Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: RMSG    21/08/2014    4 recensioni
[...] Qualcuno avrebbe detto che poteva sembrare un disperato. Questo qualcuno, forse, avrebbe avuto ragione. Ma lui che ci poteva fare? Ogni mercoledì, infatti, alle dodici e trentacinque circa, Adrian si tendeva lungo il tavolino a prendere la sua agenda, stringendo le labbra sottili per il nervoso, aggrottando le sopracciglia scure e lasciando che una piccola, ribelle ciocca di capelli si scomponesse e scappasse via lungo la fronte liscia.
Lear vide la scena a rallentatore e si sprecò in un sospiro quando Adrian ritornò diritto sulla sua poltrona, più concentrato a sfogliare le pagine stropicciate di un compito a casa completamente sabotato, che a rendersi conto dell'effetto assurdo che aveva su di lui. [...]
Genere: Romantico, Slice of life, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
The Way We Were
Capitolo 13. L’amore non ha età e nemmeno la paternità.


Alla fine Lear si accorse che non sarebbe stato mai in grado di tornare per cena a casa. Non che non volesse – soprattutto visto la possibilità di un’ennesima discussione col marito –, ma appena arrivato in centrale e raggiunto poi l’ufficio di Ryan, quello che aveva visto coi propri occhi era stato davvero scioccante.
Quel bambino, coi suoi occhi dorati a mandorla e così tanto familiari, la z­azzera di folti capelli neri e dotato già persino dello stesso tratto mascellare di Ryan, era così palesemente un Ross che in effetti un test del DNA sarebbe stato superfluo.
Accanto al suo terrorizzato amico, Lear si sedette al bordo della scrivania a guardare il piccolo, e per rompere il ghiaccio gli porse subito l’orsetto dal fiocco blu.
"Ciao, Cole. Io sono Lear, sono un poliziotto… ti ho portato un regalo."
Vividi ma sospettosi, gli occhi del bambino si mossero prima su Lear e poi sul peluche. Allungò piano una manina e accarezzò la morbida peluria dell’orso, concedendosi poi un sorriso paffuto. Arricciava le labbra allo stesso modo del padre, pensò il biondo.
"Ti piace?" chiese tenero Ryan, seduto dall’altro lato a guardare il suo probabile figlio. Cole annuì e si strinse addosso il pupazzo, affondando il viso fra le soffici orecchie di esso, cercando conforto.
Lear sorrise intenerito, ma anche preoccupato. Quanto poteva star soffrendo quel bambino? E se era vero che non c’erano documenti su di lui, allora era evidente che non fosse nemmeno mai andato a scuola, che non avesse mai conosciuto altri bimbi della sua età. Rabbrividì a quel pensiero, e pregò che Elizabeth non fosse arrivata addirittura a questo nella sua pazzia.
Non gli era mai piaciuta, quella tizia. Un po’ perché si era decisamente riscoperto geloso, tempo fa, della sua relazione con Ryan, e un po’ perché non gli aveva mai ispirato niente di positivo. Fra l’altro non era mai stata in grado di far felice il proprio uomo e, anzi!, ricordava fin troppo bene quanto insoddisfatto fosse il collega.
Si riconcentrò in breve sul bambino, scacciando i ricordi, e gli accarezzò appena la testa, ricevendo in cambio però un’occhiataccia e un lamento. Smise subito di toccarlo, cercando di mantenere un’aria tranquilla e serena per non sconvolgerlo.
"Cole, sai che adesso la tua mamma non può essere con te, vero?" Lear ricevette un segnale d’assenso e sempre sorridente dunque proseguì. "Questo vuol dire che per ‘stasera dovrai andare a fare la nanna con altri bambini in un posto molto carino…" e qui il sorriso si spense appena, colto dai ricordi dei suoi figli nell’orrido orfanotrofio da cui li avevano prelevati tre mesi fa. "Ma che molto presto troveremo il tuo papà. Te lo prometto."
Il piccolo sollevò lo sguardo dorato e lo puntò ferreo contro Lear. "Mamma dice che io non ho un papà."
La vocina chiara e quell’accento così buffamente londinese fecero quasi ridere Lear. Quasi. Le parole pronunciate dal piccolo, però, erano parole preoccupanti e non poté non domandarsi quanto difficile sarebbe stato sradicare dalla sua testolina le affermazioni di sua madre.
"Oh, Cole, questo non è vero. Tutti noi abbiamo un papà, anche tu. Ti prometto che lo troverò e che te lo riporterò, ok?"
Lear gli tese la mano, acchiappando quella piccola e rosea del bambino. "Fidati di me, ci penso io!"
A quel punto Cole si scostò da Lear e si accovacciò sulla scrivania stringendosi forte l’orsetto addosso e nascondendo il viso nelle ginocchia. Il biondo si concesse così di distogliere la propria attenzione dal piccolo e di rivolgerla a Ryan, un po’ in disparte a guardare mortificato la scena.
"Credo che dovremmo chiamare Adrian…" suggerì Lear.
"Non voglio che vada da uno strizzacervelli." rispose prontamente.
"Adri saprà perfettamente cosa fare! E’ il suo lavoro! E Cole ha bisogno di aiuto…"
"Ho detto no. Aspettiamo il risultato del DNA e poi… poi me la vedrò io. Ha bisogno solo di coccole e affetto."
Il biondo annuì, sospirando e chinando il capo. Non aveva tutti torti, Ryan, ma entrambi stavano continuando a ignorare un fattore piuttosto importante nell’equazione risolutiva. "… e Sam? Lo hai chiamato, immagino..."
"Certo che no!" Ryan si voltò a fissarlo, crucciato. "Come potevo chiamarlo!"
"E’ il tuo compagno, in un momento come questo hai bisogno di qualcuno al tuo fianco…"
"Beh…" Ross scese dalla scrivania, zoppicando appena a causa delle gambe ancora non perfettamente funzionanti. "Ci sei tu, al mio fianco. Non ho bisogno d’altro per adesso."

****

Il risultato del DNA giunse più veloce di quanto avrebbero mai potuto sperare e confermò col più prevedibile degli esiti ciò che ormai era chiaro a tutti: Cole era figlio di Ryan. Il primo dei Ross di quella generazione, oltre che a tutti gli effetti unico erede dell’immenso patrimonio di famiglia.
Fatta questa scoperta – di cui la sorella di Ryan, Angel, fu subito informata onde evitare fughe di informazioni fra i paparazzi –, il detective della omicidi riscopertosi padre aveva avviato all’istante le pratiche per il riconoscimento del proprio pargolo, pronto, alla veneranda età di quasi trentun’anni, a prendersi cura di quel piccolo cucciolo d’uomo. Come avrebbe potuto rifiutare, dopotutto? Ryan amava i bambini, ne aveva sempre voluto uno, e in generale non avrebbe mai permesso di far soffrire ulteriormente Cole. Tutti, infatti, tra colleghi, amici e persino Lear, erano convinti che avrebbe adottato il piccolo anche se il test fosse risultato negativo. Era pur sempre il figlio di una persona che aveva amato ed era pur sempre un’anima in difficoltà.
Ciò non escludeva, tuttavia, che nel corso di quei giorni Ryan aveva accuratamente ignorato l’argomento con Sam. Lui stesso doveva ancora accettare l’enorme trasformazione cui la sua vita stava andando incontro, e le conseguenze del suo gesto, inutile mentire, lo terrorizzavano. Come avrebbe reagito Samuel? Sarebbe fuggito di nuovo? O peggio sarebbe ricascato nella droga? A giorni inoltre avrebbe finalmente conseguito il dottorato in criminologia e Ryan era più che ben consapevole dello stress che il suo fidanzato stava sopportando. Sapeva anche che non era il momento giusto, quello, che dovevano ancora ritrovarsi come coppia prima, che dovevano potersi amare in santa pace, ma… Cole era lì adesso e aveva bisogno del suo papà.
"… ce l’hai con me, Ryan?" pigolò Sam, rivoltandosi nel letto per incontrare i suoi occhi. Lo guardò triste e spaventato e il poliziotto si sentì malissimo. Non aveva ancora aperto bocca e già stava facendo soffrire l’amore della sua vita.
"No, perché dovrei?"
"Non mi parli… sembri tanto distante… io… c’è qualcosa che ho fatto? Sto studiando troppo, forse? Ti senti solo?"
Ryan si avvicinò, sospirando, e accarezzandogli lento una guancia. Si sporse a baciargli dolcissimo la fronte e lo guardò. "Tu sei perfetto, Sam..." decretò.
"E allora perché sei così strano?" domandò ancora preoccupato e non ottenne alcuna risposta. "Ryan…"
"C’è una cosa che devo dirti, Sam. Ma voglio che tu mi ascolti senza interrompermi e che cerchi di capire la mia posizione. Sei un ragazzo intelligente, sono certo che sarai… ecco… empatico."
Sam sospirò, osservando il poliziotto mentre quello si alzava e cominciava a camminare attorno al letto. "Ryan, stai dimenticando che sono uno psichiatra. So come consolare una persona e so come ascoltarla… per cui avanti, parla. E’ il mio lavoro."
Il poliziotto annuì, ma continuò a esitare. Nervoso si tirò avanti e indietro la molla dei boxer, prendendo tempo per cercare le parole.
Come un fiume in piena, un secondo dopo aver lasciato perdere le mutande come distrazione, gli raccontò tutto. Della sua ex, di come all’improvviso Elizabeth se ne fosse andata e fosse letteralmente scomparsa dalla faccia della Terra, di come poi era stata arrestata, di Cole, del test del DNA. Tutte le sue angosce riversate in cinque minuti di confessione.
Sam non lo interruppe mai. Tutt’altro. Immobile e apparentemente indifferente accettò tutto, nell’attesa di avere la parola e di realizzare chissà quale affermazione.
Sarebbe stata una bugia dire che Ryan non aveva paura della sua reazione. Ne era terrorizzato, ma prendere Cole sotto la sua ala era la cosa giusta da fare, di questo poteva esserne certo.
"Questo è quanto." disse il poliziotto. "Mi porteranno Cole la settimana prossima e… e diventerò papà."
Samuel si mise seduto sul letto, poggiando la schiena alla testata del letto fra le coperte e i cuscini. "Avevi paura di dirmelo, vero?"
Ryan sospirò e annuì, tornando a letto vicino a lui. "Sì, Sammy… tantissima." ammise. "Ho paura di quello che potresti fare e…"
"Non farò niente di stupido, se è quello a cui stai pensando. Ti amo e voglio stare con te.. penso che Cole potrebbe essere un segno. Forse è questa la strada giusta da percorrere e forse dovremmo prenderci cura di questo bambino così sfortunato."
Ross evitava appositamente il suo sguardo, ma sì, ascoltava. E anche molto bene. Prenderci cura di questo bambino.
Sam parlava al plurale e questo… questo lo fece rabbrividire. Lui non lo aveva mai fatto e né a dirla tutta aveva intenzione di farlo.
Sospirò, esausto, e passandosi stanco una mano sul viso si ritrovò di nuovo a cercare le parole adatte per spiegare quello che lo stava affliggendo. Amava Samuel. Lo amava come non credeva sarebbe mai stato in grado di amare di nuovo dopo Lear... però no, non avrebbe lasciato mai Cole nelle sue mani. Nessuno era ancora certo della sanità di Sam, di quanto fosse realmente lontano dalla droga e lui, che era un poliziotto e non un impiegato delle poste, sapeva meglio di chiunque altro quanta oscurità è in grado di annidarsi nell’anima di una persona.
"Sammy, io…"
"Mi rendo conto che è difficile." lo interruppe il più giovane, avvicinandosi e abbracciandogli la schiena nuda. "Ma sono felice che tu me ne abbia finalmente parlato. Voglio aiutarti in questa storia… posso dimostrarti che sono in grado di fare anche il genitore, perché… perché al tuo fianco in effetti mi sento invincibile."
Se possibile Ryan sprofondò ancor di più nel senso di colpa. Sammy era adorabile, ma lui non sapeva come dirgli che per il momento voleva solo dare stabilità a Cole e che no, non voleva che un ventiquattrenne problematico girasse attorno al suo bambino. Non troppo almeno.
"Sam… io… credo che Cole abbia bisogno di stabilizzarsi prima con me. Da solo, intendo." esalò finalmente, socchiudendo gli occhi incapace di affrontare le conseguenze delle sue parole. Già se ne pentiva, ma era convinto fosse la cosa giusta, sia per se stesso che per il bambino.
Samuel dal suo canto decise di sciogliere l’abbraccio e si allontanò dal compagno, fissando le coperte. Rise piano, volutamente amaro e sarcastico, e si alzò dal letto, sollevando il piumone. "Tu non ti fidi di me…" disse.
"Sammy…"
"Non chiamarmi Sammy, Ryan!" sbottò, sfilando i pantaloni del pigiama e cercando i propri vestiti. Voleva andarsene, voleva dare le spalle a quello stronzo lì seduto e non fargli vedere quanto stesse soffrendo per quelle poche parole.
"Ascolta…" provò il poliziotto. "Sam, stiamo insieme, ci amiamo… dico solo che non è il caso di proporre a Cole una nuova famiglia sin da subito… tu sei…" esitò, fermandosi.
"Io sono cosa, Ryan?" si voltò, con le lacrime agli occhi, osservandolo a pugni stretti.
"… sei troppo giovane." disse. "Cole ha sei anni. Se io ed Elizabeth fossimo stati insieme avrei avuto la tua stessa età alla sua nascita e… non sarei mai stato in grado di essere un buon esempio per lui."
"Che scusa del cazzo." Sam si rivoltò, afferrando un maglioncino dal suo cassetto e infilandolo, poi andò a cercare le scarpe. "E’ solo un modo come un altro per dire che non ti fidi di me!"
"Sam…"
"Non mi vuoi neanche dare una chance, non credi in me! Fai finta di non conoscermi, quando sai benissimo che non farei del male a nessuno in nessun modo! Tantomeno a tuo figlio!"
Ryan si passò stanco una mano sul volto, scuotendo la testa, e chiese a se stesso di non esplodere… ma invano. "Samuel, sei un ex tossicodipendente. Per rincorrere te mi sono quasi ucciso e ho rischiato di perdere tutto: amici, famiglia, carriera. Ogni cosa solo per venirti dietro… quello che sto cercando di dirti è che ora ho un altro bambino a cui correre dietro e che dovrai semplicemente metterti in fila. Almeno nel primo periodo." Sollevò gli occhi per guardare Sam. "Fine della storia."
Samuel si fermò, ormai completamente vestito e sorrise piano, asciugandosi le lacrime sulle guance. "Sai, Ryan… non so se quando ti hanno operato alla testa qualcuno ti ha scambiato qualche connotato, ma non sei un fottuto supermercato! E io non sono un bambino, non più! Per cui se non mi vuoi nella tua vita più di così, basta dirmelo! Sono sicuro che non soffrirai più di tanto! Sento che Lear è già qui fuori alla porta per consolarti, guarda un po’!" gli gridò contro, frustrato, ed uscì dalla stanza da letto. Pochi secondi dopo la porta d’ingresso si chiuse con un forte tonfo e la triste eco che produsse diede a Ryan la certezza di aver appena mandato al diavolo l’uomo che amava. E senza nemmeno un motivo valido.
Il senso di colpa gli tolse per un istante il fiato e perciò si lasciò cadere pesante sul materasso, in orizzontale, fra il piumone annuvolato attorno alla sua testa. Il profumo costoso di Sam era ancora fra le lenzuola e si chiese cosa avrebbe dovuto fare ora che di quel ragazzino era rimasto solo quello.
Spostò gli occhi, guardando verso il cordless sul comodino, e valutò se chiamare Lear. Erano appena le dieci e mezza, ma probabilmente i bambini erano già a letto e avrebbe solo fatto litigare ancora una volta i due coniugi residenti su Chiswell Street.
"Cristo."
Si rivoltò, schiacciando la testa contro il letto, come per soffocare se stesso e le sue stronzate. La verità, la sola che meritava d’essere considerata tale, era che in quella discussione l’unico a essersi comportato da bambino era stato lui, e non Sam.
Era davvero questo il comportamento esemplare che voleva mostrare a Cole?

****

Ryan si strinse Cole in braccio, sistemandogli il cappottino e mettendo l’allarme alla macchina premendo l’apposito pulsante sul telecomando. In religioso silenzio e con le braccia minuscole del suo bambino allacciate saldamente metà al suo collo e metà al fedelissimo orsacchiotto di zio Lear, accelerò il passo prima di entrare nel palazzo dove Adrian aveva il suo studio.
La cosa lo intristì abbastanza, tanto da irrigidirlo e da renderlo fortemente vulnerabile al brutale flusso di ricordi che lo investì non appena mise piede nell’ascensore: le orecchie rosse di Sam, la tensione sessuale che riusciva a sentire anche se quel ragazzo al tempo altro non era che un completo sconosciuto, i pantaloni che gli si erano fatti stretti solo a guardarlo negli occhi…
Sospirò appena e scacciò quei pensieri dalla sua mente. Non era il momento di ricordarsi com’era fare sesso con quel diavolo di Samuel.
Si concentrò dunque su Cole, ancora lì in braccio mentre si guardava intorno incuriosito. Forse non era mai stato in un ascensore.
"Si chiama ascensore…" spiegò paziente Ryan. "Zio Adrian lavora all’ultimo piano del palazzo e ci sono un sacco di scale da fare. Meglio così, vero? Arriviamo prima."
Cole annuì, ricambiando lo sguardo del padre, ma completamente muto. Non che fosse una novità, anzi. Era proprio quello il motivo per cui Ross aveva ceduto e aveva infine deciso di dare una chance ad Adrian. Da quando Cole era arrivato nella sua vita, infatti, non aveva più spiccicato una parola. Ogni volta che aveva bisogno di qualcosa glielo faceva capire a gesti e ovviamente per un bambino di sei anni e un neo-papà completamente imbranato e appena ritornato single la cosa si era fatta ancora più complicata di quanto già non fosse.
Uscì dall’ascensore e tirò un sospirò di sollievo quando ad aprire la porta dello studio di Adrian non apparve il suo bellissimo ex fidanzato, ma proprio il Dottor Murray.
"Ehi!" sorrise, facendogli spazio e lasciandoli entrare e mettere comodi. "Eccovi qui." Prese le loro giacche e terminati i brevissimi convenevoli, Adrian passò subito al dunque. "Allora… vogliamo parlare un po’ con questo giovanotto?"
Cole, concentrato a stritolare il povero peluche, lo guardò intimidito ora che era in piedi da solo e si nascose per metà dietro la muscolosa gamba del padre. Probabilmente si sentiva una formica al cospetto di due uomini così grossi e alti e intuendolo, Adrian si inginocchiò al centro dell’ufficio, sul tappeto.
"Ciao, piccolo…"
Non ottenne alcuna risposta, così Adri sorrise bonario, assottigliando lo sguardo e sospirando poi all’indirizzo dell’altro adulto in stanza. "Ryan, so che probabilmente non approverai un granché il mio metodo, ma sono sicuro di poter far sbloccare Cole..."
"… qualsiasi cosa, non mi importa. Voglio solo che stia bene." acconsentì l’altro.
Adrian si rialzò piano, accarezzando la testolina del bambino. "Vieni, Cole, andiamo in quella stanza…"
Obbediente Cole seguì piano Adrian alla porta lì vicino, quella che portava alla stanza dove teneva le sedute e dove decine e decine di volte era entrato il suo zietto preferito, Lear. Una volta aperta la porta, che produsse un leggero e un po’ inquietante scricchiolio, pur non essendosi mosso dalla sua posizione, Ryan riuscì a vedere chiaramente Sam seduto sulla poltrona al centro di quella stanza. Rabbrividì allo sguardo di fuoco che il suo ex gli rifilò e provò a dire qualcosa, ma senza risultati. Se Adrian riteneva di poter far star meglio suo figlio anche con l’aiuto di Samuel, allora non c’era alcune problema. Dopotutto non aveva mai dubitato della professionalità di nessuno dei due: non era mai stato quello il punto della sua discussione e mai lo sarebbe stato.
Cole nel frattempo si era messo comodo sul divano e fissava incuriosito Sam, mentre saldamente si stringeva l’orsetto dal fiocco blu al petto. Ryan si spostò sulla soglia, adocchiandolo protettivo, e dopo poco anche Adrian lo raggiunse.
"Ma come… li lasci soli?" chiese il poliziotto.
"Ryan, Sam è uno psichiatra eccellente… vedrai." tagliò corto l’altro e Ross sbuffò.
Ancora una volta sentiva il bisogno di ribattere, ma di nuovo non trovò le parole giuste. In compenso, però, la morsa dovuta ai sensi di colpa accumulati nelle ultime settimane, tornò a farsi sentire, come per intimarlo a tacere. Il poliziotto decise così di limitarsi ad osservare la seduta da quella posizione e pregò, non seppe chi, che Cole si riprendesse in fretta.
"Ciao, Cole." squittì Sam, alzandosi dalla poltrona e sedendosi accanto al piccolo. Si infilò una mano nella tasca dei pantaloni e tirò fuori un pacchetto di caramelle. "Ne vuoi una?"
Gli occhioni dorati del bambino si illuminarono appena e annuendo prese uno degli zuccherini, mettendoselo in bocca.
"Hai un bell’orsacchiotto, come si chiama?" domandò dolce Samuel, guardando Cole. Persino Ryan, a quel punto, si rese conto del motivo per cui Adrian aveva preferito far condurre la terapia al ragazzo. Era evidente come Cole non si sentisse a disagio con una persona più giovane né tantomeno con uno come Sam. La faccia d’angioletto, dopotutto, l’aveva sempre avuta… non era proprio con quella che aveva già incantato un Ross?
In ogni caso, comunque, Ryan si ritrovò a pensare che probabilmente la cosa non sarebbe bastata. Sam emanava un’aura positiva, ok, ma Cole era terrorizzato, era traumatizzato, brutalmente confuso e…
"Si chiama Sammy." rispose con naturalezza il piccolo, lasciando udire la sua voce bianca. Sam sorrise compiaciuto, a quel punto, e quasi ridacchiò.
"Davvero? Allora il tuo orsacchiotto si chiama come me! Anch’io mi chiamo Sammy, sai?"
No, non poteva crederci. Ryan sussultò e si voltò a guardare Adrian. Subito i loro sguardi si scontrarono e poté abbastanza distintamente notare del biasimo, negli occhi neri e famigliari del medico. Chissà che cosa sapeva, chissà cosa Samuel gli aveva detto o cosa Lear, invece, gli aveva riferito.
"Sammy è un bel nome." commentò Cole, prendendo subito un’altra caramella mentre la presa all’orsetto lentamente diminuiva, sintomo del suo rilassarsi.
"E’ vero, sì, è carino!" acconsentì Samuel e mangiando anche lui una caramella si mise a giocare col fiocchetto blu del suo omonimo peloso. "Posso chiederti una cosa, Cole?"
"Ok…"
"Perché non vuoi parlare col tuo papà?" domandò calmo. "Hai paura?" Il bimbo aggrottò le sopracciglia e lo fissò scocciato.
"Non ho paura…"
"No? E allora cosa c’è?"
Cole sospirò piano e finì di masticare la sua caramella. "Papà dice un sacco di cose. Dice che possiamo andare al parco, che posso andare a scuola, giocare con gli altri bimbi…"
"E non è una cosa bella questa? Non ti piace?" chiese Sam, posando delicato la mano sulla testolina mora di Cole.
"Sì, però… mamma diceva sempre che non dovevo mai uscire di casa… non capisco…"
Samuel rizzò appena il capo e si girò a guardare Adrian con aria eloquente. Fece un gesto del capo e il medico si mosse, prendendo per un braccio Ryan e tirandolo via. Chiuse la porta, lasciandoli soli nello studio e guardò l’ormai amico al suo fianco.
"Aspetta… perché non possiamo sentire?"
"Perché la terapia è sempre privata. E anche se è un minore, è col tuo fidanzato, non con un estraneo. Samuel saprà cosa fare, tranquillo." spiegò spicciolo. "Nel frattempo… vuoi un caffè?"
Ryan lo guardò basito e sospirò, scuotendo il capo in segno di diniego. "Adrian, io…"
"Lo so che ti senti in colpa, tranquillo. Lo sa anche Samuel. Lo sappiamo tutti, a dire il vero." disse, dirigendosi verso la macchinetta del caffè nell’angolo della stanza. "E ti dirò di più: lo sa anche Cole che non stai bene con te stesso… ed è questo ciò che lo blocca."
"Il mio consiglio, Ryan, è quello di rilassarti e di concedere a te e a tuo figlio più serenità… vedrai che appena ti sentirà felice e tranquillo comincerà a parlarti. E’ inevitabile. " disse, appoggiandosi al mobile su cui era posata la macchina del caffè. "Dopodiché… appena ti sentirai più sicuro, magari tra una decina di giorni… verrai a casa nostra e ci dirai che vuoi lasciare il bambino a giocare con Etienne e Christopher… mentre tu ti prenderai la serata libera e andrai da Samuel a chiarire la vostra situazione perché, e te lo posso assicurare, sono quattordici anni che mi occupo di psichiatria, come studioso o come professionista, e nessuno è in grado di star dietro a un bambino come può farlo Sam."
Adrian si girò, prendendo una tazza e versandoci il caffè americano, una delle sue brodaglie preferite. "Detto ciò, sappi che sarebbe il caso di portare qui Cole almeno una volta a settimana per i prossimi due mesi. Appena entrerà a scuola, vedrai, sarà come se non fosse successo niente e potremo lasciarci alle spalle questa storia."
In tutto questo lungo e stranamente ragionevole discorso, Ryan era rimasto in silenzio, combattuto tra il prendersi a pugni da solo o la più semplice testata contro la parete. Come poteva essere stato così stupido e cieco?
Sammy non era più Sammy. Era diventato Samuel, ovvero finalmente un medico abilitato, un eccellente professionista e più che un possibile, fantastico, padre per Cole.
Quel giorno Ryan decise di dare una chance a Sam anche come padre, oltre che come compagno di vita, e si ripromise che non avrebbe più pensato a lui come un bambino da crescere. A quei pensieri quasi rise fra sé e sé sentendo l’improvvisa ondata di gioia, ma si trattenne, convinto di non poter ancora cantare vittoria. Dopotutto adesso era necessario farsi perdonare dal piccolo psichiatra e riacquistare punti senza ritrovarsi preso a calci.
   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: RMSG