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Autore: shalalahs    25/08/2014    2 recensioni
"Vorrebbe dire che ha bisogno di silenzio, solitudine, calma e pace. E ancora, un rimasuglio di buon senso lo costringe a distrarsi, solo per evitare tutto quello che giace nella sua mente. Solo per evitare di restare da solo con i propri pensieri, con la propria testa. Sta semplicemente rimandando la cosa, o -come piace chiamarla al buon senso- sta cercando buone ragioni per non farne un dramma, per rialzarsi ed incassare il colpo, per andare avanti."
Una sottospecie di escursione nella testa di Charles Xavier. Sono una raccolta di episodi -non necessariamente appartenenti ai film- che vanno dall'episodio di Cuba (X-Men First Class) fino a dopo la fine del sequel (X-Men Days of Future Past).
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Charles Xavier/Professor X, Erik Lehnsherr/Magneto
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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SINK IN MY CONSCIENCE 

Who will love you?
Who will fight? 
Who will fall, far behind? 

[Birdy - Skinny Love] 

 

"Professor Xavier..?" una voce lontana. "Professore.." è concentrato su un unico punto, proprio davanti a lui. "Charles." l'attenzione svanisce in uno sfarfallio di luce e palpebre, mentre i pensieri ritornano a vorticare pericolosamente nella sua testa, minacciando di trascinarlo nuovamente all'interno di un loop a lui fin troppo conosciuto. Gli occhi azzurri, intensi, si specchiano sulla distesa verde che giace fuori dalle pareti della cabina. Ci sono macchinari medici che emettono un bip che oscilla fra lo snervante e l'ipnotico, a seconda dell'umore che pervade il giovane uomo. Sono bastati pochi istanti. Pochissimi istanti per perdere tutto -o meglio, quasi tutto- ciò che aveva cercato di ricreare all'interno della propria villa, durante gli allenamenti con gli altri. La realtà torna a schiaffeggiargli la faccia come una doccia fredda, facendolo voltare in direzione di Moira. La osserva, in silenzio, realizzando che quel tempo trascorso nella sua mente -troppo poco, a suo parere- era realmente più di quanto immaginasse ed aveva lasciato morire inevitabilmente il discorso che la donna aveva cercato di intavolare per fargli compagnia. I suoi pensieri sono quieti, mossi solo dalla preoccupazione nei confronti del mutante. Apprensione, immagini confuse, shock, dispiacere, senso di colpa. 

"Non devi sentirti in colpa, Moira." risponde a quella tacita domanda che l'altra neanche sa di star ponendo. "Tu hai fatto il tuo dovere, io il mio ed Erik il suo.. Per quanto sappiamo entrambi quanto il concetto di dovere in relazione ad Erik sia opinabile." vendetta. Avrebbe dovuto notare quella sfumatura all'interno dei suoi pensieri. Sarebbe dovuto andare con lui. Avrebbe potuto fare tante cose, ma non le ha fatte. Troppo concentrato ed influenzato dai sentimenti dell'amico per non commettere errori. Aveva stupidamente creduto di esserci riuscito, di aver cambiato le cose, di aver direzionato quel flusso caotico e vendicativo che era la coscienza di Erik in una direzione migliore, meno distruttiva ed auto-distruttiva. Era totalmente fuori strada. Ma la parte più dolorosa, frustrante è averlo capito solo ora, o quando Erik si era infilato il casco, chiudendolo fuori. Non solo fisicamente, ma anche metafoicamente: dai suoi affari, dalla sua vita, dalla sua testa, dal suo passato. Tu non puoi capire, Charles. Sono le uniche parole che ancora ricorda, le uniche che sentirà mai -probabilmente. Se le tiene strette, se le ricorda. Non una scusa, non un rimorso, non una paura di rimanere nuovamente solo con la propria testa. Lo ha stupito, ma non ci ha riflettuto mai troppo. Dopotutto, si trattava di Erik, lo stesso Erik che aveva salvato. Ora, invece, quell'immagine si sbiadisce, rimane distorta dal dolore della spina dorsale ed il sapore agrdolce degli antidolorifici.

"E tu ora sarai costretto su una sedia a rotelle per tutta la vita. È un peso che non sono disposta ad addossare solo a qualcun altro." potrebbe ben notare altro nella mente della donna. Qualcosa come i sentimenti d'affetto che influenzano quelle parole, ma è stanco. Stanco e provato. Distante ed assente. È strano non sentire più la mente di Erik, non sapere dove sia, cosa stia facendo, se si stia ri-indirizzando sulla strada dell'odio e della discriminazione, se stia anche influenzando così Raven.. 

"Non puoi certamente darmi le tue gambe, cosa vorresti mai fare?" lo dice con un sorriso, per poter alleviare la tensione sdrammatizzando. "Hai salvato anche altre persone, non dimenticare." non vuole necessariamente affrontare una simile discussione, non ora. Vorrebbe dire che ha bisogno di silenzio, solitudine, calma e pace. E ancora, un rimasuglio di buon senso lo costringe a distrarsi, solo per evitare tutto quello che giace nella sua mente. Solo per evitare di restare da solo con i propri pensieri, con la propria testa. Sta semplicemente rimandando la cosa, o -come piace chiamarla al suo buon senso- sta cercando buone ragioni per non farne un dramma, per rialzarsi ed incassare il colpo, per andare avanti. 

Il sospiro di Moira lo fa ritornare nuovamente nella stanza. Il silenzio cade nuovamente come un velo, adagiandosi su tutto fuorché sui macchinari accesi, che continuano a romperlo con i loro cadenzati bip. 

"Torna a casa e riposati, Moira." mormora Charles, all'improvviso. "Grazie di essere venuta a trovarmi, ma -davvero- devi prenderti cura anche di te" nessuno è invincibile e perfetto, quindi non affliggerti più di quanto sia necessario. 

La vede sobbalzare appena, all'udire la propria voce nella testa, colta probabilmente dalla sorpresa, spiazzata. E, velocemente, anche timore. Non deve saperlo. Frasi confuse si affollano in mezzo al fiume di pensieri confusi nella mente dell'agente della CIA. 

"Va bene" annuncia la donna, alzandosi e lisciandosi la gonna grigia, osservandolo con aria appena apprensiva. "Ma promettimi che farai lo stesso." sembra quasi un rimprovero, dal tono che utilizza. 

"Promesso." l'ennesimo sorriso compare sulle labbra del mutante, facendogli inclinare la testa da un lato, sentendo la stoffa del letto ospedaliero sfregare contro quella del camice. 

 [...]

In un sistema isolato l'entropia può solo che aumentare. 

Sono passati giorni, settimane, mesi. Anni. Quand'è stata l'ultima volta che ha visto il volto di qualcuno che non fosse Hank?  
Hank..  perché lui è rimasto? Cosa ci guada a far da balia ad un disabile? Cosa? 
Si è dato una risposta, col tempo. Man mano che aspetta il proprio, di tempo, man mano che questo passa e gli scorre davanti. Non ha scelto niente finché non ha cancellato la memoria di Moira. Un semplice ordine è bastato: dimentica. Dimentica tutto. Me, i mutanti, questo posto. 

Lasciami solo. 

All'inizio sembrò una buona, ottima, geniale idea. Come aveva fatto a non pensarci prima? Gli altri ragazzi avevano voglia di prendersi una vacanza, staccare. Avevano vinto, avevano sconfitto Shaw e vendicato Darwin. Si meritavano di tornare a casa loro, o dovunque avessero voluto andare. Tutti tranne Hank. Hank era rimasto. Non ho una casa, professore, aveva detto. Si è vergognato -e si vergogna ancora- quando, in mezzo ai deliri dell'alcool, lo ha accusato di compatirlo. Stupidamente, la sua mente disperata aveva creato dei collegamenti non veritieri, fin troppo fittizi. Sentiva, sapeva, che Hank non restava per compassione e pena. Era successo dopo che la notizia arrivò. 

Non la prenderà bene nessuno la prende bene shock è stato terribile perché non ero con loro il governo non farà niente mentre il professore       dovrebbe saperlo forse no non è uscito bene neanche da eirk vinta la guerra è stata una sconfitta il siero non doveva finire così raven dovrebbe essere qui ha abbandonato tutti     la porta deve essere là dentro come sempre il prato non cambia è sempre verde ma dovrebbe smettere non arriveranno guardarlo è strano perso i pensieri sono pericolosi non posso fare niente è stato uguale       lui saprebbe come fare eccolo non voglio affrontarlo è pericoloso quando si tira la corda paura preoccupazione sembra morto non voglio non fare non dire devo dirglielo non farà bene male starà male perché proprio ora com'è potuto succedere la città è risaputo un posto pericoloso i teppisti non bastano "Professore?" 
 

In quel momento, ha scelto. 

"Hank, hai ancora il tuo siero?" 

Ci sono voluti un po' di giorni, ma alla fine ce l'ha fatta. Eccolo in piedi, a camminare per la propria villa, il proprio impero di rimpianti, sudicio, dolore ed autocompassione. L'odore dell'alcool è forte e fin troppo noto al suo olfatto. Ormai ci ha fatto l'abitudine, sia alla puzza che non sente più, sia a ritrovare la pace che da tanto tempo agognava. Il silenzio. Niente più pensieri, niente più risposte anticipate. Un uomo normale, senza poteri, senza geni mutati. Un uomo normale che si strugge nel proprio dolore e nella propria commiserazione. Non deve più avere paura della testa di Hank. Non deve più aver paura di sentire nient'altro, se non i propri pensieri. Lottare contro la propria mente è più facile, in questo modo. Ignorare gli sguardi preoccupati di Hank è più facile, senza i suoi pensieri che lo assillano e battono alle porte della sua mente come una folla disperata in cerca di ascolto. Non ci sono più problemi. Se ne è ormai convinto. 

niente                    più                 problemi              per              Charles 

L'attentato era stato una sottospecie di incentivo a marciare su quella strada. L'interesse, il dolore, l'empatia lo avevano condotto alla rovina, a trascurare sé stesso pur di aiutare coloro che potevano aver bisogno. E qual è stato il risultato? Morti. Molti, troppi morti. Giovani ragazzi che si sono messi in testa l'idea di poter fare la differenza, di poter sventare nuovamente i piani di un nuovo fantomatico "cattivo" nonché amico di vecchia data. E quando il governo ha rivolto il suo dito, su chi l'ha puntato? Coloro che cercavano di proteggerli, poiché erano gli unici che non erano riusciti a scappare. 
Hanno sparato facilmente. Così come Erik se n'è lavato facilmente le mani, addossando tutte le colpe agli umani, alle loro stupide convinzioni discriminatorie. Loro è la colpa per aver ucciso i nostri fratelli, nonostante li stessero aiutando a difendersi da una minaccia. Vedete quel che vedo io? Gli esseri umani non possono convivere pacificamente con noi mutanti, fratelli e sorelle mie.. gli sembra di sentire quelle parole proprio lì, davanti a sé, fluire animate da una voce calda e carismatica, intaccata da un accento tedesco. Parla di libertà, di uguaglianza, ma non fa nient'altro che le stesse mosse di coloro che tanto odia e vuole far odiare.

 

[...]


Man mano che i mesi passavano, più che il dolore e l'autocommiserazione cambiavano in qualcos'altro. Menefreghismo, cinismo, odio e rancore. Cos'altro avrebbe potuto dire davanti a tutto ciò? Tutto quello che aveva provato era fallito, più che miseramente. Che senso avrebbe, ora, lottare ancora? Anche solo provarci? Non cambierebbe. 
Quel silenzio era quel che voleva. Quel silenzio è quel che Hank è riuscito a regalargli, alleviando la sua pena.
Non Logan e la sua mente piena zeppa di problemi, un futuro che non avrebbe voluto vedere, non i suoi poteri, non uscire dalla propria casa per lottare per una causa giusta.
"Le cause giuste ormai non esistono più, mettitelo bene in testa. Ed ora fuori da casa mia, ringrazia che non chiamo la fottuta polizia." aveva detto in faccia al tipo, nonostante fosse il doppio -per larghezza- di lui.

 

Un tonfo secco lo riscuote dai suoi pensieri. L'aereo è in subbuglio, probabilmente una perturbazione casuale. Distoglie lo sguardo dall'oblò, una volta rotto l'equilibrio della distrazione. È sempre stato più facile cadere nei propri pensieri, immaginare e riflettere. 

"Forse è meglio che vada a parlare col tizio che.. guida" Logan viene calcolato minimamente, mentre si alza e sparisce nella piccola cabina di pilotaggio, cercando di nascondere la propria fobia ingiustificata -o quasi. Lo sguardo di Xavier rimane fisso sul riflesso di un'altra persona, proprio seduta poco avanti a lui, celata dalla poltrona. Di Erik si riesce a vedere solo la testa, i capelli corti e castani. Gli sembra quasi ovvio immaginarlo voltato di trequarti, i tratti spigolosi ed affilati contratti in un cipiglio infastidito, di disapprovazione.  

Ci hai abbandonati. 

Quella parola fa più male di quanto vorrebbe. Non avrebbe senso negare di essersi arreso, tempo fa. Non lo ha negato neanche prima, quando Erik ha "attaccato bottone" a proposito della perdita dei poteri. Quel che non concepisce è come sia possibile che Erik non capisca a cos'era arrivato a soffrire, mantenendo i suoi poteri. 

Un cassetto si apre, poco lontano da Erik, lasciando nuovamente che il silenzio torni ad essere il rumore dell'aereo che passa in mezzo alle perturbazioni. Xavier ci fa poco caso, fin troppo conscio che ormai -qualsiasi cosa farà Erik- la strana rimpatriata ha avuto una fine. Distoglie lo sguardo, perdendo di vista il resto della scena; eppure, non può fare a meno di voltarsi quando un oggetto squadrato sembra volargli addosso, facendolo irrigidire. 

Siamo arrivati a lanciarci le cose? Davvero? È stato il primo pensiero. 

Oh.. No. Il secondo. 

La scacchiera si poggia lentamente sul tavolino, al quale rimane probabilmente incollata per via di qualche magnete. Due secondi dopo, Erik si sta sedendo sulla poltrona davanti a Xavier. Scrutandolo. 

"Una partita? Come ai vecchi tempi?" quella voce è ancora la stessa, dolorosa e fin troppo liscia. Riporta alla mente gli stessi pensieri agrodolci che lo accompagnavano nella mente del mutante, quando ancora poteva avervi liberamente accesso. 

"È un po' di tempo che non tocco gli scacchi." mormora, non per timidezza o vergogna -perché se Erik è un uomo intelligente, cosa che nessuno ha mai negato, potrebbe benissimo capire che non tocca gli scacchi da parecchio per colpa sua- quanto più per svogliatezza di rivelare una simile informazione ed evitare un ulteriore contatto. 

"Charles Xavier che ha paura di perdere." ridacchia Erik, iniziando a sistemare i pezzi della scacchiera ordinatamente.  

A quella strana insinuazione, il telepate non riesce a bloccare uno sbuffo sarcastico. "Che vuoi che sia, un paio di pedine, mica qualcos'altro di più importante." 

Erik rimane in silenzio, scrutandolo. Gli occhi azzurri che si mantengono fissi in quelli del tedesco, non si abbassano e ne sostengono lo sguardo, ancora con un taglio serio, che sfocia minimamente nell'accusa muta e -da parte di Erik- sorda, a quanto pare. "Charles Xavier -scusa la ripetizione- che lancia frecciatine." 

"È divertente finché dura poco, Erik." ribatte troppo velocemente. "Solo perché non scelto il male minore non significa che -" 

"-Il male minore?" l'irritazione di Erik torna a farsi strada nelle sue espressioni, minimizzando qualsiasi altra cosa non sia pazienza e.. qualcos'altro, momentaneamente indecifrabile. 

"Già, forse ti sei dimenticato cosa significhi per me sentire le teste delle altre persone." Ho sentito e provato tutto quello che hai provato tu, te lo ricordi ancora Erik? 

"C'era forse la verità dei fatti? Che ti sei arreso e tutto il resto di manfrine che hai fatto?" no, forse non le ricordi realmente, quelle parole. Ma Erik è fatto così, non riflette sul presente. Mira al bersaglio e tralascia tutto il resto, come quando rischiò di affogare pur di rincorrere Shaw. 

"La verità è accettabile." ma non la verità di tutte le menti che aveva toccato e che gli si erano rivolte contro. Bastava uno sguardo e subito le domande cominciavano, affollandosi in ordine nella testa del suo interlocutore. Sta male. Fondamentalmente, il concetto base era -è ancora- quello. 

Erik rimane in silenzio, guardandolo. "Non pensavo che avrei anche dovuto spiegartelo, sai?" aggiunge Charles, sospirando e distogliendo lo sguardo, nuovamente sul panorama celeste che si dirama oltre l'oblò. Una volta sarebbe stato meno difficile, meno intralciato dall'odio e dal rimorso. Ed Erik sa che non è stata una sua scelta, di perdere le gambe. È colpa tua. Non era stata Moira. Non lei. 

"Sai benissimo che ti ridarei le gambe, se solo potessi." mormora Erik, guardandolo in tralice da sotto le sopracciglia. Si è appena chinato in avanti, osservandolo dritto negli occhi. "Ma non potrò mai concepire la rinuncia a ciò che ci rende unici ed importanti per riaverle." continua, serrando le labbra. Sbiancano. 

"Le menti delle persone sono diventate noiose e monotone, da quando ho perso le gambe." non fanno altro che riflettere sulle sue gambe, sui perché, sui percome, sui quando, sui cosa sia opportuno fare o cosa no. Non guardarlo, altrimenti si sentirà discriminato. Il pensiero standard. "Se prima erano indifferenti perché il mio dono era invisibile, adesso l'unica cosa che potrei sentire sono ricordi rumorosi e malvoluti." non come la mente di Erik. Nonostante quel caos, quel totale inferno di rabbia e senso vendicativo, era bello ascoltare la sua musica nei momenti di pace, assieme a loro -assieme a lui, Charles- trovare il silenzio e l'armonia, distogliere l'attenzione e rilassarsi, distendersi. "Prima, almeno, erano più interessanti e divertenti." era una passione, la cosa più bella che avesse mai provato. "Quella di Hank, quella di Alex, Angel, Moira. La tua.." soffia le ultime parole. "Dovresti provare a viverci anche tu, per mesi, in un luogo con delle casse altoparlanti che ripetono la stessa cosa, da quando sei sveglio, a quando vai a dormire." è tornato il solito Charles, il vecchio e comprensivo mutante. Non è accusatorio. Nostalgico, sì, ma mai disperato. "Allora potrai dirmi quel che mi stai dicendo ora, se ne sarai ancora convinto." conclude, lasciandogli la parola.

Erik, in tutto ciò, rimane in totale silenzio, osservandolo con una curva strana nelle espressioni. Forse amara, forse dispiaciuta. E, proprio quando sembra star per parlare, "Non serve che tu capisca. Sei sempre stato più il tipo da dover essere capito." è Charles quello comprensivo ed empatico. Erik è più egoista, sotto questo punto di vista. 

 

[...]

 

Le lamiere premono quella metà di corpo ancora sensibile che gli resta. L'adrenalina si sta placando e la mente ritorna ad essere sensibile e calcolatrice. Mantiene un canale sempre aperto, dritto con le menti dei presenti poco più in là, a pochi metri da Erik. Scruta i suoi movimenti dagli occhi  del solito estraneo. 

"Non farlo, Erik." non è la sua voce, ma -come si suol dire- sempre meglio di niente. 

E poi, il casco -quell'odioso casco- salta via. Troppo velocemente, troppo stranamente. Sembra la parte di un libro in cui finalmente il protagonista riesce a raggiungere il suo scopo e, al contempo, vincere e chiudere i giochi. 

La mente di Erik. 

La paura arriva sempre dopo. Così concentrato sul volerlo fermare che, in quell'attimo, si dimentica dei suoi propositi, delle proprie paure e si impossessa della mente di Erik. 

Non la calcola, non calcola quel flusso improvviso, ancora troppo confuso e disordinato, caotico, per non sembrare che un ronzio a causa della elevata concentrazione. E così, non appena finisce di eseguire la 'scaletta' delle cose-da-fare per evitare una catastrofe politica e mondiale, invia l'impulso al metallo, facendolo spostare e sollevare dal proprio corpo. Due istanti ed è finalmente libero non deve nel mio cervello la mia testa sta guardando dentro ritrovato il falco di sempre ho condiviso con te la mia mente parole non ricordare la mente di Erik si fa più rumorosa di quanto ricorda nei primi momenti in cui se n'è impossessato. Ed ora, in un attimo, le paure ed i timori riaffiorano non riflettere non guardare non trovare non farglielo trovare non imparo a fare niente il casco doveva restare perché è sbalzato via vedrà vedrà non vedere non posso lasciar vedere non vedere cosa? Man mano che il pensiero si sviluppa, è come risolvere un puzzle, mettere tutti gli indizi in fila ed ordine per creare un disegno non posso legarlo ancora è distrutto non viene con me non posso salvarlo il salvabile non c'è più qualcosa da salvare forse il tempo è passato troppo troppo tempo mi dispiace rimpiango l'ho colpito le mie gambe non basterebbero ha scelto l'ho costretto a scegliere non ha scelto me dolore rimorso fastidio tradimento cosciente lo sa perché è sempre stato così. Charles ha sempre scelto la pace fra umano e mutanti, perché avrebbe dovuto cambiare la propria scelta per una persona? non voglio non posso più lasciare nessuno indietro li perdo li perdo tutti ho perso mia madre le sue gambe perché per me non può cambiare vorrei leggergli la testa non posso chiederlo devo chiederglielo peggio di così non può andare 

E poi quella domanda lo fa tornare alla realtà. C'era un'immagine, vista di sfuggita, in mezzo a quella discarica di pensieri, sempre più profondi ed intimi. È stato un attimo ed ora deve ricordarla a forza, per non perderla. Un paio d'occhi, azzurri. Molto -troppo- simili a quelli di Xavier. 

Lasciarlo andare o farlo pagare. 

Non chiedermi un'altra scelta, Erik. Non posso sopportarla. 

Ma se non farai niente, equivarrà a lasciarmi andare, e scegliere. 

 

[...]

 

"Quindi.." la sua voce è troppo vicina. La pausa accentua l'espressione pensierosa e meditabonda sul suo volto. "Ancora non ho capito perché lo hai permesso." 

"Per lo stesso motivo per cui l'ho permesso anche a Cuba." prende una pausa, osservandolo negli occhi. "Mi pare ovvio." 

"So che ho già chiesto tanto, ma vorrei più sentirlo a voce, che nella tua testa." mormora nuovamente. È strano poter sentire sia la sua voce che la sua mente. 

"Rinunceresti mai ai tuoi obiettivi se te lo dicessi?" non vuole sembrare ragionevole, non vorrebbe farlo ragionare, in realtà, ma quella domanda sembra più lecita, più giusta verso sé stesso. Lo sa benissimo quale sarà la risposta, ma sembra che Erik lo abbia dimenticato più facilmente del previsto. "Non sopporto di dover abbandonare -od essere abbandonato- più volte.. Non se e quando si tratta di persone importanti. A quanto pare non reagisco bene a questo tipo di situazione, Erik."  

Erik rimane in silenzio, lo sguardo che attrae a sé come un magnete. Tipico, una vocina ironica, sarcastica gli fa notare che da qualcuno come Erik non ci si potrebbe aspettare altro.  

"Non posso lasciare Mistica." Raven.. 

"Può sempre tornare anche lei, non credi?" la domanda sembra spontanea, ovvia. Ed il suo sguardo non può fare a meno di mostrare sincera nostalgia. 

"È ancora arrabbiata con me. Perché ho cercato di ammazzarla. Devo ancora farmi perdonare." Erik si stringe nelle spalle, tirando un sorriso e strappando una smorfia a Charles, sempre di disapprovazione. "Non posso tornare, non penso che riuscirò a tornare. Ci sono molte battaglie che devo ancora combattere e gli uomini sono ancora una minaccia per noi mutanti." 

"Abbiamo cambiato il futuro, Erik. Questa può essere davvero una seconda possibilità. Logan mi ha fatto vedere il suo futuro, per convincermi." deglutisce. Sa cosa potrebbe significare un'informazione del genere, ma non ha più nient'altro a cui fare appello, conscio che Erik, finito tutto, tornerà ad essere il solito Erik: se n'è andrà a prescindere. Così, in un piccolo impeto, cerca di stringergli l'avambraccio, con decisione ed attenzione, come se tesse trattando con un animale, che un vero e proprio essere senziente. Erik reagisce, alle volte, di istinto, perciò bisogna sapere distinguere i momenti. E Charles è sempre stato bravo a scegliere. "Ed eravamo vicini, assieme, non significa che ora sarà diverso. Possiamo sempre scegliere questa opzione, Erik. Abbiamo ancora tempo." mormora, cercando di guardarlo negli occhi. 

"Ho degli affari in sospeso da sistemare, Charles." 

"Ed i tuoi affari sono più importanti di te e della tua serenità." 

"I miei affari conclusi sono la mia serenità." 

Silenzio. Forse non dovrebbe sentirsi strano, a quella novità. È solo arrabbiato, gli ripete la sua coscienza. Non sa cosa di sta parlando. 

"Mi stai dicendo inconsciamente che dovrei diventare un tuo affare inconcluso, o che dovrei semplicemente lasciar perdere?" sospira, infine, scrutandolo con aria tranquilla, senza una piega. La pazienza è sempre stata il suo forte, ma l'esasperazione traspira e si rende palese. Proprio come avviene quando Erik, in tutta risposta, si limita al silenzio, fissandolo. 

"Aspetta solo qualche-" 

"-No, Erik, non voglio aspettare ancora." lo interrompe, nonostante il desiderio di farlo parlare, di fargli promettere che sistemerà i suoi affari e tornerà da lui preme e risuona già come un rimpianto. "Non finirà mai, se continui così. Non ci sarà mai la parola fine ai tuoi affari da sbrigare e da concludere. E tu non rinunceresti mai alla tua causa.." scrolla le spalle, la mano destra che liscia con un gesto morbido, attento, la manica sull'avambraccio del mutante. 

Se ti dedicassi con altrettanta passione alle persone, saresti indubbiamente circondato da una nuova famiglia. 

"Non posso permettere che la mia famiglia venga nuovamente torturata e straziata da degli ignoranti umani." nonostante tutto, quelle parole hanno sortito il loro effetto, almeno. 

"Non puoi addossare sulle tue spalle il destino di tutti i mutanti di questo mondo." 

"Non tutti, Charles. Non necessariamente solo di coloro che vogliono seguirmi." l'espressione si ammorbidisce, come se poi la risposta fosse ovvia, quando i loro occhi s'incontrano. E Charles inizia a dubitare di volerla realmente sentire. Improvvisamente, sente di aver paura dell'effetto che quegli occhi hanno su di lui, dello strano potere che lo costringe a fargliela passare liscia, a lasciarlo andare sempre all'ultimo. 

"Erik, non so cosa tu voglia-" 

"-Un giorno verranno a bussare anche alla tua porta, Charles. Lo sai. Ed io potrei impedirlo, se li fermo prima. Potrei evitare che molti altri come Banshee ed Angel vengano sacrificati per un loro capriccio. Ma se un giorno gli uomini si rivolteranno anche a te -e lo faranno, sai che ho ragione- non sceglieresti mai di combattere ad armi impari, non li uccideresti mai. Rallenterai solo l'inevitabile e finirai tu ucciso." sembra dolorante, una ferita aperta. Come un incubo che ricorre ogni notte a svegliarlo di soprassalto. Non riesce più a dormire come prima. Paranoia ansia preoccupazione possessione desiderio ansia ansia Charles gli uomini uccidere difendere salvare proteggere morire 

"Erik." deve distrarlo. Deve farlo tornare lì con lui. "Erik, pensi davvero che sarei così egoista da permetterti di massacrare così tanti uomini per salvare me?" no, non farebbe neanche questo. "Che ti piaccia o no, non si può risolvere la violenza con altra violenza." la voce è calma, deve esserlo per calmarlo e farlo ragionare. È di questo che Erik ha bisogno la maggior parte delle volte: un aiuto a calmarsi, a riflettere. Altrimenti, la situazione finirà nuovamente per sfuggirgli di mano. "E se servirà la morte di un innocente per farli ricredere, temo che sarebbe l'unica cosa che farei per entrambe le fazioni." 

Il volto di Erik sbianca, mentre il suo corpo si ritrae, osservando Charles con shock e sconcerto. Non può dire sul serio. 

"Sono più che serio, Erik. Cos'ha portato a te la violenza? Odio, rancore e vendetta. E cos'hanno portato questi a coloro colpevoli, ma anche a coloro che sono innocenti? Tutte le famiglie di quei soldati, dei politici. Non esistono due nette divisioni fra bianco e nero, non tutti possono essere condannati, non tutti possono essere redenti." l'amaro inizia a macchiare quelle parole, i pensieri del telepate. Perché, fra tutti gli esempi di personaggi che non possono essere redenti, ne scorge solo una calzante? Proprio lì, davanti a sé. Se ne sta in piedi come un animale, fiero e anche teso, attento, lo sguardo affilato, ma anche fragile e spezzato, come i cocci di un vetro; i tratti spigolosi, rudi, con un piccolo accenno di barba e quel dolcevita nero che evidenzia il corpo snello e tonico. E perché, nonostante sappia benissimo che certe persone non possono essere salvate, si ostina tanto con lui? 

Un sospiro tremolante abbandona le labbra del telepate, facendolo voltare appena, bloccando una ruota della sedia a rotelle e facendo scivolare l'altra sul pavimento di parquet. Un fruscio di stoffa gli fa solo capire che Erik deve essersi mosso, ma ancora non c'è rumore di passi. 

"Charles.." 

"Sono un fallimento, Erik. Sia come persona, che come mutante." non gli lascia troppo tempo per ribattere. "Non importa quanto io provi a cambiare le cose, ad alleggerire la tua mente dai demoni che la assillano, c'è sempre qualcosa che va storto e che mi impedisce di avere successo." le mani sono strette sui braccioli della sedia, ora. Fissa le proprie gambe. Inutili e magre. Ogni giorno vede i muscoli atrofizzarsi, lentamente, sempre di più. E non può che disperarsi, a volte, quando la mente è debole; ma non ha mai detto niente, neanche a Hank. Come avrebbe potuto? La paralisi lo rende già un peso. Non ha bisogno di appesantire ulteriormente gli animi di coloro che gli sono vicini. 

Ma Erik.. Erik, per quanto possa essere il più vicino, è sempre lontano e distante. Lì dove la sua mente non può raggiungerlo. A causa di quel casco, non importa quanto vicini o lontani siano, la sua testa è e sarà sempre distante. Solo ora, solo in questo momento, può realmente sfiorargli i pensieri, rispondere a tante delle proprie domande. 

"Non posso dirti che aspetterò, perché so che non tornerai mai definitivamente e per sempre; eppure non riesco neanche a dirti.. a dirmi di no, perché continuo a sperare che un giorno forse sarà possibile, che paradossalmente potresti cambiare idea." e capire se sono più importante dei tuoi piani, o se loro sono più importanti di me. 

Erik si muove, alle sue spalle. Sente i passi che si avvicinano. "Charles-" 

"-E non dire che lo fai anche o solo per me, Erik." che senso ha tenere quella realtà nella testa di Erik? Lo sanno già entrambi ed Erik sa che Charles l'ha visto, letto, provato nei suoi pensieri. 

"Cosa dovrei dire allora?" una mano si posa sulla sedia, ma non sono i suoi muscoli a trascinarla. Il metallo si rianima e lo fa lentamente voltare, assieme a tutta la sedia a rotelle. "Anche se restassi qui, con te, pensi che i miei incubi e le mie paure non resterebbero a tormentarmi?" se mi tengo occupato mi darà sicurezza e non avrò più bisogno di temere gli uomini 

"No, Erik, ma non saresti da solo ad affrontarli." mormora ora il professore, guardandolo negli occhi. "Saresti sicuro che stiamo tutti bene." sa che è insufficiente, ma cos'altro gli resta per convincerlo? Niente. E non funzionerà ugualmente. 

Erik è chino su di lui, inclinato, con le mani poggiate a stringere i braccioli della sedia. Lo sta osservando, in silenzio, con espressione contratta, neanche fosse lui quello con le spalle al muro, fra i due. 

Un sospiro. "Non molli mai, eh?" chiede, attento, un sorriso che infrange il cipiglio, senza però interrompere quell'aria contratta. "Ho provato già una volta, Charles, a restare con voi e.. Hai visto com'è andata." abbassa lo sguardo per la prima volta, ma già i secondi che passano fanno mancare al telepate il contatto di quegli occhi. "Voglio solo poter tornare quando posso, trovarti e.." gli occhi si rialzano, si piantano in quelli di Charles con una strana luce, sinistra, intensa. "Stare assieme come ai vecchi tempi, farti ripetere non so quante volte che le tue gambe sono acqua passata, benché per me non lo siano, lasciarti entrare nella mia testa e salvarmi ancora dalla mia stessa mente." 

"Dovrei passare tutta la vita in attesa di un giorno? Mesi, se non anni, in solitudine?" lo osserva. La disperazione vocia, urla. Sì, Erik, lo farei. Ma la ragione, l'autoconservazione.. oh, quanto rimane dell'una e dell'altra? Cos'altro potrebbe avere? Una seconda possibilità che ha buttato via assieme a Moira? Non l'ha fatto solo per salvarla dagli interrogatori e per togliere sé stesso ed i mutanti dal pericolo.. Non solo per queste ragioni. 

"Così come farei io, Charles." mormora Erik. "Così come farò se me lo permetterai."  

Quella risposta rincuora e spaventa. Perché è davvero così che vivrà la propria vita? È assurdo chiedere di vivere assieme e più di un giorno con la persona più importante che si possa avere? È impensabile chiedere pace e normalità? Eppure, per Erik non c'è mai realmente stata la normalità. Mai un giorno, fin dalla sua infanzia. Sentiva disagio e straniamento dalla realtà a cui partecipava nei giorni di allenamento. Come se avesse dimenticato come vivono le persone normali, come se non riuscisse a vedersi all'interno di una quotidiana e monotona vita, fatta di ripetizioni ed abitudini, di sicurezza e tranquillità. 

Un sacrificio. È questo che gli sta chiedendo -che sta chiedendo ad entrambi.  

"Come può bastarti un giorno?" 

"Vorrà dire che decideremo noi, quanto tempo, ma sai che dovrò sempre poter andare, partire e tornare." 

Charles rimane in silenzio, osservandolo, mentre una sensazione strana -sbagliato- gli riempie la testa. Non farlo. Non c'è scampo, da simili vite. Non si può tornare indietro, non facilmente. Come per le droghe. Dì di no.
Digli di no. Non è giusto, né nei suoi confronti, né nei tuoi. Soprattutto nei tuoi confronti.

No. Digli di no. No. 

no 

"Sei sempre stato scorretto, vero?" solo negli scacchi gioca pulito. Solo nei giochi. 

"Non posso lasciare al caso simili faccende, non se voglio ottenere qualcosa a qualunque costo." lo osserva, con attenzione, come se poi stesse aspettando un trabocchetto, un tranello da parte del telepate. 

Invece, da parte di Charles si fa strada solo una lieve ed accennata risata, ironica e solo in minor parte amara. "A volte sai essere così romantico." 

Una mano gli prende il mento, facendoglielo sollevare, come per poter ritrovare quella nuova e vecchia espressione. Non c'è ostilità. Solo una stanca rassegnazione che cancella la speranza e lascia spazio alla dubbia realtà. "Non odiarmi, Charles. Non potrei vivere senza di te."  

Ma non puoi vivere neanche con me. 

"Sei perfetto così come sei." la voce di Erik tradisce un senso di colpa e Xavier sente nei suoi pensieri quella condanna che lo seguirà ogni volta che lo guarderà e noterà le sue gambe. Un'ancora di salvezza immobilizzata, inferma e debole. Ecco cos'è. Nonostante l'handicap, nonostante tutto, riesce ancora a trattenere Erik nel presente, anziché affondare nel suo passato, nei suoi ricordi. 

"Doveva essere una discussione seria." 

"Un litigio? Non siamo già passati al punto in cui facciamo pace?" 

Già.. Come tutte le altre volte che è tornato qui. 

"Charles, non posso leggerti nella mente, lo sai?" mormora Erik, conscio che il telepate sta rimanendo cheto da forse troppo tempo. 

"Stavo solo pensando che sta già succedendo quello che hai promesso, tutto qua." scrolla le spalle. "Torni sempre, anche se dopo mesi od anni, senza avvisare e poi te ne vai come se niente fosse." 

"Cercherò di avvisare, la prossima volta." la prossima volta, sembra davvero una promessa, un programma, un'intenzione. 

"No, voglio sapere quanto tempo passerà." non posso aspettare anche una telefonata. Si ritroverà a spostarsi nelle stanze da telefono a telefono, anziché per qualcos'altro. Non vuole. "Una volta all'anno." lo osserva, "Nel periodo che vuoi, ma deve essere un giorno fisso." si umetta le labbra. "Sono stufo di non sapere quando e se tornerai." sbatte le palpebre, per poi chiuderle, lasciando la propria mente sfiorare i pensieri dell'altro. Frammenti, piccole sensazioni lo colgono, facendolo sospirare. "Poi, per quanto restare, lo deciderai tu, se vuoi." 

Tutto ciò che vuoi, è un eco. Uno dei tanti pensieri che ne sfiora la mente e che si perde nella marea, facendolo sorridere appena. Può andar bene anche questa felicità, per quanto frammentata e sporadica. Se lo ripete, come se volesse rassicurarsi, che accertarsi della realtà dei fatti.
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NA:
Okay, premetto che sono una totale ignorante sull'argomento, questa storia è uscita più per mia curiosità e soddisfazione personale, che per altro. Quindi, se trovate errori cronologici o chissà che, perdono ç_ç' non fucilatemi(?).
Per il resto, spero piaccia comunque *^*
Fatemi sapere yOy7 <3
  
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