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Autore: WankyHastings    10/08/2014    3 recensioni
Meredith O'Brien è una studentessa comune un po' troppo nerd; è migliore amica della regina indiscussa del Liceo, Georgina Atwood. La sua vita sembra proseguire tranquilla per la sua strada verso il diploma, finché due occhi neri non metteranno in discussione i suoi gusti. Perché a quanto pare a Meredith piacciono le donne, a Meredith piace Juliette Wolls.
Come la prenderà sua maestà Georgina a questa rivelazione?
Una storia sulla scoperta di sé stessi mantenendo una buona dose di ironia.
Ispirata ad una storia vera.
Dal testo:
"Stamattina mi sentivo in vena di trovare tutto ciò che non andava nella mia vita, e cazzo, ne stavo trovando fin troppo. Forse avevo sbagliato tutto dall'inizio, forse stavo vivendo una vita che non mi piaceva, forse avevo fatto scelte impulsive che non sentivo mie, facevo la ragazza della porta accanto pur sentendomi un centauro tatuato. Prima o poi sarei implosa."
Genere: Angst, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yuri, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Atwood Series : Finding True Love'
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Prologo

 

Il suono della sveglia mi tormentava quella mattina di settembre, sembrava come se rimbalzasse sulle pareti per poi ritornare a infastidire i miei timpani in un catena senza fine che mi stava facendo diventare matta. Il sole filtrava dalla finestra chiusa male, colpendomi sul viso, alzai un braccio che feci cadere mollemente sugli occhi, in modo da pararmi da quella luce fastidiosa. Guardai l'orario, i numeri segnavano esattamente le 06.40 in maniera sfocata, maledetta miopia. Rimasi a letto, sbuffando sonoramente. Molti riescono appena svegli a formulare pensieri coerenti, a realizzare una lista delle cose da fare. Il mio cervello riusciva a formulare solamente la frase “ devo fare pipì”.

Così, svogliatamente, mi alzai lentamente per sopperire a quel bisogno fisiologico impellente, dopotutto sarei dovuta andare a scuola. Frequentare il mio ultimo anno di liceo, e finalmente decidere cosa fare della mia vita. Una decisione che rimandavo ogni volta. Come si può decidere il futuro della propria vita, solamente con una scelta? Insomma, la vita è fatta da un insieme di scelte che compiamo inconsciamente ogni giorno: “Oggi mi piacerebbe mangiare un gelato al pistacchio, domani al fior di latte”,” Dovrei andare in palestra, ma decido di rimanere in casa, mancando l'opportunità di incontrare la persona della mia vita”. Insomma se non ero decisa nemmeno sul gusto del gelato, figurati se potevo avere chiaro in mente cosa voler fare della mia vita. Alla domanda “ che università farai?” la mia risposta rimaneva sempre la stessa, come se recitassi lo spot di qualche pubblicità scadente: “Università? No,grazie”.

Sono sempre stata del pensiero che alla nascita dovrebbero regalarti un manuale d'uso per la vita “ non fare questo...”, “scegli questo...”, insomma un qualcosa da seguire come modello in modo da fare meno cazzate possibili e che rispondesse alle tue domande. E mai come quest'anno desideravo risposte che non riuscivo a darmi; ogni domanda aveva una moltitudine di risposte e nessuna mi sembrava la più idonea. Ecco cos'è la vita: un sistema matematico pieno di X e Y; a pensarci bene, come possiamo darci risposte se le prime incognite siamo noi stessi? La nostra base cromosomica non è per caso una coppia di X e Y?

Fatto sta, che a scuola sarei dovuta andarci, anche se la mia voglia di studiare era pari alla voglia che potrebbe avere un mucca di andare a farsi una gita al macello. Che immagine disgustosa.

- Hai preparato lo zaino?-
​- Sì, madre. -

Ogni anno scolastico sempre la stessa domanda, la stessa risposta, le stesse azioni “la routine uccide”, non capisco perché ci mettano nella condizione di crearcela, allora.

Arrivo a scuola trascinando le scarpe sul marciapiede, così stanca della mia vita da non avere nemmeno la forza di sollevare i piedi per camminare. Mi accontentavo di sembrare un zombie. Avevo solo 18 anni, ma mi sembrava di aver sopportato il mondo per millenni. Solite facce, soliti sorrisi finti di persone che non ricordano nemmeno come ti chiami, ma insomma alle superiori conoscere gente ti rende “figo”. Alcune volte non capisco perché mi dia tanto da fare per fare bella figura davanti alle persone se non provo alcun interesse verso di loro. È una stupida deformazione comportamentale che alcune volte mi fa vergognare di me stessa, insomma, mi comporto da brava ragazza anche se vorrei sputarti in faccia le peggio parolacce, mentre rido per la tua faccia scandalizzata.

Stamattina mi sentivo in vena di trovare tutto ciò che non andava nella mia vita, e cazzo, ne stavo trovando fin troppo. Forse avevo sbagliato tutto dall'inizio, forse stavo vivendo una vita che non mi piaceva, forse avevo fatto scelte impulsive che non sentivo mie, facevo la ragazza della porta accanto pur sentendomi un centauro tatuato. Prima o poi sarei implosa.

Stavo seduta sul muretto della mia scuola, fissavo la cancellata arrugginita; in alcune zone la pittura scolorita, un tempo rossa, era sparita. Mi sentivo vicino alla mia scuola: stavo miseramente cadendo a pezzi. Non essere quel che si è logorava e ti toglieva il respiro come se qualcuno ti tenesse la testa sott'acqua. Ecco, mi sentivo annegare in un mare di facce. Forse se avessi avuto il coraggio di scoprirmi, di mostrare il fianco, forse qualcosa sarebbe cambiata, ma avevo costruito delle mura di cinta così alte, così spesse che non riuscivo più ad abbatterle, avevo murato viva me stessa.

Stavo per piangere, sentivo quel pizzico in gola che ti fa lacrimare e ti mozza l'aria nei polmoni. Alzai lo sguardo verso il cielo per ricacciare indietro le lacrime, come se la forza di gravità potesse fare qualcosa, come se le leggi della fisica fossero dalla mia parte. Ho imparato che contro il dolore nulla può, nessuna legge. Sarei voluta sparire, in quel momento, in quel cielo di settembre.

Quando abbassai la testa il mio sguardo fu catturato da una nuvoletta di fumo biancastro, proveniente da qualche sigaretta. Mi incantai e ne seguii le volute fino a raggiungere le labbra della persona che stava fumando. Erano chiare e sottili, stese in un sorriso dolce. I denti erano imprigionati da un apparecchio fisso, ma in quel momento mi sembrò il sorriso più bello che avessi mia visto. Seguii la linea dolce del labbro superiore fino alle fossette che si formavano sulle guance. Mi leccai le labbra, mi si era seccata la gola. Distolsi lo sguardo, avevo paura di continuare a guardare. Il mio cuore stava battendo più forte e stavo sudando freddo, quel sudore fastidioso che ti si forma sulle mani rendendole appiccicose. Non poteva star succedendo davvero, non di nuovo. Cercai di impormi di non riguardare quelle labbra, ma non riuscì a resistere, quanto siamo deboli.

Ripresi a fissare da dove mi ero interrotta, risalii lungo la linea del naso, dove appoggiava la montatura di un paio di occhiali e poi eccoli: Aveva gli occhi socchiusi, scuri, mentre rideva a qualche battuta che non avevo sentito. I lunghi capelli le scendevano sulle spalle dove era appoggiata una cartella rossa. Tutto nei suoi movimenti e nel suo modo di sorridere mi stava catturando. Penso di aver provato la stessa emozione di Cristoforo Colombo quando raggiunse terra, quando i primitivi scoprirono il fuoco. Quella gioia nel scoprire qualcosa di nuovo, quella di aver raggiunto la tua destinazione. Per la prima volta in 18 anni, in quel sorriso mi ero sentita a casa dopo essere stata in viaggio per tanto tempo, finalmente in quell'attimo avevo riscoperto cosa significava il calore intimo del cuore, il voler qualcosa.

Sentivo il desiderio che quel sorriso fosse rivolto solo a me, a me soltanto, che fossi io a farlo nascere su quelle labbra.

Dopo 18 anni, avevo scoperto di avere un cuore che funzionasse.

Quella mattina di settembre la me stessa che avevo murato viva era riuscita a crearsi un piccolo spazio.

 

   
 
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