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Autore: Harleequinzel    18/08/2014    4 recensioni
"Non deve essere facile rendersi conto di amare due persone contemporaneamente e non volerne ferire nemmeno una."
[ Makoto/Rin, Rin/Haru, Makoto/Haru ]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Haruka Nanase, Makoto Tachibana, Rin Matsuoka
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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.Cemento armato.
 
Quando Makoto arrivò sentì chiaramente il frusciare dei suoi piedi sulla sabbia umida.
Se qualcuno gli avesse chiesto di dar metaforicamente un suono al momento in cui tutto era iniziato, sarebbe probabilmente stato un fruscio, quello del respiro di Haruka quando si appisolava sulla spalla di uno una volta, dell'altro un'altra.
Sssh, sarebbe stato anche ciò che Haru avrebbe detto se gli avessero chiesto di scegliere, adesso.
«Ehi, Rin.» Makoto lo salutò normalmente, e fu in quel momento soltanto che Rin pensò per la prima volta di prenderlo davvero a pugni, che si comportava come se non stessero ballando sui cocci di un vaso rotto. Ma di prendere a pugni proprio lui, Rin non ne aveva minimamente il coraggio.
Lo guardò, con gli occhi lucidi e il sole del tardo pomeriggio che gli batteva contro, invitandolo tacitamente a sedersi. Makoto aveva quella sua tipica increspatura delle labbra verso l'alto, come quella che aveva quando gli veniva incontro al club di nuoto della Iwatobi.
Era quasi autunno ed entrambi si sentivano cadere giù come foglie secche, era quasi sera e i messaggi che si erano scambiati qualche giorno prima scottavano ancora come acciaio sotto il sole.
"Me lo ha detto."
"Che cazzo significa?"
"Non ti è venuto in mente di dirmi che stavate insieme?!"
"Dobbiamo parlare, giovedì alle sette."
Rin non ricordava quante cose di quel genere gli avesse detto fino a sentir i polpastrelli bruciare, ed anche se tutto era ancora sul suo cellulare probabilmente se avesse letto di nuovo quelle parole le avrebbe tenute per sempre marchiate sulla fronte come una condanna, e non voleva.
Si sentiva uno schifo anche perché Makoto non lo aveva azzannato tramite messaggi, non lo aveva accusato, non gli aveva chiesto spiegazioni, non aveva preteso nulla e quella, probabilmente, era un'altra ennesima vergogna.
Lo conosceva da tanti anni, ormai, e gli sembravano così tanti che credeva non gli bastassero le dita delle mani per contarli. Fino ad allora gli era sempre sembrato che il loro rapporto scorresse come acqua fresca in delle sorgenti al riparo da qualsiasi cosa, o come linfa nei tronchi degli alberi, come sangue nelle vene. In un modo o nell'altro, ai suoi occhi, lui e Makoto erano sempre stati qualcosa di tanto inscalfibile, insieme, che ritrovarsi tutto d'un tratto capovolti e rivoltati gli aveva fatto scuotere la testa e dire "cosa cazzo sta succedendo?".
Con Makoto aveva sempre creduto di correre nella stessa corsia, in una staffetta, in una sfida amichevole o qualcosa in cui potevano stare spalla a spalla in ogni caso, sentirsi e ritrovarsi come quelli che erano davvero. All'improvviso il treno su cui viaggiavano aveva preso un dosso, aveva avuto uno scossone tanto forte che quando erano tornati in equilibrio avevano sentito come un pezzo danneggiato, bucato, ciascuno di sé, un pugnale nella pancia dell'uno dalla mano dell'altro. Per anni si erano azzannati come cani senza rendersene conto e le ferite si erano dilaniate solo adesso.
Non avrebbe mai creduto che, una volta faccia a faccia, una volta fianco a fianco, si sarebbe sentito così miseramente piccolo da stringere i pugni sulla sabbia per non piangere.
«Quando te l'ha detto?»
Makoto aveva incrociato le gambe e affondato i palmi nella sabbia dietro, guardando la sfumatura umida del mare sotto il cielo violaceo all'orizzonte.
«Giovedì scorso.» rispose.
Rin si morse il labbro inferiore. «A me sabato.»
«Ah già, mi ha detto che usciva per incontrarti, sabato.»
«Cazzo, Makoto, e non hai detto niente?!»
Le onde scivolavano sulla battigia come fosse stata un pavimento di marmo, e nel complesso Makoto e le cose stesse sembravano così rilassati che Rin cominciò a sentirsi un pesce fuor d'acqua, lì, come se qualsiasi cosa avrebbe dovuto starci tranne che lui. Se Makoto poteva diventare tutt'uno con la quiete della spiaggia, lui probabilmente sarebbe scomparso come fumina durante una tempesta.
«No, Rin, non gli ho detto niente. Lui mi aveva già detto che si vedeva regolarmente con te, se non ho detto nulla in quel momento, come avrei potuto in un altro?»
«E perché non hai detto niente, maledizione?!»
Spinse con forza i palmi contro le ginocchia per evitare che un pugno di sabbia partisse involontariamente.
Makoto sospirò nel modo impercettibile con cui lo faceva sempre. «Ho detto qualcosa.»
Rin si costrinse a respirare. «Cosa?»
«Che non doveva chiedersi come stessi io.»
Rin sbarrò gli occhi e gli sembrò di aver tirato giù nei polmoni tutta l'aria salmastra che stavano respirando insieme.
Una delle cose che aveva detto ad Haru, dopo che gli aveva confessato di stare con Makoto, era stata "non ti chiedi come sto adesso?".
 
"Non deve essere facile rendersi conto di amare due persone contemporaneamente e non volerne ferire nemmeno una."
Rin ringhiò talmente rumorosamente mentre si sollevava a braccia incrociate sull'asta di metallo che metà del team lo sentì e lo guardò corrucciato.
Per comprendere quel tipo di ragionamento aveva passato ore intere a guardare il soffitto alla ricerca di ogni esempio più plausibile che gli venisse in mente. Sarebbe stato come scegliere fra Gou e sua madre, fra la farfalla e la staffetta o, più precisamente, come scegliere se mangiare o bere. Era in quei termini, bene o male, che l'aveva messa Makoto, ed in quell'istante Rin si era sentito così debole che aveva pianto silenziosamente con gli occhi sulle onde, e nessuno dei due aveva più parlato.
Era di nuovo sabato pomeriggio e Haru aveva chiesto di vederlo.
Rin si era preso il tempo per aiutare Ai con gli esercizi di inglese e pensare a cosa rispondere, ed alla fine era stata proprio quella, la risposta: pensare.
"Devo pensare".
A cosa dirti, a cosa dirmi, a come comportarmi, a come non picchiarti, ma alla fine solo "devo pensare".
Aveva, invece, mandato un messaggio a Makoto.
"Stasera, di fronte al vecchio club?"
"Va bene."
 
Rin guardò Makoto accomodarsi sul bordo della vecchia piscina con i piedi a penzoloni.
Questa volta aveva fatto lui gli onori di casa, dopo aver titubato fra i corridoi oscuri del club, ed in un certo senso non poteva biasimarlo: l'Iwatobi SC apparteneva di sicuro più a lui.
Lo affiancò guardando il fondo vischioso e grigio, gli sembrava quasi di sentire lo zampettare delle cimici fra le crepe più profonde.
«Allora, come va?» cominciò, senza nascondere una punta di sarcasmo nella voce.
Makoto scosse le spalle. «Ieri sera siamo stati insieme.»
Rin non aveva ancora nemmeno immaginato che si sarebbe sentito così frustato di fronte a quelle parole.
«Non ha parlato molto, e io non lo costringo mai a farlo, ma ha detto che gli dispiace.»
«Gli dispiace?»
«Sì.»
«Di cosa?»
«Di non, mh, saper nuotare in una sola direzione.»
Makoto stava sorridendo.
Rin trovò la cosa talmente paradossale che si sentì come rivoltato sottosopra e non riuscì a non pensare che, in un qualche modo dannatamente ingenuo, Haruka si stava prendendo gioco di entrambi, e che li aveva spinti tanto indietro da intrappolarli in due prigioni diverse ma vicine.
Loro due avrebbero potuto continuare a tirar fuori la zampa e a far stridere gli artigli contro le sbarre per quanto volevano, ma la gabbia di Haru sarebbe stata sempre così maledettamente distante da gettarli nell’ossessione di poter guardare e non avere, non fin in fondo, e quando i loro corpi stremati dalla fame si sarebbero accasciati a terra, probabilmente Haru avrebbe trovato la via d’uscita e sarebbe venuto a rubare l’ultimo respiro di entrambi, prima di uno e poi dell’altro.
Ma chi per primo e chi per secondo?
«Capisco.»
Un topo da qualche parte nel buio della piscina squittì insieme a lui, e Makoto sussultò.
Rin lo fissò, con i gomiti sulle cosce e le dita delle mani incrociate, mentre lui sospirava e si voltava a sua volta a guardarlo, dritto negli occhi, ed entrambi tremarono quando si resero conto che era la prima vera ed effettiva volta che si guardavano così da quando tutto era cominciato. La pelle d'oca, le mani tremanti, i brividi lungo la schiena che facevano vibrare ogni piccola fibra dei loro corpi. Rin sentì di star precipitando giù, nel vuoto polveroso, e ringraziò che Makoto avesse deglutito rumorosamente e riportato entrambi a galla, oltre il pelo di un mare in tempesta.
Era per cose come quelle che Makoto era Makoto.
Rin si stropicciò gli occhi con le nocche e si passò una mano fra i capelli.
«Dobbiamo decidere.»
Makoto aprì leggermente le labbra. «Nh?»
«Dobbiamo farlo decidere.»
Rin digrignò i denti e Makoto guardò verso il basso, scuotendo la testa.
«Penso sia questo il punto.» disse, ed il suo tono di voce fu sufficiente per suggerire che, forse, non stava soppesando le cose così come entrambi avevano creduto.
«Tu pensi che gettando una rete in mare avrai per forza di cose catturato un pesce. Ma non è così. Haru-chan non è una persona a cui puoi mettere dei paletti, dei fermi, Haru-chan non è così. Fidati, se fosse possibile intrappolarlo lo avrei già fatto da tempo, lo avrei fatto quando tu sei tornato.»
Da qualche parte più vicina il topo squittì ancora. Rin stava fissando una crepa che correva abbastanza in lungo nella piscina da coprire quasi tutta la distanza in larghezza fino alle pareti, e si ritrovò ad immaginarsi risucchiato dal dirupo immenso che avrebbe creato la sua frattura.
«Mi dispiace... Rin, non volevo...» Makoto era seriamente preoccupato.
Rin deglutì, e ciò servì solo a strozzargli ulteriormente il fiato, ma riuscì a fare un cenno con la testa e ad alzare le spalle, mentre gli era improvvisamente molto più chiaro perché per tutto quel tempo fosse stato lui l'amante e Makoto il compagno.
«Lo so.» sospirò, stringendogli il ginocchio destro con la mano per pochi brevi secondi.
«Lo avrei fatto anch'io.»
 
Non passò molto tempo prima che si vedessero di nuovo alla Samezuka, dopo gli allenamenti del club.
Rin aveva cominciato a trovare nel parlare con Makoto una valvola di sfogo, oltre che un buon pretesto per capire cose che gli sembrava di vedere sottosopra, o comunque nel modo sbagliato, e la cosa era vivacemente spaventosa nel suo contrasto. Si parlavano come se non fosse l'uno la causa delle ferite dell'altro.
«Cosa pensi direbbe se gli chiedessimo di scegliere?»
Rin sussultò, quando si rese conto di non aver ben calibrato la domanda.
«Non intendo chi sceglierebbe, intendo... come svierebbe il discorso?»
Makoto non si era spaventato e doveva aver capito il senso di ciò che aveva detto sin da subito, tuttavia non parve pensare molto per la risposta.
«Non penso che parlerebbe.» diede una bracciata fin al bordo della piscina e vi si arrampico per sedercisi.
Rin seguì la sua scia nell'acqua e si fermò a galleggiare a mezzo metro di distanza dalle sue gambe.
«Tacerebbe?»
«Farebbe qualcosa.»
Scosse la testa, immaginando cosa, e si ritrovò a condividere con Makoto un sorriso divertito. Era diverso dall'ultima volta che ne avevano parlato apertamente e si era sentito tradito, umiliato, frustato.
Era diverso, ma non meglio, stavano ancora lottando l'uno contro il fantasma dell'altro, a letto con Haruka.
«Lo conosci meglio di me.» Sospirò, massaggiandosi il collo.
Makoto mantenne il suo sorriso, fissando la forma dei suoi piedi sotto lo specchio d'acqua.
«Non pensavo saremmo arrivati fino a questo punto.» disse.
Rin lo guardò, intendendo mille cose errate e Makoto lo capì semplicemente guardandolo.
«A sapere di tutte queste cose, intendo.»
Ed in realtà non c'erano proprio "tutte queste cose". Ce ne era solo una, ed era Haru che annaspava di cinque passi verso l'uno e di altri cinque verso l'altro in continuazione, senza mai arrivare davvero da nessuna parte.
«Ho sempre saputo che gli piaci.» confessò.
Rin abbassò la testa. «Immagino che in cambio mi sarei dovuto accorgere che stavate insieme.»
Si impegnò seriamente per cercare di ricordare un qualsiasi indizio che avrebbe dovuto cogliere nei pomeriggi con loro al club e si sentì uno schifo totale nel constatare che ne ricordava almeno quattro.
«No, non per forza. Non lo sanno nemmeno Rei o Nagisa.»
«Io lo sapevo, a modo mio.»
«E pensi le cose sarebbero state diverse se tu l’avessi preso in considerazione, Rin?»
Era una domanda apparentemente semplice, eppure Rin non riusciva a capire se col suo tuono stesse escludendo un certo tipo di risposta. Sospirò sul pelo dell’acqua e si fece un po’ più avanti.
«Non mi sarei mai messo fra voi, diversamente da come puoi pensare.»
Makoto scosse lentamente la testa, sorridendo appena, ed immerse una mano nell’acqua per massaggiarsi i polpacci intorpiditi.
«Guardi le cose dal punto di vista sbagliato.»
«E’ per questo che parlo con te.»
Rin si rese conto di essere ad un soffio dalle sue gambe, ed il gorgheggiare dei filtri della piscina si faceva sempre più intenso e fastidioso. Temeva quasi di perdere una qualsiasi parola di Makoto.
«So perché parli con me.» rispose lui, guardandolo galleggiare placidamente col mento quasi sulle sue ginocchia. «E’ perché ti senti solo. Anch’io.»
Rin fissò la luce aranciata del sole che penetrava dai finestroni in alto, cercando di distrarsi dal modo in cui gli occhi cominciavano a pizzicargli. Makoto sembrò separare un po’ le ginocchia solo per dargli lo spazio necessario per farsi più vicino e, col fiato corto e la pelle delle dita raggrinzita dell’acqua, Rin appoggiò al fronte contro le sue cosce e gli strinse le gambe con le braccia.
Makoto fece passare solo pochi secondi prima di cominciare ad accarezzargli i capelli e la schiena, lento, delicato come, molto probabilmente, accarezzava Haruka tutte le sere.
 
«Ti accompagno.»
«Non ce ne è bisogno, Rin!»
Aveva insistito talmente tanto che Makoto non aveva potuto fare altro che arrendersi e farsi affiancare da lui nel tragitto verso la stazione. Rin gli aveva detto che si narrava in giro di un fantasma che infestava il treno, a quell’ora, aspettando che suo marito tornasse da lei nonostante lui avesse rubato tutti i risparmi e fosse scappato con una donna più giovane.
L’ultima corsa sarebbe passata entro cinque minuti ed entrambi erano seduti su una panca affianco ad un distributore, a fissare i ciottoli sotto i binari e i passeri che zampettavano sulla banchina.
«E’ vera la storia del fantasma?» sibilò all’improvviso Makoto, grattandosi la tempia destra.
Rin sbuffò. «Certo che è vera.»
«Non… non l’avevo mai sentita.»
Lui alzò le spalle, si voltò a guardare una coppia che ridacchiava e si accarezzava contro un pilastro, e si ritrovò a pensare alla prima ed unica volta che aveva baciato una ragazza, in Australia, ed aveva sentito la strana e appiccicosa sensazione del rossetto sulle proprie labbra.
Chissà se Makoto aveva mai baciato qualcun altro, a parte Haru.
«Ho pensato a quello che mi hai detto la settimana scorsa, in spiaggia.» sospirò.
Makoto guardò il suo profilo nascosto in parte dal berretto grigio. «Cosa?»
Rin scosse la testa. «Sarebbe come scegliere se mangiare o bere, vero?»
Aveva provato ad immaginare come sarebbe stato prenderlo a pugni, quella volta in spiaggia, invece che parlargli e piangere di nascosto, come sarebbe stato reclamare che Haru era sempre stato suo, che era un cornuto e che al posto suo si sarebbe ritirato perché, evidentemente, come compagno faceva schifo. Ma la verità era che aveva saputo dal primo istante che era lui a far schifo come amante.
«Sì, penso proprio sia così per Haru.»
Rin sospirò profondamente. «L’ho capito ma non… l’ho capito. Non… non…»
Aveva la sensazione che qualsiasi cosa Makoto l’avrebbe compresa in ogni circostanza, adesso.
«Non lo senti possibile.»
«Già. Tu sì?»
Makoto rise sottilmente. «Me lo stai davvero chiedendo?»
Rin provò ad imitarlo, provò ad essere leggero come lui, ma ne uscì solo un singhiozzo.
«A volte mi dimentico che…» si interruppe senza sapere come parlare oltre.
Makoto fissava i binari, apparentemente assorto. «Che stiamo soffrendo per la stessa persona?»
«Che stiamo soffrendo l’uno a causa dell’altro.»
Il megafono della stazione squillò e la voce robotica avvisò dell’arrivo della successiva ed ultima corsa.
Makoto si sollevò trascinandosi sulla spalla la tracolla del borsone del club e con lui, come un meccanismo di scatto ben architettato, Rin balzò in piedi trattenendo il fiato. Non distolse lo sguardo da lui nemmeno per un secondo, mentre si stropicciava gli occhi e schiudeva le labbra per sospirare, ancora.   
Il treno stava già sferragliando sui binari quando gli porse la mano, tesa, con le vene vive e ben gonfie sul dorso e sul palmo, le dita spalancate e leggermente flesse.
Makoto lo guardò negli occhi solo mentre ricambiava la stretta, ma in quel modo dolce e delicato con cui l’aveva accarezzato in piscina, con cui probabilmente prendeva per mano i suoi fratelli, o Haru, e quello che sarebbe dovuto essere un banale saluto da strada, una batti cinque, una pacca, si trasformò in uno scambio di vibrazioni e calore che li fece tremare come foglie.
«Vedi le cose dal punto di vista sbagliato, Rin.»
Quando Makoto si infilò nel treno e le porte si chiusero alle sue spalle, Rin seppe che, in quel momento più che mai, voleva che tornasse.
 
«Hai sete?»
Rin non poté far a meno di strabuzzare gli occhi, fissi sul televisore, e cercare di scacciare la pessima sensazione di essere nel posto dove meno sarebbe dovuto essere al mondo.
Eppure, ogni volta che varcava la soglia di casa Nanase, ciascun passo muto sul pavimento sembrava respirare della voglia che aveva di Haruka da quando tutto era cominciato con lui.
«No.»
Haru chiuse lo sportello del frigorifero e ciabattò verso di lui, appoggiato allo stipite della shoji aperta, e cercava di nascondere con le braccia incrociate al petto un principio di insicurezza che solo Makoto era stato in grado di fargli notare.
Rin guardò la sua mano, nascosta sotto l’altro avambraccio, la afferrò con la sua e gliela baciò.
«Ti sono mancato?» sussurrò.
Haruka socchiuse gli occhi, avanzando di mezzo centimetro e aggiungendo alla stretta delle loro mani anche l’altra. A Rin quel poco bastò per spingersi a baciarlo e a portarlo su in camera da letto.
Spogliare Haruka ogni volta era come scomporre un puzzle composto da qualcun altro, toglierne pezzo per pezzo e disperderlo da qualche parte alla rinfusa su un enorme tavolo. Su di lui, sui suoi vestiti, Rin non sapeva mai dove mettere le mani, da dove cominciare. Gli entrava talmente dentro il cervello che lo confondeva come un terribile mal di testa e quando tutto finiva si sentiva come nell’istante esattamente successivo ad un forte starnuto.
Pelle contro pelle cominciarono a litigare fra le lenzuola mordendosi e baciandosi forte.
Rin sentì che, in un modo o nell’altro, tutto quello poteva servire a metter fine alle sue sofferenze.
Lo prese, già stremato, facendogli sbattere la fronte contro la sua spalla, e con altrettanto spossata forza lo tenne per i fianchi per minuti che parvero ore passate a nuotare in un fiume senza riva.
E così, mentre Haru gli tirava i capelli e lo mordeva, mentre aveva le orecchie piene dei suoi rumori e la bocca piena dei suoi sapori, Rin riuscì a chiedersi quali di tutte le cose che sentiva lui in quel momento anche Makoto aveva sentito dopo che fra di loro tutto si era fratturato ed era caduto in pezzi.
Venne pregandolo, con la bocca spalancata contro i suoi capelli, di smetterla, senza nemmeno esattamente sapere a cosa si riferisse.
Ma Haruka non lo sentì, e riemerse dal suo placido silenzio mezz’ora dopo, quando cominciò a strisciare fra le coperte per appoggiare la testa sul cuscino, accanto a lui.
Rin si voltò su un fianco, verso di lui, e si guardarono a lungo.
Fuori era sera ed ormai autunno, non mancava molto prima che le foglie cominciassero a cedere. Qualche giorno prima, Rin si era immaginato a guardarle con Makoto e a commentare quali somigliassero di più a loro.
Haruka si era avvicinato per appoggiare la fronte contro la sua, e a Rin parve un’ottima occasione per cavarsi via dalla bocca quel peso che aveva da troppo tempo ormai, e farsi una ragione della risposta.
Sapeva perfettamente di star calando la mano in un acquario di piranha quando sospirò e disse «mi ami?».
Haru non rispose e lo baciò.
 
«Non era vera la storia della vecchietta fantasma.» confessò un giorno, l’ultimo giorno.
Il parco di Iwatobi era rivestito di rosso e marrone, ed era buffo perché Rin aveva pensato proprio che fossero i loro colori. Gli alberi si stavano spogliando come si erano pian piano spogliati i loro segreti.
Makoto sorrise, con le mani infilate nelle tasche della felpa. «Ah, grazie per avermi spaventato.»
Rin alzò le spalle e si appoggiò con la schiena alla scala dello scivolo.
C’era stato un tempo in cui aveva creduto che Makoto fosse solo una virgola un po’ sbiadita del suo diario di ricordi e che, diversamente da Haru, non avesse più poi così senso. Era stato quasi paradossale, a diciassette anni, scoprire che Makoto, invece, aveva saputo correggere tutti i suoi orrori di ortografia e si fosse autonomamente tracciato come un punto carico d’inchiostro e ben definito sulla pagina. Come se non ne avesse avuto abbastanza, Rin aveva a lungo desiderato che quel punto si trasformasse in delle virgolette aperte, ma il destino delle cose aveva voluto che andasse diversamente.
«Comunque è finita.»
«Nh?»
«Con Haru, è finita.»
Makoto lo guardò con gli occhi spalancati e le labbra dischiuse. Rin ebbe il coraggio di ricambiare lo sguardo solo per qualche secondo prima di sentirsi un infimo vigliacco.
«Abbiamo parlato.»
«Perché?»
«Sembra quasi che ti dispiaccia.»  
«Perché?»
Un filo di vento sollevò dal terreno un mucchietto di foglie che si disperse sulle loro scarpe.
Rin ne fissò una rossa che si era intrappolata fra le stringhe.
«Perché non mi amava.» rispose.
Makoto fece un passo verso di lui. Il suo tono sembrava tranquillo come al solito, ma era evidente che si stava comportando diversamente. Fu una delle prime volte che, guardandolo, Rin non lo vide con quella bell’increspatura delle labbra.
«Te l’ha detto lui?»
«Sì.» mentì.
«Non ci credo, sul serio.»
«Potrebbe non avermi detto che non mi ama, ma a te ha detto che ti ama?»
Da come lo sguardo di Makoto vacillò e le sue spalle sussultarono, Rin capì che sì, gli aveva detto che lo amava forse più di una volta.
«A me mai.» continuò.
«Non significa niente.» sibilò in risposta lui.
Rin scosse la testa, ghignando. «Makoto, sul serio, questa situazione è ridicola… Lui è il tuo ragazzo, non puoi cercare di convincermi a… a tornare!»
E Makoto abbassò la testa, guardando la foglia sulla scarpa di Rin.
«Stai male?» Chiese.
Rin si morse il labbro inferiore per qualche istante. «Ci pensi a te stesso ogni tanto?»
Sapeva che non avrebbe avuto la superbia di confessare che no, non ci pensava mai, e così lo osservò grattarsi il naso mentre  ancora fissava il terreno e vacillava spostando il peso da un piede all’altro. 
Rin colse l’occasione per riprendere fiato senza farsi vedere e stropicciarsi l’occhio destro.
«Non si trattava di fame e sete, alla fine. Tu eri la fame e la sete insieme e io ero… l’appetito.»
«Rin…»
«No no, ti prego, lascia che sia io a spiegare a te una cosa questa volta!» lo interruppe, consapevole che se Makoto avesse detto una delle cose che era solito dire dall’alto del suo essere un umano di cuore probabilmente avrebbe pianto ancora. «Haru non aveva davvero bisogno di me.»
«Come fai a dirlo?»
«Makoto, ti prego.»
«Rin, non essere testardo!»
«Posso darti un pugno se ti fa sentire meglio.» lo disse senza davvero pensarci troppo. Pensava solo che Makoto cercasse il modo per riscattarsi e subire un qualche tipo di perdita per non sentirsi troppo vincitore su un perdente in svantaggio, e nei suoi termini picchiarlo come avrebbe voluto fare sin dall’inizio poteva essere una buona base. 
Ma Makoto sorrise, per la prima volta di nuovo. «Non vorresti mai picchiarmi davvero.»
Rin ghignò ancora. «Potrei farlo se mi implorassi in ginocchio.»
Lui sorrise nuovamente e Rin in quel momento desiderò di sentire le sue mani come le aveva sentite in piscina e alla stazione, quel giorno. Le spalle di Makoto tutto d’un tratto sembravano essere così larghe solo perché lui ci si potesse premere contro e perdersi nel suo odore.
«Facciamo così.» si slanciò in avanti per staccarsi dalla scaletta dello scivolo ed infilò le mani nelle tasche dei pantaloni. «Siamo pari se tu mi mostri la cosa più importante che Haru ti abbia mai lasciato di sé.»  
E Makoto sollevò lo sguardo, facendo tremare Rin come le ultime foglie che si accingevano a cadere intorno a loro, e quando tutto fu detto seppe solo che non avevano più modo per tornare indietro.
«Te.»
Le loro gabbie si fusero come neve sotto il sole e, alla fine, l’ultimo respiro di Rin lo rubò Makoto.
 
 
Note dell’autrice:
Questa cosa sarebbe dovuta essere molto più breve di sei pagine. Ne avevo calcolate appena una e mezza, due, ed alla fine non so come mi sono ritrovata a sei. E vabbèèè.
Mi sono innamorata della MakoRin mentre la scrivevo. Cioè, non prima, ma mentre. Non chiedetemi perché abbia cominciato a scriverla! Ho una tale fame (per restare in tema) di Free! che evidentemente posso soddisfare solo scrivendo boiate su boiate finché non sarò sazia perché, veramente, è diventato un pallino fisso e non riesco ad andare avanti in altri progettini che avevo messo su prima.
Aaaaargh, maledetti sexy nuotatori!
Anyway, spero che la storia vi sia piaciuta. Magari fatemi sapere se mi devo ritirare dal fandom, eh, me ne farò una ragione.
Thanks <3 ~
 
   
 
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