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Autore: Callie_Stephanides    10/08/2014    18 recensioni
[Kaijū!AU] Dopo la morte dell’amico e copilota Bucky, Steve Rogers ha abbandonato la divisione S.H.I.E.L.D. e il progetto Jaeger. Quando tuttavia la minaccia dei Kaijū, creature mostruose vomitate dalla faglia atlantica, insidia la baia di New York, il colonnello Fury non esita a richiamarlo: l’umanità decimata ha infatti bisogno di qualcuno che la protegga.
O che la vendichi.
(…) “Non posso guidare uno Jaeger senza Bucky.”
“No, non può farlo senza rabbia. Cosa pensa della vendetta, Capitano?”
“È solo un altro modo di chiamare la sconfitta.”
“Il colonnello Fury ritiene piuttosto che sia la giustizia, se la incoraggi con mano pesante. Il tempo delle carezze è finito. Fuggire è un lusso che non possiamo concederci.” (…)
[ATTENZIONE! Il contesto narrativo è mutuato dal film Pacific Rim, ma la collocazione geografica delle vicende e i protagonisti appartengono al MCU]
Genere: Azione, Guerra, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Nick Fury, Steve Rogers/Captain America, Thor, Tony Stark/Iron Man, Un po' tutti
Note: AU, Cross-over, Movieverse | Avvertimenti: Incest
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There are things you can’t fight, acts of God.
You see a hurricane coming, you have to get out of the way.
But when you’re in a Jaeger, suddenly, you can fight the hurricane.
You can win.
Pacific Rim

I.
La perfetta risonanza

Politica è il nome che le belve raziocinanti danno alla più antica e primitiva delle leggi: fotti sempre per primo; colpisci alle spalle e ficcalo dentro.
Ingiunzioni come morsi e come pallottole, domande che uncinano la carne e pugnalate assertive: ecco cos’è il potere, quando dimentichi stellette e mostrine.
Gli schermi olografici riempiono ancora il buio di bave azzurrine, ma tacciono. Un silenzio greve, poiché l’assenza di parole è spesso la retorica più eloquente.
La divisione S.H.I.E.L.D. è arrivata a un punto morto – scudo di latta, ha insinuato l’imbecille che presiede la Confederazione Europea.
Washington appoggia la mozione-Pierce e l’emorragia di fondi è inarrestabile.
Vogliono segregare l’umanità superstite oltre una muraglia di metallo, quasi la Storia non abbia già insegnato quanto fragile sia un’illusione di barriera; come se mangiare l’orizzonte dell’oceano costituisca davvero la risposta a un problema che di risposte, no, non può averne.
I Kaijū non sono un flagello divino, né un nemico corretto. I Kaijū sono la faccia di un’evoluzione che non piace a nessuno, poiché suggerisce un’imbarazzata omissione di Darwin: se l’uomo è sopravvissuto ai giorni della clava e delle caverne, è stato per puro culo.
E ora la festa è finita.
 
“Colonnello Fury…”
 
Phil Coulson si annuncia con il garbo del perfetto burocrate.
Faccia da bancario, l’ha chiamato la Hill, in occasione del loro primo incontro.
Coulson non si è scomposto, né ha accusato un’osservazione volutamente offensiva.
Immagino che non si lasci condizionare dalle apparenze, signora, ha replicato. Non è nemmeno una mia abitudine.
Maria ha scosso il capo ed è battuta in ritirata; onesta, sa riconoscere la lama del sarcasmo, se le fanno il contropelo. Come ogni soldato, soprattutto, impara più dagli schiaffi che dalle carezze.
 
“Suppongo che l’incontro con i rappresentanti dell’Atlantic Rim non sia andato secondo le nostre aspettative.”
Fury punta il piede e ruota sulla poltrona di quarantacinque gradi. “Game over. Lo S.H.I.E.L.D. non otterrà altri finanziamenti. Il progetto Jaeger è stato pensionato con largo anticipo.”
Coulson accusa il colpo – se ne accorge da come le dita artigliano i bordi della cartella di cuoio sintetico.
“La faglia atlantica è ancora in espansione. La muraglia di Pierce non sopporterà un attacco prolungato dei Kaijū di categoria tre.”
“È quello che ho suggerito anch’io, ma hanno sentito il bisogno di ricordare come le nostre unità mobili abbiano limitato di appena un quarto le perdite e, nel migliore dei casi, fatto puro contenimento.”
“Questo è vero solo in parte e ingiusto. Il capitano Steve Rogers è riuscito a proteggere Halifax nonostante la morte del copilota.”
Fury sorride. “Sono certo che il suo sarebbe un miracolo ripetibile, se si ripresentasse l’occasione.”
“Credevo che avesse preso congedo.”
“Forse dalla vita, Coulson, ma non dalla Storia. Il nostro è un reclutamento permanente.”
“Spero che abbia pensato a una parte anche per me, signore. Io…”
Fury si alza e gli porge la mano. “Se la razza umana dovesse estinguersi e tu fossi l’unico sopravvissuto, quale sarebbe il tuo primo desiderio?”
“Vendicarmi.”
“Ed è quello che faremo. Senza aspettare i titoli di coda, però.”

*

Lo chiamava Stevie, Stewie, Pulce: il capo inclinato di lato, occhi traditori come il cielo di marzo. Ha continuato – perseverato – quando il buonsenso avrebbe suggerito parole nuove o un rispettoso silenzio, perché la vita gli ha ispessito i muscoli, indurito lo sguardo, allungato le ambizioni.
Blindato il cuore, tuttavia, mai: ed era quello che regalava loro la perfetta risonanza.
Bucky sosteneva fosse una questione d’acustica.
 
L’hai mai guardato davvero un violino, Stevie? Le sue virgole gemelle?
 
Bucky conosceva il gusto della metafora e in bocca nascondeva infinite trovate – le masticava con cura e te le regalava con un sorriso. Generoso.
 
Come pensi che si conquisti una donna? Una doccia non basta, né una bella faccia. Devi farle suonare la fantasia, pizzicare tutte le corde, finché non trovi il suo ritmo.
 
Ma non sarai suonato tu?
 
Sono state le ultime battute della loro storia: impastate di stanchezza, insofferenza, superficialità; mangiate da una sirena sfonda-timpani, sotto un cielo di metallo e lampi bianchi.
Le ultime prima di scivolare incontro al Destino – la Fine – nel ventre buio di Howling C. America I, l’aveva ribattezzato Bucky – ti stupisce? Non dovrebbe – assecondando l’onda di un’euforia alcolica e ispirata.
Gli ha dato un nome, un carattere, una missione con una birra troppo calda, colata lungo la lucida corazza di titanio come piscio di gatto.
 
Noi siamo l’America, Stevie. Siamo noi che proteggiamo la ragazzona con la torcia.
 
In due erano uno, né c’è mai stato test che abbia suggerito il contrario. Un drift da nove punti su dieci è simbiosi, efficacia, successo. Due orfani di Brooklyn erano il sogno: un’illusione di polvere e sale.
 
L’ultima crepa si è aperta davanti alle coste canadesi, vomitando una lumaca alta due grattacieli.
 
Mi sembra troppo brutto per un categoria due, ha detto Bucky nella sua testa.
È quanto gli manca ora (da impazzire); quel che del drift preferiva: una rete di silenzi filata dalla fiducia, come una tela di parole solo loro.
Poi la lumaca ha estroflesso una pinza dentata e l’ha affondata nel cuore dello Jaeger.
Da allora non ha più smesso di ascoltare le urla di Bucky. E l’acustica è sempre perfetta.

*

Il risveglio è la parte peggiore della giornata e non solo perché la temperatura in superficie è di quelle che, per citare Rusty Coltrane, ti gelano l’uccello alla sola idea di pisciare.
Apre gli occhi e lui non c’è. L’assenza è una ferita tanto fresca da far rimpiangere gli incubi in cui lo guarda morire ogni maledettissima notte.
L’alba alla fine del mondo è una striscia livida, tra il verdino e il rosa, frustata da neve che pare pietrisco. Chi lavora al carotaggio, per preparare l’innesto dei nuovi piloni di vibranio, impara ad apprezzare il tepore del sottosuolo, una vita priva di cielo e del brivido inatteso di una nuvola.
Un’esistenza da topi, lamenta qualcuno, finché un relitto cinquantenne non grugnisce la verità su cui confidano tutti: i ratti sono sempre gli ultimi a lasciarci la pelle.
 
Allora perché sei qui? Quanto t’interessa durare un altro giorno?
 
Il vassoio della colazione ospita una tazza di brodaglia melmosa e un tortino di carne.
“Era l’ultimo, ma te l’ho messo da parte,” dice Beth, come ogni mattina – e, come ogni mattina, abbassa lo sguardo, arrossendo un poco.
La saluta con un cenno del capo, prima di cercare un angolo in cui mangiare senza l’obbligo d’essere sociale.
Un tempo taceva per timidezza e perché Bucky parlava per due. Ora perché è la metà di un niente chiamato ‘fallimento’.
“Dovremmo scappare tutti in Florida. La barriera del Golfo è quasi completa e di là non passeranno di sicuro.”
“Sempre che non ne arrivino di più grossi, cioè quanto è capitato negli ultimi mesi,” mormora a denti stretti. Il tortino s’incolla al palato come merda – il sapore della vita, quando diventa indigeribile.
Pensa a com’era solo cinque anni (secoli) prima: adrenalina, entusiasmo, speranza. Notti ch’erano un battito di ciglia e barbagli rossastri sulla retina; un pugno volto al cielo e sorrisi e applausi e avremo tutte le donne del mondo, Stevie. Tutto quello che non hai mai avuto nemmeno il coraggio di chiedere.
 
Volevo essere come te, Bucky. Volevo essere te, non perderti.
 
“Può concedermi un minuto, capitano Rogers?”
Solleva lo sguardo.
“Sono Phil Coulson, settimo livello S.H.I.E.L.D. Il colonnello Fury ha un lavoro per lei.”
“Ne ho già uno,” replica e torna a concentrarsi sulla tazza, sugli occhi spenti di un simbolo che è ora una bandiera a mezz’asta.
“Non quello per cui è stato addestrato. Dimenticare è facile, temo, tuttavia…”
Steve stira le labbra, ma il sorriso muore in una smorfia feroce. “Se lo fosse davvero, non sarei qui.”
“A nascondersi in attesa dell’inevitabile? Non mi pare una condotta degna dell’eroe che chiamavano Capitan America.”
“Quello era il nome di tutti, non il nostro. E lei non sa nulla di me.”
“So che il suo esempio è valso il mio reclutamento in prima linea.”
“Non posso guidare uno Jaeger senza Bucky.”
“No, non può farlo senza rabbia. Cosa pensa della vendetta, Capitano?”
“È solo un altro modo di chiamare la sconfitta.”
“Il colonnello Fury ritiene piuttosto che sia la giustizia, se la incoraggi con mano pesante. Il tempo delle carezze è finito. Fuggire è un lusso che non possiamo concederci.”
 
… O non smetteremo più di farlo. Sono parole tue, Steve, ricordi?
Lascia la mia mano e smetti di cadere.

*

Il progetto Avengers doveva essere il suo telefono rosso (1): una minaccia, non una certezza inevitabile; un’ipotesi da accarezzare con la rassicurante convinzione di non dovervi ricorrere, perché di tutti i cancri, l’umanità avrebbe dimostrato d’essere ancora una volta il peggiore.
Indistruttibile.
Invece il Destino è il miglior antidoto al veleno dell’arroganza e bastano gli ultimi rilievi a dimostrarlo: la fenditura che chiamano Devils Hole lambisce ormai la foce dell’Hudson ed è abbastanza larga da lasciar passare una montagna di voracissima merda aliena. Non ci sarà modo di ricucirla; non ora che il Segretario di Stato gli ha stampato sul muso il bacio di Giuda.
 
So che sei il migliore, Nick, ma non quanto credi.
 
‘Fanculo, Pierce. Ti preferivo quand’eri solo un mio superiore, non un burocrate della paura.
 
I volti della speranza galleggiano nell’oscurità come in un ipnotico amnio: nomi, storie, abilità, perdite, da cui trarre l’armonia definitiva e suonare l’ultimo requiem per una catasta di morti.
 
File #001: Anthony Edward ‘Tony’ Stark, figlio dell’inventore del vibranio.
 
Multimilionario, playboy, presuntuoso piantagrane con il pallino dell’antropomeccanica e dell’autocelebrazione.
 
Basso coefficiente interconnettivo.
 
Non basso: inversamente proporzionale al suo ego. Come pilota non è di alcuna utilità. In veste di progettista, invece…
 
Brevetti acquisiti dallo S.H.I.E.L.D.: reti neurosintetiche di terza generazione, interfaccia Jaeger digitale, propulsori a idrogeno.
 
E suoi, soprattutto, sono i soldi che ci tengono ancora a galla.
 
File #002: Robert Bruce Banner, ricercatore presso la Culver University. Esperto di raggi gamma. Ideatore del prototipo monoposto HU.L.K. (HUnting Lokust Keeper).
 
Un fiasco colossale che, se ben ricordo, ha raso al suolo Harlem e gli è costato una moglie.
 
Disperso.
 
Errore: le ultime nuove lo danno missionario prima a Rio e poi a Calcutta. Un cervello sacrificato all’espiazione.
 
È stato il primo a isolare la catena reticolare di silicati che compongono il DNA dei Kaijū.
 
Un penitente da richiamare in servizio, dovessi pure scomodare il Papa e fargli avere l’indulgenza plenaria.
 
File #003: Clinton Francis ‘Clint’ Barton. Sniper reclutato dalla CIA, operativo S.H.I.E.L.D. dal 2025. Ottimo esecutore, scarsa disciplina, alto coefficiente d’interconnessione.
 
File #004: Natalia Alianovna ‘Natasha’ Romanova. Cittadina russa, passaporto statunitense dal 2028.

 
Spia al soldo dei servizi segreti di stanza a Volgograd, venduta allo S.H.I.E.L.D. come sacrificabile e salvata a sorpresa dal cecchino che doveva ‘neutralizzarla’.
 
Coefficiente d’interconnessione con l’agente Barton pari a 89, 97 %.
 
Dalla Russia con amore, insomma…
 
Il loro Jaeger Budapest HW è il solo a essere rimasto imbattuto.
 
E tale deve restare.
 
File #005: Thor Odinson, primogenito di Odin Borrson.
 
Figlio d’arte. Il vecchio è l’unico sopravvissuto del Valhöll.
 
Coefficiente d’interconnessione con il copilota Loki Odinson pari a 95,7 %.
 
Peccato che dopo l’attacco subito davanti al fiordo di Jotunheim, il fratello non sia più riuscito a sostenere un drift.
 
… Sospette lesioni cerebrali, instabilità psichica ed emotiva.
 
E con Loki fuori squadra, Mjolnir 616 è inutilizzabile. Sempre che…
 
File #006: Steven ‘Steve’ Rogers, altrimenti noto come Capitan America.
 
Il nostro uomo.
 
Pilota eccellente, innato intuito strategico.
 
E resistenza fuori dal comune, se ha respinto un categoria tre dopo la perdita del copilota.
 
Congedato a richiesta.
 
Mi piacerebbe conoscere l’imbecille che gliel’ha accordato, pensa, mentre controlla il palmare.
C’è un solo messaggio ed è quello che aspettava.
 
God bless America, scrive Coulson.
Non avrebbe saputo immaginare una formula migliore.

*

II
L’ottava nota

Non un colpo di fulmine, ma un colpo di frusta: questa, almeno, la definizione di Darcy Lewis, assistente, forse amica, senz’altro campionessa di spettegolamento in lungo, filosofia spicciola e critica della ragione emotiva.
Jane vorrebbe negare, ribattere che no, l’amore è uccellini, campane e petali di rosa, ma sa che mentirebbe.
Se ha trovato Thor è perché l’ha investito due volte nell’hangar blindato dello S.H.I.E.L.D., mentre tentava un’improbabile manovra di parcheggio. Per sua fortuna, tuttavia, l’unico che è uscito malmesso dallo scontro è stato il suo eroico furgone.
Sono passati più di sei mesi e sembra ancora ieri: i lampi aranciati delle guide, l’interminabile coda per l’identificazione, il sapore dolciastro del sangue sulle labbra maltrattate dall’attesa e poi…
 
“Allora, gliel’hai chiesto?”
 
Darcy schianta il vassoio sulla lamina d’acciaio del tavolo che occupa sola, periferica rispetto all’universo dei piloti e dei loro meccanici.
È stato Erik Selvig a reclutarla nel team scientifico, quando gli studi condotti dal suo mentore hanno svelato l’autentica natura della faglia atlantica: un ponte di Einstein-Rosen, da cui non sbocciano misteri ma fameliche montagne di carne.
 
“Chiesto cosa?”
 
Darcy annusa la vaschetta di spezzatino vegetariano e arriccia il naso disgustata. Alle loro spalle, due operativi di terzo livello commentano le prestazioni del team Budapest. Sembra che la coppia Barton-Romanova abbia sventrato un Kaijū di categoria tre all’altezza di Bangor. Immagini della bestia, sgranata come un frutto marcio, rimbalzano da un’emittente all’altra.
 
Se esiste un lumacone in grado di spaventarmi?” dice Barton al microfono di un giornalista rachitico. “Forse… Ammesso che in giro ce ne siano di più brutti del colonnello Fury. E ho i miei dubbi.
 
“Pagliaccio.”
 
Quella voce la sfiora come un vento polare, poi si allontana. Jane fissa il piatto, le labbra strette e il cuore in gola.
“Loki ha sempre una buona parola per tutti,” bofonchia Darcy, mentre rumina pensosa una patata. “Sai che, quando gli ho proposto un appuntamento, prima mi ha riso in faccia, poi ha risposto che avrebbe trovato più stimolante un criceto oligofrenico?”
“Tu hai…”
“Che poi… Che razza d’insulto sarebbe?”
“Ma come ti è saltato in mente qualcosa di tanto…”
“Un vichingo a te e uno a me, no? Il fratello da dieci e lode era già prenotato, sicché mi sarei accontentata di quello da sette e mezzo. Tempo buttato.”
Jane solleva il capo. Anche Loki siede a un tavolo discosto dalla mensa comune, l’espressione insofferente di chi vorrebbe trovarsi altrove; la solitudine esibita di chi medica l’umiliazione con l’orgoglio.
“Lo faranno fuori, ammesso che non sia già successo,” dice Darcy, che dovrebbe aiutarla nei calcoli, ma mira a un PhD in ‘relazioni sociali’. “Nell’ultima simulazione è sceso al dodici per cento. Peggio di un criceto impotente per davvero.”
“Non credo che Thor lo permetterà. Non dopo quello che è…”
“Thor, è vero! Era di lui che stavamo parlando. Insomma, l’hai invitato a una romantica passeggiata tra i rottami?”
Jane sbuffa e scuote il capo.
“Che imbranata! Tutta la base di Manhattan sa che gli piaci e ti permetti di recitare la parte della verginella?”
“Sarebbe imbarazzante e… Frivolo? La faglia ha superato la soglia critica ed io dovrei rendermi ridicola?”
Darcy ingoia una sorsata di proteine sintetiche. “Invidio il tuo ottimismo, allora.”
“Ottimismo?”
“Per sputare sull’occasione della tua vita, quando davanti ce n’è tanto poca…”
“Perciò avresti chiesto un appuntamento a Loki per abbreviarti l’agonia?”
“Uhmmm… Forse. O magari ero solo curiosa di sentir suonare l’ottava nota.”
“Fino a prova contraria, le note sono sette.”
“Appunto: le ragazze sveglie non si accontentano del pentagramma.”
“Né degli psicopatici.”
“Nessuno è perfetto.”

*

“Posso sedere?”
Loki gli risponde con un’alzata di spalle. Non se ne stupisce: lo conosce abbastanza da intuirne le emozioni senza bisogno di un ponte neuronale.
“Come sono andati gli ultimi test?”
“Secondo te?”
La voce è persino più fredda del solito. Da quando è capitato quello, Loki non ha fatto altro che mordere – e cadere, cadere, cadere.
L’hanno chiamata ‘sindrome di Jotunheim’, ma chi vorrebbe mai consegnarsi all’immortalità di un tomo di psichiatria?
È una maledizione familiare, pensa: a suo padre, l’estrema propaggine settentrionale della faglia è costata un occhio; a lui, un fratello. Perdere Loki, del resto, somiglia proprio a un’amputazione e il prurito dell’arto fantasma è l’accanimento con cui seguita a cercarlo. Come un cane.
Colpevole.
 
 
 
Loki è entrato nella sua vita il giorno in cui ha compiuto cinque anni, ennesimo dono destinato a un bambino che aveva già tutto e lo sapeva, poiché non puoi essere l’unico figlio del magnate del petrolio norvegese senza immaginare che la tua vita sarà – appunto – lucida d’olio. E facile, facile, facile.
 
Agli inizi degli anni duemila, quando loro non c’erano ancora, la Asgard Oil riscaldava l’emisfero boreale da Providenija a Húsavík, da Akureyri a Dover: un impero d’oro nero in grado di rivaleggiare con il più florido degli emirati. Tale sarebbe rimasto, almeno, se non fosse apparsa la crepa sul fondo dell’oceano Atlantico e, con la faglia, i Kaijū.
Suo padre, Odin Borrson, non ha mai avuto la vocazione della vittima: anziché tremare come l’ultimo dei conigli, ha assoldato i migliori tecnici in circolazione affinché costruissero la più colossale macchina da guerra mai concepita. Il Valhöll era uno Jaeger maestoso, di quelli che, anche solo a guardarli, t’inoculano la convinzione d’essere imbattibili. L’illusione non è durata un biennio, ma è comunque diventata leggenda: contro l’impenetrabile esoscheletro in vibranio, le zanne degli invasori si frantumavano come ridicola ghiaietta e i fiotti d’acido solforico, spruzzati dalle ghiandole branchiali dei Kaijū, non producevano una sola scalfittura degna d’essere chiamata tale.
Borrson e il copilota, Laufey Ymirson, si consideravano i nuovi dèi del Grande Nord, certi com’erano dell’invincibilità dello Jaeger e dell’inviolabilità della costa norvegese. Poi, un maledetto giorno del maggio duemiladieci, quando credevano d’aver visto davvero tutto, il buco prospiciente il fiordo di Jotunheim (2) ha vomitato un aborto troppo voluminoso persino per i mostri che affrontavano da mesi.
Il Kaijū – un ibrido vermiforme dalla testa di squalo – ha sventrato il Valhöll quasi fosse un orsetto di pezza.
Il casco di suo padre si è riempito di sangue.
Quello del copilota, di niente: è rotolato a terra con un plock secco.
Dentro c’era ancora la testa di Laufey Ymirson.
 
“Vuoi tenerlo, Thor?”
Gliel’hanno messo tra le braccia ed era piccolo come una bambola.
“È il tuo fratellino, Loki.”
No, non era suo fratello, ma il prezzo di un indigeribile rimorso.
Era il figlio di Laufey.
 
 
“Stai seguendo il protocollo medico?”
Loki allontana da sé il vassoio e lo guarda con un’espressione in cui disprezzo, invidia, ostilità diventano tutt’uno.
“Perché non è successo a te?” sibila. “Te lo saresti meritato.”
Thor stringe i denti e tace. Se assecondasse l’istinto, dovrebbe pestarlo a sangue, tanto forte è il bisogno di cancellarlo per ripulire la memoria da un drift maledetto.
“Torna a casa. Vedrai che starai bene.”
Il tono è più secco delle intenzioni, ma non è mai stato un abile attore, né un politico. Una birra, una donna, una bistecca al sangue, una rumorosa scopata: cercava una vita facile e ora arranca lungo un sentiero di lame.
Loki sogghigna – l’euforia isterica di chi ha perduto del tutto il controllo. “A recitare la parte dell’orfanello grato come nell’ultimo quarto di secolo?”
“Sei e resterai sempre mio fratello.”
“No, non lo sono, né lo sono mai stato… E, credimi, al momento è un sollievo.”
 
 
Thor ha scoperto la verità appena prima di una missione disgraziata. Mentre frugava tra i pregiati distillati paterni, alla ricerca della bottiglia che avrebbe dovuto procurargli una solenne sbornia vichinga, si è imbattuto in qualcosa che gli avrebbe piuttosto restituito la sobrietà anche dopo un litro di malto invecchiato: una molla. Un comparto segreto. Un certificato d’adozione.
 
“Che combini?”
“Niente.”
“Quella è la riserva speciale di nostro padre?”
 
Loki era il suo fratellino e doveva proteggerlo nell’unico modo possibile: tacendo e dimenticando.
Ce l’avrebbe fatta, almeno, se un Kaijū maledetto non gliel’avesse quasi ammazzato, strappandolo dalla cellula di comando: ha perso il controllo e Loki gliel’ha letto in testa – ‘fanculo anche al drift – prima di entrare in loop.
 
“Loki…”
“Non intendo parlarne più.”
Il problema è che non ne hanno parlato affatto; non di quello che è risuonato nel suo casco.
 
Io ti amo ti amo ti amo e non m’importa di crepare, se non posso averti, stupido caprone.
 
Loki è innamorato di lui e Thor è costretto a pensare che sì, forse l’unico sollievo è davvero immaginare che non siano fratelli.

*
 
III.
 Saluta la bandiera

New York vive nei suoi ricordi come un riverbero costante. È stata madre, matrigna, casa, deserto, palcoscenico, tomba.
New York era Bucky, il suo entusiasmo contagioso, la voglia di combattere e di godere.
New York è il suo ieri, ma gli chiedono d’inventarle un domani.
 
“Manca ancora molto?”
Phil Coulson solleva lo sguardo dal palmare. “No. A breve potrà rendersene conto da solo.”
Oltre un oblò pressurizzato, l’oceano ribolle attorno alla baia di New York. La foce dell’Hudson, assediata dalla faglia, somiglia a una ferita slabbrata – o alla cola di una cloaca.
“La frattura dimensionale è arrivata fin là?”
“Già. Gran parte di Staten Island e di Brooklyn è stata evacuata, ma non sappiamo quanto una simile scelta possa dirsi efficace.”
“Se il colonnello Fury ha un piano, è abile nel farlo passare per puro azzardo. Ancora non ho capito cosa si aspetti da me.”
“Abbiamo un pilota che, come lei, ha perso il compagno e fondate ragioni di ritenere che possiate costruire una nuova squadra.”
Fondate ragioni o una vaga speranza?”
Coulson sorride e si stringe nelle spalle. “Importa davvero? La mano che ci è stata servita legittima qualche bluff.”
Steve chiude gli occhi e si abbandona all’avvolgente abbraccio del sedile. Gli ultimi cinque anni sono stati così duri da fargli dimenticare il piacere dei piccoli lussi, ma la memoria della pelle vince ogni autoinganno e racconta dei giorni in cui non c’erano solo freddo e silenzio.
“Come si chiama?”
“Thor Odinson.”
“Thor? Che razza di nome sarebbe?”
“È un tipo… Pittoresco,” dice Coulson. “Ma le apparenze ingannano. Sebbene paia uscito da un incubo di Wagner e parli un inglese del dodicesimo secolo, resta uno dei migliori piloti europei.”
“E il copilota?”
“È il fratello. Si chiama Loki.”
“Credevo fosse morto.”
Coulson libera un colpetto di tosse che ne tradisce il disagio. “Diciamo che, sul piano operativo, è come se lo fosse, ma non è nulla di cui debba preoccuparsi. Ora le consiglio di allacciare le cinture, perché stiamo per immergerci.”

*

“E allora le dico: potremmo almeno provarci. Dopo un centinaio di drift ci conosciamo meglio di una coppia sposata da cinquant’anni. Perché non dovremmo approfondire il rapporto?
“Capiamoci, caro il mio Clint Bourbon… Non saremo di nuovo al punto in cui tu provi a raccontarmi la tua squallida vita sessuale ed io sogno di aprirti la testa con una chiave inglese?”
“Darti dello stronzo, Stark, suona come chiamare cucciolotto un Kaijū,” brontola Barton, appollaiandosi sull’unico tavolo del laboratorio che non somigli a un altare votivo dedicato al Dio Rottame.
“Sei tale e quale ad Anima della Festa Odinson.”
Rock of Ages? Hai provato a rimorchiare anche lui e ti è andata male?”
Clint solleva il medio e mima un conato. “Piuttosto bacio con la lingua il colonnello.”
Stark sogghigna, mentre strofina i palmi su una tuta da lavoro ormai impresentabile.
“Parlando di Loki, senti questa… Discutevo con Nat della possibilità di scaricare un bel po’ di polonio nella buca, tanto per vedere se le carogne avrebbero gradito e come se ne esce quell’altro? Se i cervelli fossero tritolo, il tuo non spettinerebbe un soffione. Se ne approfitta perché il fratello è caduto nel pentolone da piccolo (3)… Ma quello che proprio non riesco a digerire…”
“È che la Romanova se la sia fatta addosso, mentre tu hai dovuto rimuginarci su l’intera giornata?”
Clint apre la bocca e lo fissa con espressione bovina.
“Coraggio: dicono che con la testa vuota il drift riesca meglio e… Sembra che abbiamo un nuovo acquisto.”
Barton inghiotte la risentita replica e sbircia oltre la feritoia che affaccia sul corridoio centrale.
“Ma quello non è Capitan America?”
Stark lancia in un angolo gli occhiali protettivi e si ravvia i capelli. “Che aspettiamo, allora? Andiamo a salutare la bandiera.”

*

“È bello rivederti, capitano. Non ero sicuro che avresti accettato, ma, a quanto pare, il mio istinto non mi ha tradito.”
La stretta di Fury è decisa, vigorosa e racconta l’uomo altrettanto bene della cicatrice che ne deturpa il viso. È nato per comandare, combattere, vincere. Che gli riescano anche i miracoli, tuttavia, è ancora da dimostrare.
“E se avessi rifiutato la sua proposta?”
Fury non si scompone. “Saresti comunque qui, ma non avresti trovato un comitato d’accoglienza altrettanto caloroso.”
“Immaginavo. Mi auguro di non passare per ingrato se confesso d’essere poco interessato ai pasticcini dello S.H.I.E.L.D.”
 
“Saggia decisione. Se anche ce ne fossero, Monocolo non li dividerebbe di certo con la truppa. O sbaglio?”
 
A parlare è un uomo sulla quarantina, sguardo arrogante e la sicurezza del padrone, nonostante la tuta unta di grasso.
Fury ignora la provocazione; Steve, tuttavia, coglie qualcosa di simile a un lampo omicida nell’unico occhio del colonnello.
“Tony Stark. Una delle nostre menti più brillanti, benché s’impegni a suggerire il contrario.”
Steve tende la mano, ma l’altro pare più interessato a studiarlo che non a rispettare le convenzioni del galateo.
“Carenatura notevole. Di sicuro non stonerà al fianco di Conan il Barbaro.”
Fury scuote il capo, prima d’indicare al singolare meccanico un tecnico dall’aspetto anonimo, che si aggira meditabondo tra le rovine di uno Jaeger.
“Credo che il dottor Banner abbia bisogno d’aiuto, almeno quanto il capitano Rogers di familiarizzare con la base.”
Stark solleva i palmi e sospira. “Chiaro… Sono il terzo incomodo, non è vero? Colonnello… Capitano – e Steve è certo di avvertire una sfumatura sarcastica nel modo in cui il suo grado viene scandito – vi lascio al vostro appuntamento per soli uomini.”
Steve contrae le dita nel palmo, irritato più di quel che vorrebbe dall’occhiolino di commiato.
“Te l’ho già detto: non fidarti troppo delle superfici. C’è chi chiude un occhio solo per prendere meglio la mira e Stark è uno di quelli… Uno intelligente e pericoloso.”
“Ha la bocca larga,” replica. “Preferisco giudicare un uomo dalle sue azioni.”
Fury annuisce. “Una volta la pensavo come te, poi ho capito che la guerra semplifica le scelte.”
“Avrei detto il contrario.”
Fury evita con agilità un mucchio di detriti arrugginiti.
“Se devi nuotare in un mare di merda, ha forse senso turarsi il naso?”
 
Note:
(1) È una leggenda metropolitana, immagino sconosciuta ai più giovani, ma chi, come me, era un bambino negli anni della Guerra Fredda, credeva davvero all’esistenza di una ‘linea calda’ tra U.S.A. e U.R.S.S., funzionale ad arginare il rischio di una guerra atomica tra le due superpotenze.
(2) È il nome di una catena montuosa norvegese, la cui cima più imponente, Galdhøpiggen, è anche la più alta montagna scandinava.
(3) Clint cita qui Obelix.

   
 
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