piccolo villaggio chiamato Darvil: era chiuso a nord e a ovest da una catena montuosa, a est da una foresta immensa senza nome, o meglio chiamata da tutti ‘la Foresta’ perché, dal momento che nessuno vi entrava mai, gli Umani non si erano preoccupati di darle un nome. Sorgeva sulle sponde del fiume Rimer, che separava le regioni Umane a est dalla regione elfica Haledyl a ovest, in un punto in cui il lungo fiume aveva dato vita a tante piccole isole. Molte case infatti si affacciavano sul fiume Rimer, che attraversava il villaggio, attraversato a sua volta in molti punti da ponti più o meno lunghi, larghi, alti o resistenti, perché potessero attraversarli anche gli animali o i piccoli carri. La maggior parte delle case erano di legno e poco confortevoli, spesso a due piani, ma piccole. In quasi tutte il pavimento del piano superiore sporgeva fuori delle pareti fungendo così da tettoia o riparo per porta e finestre dalla pioggia o dalla neve. Trovandosi molto a nord il clima era rigido per la gran parte dell’anno, tutte le abitazioni erano munite di camino o più raramente di un falò al centro della stanza principale attorniato da muretti di pietra.
Gli abitanti erano ordinariamente gentili e ben disposti nei confronti del prossimo e dal momento che non erano più di un paio di centinaia si conoscevano tutti bene o male. C’erano diversi contadini che badavano al raccolto per gran parte dell’anno, con cui poi il panettiere preparava pane, biscotti o dolci, chi aveva capre o mucche produceva latte e formaggi, chi aveva galline vendeva le loro uova o gli stessi animali al macellaio, che una volta a settimana s’improvvisava cacciatore, c’erano anche una sarta, un calzolaio, una donna che teneva a bada i bambini quando i genitori non potevano, alcuni vecchi che si definivano cantastorie per divertire i giovani attorno ai fuochi serali, un pescatore, un fabbro, un sacerdote, un medico e una guaritrice, un commerciante, un falegname, un’intera famiglia gestiva una taverna e un tempo c’era anche una donna che vendeva o affittava cavalli.
Generalmente tutti vivevano grazie a questi lavori, nel villaggio non circolava molto oro e, escluso chi a volte doveva viaggiare in altre città per lavoro, serviva quasi esclusivamente per pagare le tasse stagionali. Spesso e volentieri invece che pagarsi in oro tra loro barattavano le proprie merci in cambio di altri beni.
Non c’era esattamente una figura che governava il villaggio, ma la cosa più simile a un capo che si poteva trovare era una donna ormai anziana, che viveva in una casa dalle dimensioni modeste non molto lontana da quella della guaritrice e agghindata da sculture intagliate nel legno, simbolo della sua posizione di guida.

Questa era una breve descrizione dell’ambiente in cui vivevano i nostri eroi, ma ora entriamo nel vivo della storia.

In un boschetto non molto lontano, sulla sponda ovest del fiume Rimer, Jennifer – una ragazzina di dodici anni appena compiuti, dai capelli rossicci e mossi, gli occhi grandi e marroni, e il viso coperto di lentiggini – e Susan – sua coetanea bionda, bassina e dagli occhi che cambiavano colore a seconda del tempo, verdi se era bello o altrimenti azzurri – stavano giocando a rincorrersi, mentre le loro due madri passeggiavano nel bosco.
Si trovavano lì, così distanti da casa, per una sola ragione: la madre di Jennifer, Gerida, stava cercando delle erbe dalle particolari proprietà curative, che le servivano in quanto guaritrice del villaggio. La madre di Susan, Jelena, le faceva compagnia. E si erano portate appresso le figlie per non lasciarle in casa da sole o accollate a qualcun altro.
Jennifer stava agilmente scappando da Susan, ridendo e gridandole che non sarebbe mai riuscita a raggiungerla. Era facilitata nella corsa perché indossava pantaloni lunghi, al contrario dell’amica che li aveva solo a mezza gamba nonostante il clima rigido, indossavano entrambe un leggero mantello, Jennifer aveva inoltre con sé una borsa a tracolla e Susan uno zaino.
«Ecco, ho portato del pane fresco per una buona colazione, direttamente dal panificio di mio marito.» disse Jelena frugando nella sua borsa, scostò poi una ciocca bionda che le dava fastidio al naso «Qualche buon frutto, dei biscotti per le ragazze, e un po’ di latte.»
«Molto bene,» rispose l’altra donna, scrutando senza sosta il terreno mentre proseguivano «vorrà dire che presto ci fermeremo a mangiare, prima che il pane si raffreddi!»
«Guarda lì! Non è quella la pianta che cerchi?»
«No, non esattamente. Ma ne raccoglierò un paio di foglie ugualmente, giusto per averne e non dover tornare qui.» dunque si chinò e prese un piccolo coltello con cui incise il gambo della pianta con delicatezza, per staccarne tre foglie rosse screziate di giallo.
«Ragazze! Andate a cercare un buon posto dove fermarsi a fare colazione, ma non allontanatevi troppo!» esclamò Jelena cercandole con lo sguardo.
«Hai sentito? Datti una mossa Susan!» le gridò Jennifer ridendo e cambiando direzione.
«Arrivo!» ansimò lei esausta, e la seguì.
Non ci misero molto a trovare una buona radura sgombra da erbacce e radici, quindi tornarono dalle madri. Questa volta Susan era davanti e scappava, ma l’altra correva più veloce e non tardò a raggiungerla, le afferrò entrambe le spalle e la spinse a terra. Susan cadde gridando terrorizzata e rotolò in mezzo alla neve mezza sciolta mentre l’amica proseguiva e rideva a crepapelle.
«Questa me la paghi Jen!» gridò rialzandosi e pulendosi i vestiti ormai bagnati. Riprese a correre e raggiunse le due donne, dove Jennifer già l’aspettava, e presero a rincorrersi girando intorno a loro per non lasciarsi catturare.
«Ragazze!» le rimproverò Jelena quando rischiarono di scontrarsi «Lasciateci camminare! Allora, dov’è quel posto?»
«Di là!» indicò Jennifer nascosta dietro la gonna verde di sua madre, senza staccare gli occhi da Susan.
Giunsero infine nella piccola radura e su richiesta della madre Susan finalmente lasciò perdere la sua piccola vendetta per aiutare a liberare il posto dalla neve, in modo che potessero sdraiarsi su una coperta portata appositamente. E furono pronte per fare colazione, pane e frutta bastavano per tutte; latte e biscotti erano solo per le ragazze, mentre le due donne avrebbero bevuto del tè portato da Gerida.
Susan prese subito dalla borsa di sua madre un paio di biscotti e una fetta di pane ancora caldo, quindi domandò a sua madre: «Hai portato il burro?»
«Ce n’è un po’.» rispose lei, e glielo porse.
La ragazzina servì prima l’amica, poi se stessa, e mangiarono con calma, ancora ansimando per la corsa di poco prima. Riposarono così qualche minuto, poi Jennifer disse di voler fare una passeggiata per digerire e si alzò. Susan la seguì. Ma ormai aveva accantonato la sua sete di vendetta, e si limitò a osservare insieme a lei la bellezza del bosco alle prime luci del giorno.
Non lasciava spesso il villaggio, e se lo faceva era solo per accompagnare la sua migliore amica e la guaritrice a cercare piante dalle particolari proprietà curative o anestetiche. Le piaceva molto in effetti, e col passare del tempo aveva persino imparato a riconoscerne alcune. Quel bosco era pieno di piante dagli strani colori e foglie di ogni forma e dimensione, alcune così grandi che si sarebbe potuta nascondere lei stessa.
Raccolse da terra uno strano fiore e soffiò, disperdendo tutti i suoi strani semi nell’aria che per alcuni secondi sembrarono piccoli fiocchi di neve.
Finché qualcosa non attirò la sua attenzione: una strana pietra gialla che luccicava in modo straordinario, ben visibile tra le radici e gli arbusti, di forma ovale. Chiazze oro e arancioni erano sparse sulla liscia superficie della pietra e Susan giurò di vederle muovere lievemente.
Tirò il mantello a Jennifer, sbigottita dalla magnificenza di quell’oggetto, distante eppure incredibilmente nitido come un falò di notte. La indicò e sussurrò: «Guarda là! Che roba!»
Jennifer seguì la direzione indicata e aprì la bocca come per dire qualcosa, ma non disse nulla, si limitò a osservare senza parole la grande pietra ovale per alcuni lunghi secondi. Si guardò alle spalle per essere certa che le madri non le vedessero raccogliere quella cosa, ma le donne ancora mangiavano e parlavano allegramente.
Quindi guardò Susan e sussurrò a sua volta: «La prendiamo?»
«Chissà quanto deve valere!»
«Sì, ma se... insomma la sai quella storia, no? Quella del demone che vive nella Foresta e depone uova bellissime...» tentennò d’un tratto timorosa.
«Ma quello ti pare un uovo? Hai visto quanto è grande?» ribatté Susan eccitata dalla novità.
«Ma se anche non fosse un uovo, a chi potremmo mai venderla? Non credo che qualcuno possa pagare il valore di una pietra simile solo con le monete, prosciugheremmo le loro scorte di cibo o risorse. E infine, se anche la comprassero, cosa se ne farebbero di una pietra così grande? Faremmo prima a tenerla in casa per bellezza, non credi?»
«E allora che aspettiamo? La terrò in casa mia!»
«Va bene.» assentì.
Dunque si avvicinarono alla strana pietra con gli occhi che brillavano dall’emozione; era grande, più lunga di un loro avambraccio, ma quando Susan la raccolse da terra rimase sorpresa constatando che non pesava quanto si sarebbe aspettata.
«È leggerissima.» dichiarò senza riuscire a nascondere un vago timore.
«Forse dovresti lasciarla qui.»
«Ma che vuoi che succeda?» sorrise cambiando subito atteggiamento e la mise nello zaino «Ehi! Magari ne troviamo altre qui intorno! Cerchiamole! Una per me e una per te!»
«Non ne sono del tutto convinta... è bellissima, ma...» s’interruppe pensandoci su, e alla fine la bellezza della pietra gialla scacciò ogni altra cosa, compresa la favola del demone che i cantastorie raccontavano ai bambini, convincendosi che fosse solo per spaventarli e scoraggiarli ad accettare doni di cui non comprendevano il valore.
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Così tornarono a esplorare allontanandosi verso est, ma passarono dieci minuti buoni prima che qualcosa di forma e colore insoliti comparisse alla loro vista: questa volta era rossa, nascosta sotto delle radici dissotterrate, ma un raggio di sole la colpiva facendola brillare.
«Eccola lì!» esclamò Susan, e corse a prenderla.
Jennifer la seguì e giunta davanti al nascondiglio s’inginocchiò e la guardò meglio: non era solo rossa, ma anche nera con delle chiazze arancioni e talvolta screziata di bianco. Ma le dimensioni erano pressoché identiche, e quando con un po’ di fatica la estrasse dal nascondiglio capì che anche il peso doveva esserlo.
«Per il Corvo, è bellissima non trovi?» sussurrò Susan di nuovo senza fiato, la pietra pareva catturare i loro sguardi come un magnete attira il ferro.
«Lo è davvero.» assentì rapita «Ma... ma chissà a chi appartengono, non dovremmo prenderle.»
«E chi mai lascerebbe delle pietre così belle qui?! L’hai visto anche tu, non c’è nessuno ed erano abbandonate a loro stesse.»
Jennifer scosse la testa: «Sono pulite e splendenti come se qualcuno le avesse recentemente curate, e questa era nascosta. Senza la luce del sole non l’avremmo mai trovata. Qualcuno l’ha messa qui. E poi non trovi strano che non succeda mai nulla a Darvil, e oggi abbiamo trovato due oggetti fuori dal comune?»
«Forse non accade nulla di strano perché siamo noi a non far accadere nulla, ci hai mai pensato? Qui tutti vivono la loro vita tranquilli e non cercano di cambiarla!»
«Non cercano guai, è diverso. Forse dovremmo imparare da loro.»
«Andiamo, siamo ragazzine ancora! Godiamoci la gioventù e lasciamo che i genitori risolvano i nostri pasticci, come al solito! Dai, prendila! Ce le mettiamo in camera!»
«Io la mostrerò a Mike. Pensa alla sua faccia quando la vedrà!»
Susan scoppiò a ridere: «Era meglio non pensarci!»
«Inoltre suo padre è un commerciante, potrebbero sapere quanto valgono queste pietre. Sarà meglio tenerle nascoste fino ad allora.»
«D’accordo! Ma ora prendila e mettila in borsa! Andremo da Mike appena potremo, speriamo oggi stesso!»
Jennifer annuì, fece appena in tempo a mettere la pietra in borsa che si sentirono chiamare dalle madri preoccupate. Perciò si alzarono e nascosero la borsa e lo zaino stranamente colmi sotto i mantelli, poi corsero verso la radura dove le due donne avevano già ripulito tutto senza lasciare traccia del loro passaggio. E ripresero insieme a loro la ricerca dell’erbacieca, che cresceva solo in climi rigidi ma che persino lì era rara, tenendo ben nascosti i loro strani tesori.

Passarono alcuni giorni prima che potessero finalmente ritrovarsi per andare insieme a casa di Mike, portandosi dietro entrambe le pietre – Jennifer aveva messo in borsa anche garze e rimedi vari per quando andava a giocare fuori casa, per non insospettire la madre. Dopo circa cinque minuti arrivarono davanti alla porta della casa di Mike, un ragazzo undicenne magro e un po’ basso con dei lievi problemi di vista. Aveva occhi verdi, capelli castano chiaro e pelle lievemente più scura di quella di Jennifer. Solitamente lo definivano la calamita attira-guai.
Bussarono. Di solito era Mike ad aprire la porta, infatti gli si parò davanti; indossava una maglia a maniche lunghe color paglia e un paio di pantaloni non troppo larghi di colore marrone.
«Ah! Ciao. Non vi aspettavo... entrate.» disse sorpreso, le invitò a entrare in casa e chiuse poi la porta alle loro spalle «Non fatevi sentire da mia madre, è un po’... beh, non è molto ben disposta in questi giorni, ecco. Credo sia perché il falchetto di papà non è mai arrivato per portare sue notizie... ma non parlatene.»
Facendo finta che sua madre non esistesse proprio come lui aveva suggerito, senza salutare salirono le scale che portavano al piano superiore, dove si trovavano la camera di Mike, quella dei genitori e quella per gli ospiti, insieme a una specie di ripostiglio. La sua casa era poco più grande di quelle di Jennifer e Susan.
Entrarono in camera e gli mostrarono entrambe le pietre scintillanti, con un largo sorriso a metà divertito e a metà derisorio per la faccia che fece quando le vide; entrambe se l’erano immaginata, ma vederla comparire davanti a loro nella realtà e non nella loro immaginazione era diverso, a stento trattennero le grida che avrebbero allertato la donna.
Dopo lunghi secondi di contemplazione, Mike tese una mano come volendo toccare la pietra rossa, ci ripensò e guardò Jennifer come chiedendo il permesso, ma infine ritrasse la mano e guardò prima Susan, poi Jennifer, attendendo spiegazioni.
Quindi Jennifer gli raccontò tutto, inclusa la buffa caduta di Susan, la quale s’imbronciò subito, ma l’altra continuò a parlare imperterrita e finalmente, abbassando la voce, giunse a ciò che lui voleva sapere.
«Non credo abbiano valore qui, delle pietre così grandi. E papà è via, perciò non si può chiedere a lui.» disse Mike infine.
«Ma noi mica vogliamo darle via!» esclamò Susan accarezzando la pietra gialla.
«Susan... sai, ci ho pensato a lungo in questi giorni. E se andassimo a cercarne altre? Chissà quante ce ne sono là fuori!» esclamò Jennifer.
«Poi diventerebbe difficile nasconderle.» obiettò lei.
«Secondo me vengono dalla Foresta.» disse Mike «Non so quanto vi convenga tenerle. Belle sì, ma non sappiamo niente di loro.»
«Ma nessuno infatti è tenuto a sapere qualcosa!» ribatté Susan animata «Diciamo di voler uscire a giocare e sgattaioliamo nel bosco sopra i campi! Un paio di pietre non hanno mai fatto male a nessuno.»
«Non se fossero pietre comuni.» precisò il ragazzino, attese un attimo, poi sembrò cambiare opinione e domandò d’un tratto eccitato: «Posso chiamare un amico? È che... non si è mai vista una cosa così a Darvil da quando ho memoria, un vero mistero! Una vera avventura!»
«Certo, allora noi chiamiamo un’amica.»
«Molto bene! Andiamo.» Mike si mise in fretta le scarpe e perse alcuni secondi a decidere se portarsi dietro anche il mantello, ma alla fine rinunciò.
Uscirono dalla piccola stanza e sgattaiolarono al piano inferiore scendendo le lunghe scale, dove faceva sempre freddo.
«Cercate di non fare rumore.» sussurrò alle ragazze portando l’indice alla bocca.
Tempo di fare quattro passi verso la porta e una voce tuonò: «Dove credi di andare?!»
Era Sirela, la madre di Mike, una donna dai capelli scuri come gli occhi e una corporatura piuttosto robusta; sebbene non fosse particolarmente alta riusciva a incutere timore anche in suo marito, che era due volte la sua stazza. Sopra la lunga veste blu indossava un grembiule che necessitava di una bella pulita.
«Eh? Ah, sì, ciao ma’... stavamo andando a trovare Andrew...» balbettò il ragazzino tutto tremante con un sorriso molto tirato.
Era la verità, ma la madre sembrò non credergli e lo guardò incredula ma nello stesso tempo arrabbiata come poche mamme sapevano fare a Darvil: «Ah sì? Ma se loro nemmeno lo conoscono!» la sua voce si fece tanto forte da far chiudere gli occhi a Mike, brandiva contro di loro un mestolo da cucina.
«Sì, stavamo... andando a conoscerlo.» le assicurò Susan. Strinse più forte lo zaino a sé.
«Ci ha parlato di questo ragazzo, così simpatico, e... abbiamo pensato che conoscerlo sarebbe stato carino.» le disse invece Jennifer. Sorrideva.
Sapeva di non avere il viso convincente, ma la loro testimonianza cambiò radicalmente il volto della madre che sorrise loro e disse con un sospiro: «Chiedo scusa per non avervi salutate, care. E va bene, questa volta passi. Ma non dimenticare che io ti tengo d’occhio Mike.» sottolineò l’ultima frase in tono severo. Gli voltò le spalle tornando in cucina a preparare il pranzo.
«Che buon odore.» disse Jennifer chiudendo gli occhi e annusando l’aria piacevolmente profumata.
«Sì, penso che oggi farà uno stufato di verdure... a me non piace, e poi l’ha fatto due giorni fa!» sbuffò Mike.
«E dai! Non è così terribile!» gli disse Susan ridacchiando, guardandolo di sottecchi.
«Sarà, ma a me non piace comunque.» ribatté lui con una scrollata di spalle.
Uscirono di casa e richiusero la porta rapidamente, poi s’incamminarono quasi correndo conducendo Mike verso casa della loro amica Layla, con le rispettive sacche di pelle contenenti le pietre colorate ben nascoste sotto i loro mantelli com’erano ormai abituate.

Se ci sono due recensioni lasciate dai medesimi autori è perché non potendole spostare nel nuovo prologo le ho lasciate qui; 5 di queste recensioni non sono state quindi lasciate a questo capitolo, ma a quello che prima era il prologo.
Mi scuso per l'eventuale incomprensione!

  
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