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Autore: Flam92    02/09/2014    2 recensioni
Dopo gli eventi catastrofici di TWS che cosa farà Natasha, ora che tutte le sue coperture sono saltate? E Clint come reagirà, sapendo che tutto ciò che conosceva potrebbe essere andato perso? Come potrebbe evolvere il loro rapporto?
[Dedicato a Thiare, le cui bellissime storie e il suo essere fervente supporter di Clint e Nat mi hanno regalato un momento di incredibile ispirazione]
Storia by Mòrrigan
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Natasha Romanoff
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Quello che resta di noi...

Le macerie nel bacino del Triskelion parlano chiaro: il mondo che tutti loro conoscono –conoscevano- non esiste più. È crollato, crollato come un castello di carte in una giornata di vento. Crollato come uno di quei vecchi ruderi, perché nessuno possa dimenticarsi che niente è eterno e nulla dura per sempre. Forse, solo la caduta lo è.
         Una  folata di vento le spinge ciocche di capelli color fiamma davanti al viso stanco e scavato, Natasha sa di avere quell’espressione marchiata a fuoco tra i suoi lineamenti, lo sa senza nemmeno aver bisogno di uno specchio.
Anche lei è caduta insieme a tutte le sue coperture, le facciate che la rendevano una qualunque agli occhi dei “non addetti ai lavori”, ma non sa se esserne dispiaciuta o meno. In fondo, si dice, ora posso riprendermi la mia vita. Sì, ma quale vita?
         Scuote la testa, osservando pensosa i tre uomini davanti alla lapide: due di loro parlano pacati, il terzo si allontana per andare chissà dove. Come lei, del resto.
         Se solo ci fosse stato Clint, lì con lei.
         Da quando l’ha reclutata l’agente Barton non la ha mai, mai persa di vista, è sempre stato accanto a lei: prima come avversario, poi come agente supervisore, amico e compagno.
Amico e compagno.
Due parole che Natasha non avrebbe mai immaginato di pronunciare, men che meno nella stessa frase e riferite ad una sola persona. Una persona che si è imposta nella sua vita e che non l’ha più lasciata, nel bene e nel male.
         Chissà che  fine hai fatto, Barton…
Vorrebbe davvero saperlo. E, pur rendendosi conto che se Clint avesse combattuto con lei quella guerra contro l’HYDRA, comunque ben lungi dall’essere conclusa o vinta, non sarebbe cambiato nulla del risultato finale, è pronta a giurare che con lui sarebbe stato tutto diverso. Steve è un ottimo alleato e un buon amico, certo, ma non è Clint. Non è l’altra metà di un meccanismo perfetto, non è l’unica persona che sa, sa davvero, quali e quante cicatrici Natalia Alianovna Romanova porti con sé. Non è il Capitano Rogers il suo compagno di bevute, la persona che ride alle sue –poche e difficilmente comprensibili- battute, non lui chi l’ha sostenuta le innumerevoli volte in cui il suo mondo sembrava caderle addosso.
         La persona che l’ha sempre sorretta, coccolata e protetta quando più ne aveva bisogno, che le ha dato tutto se stesso senza mai pretendere nulla in cambio. Forse, ma solo forse, è vero che ci si rende conto di quanto qualcuno sia importante solo nel momento in cui si rischia di perderlo. E quando si è scontrata con il Soldato d’Inverno, per un attimo ha davvero temuto che sarebbe potuta morire senza aver prima salutato Clint come si deve, o avergli detto quanto tenga a lui.
         La verità, nuda e cruda, è che alla fredda e impassibile Natasha Romanoff è venuto un attacco di nostalgia. Uno di quelli tremendi che spezzano le ginocchia e tolgono il fiato.
         “Dannato, stupido idiota d’un arciere votato al martirio… Riesci a rompere le scatole anche da lontano.”
         Queste parole le escono a mezza voce, mentre, godendosi la brezza che soffia allegra, si avvicina alla propria macchina. Le parole sono dure, ma non il tono con cui esse sono dette, né è intriso di cattiveria il sorriso appena accennato che compare fugace sulla bocca di Natasha. Perché Clinton Francis Barton, in arte Occhio di Falco, è bravo a fare tante cose, ma più di tutte, è bravo a entrare nel cuore delle persone e a non lasciarlo più.
 
* * * * *
 
         Le notizie che scorrono sullo schermo del televisore nel bar in cui s’è rintanato lo fanno quasi strozzare con la birra che sta bevendo.
         Clint Barton è sempre stato rinomato per avere un eccezionale sangue freddo, anche nelle situazioni che chiunque definirebbe catastrofiche, ma sentire che lo S.H.I.E.L.D., fagocitato e avvelenato dall’HYDRA, ormai non è che un cumolo di macerie fumanti gli fa quasi venire il proverbiale colpo apoplettico. È questione di un momento, un battito di ciglia e tutto quello per cui ha lavorato, sacrificato tanta parte di vita e salute –sia fisica che mentale- non esiste più.
         Fosse solo questa, però, la ragione di tanto sgomento e della voragine dolorosa che gli si apre nel petto. No, quello che davvero lo spaventa è non sapere che fine hanno fatto gli amici di una vita, i colleghi, che cosa rimane della sua vita ora che è tutto crollato con il fragore di una valanga. Ora che il vecchio mondo è franato sotto i piedi di tutti loro.
         Aveva già cominciato a sospettare fosse successo qualcosa quando la sua squadra di recupero non s’era fatta viva e ciò l’aveva costretto a scansare sventagliate di proiettili e killer in nero maledettamente veloci e spietati, ma non avrebbe mai potuto –o voluto, gli farebbe notare Natasha- immaginare un disastro di queste proporzioni.
         Nat, ti prego, ti prego, dimmi che sei tutta intera… e fatti viva, prima o poi.
Si sente tremendamente in colpa per non esserci stato quando la donna aveva più bisogno di lui, quando chiunque avrebbe potuto beneficiare del suo aiuto. A conti fatti, il risultato ultimo non sarebbe minimamente cambiato, ma essere vicino alla compagna di una vita, all’unica persona cui ha affidato a occhi chiusi la propria vita, questo avrebbe fatto la differenza per entrambi.
         Lascia qualche banconota spiegazzata sul bancone e recupera la valigetta scura che custodisce l’altro suo inseparabile amico, oltre che un paio di pistole cariche di piccolo calibro.
Esce dal bar, indossa il casco e inforca la moto; parte sgommando e sollevando nubi di sabbia rossiccia, che aleggiano nell’aria creando un’atmosfera ai limiti del surreale.
         Mentre si dirige verso un vecchio rifugio sicuro lascia che la corazza a guardia dei suoi sentimenti scivoli via, quel tanto che basta perché ammetta a se stesso di essere preoccupato, per ciascuno dei suoi amici e per una persona in particolare.
         Certo, Nat è una che sa il fatto suo e ancora deve nascere il supercattivo che possa metterla KO, ma non sono le ferite fisiche quelle per cui Clint è tanto corrucciato; a dargli sgradevoli e continui attacchi di ansia è il rendersi conto di come la donna abbia dovuto affrontare tutto questo macello da sola, con le sue sole forze. D’accordo, sapere che Steve Rogers era a portata di voce aveva tranquillizzato non poco l’arciere, ma per quanto il vecchio rudere abbia ottime qualità, come persona, non è Clint.
         Sono sempre stati solo loro due, da quando aveva reclutato Nat a Budapest fino ad oggi, hanno condiviso così tanto, gioie, dolori, missioni fallite, relazioni cominciate e finite a causa del loro lavoro, la rabbia e la frustrazione per non poter andare avanti o dover lasciare perdere.
Anche nei momenti in cui le circostanze dicevano loro di non fidarsi di nessuno, Clint sapeva che comunque Natasha gli avrebbe coperto le spalle. Se ciò non avesse compromesso troppo la missione, ovviamente, perché per la piccola stacanovista il lavoro viene sempre prima. O così le piace far credere; Clint solo sa che è una facciata e nulla di più.
          Inoltre, ha anche perso il conto delle volte in cui si è volontariamente sobbarcato il fardello di essere l’angelo custode di Nat.  Non le ha mai chiesto nulla in cambio, né lo ha fatto lei con lui; non stanno lì a guardare chi sia in credito e chi in debito.
“Resisti, Nat. Sta pur certa che prima o poi ti becco e le prendi. Non devi farmi preoccupare!”, sbuffa e borbotta l’arciere, ormai quasi a destinazione. E a dispetto del tumulto di sentimenti che si agitano dentro di lui, non riesce a non sorridere quando pensa a lei.
         Perché la loro amicizia è fatta così, è nata tra lividi e sangue e i proiettili l’hanno plasmata, ma sono i stati i pericoli che hanno affrontato e i sacrifici che hanno fatto a renderla ciò che è adesso: un’ancora cui aggrapparsi, un porto sicuro nel quale rifugiarsi, un vecchio castello in rovina, pieno di squarci e spifferi, ma che è ancora solido come il giorno che è stato costruito.
 
* * * * *
 
         Natasha arriva ad un vecchio rifugio sicuro che è quasi sera. Non è venuta qui di proposito, ha semplicemente guidato e seguito il suo istinto.
         La prima volta che lei e Clint sono capitati in quel monolocale polveroso l’arciere era ancora il suo agente supervisore; la Vedova Nera sorride, ripensando a quell’appostamento finito male condito da continue punzecchiature, dispetti e battute ironiche. Avevano fallito la missione, certo, ma almeno si erano divertiti e ci avevano guadagnato entrambi.
         Recupera il borsone dal sedile del passeggero e dalla tasca della giaccia estrae alcuni grimaldelli per forzare la serratura del portoncino di vetro polveroso. Serratura che qualcuno ha già forzato, ma non sono molte le persone a conoscenza del monolocale sfitto in quella cittadina a nemmeno tre miglia dal deserto.
         Preoccupata prende la sua pistola e sale le strette scale silenziosa come un gatto, tenendo l’arma puntata davanti a sé. Ventisette scalini sgangherati più tardi arriva alla porta di legno consumato che le è tanto familiare; da sotto filtra una sottile lama di luce, ma dalla strada sembrava tutto buio.
         Fa un respiro profondo e apre la porta con un calcio, poi si slancia all’interno dell’appartamento, rotolando sulla schiena per attutire l’impatto. Vede una sagoma scura muoversi fulminea e, quando è di nuovo in posizione di tiro, Nat realizza che anche l’altro inquilino le sta tenendo un’arma puntata addosso.
         Inaspettatamente, sorride e abbassa la pistola, alzandosi con un movimento felino: non sono molte le persone che girano con un arco compound e possono vantare la mira migliore del mondo.
         “Ciao Clint. Dove ti eri cacciato? Ti sei perso tutta la festa.”
L’arciere sorride sornione e mette da parte l’arco; eccola lì, quella maledetta testona che lo fa sempre penare e che sfodera il proprio cinico sarcasmo per non lasciar trapelare nulla dei suoi sentimenti. Dopotutto, è impossibile dimenticarsi di punto in bianco della rigida “educazione” del KGB.
“Scusa, Nat, ma sai com’è: gli aerei sono sempre in ritardo… ”, replica Clint con un sorriso stanco, tirato, che non riesce a mascherare del tutto le sua preoccupazione.
         La donna sorprende entrambi abbracciandolo di slancio e l’arciere ci mette giusto quel mezzo secondo a realizzare l’incredibile gesto e lo ricambia sollevato. La tensione scivola via dal corpo di entrambi, fermi in quella misera stanza  avvolta dal silenzio profondo del deserto.
“Ero preoccupato per te… Mi sei mancata, Nat”, sussurra piano l’uomo, quasi temendo di rompere in migliaia di frammenti di cristallo quel momento di rara bellezza.
“Senza di te non è lo stesso, Clint”, replica lei con voce dolce, dolce come l’uomo non l’ha mai sentita.
 
* * * * *
 
         “Che è successo a Washington?”
“Se hai visto i notiziari, Clint, sai tutto. E saprai anche che per smascherare l’HYDRA ho dovuto mettere su Internet tutti i file dello S.H.I.E.L.D.”
“Oh. Oh. Quindi siamo finiti finiti, è questo che intendi?”, ribatte l’arciere costernato.
Nat si limita ad annuire. Ormai, non è più tempo di parole, forse perché sono già state tutte spese nelle preghiere di chi, quel disastro, l’ha visto solo da lontano.
         “Sai… questa volta è stato diverso”. La donna se ne esce con questa frase sibillina mentre si stringe di più la coperta addosso. Aveva dimenticato quanto facesse freddo di notte nel deserto. Eppure Clint è convinto che non sia rabbrividita solo per la temperatura. Natasha non è mai stata il tipo da parlare per nulla.
“Diverso ?”, le domanda tranquillo, con tono casuale, mentre tutta la sua attenzione è focalizzata sui due bicchieri colmi di vodka davanti a loro, sul pavimento polveroso.
“Hanno sguinzagliato la loro bambola assassina, Clint… che poi si è scoperto essere l’amico di Steve caduto nelle grinfie dell’ HYDRA.”
“Ma non è solo questo, vero?”
Natasha scuote la testa. “Era… strano sapere che non eri nei dintorni. Un paio di volte ho guardato sui tetti, ma non ho visto la tua testaccia dura. Combattere senza di te non è lo stesso.”
         Clint non sa se essere  sorpreso per quella velata ammissione di nostalgia da parte della donna, o se gongolare perché ha segnato il punto sull’uomo diventato leggenda. Alla fine, decide per la prima soluzione.
“Stai per caso dicendo, nel tuo modo incredibilmente chiaro e comprensibile, che ti sono mancato?”. Natasha sorride con astuzia e gli rivolge un’occhiata eloquente: questo gioco l’ha inventato lei, è impossibile sperare che si faccia intrappolare dalla sua stessa rete.
         Eppure quel mezzo sorriso accennato è già una conferma, quella che adottano le persone che non sono mai state a loro agio con i sentimenti.
         Stavolta è il turno di Clint di sorprendere entrambi con un abbraccio un po’ impacciato.
“Clint?”
“Cosa?”
“Da quando mi abbracci?”
“Da quando mi va di farlo. Anzi, avrei dovuto farlo più spesso. Mi piace.”
Per una volta Nat non replica; si limita a stringersi un po’ di più nell’abbraccio dell’uomo. Una volta tanto, può dire di essere a casa, a casa per davvero.
 
* * * * *
 
         Hanno trascorso la notte bevendo molto e parlando poco, forse perché, se ci si capisce con un solo sguardo, le parole non sono poi così utili. O forse, si dice poco e nulla perché si ha paura che da labbra di solito cucite –e che spesso sanno anche di menzogna- possano sfuggire enormi verità, di quelle che non è più possibile ritrattare, una volta uscite allo scoperto.
Se ci si abitua a nascondere i proprio sentimenti, è difficile poi metterli a nudo o farli uscire allo scoperto.
         “Mi chiedo se sia questo, quello che resta di noi”, esordisce Natasha con voce impastata dal sonno, “Sangue che gronda, macerie ovunque… è tutto questo, quello che ci rimane?”
“Non lo so, Nat”, replica l’uomo mentre le prende le mani e se le appoggia sul petto, coprendole con le sue, “Ma so che non è mai troppo tardi per ricominciare e spesso serve perdere tutto e ripartire da zero. Vuol dire darsi una seconda possibilità, guardare le cose da un’altra prospettiva.”
“Tu hai sempre visto le cose dall’alto… e non ti piace cambiare prospettiva.”
“Non deve piacermi, ma a volte è inevitabile.”
         Il silenzio torna ad avvolgerli; Clint si accorge con sorpresa che la donna non ha ancora sciolto il contatto tra le loro mani. Magari, alla famigerata Vedova Nera ora è venuta a noia la solitudine di cui si è sempre circondata e nutrita. Oppure, ha finalmente capito che a volte non è un male concedersi un aiuto esterno.
         “Devo crearmi una nuova copertura…”. È più una riflessione a mezza voce che una vera e propria affermazione, ma Clint coglie lo stesso la palla al balzo.
“Mhm… perché non ti ricicli come ballerina classica?”, le propone con uno dei suoi sorrisetti furbi e la donna, per la prima volta, sorride davvero.
“Lo sai, ci ho già provato e non mi è andata molto bene. Credo ci vorrà un bel po’.”
“Oh, musica per le mie orecchie. Mi serve una vacanza.”
“E questo cosa c’entra con la mia copertura?”. A dispetto del tono calmo, è l’intero sopracciglio alzato di Natasha a definire il suo immenso stupore per quell’affermazione.
“C’entra perché entrambi ci meritiamo una vacanza… e già che ci siamo, per unire l’utile al dilettevole, ci inventeremo qualcosa per la nostra copertura. Affare fatto?”
         L’innato ottimismo di Clint è contagioso; l’arciere non è mai stato tipo da arrendersi, nemmeno quando le circostanze non sembrano dare altra scelta. No, l’espressione resa incondizionata non ha diritto d’asilo nel suo vocabolario… figurarsi nella sua vita.
“Mi sembra un buon compromesso. Dove si va?”
“Non lo so. Dove ti piacerebbe andare?”
Natasha avvicina il viso al suo e gli sussurra qualcosa all’orecchio; poco dopo, Clint comincia a ridacchiare.
“Sarà un viaggio lungo, lo sai vero?”
“Lo spero proprio.”
         La risposta di Natasha è un caldo soffio sul viso di Clint, che per una volta cede all’istinto e cattura quelle bellissime, astute labbra con le sue.
         È un bacio che dice molto più di quanto possano le parole, un bacio che sigilla un contratto tra due persone, un bacio che, sulle ali del coraggio appena ritrovato, unisce due persone, due anime fatte di luce e sacrifici, che non sono mai state divise per davvero.
 
* * * * *
 
         Il rumore del motore è un basso e continuo sottofondo mentre la strada sfreccia fuori dai finestrini.
Natasha, sul sedile del passeggero, incrocia i piedi sul cruscotto e si stiracchia come un gatto; Clint, una mano sul volante e l’altra sul cambio, ha le labbra incurvate in un pigro sorriso.
“Ehi… ”
“Dimmi, Nat.”
“Non te l’ho mai detto ma… grazie, Clint. Di tutto”
“Figurati. A buon rendere.”
         È uno sguardo schietto e complice quello che corre tra loro, uguale e allo stesso tempo profondamente diverso da ogni altro sguardo che si sono scambiati. Le loro mani si sfiorano in un breve contatto che di casuale non ha nulla. È la muta rassicurazione che serve a entrambi per poter andare avanti e compiere la loro nuova missione: riprendersi la propria vita, laddove è stata interrotta.
         Perché l’amore è un sentimento complesso,  ha molte facce e si manifesta in tanti modi diversi. È ciò che tiene uniti amici e fratelli e famiglie, è la forza incredibile che incatena due anime gemelle in un tutt’uno completo. Trovare la propria metà non mai semplice, e nemmeno banale. Non c’è mai un luogo o un momento adatto per rendersi conto che il tassello mancante è proprio davanti agli occhi; succede, è una di quelle casualità imprevedibili che capitano una sola volta nella vita. E se poi questa persona unica e irripetibile è il proprio migliore amico e l’amore -magari inespresso- di una vita, allora è lecito pensare ad un colpo di fortuna. Oppure, che gli sforzi per costruire qualcosa di bello partendo dal fango sono stati premiati.
         Perché si sa, un meccanismo veramente perfetto funziona bene solo se ci sono tutti i pezzi e ognuno di loro lavora come si deve.
E Clint e Natasha questo lo sanno meglio di chiunque altro.
 

 
  
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