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Autore: Euterpe_Urania    18/08/2014    5 recensioni
Minerva osservò quella che un tempo era stata sua alunna.
Aveva rivisto in lei se stessa da ragazza.
Capace, intelligente, sveglia, coraggiosa, testarda.
Bellatrix aveva deciso di donare la sua vita per una causa.
Bellatrix aveva deciso di donare la sua vita ad un uomo.
E non era forse quello che aveva fatto anche lei?
Erano uguali.
Anzi, erano diverse.
Le cause per le quali combattevano erano diverse e uguali così come erano diversi e uguali gli uomini che entrambe avevano amato.
Dedicata a Kleio.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Silente, Bellatrix Lestrange, Minerva McGranitt, Tom Riddle/Voldermort | Coppie: Albus Silente/Minerva McGranitt, Bellatrix/Voldemort
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
- Questa storia fa parte della serie 'The song of Phoenix for MMAD'
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A Kleio, che ha scritto la storia che mi ha ispirato.
Leggetela -----> Dietro un grande uomo c'è sempre una grande donna.


My Kind of Love

 
-Ottimo, Minerva!-
La voce di Silente era ancora chiara nella sua mente. Lo rivedeva sorriderle orgoglioso mentre mostrava alla classe ancora intenta ad agitare le bacchette come lei aveva perfettamente trasfigurato il topo in un calice d’argento finemente decorato.
Lei gli restituì debolmente il sorriso, imbarazzata, ma fiera. Tutta la fatica che aveva fatto studiando sodo ogni giorno, i sacrifici che aveva sopportato per avere il pomeriggio libero per studiare, il bruciore agli occhi per la stanchezza… tutto scivolava via per lasciare spazio alla sensazione di leggerezza che la pervadeva di fronte a quel sorriso.
 
-Ottimo, Bellatrix.-
La voce del Signore Oscuro era ancora chiara nella sua mente. Lo rivedeva sorridere sprezzante mentre lei tentava di rialzarsi, ignorando il dolore bruciante nelle ossa ad ogni movimento.
L’aveva sottoposta di nuovo alla Maledizione Cruciatus. Il suo corpo e la sua mente dovevano imparare a sopportare il dolore. Faceva parte dell’allenamento per diventare Mangiamorte. Lei posò su di lui di nuovo quello sguardo adorante e determinato. Lui le fece cenno di seguirlo e lei obbedì. Il dolore era lancinante e gli occhi neri come la brace le pungevano nel tentativo di trattenere le lacrime, ma per lui questo e altro.
 
-Buonasera, Minerva!- le disse il ragazzo con un sorriso sornione in volto.
La ragazza si irrigidì.
-McGranitt per te, Riddle.- rispose a denti stretti.
-Non sembrava un problema quando era Silente a chiamarti per nome.- obiettò con calma, godendo alla vista di una Minerva a metà tra lo spaesato e l’arrabbiato.
Si mordeva il labbro inferiore per non rispondere.
Le tornò alla mente il pomeriggio in cui lei, sconvolta, espresse timorosa al professore le sue ipotesi sulla morte di Mirtilla. Era sicura che fosse un omicidio ed era altrettanto sicura di sapere chi fosse l’assassino.
Silente si limitò a guardarla negli occhi tutto il tempo e a suggerirle di tenere per sé le sue supposizioni.
“E, Minerva, impara a controllare le tue emozioni. Basta guardarti negli occhi per capire cosa provi.”
Lei trasalì a quest’ultima affermazione totalmente fuori luogo. C’erano emozioni nel suo cuore che era meglio tenere segrete.
-Io… non… non sono affari tuoi.- rispose al ragazzo, scuotendosi dai ricordi.
E corse via.
 
-Può andare, signorina Black.-
La professoressa McGranitt la congedò così. Lei raddrizzò la schiena altezzosamente  mentre usciva, annoiata dopo un pomeriggio di punizione. Sul serio pensava che fosse esausta? Sul serio credeva che scrivendo duecento volte la stessa frase avrebbe cambiato idea sulla superiorità dei Purosangue? Non aveva ancora capito che ogni volta che la vedeva si tratteneva dall’urlarle in faccia “Sporca Mezzosangue, come osi comandarmi?!”
Si ricordò di quel pomeriggio di  allenamento col Signore Oscuro in cui aveva cominciato a dare segni di impazienza.
Perché non attaccavano ora? Perché lei doveva terminare gli studi?
“Il segreto di ogni grande mago sta nell’istruzione che riceve, oltre che nelle sue capacità. Devi terminare gli studi poiché devi avere un’istruzione di base per poter praticare le maledizioni più potenti.
Inoltre la pazienza serve a molto, Bella. Non siete ancora sufficientemente pronti. Se attaccassimo ora, rischierei di essere sconfitto. E non lo posso accettare. Devo essere sicuro.”
Bellatrix si scusò, mormorando di essere stata una stupida a domandare.
“Impara a controllare le tue emozioni. L’autocontrollo è una delle doti più importanti per diventare una brava Mangiamorte.”
Bellatrix giurò che avrebbe tentato di migliorasi.
Farebbe di tutto per lui.
Di tutto.
 
-Congratulazioni, professore!-
Minerva guardò l’ufficio che un tempo era del preside Dippet, rimasto pressoché immutato a parte i tavolini pieni di strani aggeggi sibilanti.
-Ti ringrazio, cara.- rispose lui, prendendo posto dietro la scrivania.
Alla parola “cara”, lei arrossì violentemente, ma Silente finse di non averlo notato.
-Ti starai chiedendo il motivo della tua presenza qui, non è vero?-
-Veramente sì. Non mi aspettavo di tornare qui dopo tutti questi anni.-
Il professore le rivolse un sorriso, guardandola attentamente da sopra gli occhialetti a mezza luna.
“E’ invecchiato.” si ritrovò a pensare distrattamente Minerva, sedendosi di fronte a lui, scrutando la barba e i capelli ormai quasi interamente bianchi.
-Sono diventato preside.- disse, accennando col capo al ritratto del defunto preside Dippet, rivolgendogli uno sguardo triste. -E ora ho bisogno di un nuovo docente di Trasfigurazione…- aggiunse, guardandola con un sorriso che lasciava intendere la proposta che stava per fare.
Minerva capì all’istante.
-Io?! Sul serio, la vostra proposta mi lusinga e sono contenta che abbiate pensato a me...- e qui fece una brevissima pausa-… per questo incarico. Ci devo riflettere.-
Silente sembrava deluso e (possibile?) quasi arrabbiato.
Minerva abbassò lo sguardo fissando insistentemente i ricami il tappeto e non vide le varie emozioni che passarono sul volto del mago.
-Sei fidanzata, Minerva?- chiese con tono calmo, assumendo quella che secondo lui era un’espressione tranquilla.
Ma la strega, alzati gli occhi, non ci mise molto a capire che c’era qualcosa che non andava.
-Emh, veramente no.-
I suoi ricordi passarono velocemente da Dougal, il vicino di casa dei suoi genitori, ormai sposato, a Elphinstone,il suo datore di lavoro,  che proprio ieri si era proposto per la settima volta ed era stato per la settima volta rifiutato.
Minerva non era certa di voler tornare. Eppure il suo più grande desiderio non era sempre stato quello di passare la vita accanto a Silente? C’era però qualcosa che la frenava.
-E allora perché non vuoi tornare da me?- domandò il professore guardandola negli occhi, improvvisamente serio.
Minerva si sentì avvolgere da quello sguardo azzurro. Tremava.
“Controlla le tue emozioni.” si ripeteva. “Controlla le tue emozioni.”
-Mi perdoni, temo di non capire.- rispose abbassando nuovamente gli occhi.
Era travolta da un vortice di emozioni, le faceva male la testa e non si accorse che Albus si era avvicinato, percepiva chiaramente il suo profumo di limone, e le aveva preso il viso tra le mani dalle dita affusolate.
-Perché qualche volta, soprattutto quando mi sei vicina come ora, provo una sensazione strana: mi sembra di avere una corda, sotto le costole, a sinistra, strettamente, inestricabilmente annodata a una corda analoga situata nella stessa zona del tuo corpo esile. E se tu te ne andassi di nuovo, ho paura che quella corda che ci unisce verrà spezzata; e allora temo che comincerei a sanguinare internamente.-
Lei sembrò accorgersi di quello che stava succedendo solo quando incontrò di nuovo il suo sguardo.
-Ti amo.-
Due parole che le entrarono nella testa, facendola pesare di più, due parole che quasi la soffocavano. Il cuore minacciava di esplodere.
Quello che aveva provato quando Dougal l’aveva presa per mano non era che una pallida imitazione di quello che provava ora.
Il cuore le diceva di accettare, subito immediatamente, di rispondere che anche per lei era lo stesso, che da anni bramava quel momento. La testa le faceva troppo male per formulare un qualsiasi pensiero coerente.
Così fece qualcosa di spontaneo e ingenuo, qualcosa che normalmente Minerva non avrebbe mai approvato.
Le labbra di Silente erano a pochi centimetri dalle sue.
Mentre sentiva l’eco di quelle due parole rimbombare nelle orecchie, poggiò le sue labbra su quelle del mago.
 
 Era come se degli spilli si conficcassero lentamente  nel suo braccio.
Bellatrix voleva urlare, voleva piangere, implorare che smettesse. Ma sapeva cosa voleva dire avere l’onore portare quel simbolo sul braccio.
“Lui si fida di te. Non deluderlo”
Trattenne le lacrime serrando gli occhi e strinse i denti. Non emise nemmeno un gemito. Se non avesse avuto gli occhi chiusi, chissà come avrebbe interpretato il ghigno di soddisfazione sul volto del Suo Signore.
Così come era iniziato, altrettanto improvvisamente il dolore passò. Bellatrix aprì gli occhi incontrando lo sguardo color fuoco del suo Maestro.
Quello sguardo che era capace di incendiare i suoi occhi neri.
-Sei stata brava, Bella.- le sussurrò a un orecchio, sollevandole una ciocca di capelli ricci. -Molto, molto brava.-
-Vi ringrazio, Mio Signore.- disse lei, con tono adorante.
Lui annuì distrattamente, come perso nei suoi pensieri.
Bella osservò il profilo del mago accanto a sè alla luce del camino nel salone vuoto e buio di Villa Malfoy.
“E’ sempre lo stesso.” si ritrovò a pensare.
-Gli altri urlavano e mi pregavano di smettere.- continuò Voldemort, assorto.
-Feccia!-sbottò lei. -Io non sono come loro, Mio Signore.-
Lui le rivolse uno sguardo assorto, assottigliando gli occhi. Bellatrix temette di essersi spinta troppo in là.
-No, non sei come loro.- mormorò Voldemort più a se stesso che alla donna seduta di fronte a lui.
Il cuore di lei perdette un colpo. Sul volto stava per dipingersi un’espressione compiaciuta, ma lei la rimosse.
“Controlla le tue emozioni.” si ripeteva. “Controlla le tue emozioni.”
E aveva imparato davvero a controllarle, anche se a modo suo. Si era nascosta per anni dietro una maschera di pazzia nelle quali riversava tutte le emozioni che non fossero odio o disprezzo.
La sua maschera aveva aderito tanto bene che persino lei non sapeva più distinguerla dal volto. Ma quando era con lui, la maschera cadeva da sola, si scioglieva.
C’era un emozione che continuava a non capire. O meglio, rifiutava di capire. Perché era un’emozione stupida, debole e lei non aveva tempo per sentimentalismi e frivolezze.
Lo osservava passeggiare per la stanza avvolto nel suo mantello nero.
Le unici fonti di luce erano il fuoco e gli occhi di lui. E in fondo, non c’era molta differenza.
-Vattene. Devo riflettere.- Il mago la riportò brutalmente alla realtà.
-Come desidera.- Bellatrix si alzò, chinò il capo e raddrizzando la schiena, fece per uscire dalla porta, quando venne fermata.
Lui l’aveva afferrata proprio sul braccio dove aveva il Marchio Nero. Il dolore era lancinante, ma non così tanto da non farle provare sorpresa e piacere quando il Signore Oscuro premette con prepotenza le sue labbra sulle sue, stringendola a sé.
Provava una strana emozione, Bellatrix.
Ora sentiva che insieme avrebbero persino potuto sfidare Satana e tutte le sue legioni.
 
La battaglia infuriava.
Urla, fumo e tonfi di mura che cadono ovunque.
Il Destino aveva voluto che loro due si fronteggiassero.
Bellatrix contro Minerva.
Due donne coraggiose, determinate, potenti, indipendenti, ribelli.
Diverse eppure uguali.
Persino in Amore.
Entrambe innamorate del loro Maestro.
L’una innamorata del più potente Mago Oscuro,
l’altra innamorata del più potente Mago Buono.
         La loro rappresentava l’eterna lotta tra
il Male e il Bene.
 
Erano solo loro in un corridoio buio, i rumori della guerra venivano attutiti dalle spesse mura di pietra.
Loro combattevano quella che sembrava essere una battaglia a parte.
 
Minerva osservò quella che un tempo era stata sua alunna.
Aveva rivisto in lei se stessa da ragazza.
Capace, intelligente, sveglia, coraggiosa, testarda.
Bellatrix aveva deciso di donare la sua vita per una causa.
Bellatrix aveva deciso di donare la sua vita ad un uomo.
E non era forse quello che aveva fatto anche lei?
Erano uguali.
Anzi, erano diverse.
Le cause per le quali combattevano erano diverse e uguali così come erano diversi e uguali gli uomini che entrambe avevano amato.
 
“Dannazione!”
Era invecchiata, Minerva, ma era ancora una degna avversaria per Bellatrix.
Bellatrix si sentì come se stesse combattendo contro la sua alter-ego.
Combatteva contro se stessa.
L’aveva capito subito che lei era diversa dagli altri professori.
Così come aveva capito subito il suo punto debole: Silente.
Eppure anche ora che lui era morto si dimostrava coraggiosa e determinata come sempre.
Amore oltre la Morte.
Amore che lei non avrebbe mai provato.
Avrebbero vinto, Lei e il Signore Oscuro.
Sarebbero diventati immortali.
 
A un certo punto, Minerva smise di combattere.
Guardò Bellatrix con un sorrisetto mesto e buttò la bacchetta a terra.
Si guardarono a lungo negli occhi.
Verde contro Nero.
Speranza contro Morte.
 
“Che diamine sta facendo?”
Bellatrix la guardava, la bacchetta ancora alzata, la bocca ancora aperta a metà di una maledizione.
“Perché si arrende?”
Sorrideva, Minerva.
Poi Bellatrix, in un lampo di lucidità, comprese.
Si stava arrendendo, sì, ma non a lei.
Si stava arrendendo di fronte all’evidenza.
Fuori di là, lontane dalla guerra, erano identiche.
Quasi la stessa persona.
Due facce della stessa moneta.
Anche Bellatrix comprese.
Abbassò la bacchetta.
 
Si studiarono per un po’, poi si voltarono  contemporaneamente
e se ne andarono, tornando nel vivo della battaglia, lì dov’era il loro posto.
Perché l’avevano capito entrambe:
se c’è una battaglia che non puoi vincere, è quella contro te stesso.
 
 
 
 
“Non esiste il Bene e il Male. Esistono solo gli uomini e le loro azioni.”

 
  
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