-Ced
mi ha parlato di te, naturalmente- disse Amos Diggory. –Ci ha
detto tutto delle
partite che avete giocato lo scorso anno, sai… E io gli ho
detto:Ced, questa è una
cosa che racconterai ai tuoi nipotini, sì… gli ho
dettto, hai battuto Harry Potter!-
[Harry
Potter e il Calice di fuoco]
-Proprio
così! Era un eccellente giocatore di Quidditch, il migliore
di Hogwarts! Non ci
sono dubbi su questo: ha battuto persino Harry Potter!
-Harry
Potter?- gli fece eco il piccolo – Davvero?
-Ma
certo! Ho forse la faccia di uno che dice bugie?!- ammiccò
il nonno – Il giorno
della partita c’era una tempesta terribile: fulmini e saette
ovunque, non si
vedeva ad un palmo di naso e all’improvviso i Dissennatori
sono entrati in
campo…
Il
bambino si sedette più comodamente sulle ginocchia del
nonno, i grandi occhi
grigi spalancati dallo stupore, attento a non perdersi neppure una
parola.
-Ma
lui non si è perso d’animo e, mentre Harry Potter
cadeva dalla scopa, ha
catturato il boccino d’oro!
-Papà,
ancora con questa vecchia storia?- Un uomo alto, con i capelli biondi e
gli
occhi grigi, era appena entrato nel salotto, un sorriso affettuoso e
paziente
sulle labbra.
-Che
c’è? Non posso essere orgoglioso di mio figlio?
Sempre modesto, il mio Cedric!
Amos
Diggory si alzò dalla vecchia poltrona accanto al fuoco
tenendo il nipotino,
che rideva come un matto, come un sacco di patate e si avviò
verso la sala da
pranzo, seguito dal figlio.
Quei
pranzi domenicali in famiglia erano il momento più bello
della settimana.
La
pioggia scrosciava rumorosamente sul lastricato di Diagon Alley e il
vento
portava gli schizzi fin sotto la piccola tettoia, dove un uomo con un
vestito
sporco e lacero sonnecchiava.
Il
temporale aumentò di intensità e l’uomo
si svegliò; aprì lentamente gli occhi e
si mosse appena, facendo rotolare numerose bottiglie vuote, poi si
guardò
intorno, spaesato.
-Ced…-
borbottò, la voce impastata dall’alcool.
D’un tratto sembrò ritornare in sé,
gli occhi azzurri spalancati e colmi di un dolore troppo grande per
essere
espresso con parole e lacrime. Le mani, ossute e sporche, tastarono
affannosamente
il terreno intorno a lui, scartando una bottiglia dopo
l’altra, alla ricerca di
una che contenesse ancora qualche goccia del prezioso liquido ambrato,
ma
invano.
L’uomo allora si alzò, barcollando vistosamente, e
si incamminò lungo la
strada, incurante del temporale che gli inzuppava i vestiti.
Diagon
Alley non era più la strada ricca di meravigliosi negozi,
sempre piena di gente
indaffarata in compere e chiacchiere. La maggior parte dei negozi aveva
chiuso
o stava per farlo e quei pochi che resistevano ancora erano
desolatamente
vuoti; le persone avevano paura ad uscire di casa, e se erano costretti
a farlo
cercavano di sbrigarsela il più velocemente possibile. Ma
tutto questo all’uomo
non importava: dopotutto, anche lui era ormai l’ombra di
ciò che era stato.
Sempre col suo passo stanco, come se anche solo l’atto di
strisciare i piedi
per terra richiedesse una forza e una fatica immense, giunse davanti al
Paiolo
Magico ed entrò. Anche questo era desolatamente vuoto e, per
qualche ragione,
sembrava più piccolo e lugubre che mai.
-Un
Whisky Incendiario. Lasci la bottiglia- disse in un sussurro roco.
-Signor
Diggory, perché non prende invece una buona tazza di
tè? È tutto bagnato,
l’aiuterà
a scaldarsi.- Tom sapeva perfettamente che l’uomo era ubriaco
e voleva
impedirgli di bere ancora.
-Lascia
stare, inutile vecchio, e tieniti il tuo tè.
L’anziano
barista provò a trattenerlo ma Amos era già
sparito oltre la soglia.
Le
strade rese scivolose dalla pioggia e le sue gambe malferme non erano
però una
bella combinazione: aveva fatto pochi metri quando scivolò
su un gradino e
cadde pesantemente a terra.
-Nonno,
mi racconti qualcos’altro?
Il
pranzo era stato eccellente, come sempre, visto che sua nuora era
un’ottima
cuoca, ed era trascorso piacevolmente tra chiacchiere e risate. Finito
il
dolce, nonno e nipote tornarono in salotto, dove il bambino fece la sua
richiesta.
Anche
questo faceva parte dei rituali della domenica: il piccolo doveva aver
sicuramente ereditato la curiosità dalla madre, una
brillante studentessa di
Corvonero, perché aveva sempre una domanda pronta e non era
mai sazio di
storie. Sarebbe stato per ore ad ascoltare il nonno che da parte sua
era ben
felice di condividere con un pubblico così attento i
racconti dell’infanzia di
Cedric.
Amos
dunque scompigliò affettuosamente la chioma corvina del
nipote e gli chiese:
-Ti
ho mai raccontato di quando ha vinto il Torneo Tremaghi?
Il
bambino scosse la testa e il nonno scoppiò a ridere: era una
sorta di gioco,
tra loro. Gli aveva raccontato quella storia almeno un centinaio di
volte, ma
puntualmente il nipote diceva di non conoscerla, per il piacere di
ascoltarla
di nuovo dalla sua voce.
-È
stato un parimerito con Harry!- intervenne Cedric dalla cucina e
godendosi le
risate che gli arrivarono in risposta.
Anche
quello faceva parte del gioco.
-Zitto
tu!- gli disse il padre, sempre ridendo- e aiuta tua moglie a fare i
piatti.
Poi,
rivolgendosi al nipote:- Devi sapere che il tuo papà era
stato il migliore in
tutte le prove. Il campione di Hogwarts! Tutti gli volevano bene e
tifavano per
lui, tutte le ragazze avrebbero fatto carte false per uscire con
lui…
-Ma
lui voleva solo la mia mamma- intervenne il bambino.
-Proprio
così, piccolo. Stanno insieme da allora. Stavo dicendo? Ah
sì: siccome era
stato il migliore, entrò per primo nel Labirinto. Era deciso
a vincere e a
dedicare la vittoria a tua madre. Tutto il pubblico era dalla sua parte
e lo incoraggiava
con applausi e grida, non poteva perdere!
Ricorderò
per sempre il momento in cui uscì da quel Labirinto: la
coppa in mano e gli
occhi che brillavano di felicità…
-Credi
che sia morto?
La
voce, fredda e incurante, giunse a fatica alla mente annebbiata di
Amos, che
non si prese la briga di rispondere. Dopotutto, non era neanche sicuro
di quale
fosse la risposta più appropriata.
-No,
respira. È solo svenuto, per l’alcool, direi, a
giudicare dalla puzza.
-Feccia,
ecco cos’è. Ecco cosa sono tutti. Topi di fogna
striscianti e pavidi che
tremano di paura. L’Oscuro Signore non sa che farsene di
gente così.
L’annebbiamento
si stava diradando. Ora Amos capiva i discorsi dei due uomini vicino a
lui. Da
qualche parte, ai margini della coscienza, qualcosa premeva
perché lui
rispondesse, perché prendesse la bacchetta e ammazzasse quei
due luridi
Mangiamorte, cominciando così a vendicare Cedric. Ma la sua
mente si opponeva a
quel pensiero: vendicare Cedric per cosa? Suo figlio stava benissimo,
era
felicemente sposato e con uno splendido bambino e presto lui sarebbe
andato a
trovarli e avrebbe raccontato al nipotino tante belle storie.
-È
solo uno spreco di ossigeno ambulante.
-Già.
E a me non piacciono gli sprechi.
Gli
avrebbe raccontato di come suo padre avesse invitato sua madre al Ballo
del
Ceppo, soffiandola a Harry Potter, e di come fosse stato Cedric e
risolvere l’enigma
della seconda prova… un sorriso incurvò le labbra
di Amos, mentre pensava alla
bontà del figlio, che aveva condiviso le sue scoperte col
compagno meno sveglio.
Stava
ancora sorridendo, quando il Mangiamorte pronunciò la
maledizione in tono quasi
pigro.
-Avada Kedavra!
Sorrideva,
Amos Diggory, finalmente.
Era
morto, Amos Diggory, finalmente.