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Autore: Ormhaxan    03/09/2014    4 recensioni
Londra-Nottingham, 1485. Alla vigilia della battaglia di Bosworth Field sono ancora molte le domande senza risposta che tormentano Anne. Additata come regina e consorte sterile, Anne passa le sue giornate nelle sue stanze, sola, ad osservare il suo sovrano e marito intento a corteggiare quella che è sua nipote, la bella Elizabeth, la ragazza che, si mormora, prenderà presto il suo posto. Ma Anne non è disposta a cedere così facilmente, e ritrovato il suo orgoglio farà di tutto per ricordare al suo consorte e ai nobili d'Inghilterra quanto forte una Neville può essere, specialmente se in gioco c'è l'amore dell'uomo che ama da sempre e il suo futuro di donna e moglie.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anne Neville, Richard Plantagenet / Richard III
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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E sarà presto ancora
sarà presto ancora
se i giorni che restano
dobbiamo passarli insieme
io credo nelle cose che mi hai detto ieri
ma i giorni che restano dobbiamo contarli insieme....

[Ministri, I Giorni che Restano]




 
Londra-Nottingham, 1485





Anne – la Regina Anne – osservò con sguardo severo dalla finestra della sua maestosa stanza da letto l’andirivieni di gente che affollava il cortile interno del palazzo reale, conscia e rassegnata all’idea che l’indomani mattina gli uomini sarebbero partiti alla volta di Nottingham, di una nuova guerra che li attendeva e dalla quale nessuno sapeva se sarebbe tornato vivo. Il suo cuore era pesante, colmo non solo di preoccupazione per il suo sovrano e marito, quello che era stato il suo migliore amico durante la sua infanzia, il suo salvatore durante la sua fanciullezza e il suo Duca e amante – il padre di suo figlio – negli ultimi tredici anni della sua vita, ma anche per le sorti del regno, delle sue sorti una volta finita la guerra. Sapeva che, mai come prima, le vecchie alleanze erano state messe in discussione, che nessuno poteva considerarsi realmente fedele al suo Richard e alla corona – nessuno eccetto Francis Lovell, suo amico e più fidato consigliere – e qualsiasi cosa fosse accaduta, il suo ruolo sarebbe stato messo in discussione. Lei, la regina sterile che tutti compativano, era stata ad un passo dalla morte mesi prima, quando la tisi era quasi riuscita a sconfiggere il suo animo già provato dalla morte del suo bambino, il suo piccolo e fragile Ned, principe del Galles, erede al trono d’Inghilterra. Dopo di lui, Anne non era stata in grado di dare altri figli a suo marito, al suo Duca; solo aborti, bambini nati morti c’erano stati nei successivi undici anni, fallimenti e dolori che avevano provato sempre di più il corpo della piccola, forte donna che improvvisamente si era ritrovata ad essere Regina, a portare quella corona terribilmente pesante che per anni suo padre, il defunto e compianto Richard Neville, conte di Warwick, aveva tentato di posare sulle tempie di sua sorella Isabel prima e sulle sue poi, costringendola ad un seppur breve matrimonio con il figlio della sua nemica giurata, la regina Lancaster Margaret d’Anjou. Non era mai stata una sciocca, Anne Neville, figlia del Creatore di Re, e conosceva perfettamente le voci che circolavano da mesi per i corridoi della sua corte, i pettegolezzi che si diffondevano di bocca in bocca tra i nobili del regno, allusioni riguardanti suo marito Richard, le sue attenzioni sempre più frequenti verso Lady Elizabeth, - no, non Principessa come si ostinava a chiamarla Richard – quella giovane ragazza nel fiore degli anni così simile al suo defunto padre, l’amato e compianto Re Edward, morto solo due anni prima nel suo letto, che sembrava stregare e ammaliare ogni nobile d’Inghilterra con i suoi sorrisi e i suoi sguardi languidi, il suo fare civettuolo che la irritava tremendamente. Da mesi ormai la corte stava aspettando con impazienza – come dei corvi in attesa della morte di un animale agonizzante, la cui fine è ormai prossima-  il momento in cui il Re, il suo amato Richard, avrebbe messo da parte la sua sterile Regina per sposare un’altra donna, la giovane nipote che sembrava scoppiare di salute e che con i suoi fianchi morbidi e il suo seno prosperoso sembrava l’emblema della fertilità, una donna che gli avrebbe dato dozzine di figli, gli stessi figli che lei gli aveva promesso ma che non era riuscita a dargli. Sapeva, Anne, che era solo una questione di giorni ormai, di settimane: al suo ritorno, Richard l’avrebbe spedita in un convento, ripudiata e lei avrebbe passato il resto della sua vita da sola, probabilmente come suora, a pregare per il suo sovrano e a trascorrere una vita di penitenza e abnegazione. E se invece così non fosse stato, se l’usurpatore Tudor avesse vinto….
No, non doveva pensare a quello, non a quello. Richard l’avrebbe sconfitto, sarebbe tornato a Londra sano e salvo e avrebbe continuato a regnare per molti, molti anni ancora, sarebbe stato un re buono e giusto, quello che il popolo e il paese meritava.


“Milady, vi sentite bene?” chiese la voce preoccupata di Katherine, quella giovane donna che aveva cresciuto come figlia sua e che ogni giorno diventava più bella, più simile al suo adorato Richard, a suo padre.
Inizialmente la scoperta dell’esistenza di Katherine, della figlia bastarda di Richard, l’aveva sconvolta e indignata, ma con il passare del tempo si era profondamente legata a lei, l’aveva accolta nella sua casa e l’aveva sempre considerata la figlia che non aveva mai avuto.
Dopo di lei erano arrivati Margaret e Teddy, i figli della sua dolce Isabel, la sua unica sorella morta anni prima a causa della febbre puerperale. La sua morte aveva portato suo marito George alla follia, a compiere gesti sconsiderati, a tradire nuovamente il suo Re, a quella morte insensata che aveva lasciato orfani e senza titoli i suoi due poveri e sfortunati bambini. Anne li aveva cresciuti in tutti quegli anni, li aveva fatti sentire a casa, circondati d’affetto; aveva creato per loro un ambiente confortevole, aveva dato al suo piccolo Ned dei bambini della sua stessa età con cui giocare, ma poi la febbre si era portato via il suo piccolo principe, e lei era rimasta sola, ad allevare i figli degli altri, quei bambini che, nonostante tutto, non sarebbero mai stati davvero suoi.
“Bene, bene – rispose con un piccolo sorriso accennato lei, tornando a guardare giù, notando solo in quel momento la figura slanciata del suo sovrano smontare da cavallo ed essere accolto da Elizabeth in quello stesso cortile in cui, tempo prima, lei lo aveva accolto al suo ritorno dalla disastrosa campagna francese – Va tutto bene.” Disse ancora, mentendo sia alla ragazza che a sé stessa, sopprimendo ancora una volta l’impulso di urlare, ignorando la stretta al petto che provava ogni volta che lui guardava la giovane, le sorrideva e le sfiorava la mano con le sue labbra.
“Non dovreste permetterglielo – disse Katherine, decisa – siete voi la Regina d’Inghilterra, non lei. Voi dovreste accogliere mio padre nel cortile del castello, passeggiare con lui, non lei. Lei non ha diritto, alcun diritto.”
“Lei è sua nipote, è giovane e bella… tutti l’amerebbero se diventasse regina.”
“Ma non lo è, non lo diventerà mai. Mio padre ama voi, solo voi; so che adesso vi è difficile pensarlo, ma quando eravate malata lui è stato tutto il tempo al vostro capezzale, ignorando il volere dei medici, pregando per voi, per una vostra ripresa, e anche quando il sole splendente si è oscurato, quando tutti dicevano che quello era un presagio di sfortuna, di morte, lui non si è mai arreso. E non dovreste arrendervi nemmeno voi, milady.”
“Parli con saggezza, Katherine – le disse, scostandogli una ciocca di capelli ricci dal viso – Sei in tutto la figlia di tuo padre.”
“Lo sono, ma sono stata allevata da voi: voi mi avete reso la ragazza che sono, voi e la vostra bontà. Voi siete stata una madre per me, anche se non lo siete davvero, e so quello che valete, conosco la vostra forza: voi non vi arrendete mai, combattete con lei unghie e con i denti per ottenere ciò che volete, quindi avanti, combattete! Voi siete la Regina d’Inghilterra, la Duchessa di Gloucester, una Neville!”
“Sono una Neville…” sussurrò Anne, ricordandosi dopo tanti anni le parole di suo padre, il suo orgoglio nel portare tale nome. Lei era una Neville, lo era sempre stata prima di ogni cosa, e i Neville non si arrendevano, mai.
“Hai ragione, mia cara, hai ragione, – disse, accarezzandole una guancia – sono stata cieca per troppo tempo ma adesso lo so, so cosa devo fare. Sono una Neville, la figlia di quello che è stato uno dei più potenti uomini del regno, e non posso arrendermi adesso, non adesso.”


 

**



“Sua maestà ha indetto un consiglio e non può essere disturbato.” La informarono le due guardia incaricate di sorvegliare le stanze del Re, sbarrandole la strada. “Ha dato ordini precisi.”
“Ne sono certa, ma se ben ricordo sono ancora la Regina, e voi mi farete passare.” Rispose lei con decisione ma anche con grazia, osservando le sue guardie scambiarsi occhiate perplesse: “Allora, cosa aspettate? Vi comando di lasciarmi passare e voi farete ciò che vi ho appena ordinato!”
“Maestà.” Le guardie si fecero da parte, aprendole la pesante porta che portava alle stanze da letto del suo sovrano e senza attendere oltre Anne si incamminò a passo svelto verso la stanza in cui Richard era alle prese con gli ultimi piani d’attacco prima della partenza.


La partenza era prevista alle prime luci del mattino, ma c’era ancora così tanto da fare, da discutere, e Richard non poteva permettersi di perdere tempo, di sprecare ore preziose a dormire. Al mattino avrebbero viaggiato verso ovest, verso Nottingham, e sarebbe stato lui a scegliere il campo di battaglia, il luogo in cui si sarebbe deciso tutto, non Tudor, quell’usurpatore che reclamava la corona e il trono che era stato di suo fratello prima e suo adesso; con un po’ di fortuna e con la volontà di Dio, sarebbe tornato sano e salvo a casa, avrebbe sconfitto anche quest’ultima minaccia e… e poi? Sapeva bene che tutti gli occhi erano puntati su di lui, sul suo futuro: dopo la morte del suo Edward, Richard non aveva alcun erede e Anne era considerata da tutti sterile, inutile, una regina che andava al più presto ripudiata. Tutti alle sue spalle ridevano di lui, consideravano il suo regno portatore di sfortuna, e aspettavano con impazienza il momento in cui avrebbe preso in moglie la giovane Elizabeth, quella dolce ragazza che, lo sapeva, si era innamorata di lui. Lui, però, non l’amava, non avrebbe mai potuto. Lei era la figlia di suo fratello e il suo cuore, il suo cuore apparteneva – era sempre e sempre sarebbe appartenuto – ad una sola donna, alla sua dolce e fragile Anne, che a causa sua molto aveva sofferto.

“Vostra Maestà?” la voce di Francis lo distolse dai suoi pensieri, e quando alzò lo sguardo dalle mappe e lo portò verso la porta, sullo stipite su cui ferma c’era Anne, la sua Anne, la prima cosa che gli venne in mente fu quanto fosse bella, vestita con un semplice abito color lavanda e i capelli biondo-ramati legati in una lunga treccia; guardandola, nessuno avrebbe mai immaginato che, solo pochi mesi prima, la sua dolce sposa fosse stata sul punto di morire, di abbandonarlo come aveva fatto l’anno prima il suo piccolo bambino innocente. Ma ora, ora lei era raggiante, e gli stava sorridendo nonostante tutto, nonostante Richard sapesse di non meritare il suo sorriso, il suo amore, non dopo quello che le stava facendo passare, dopo i continui affronti e oltraggi che continuava a perpetrare davanti a tutta la corte con la Principessa – no, non Principessa, Anne odiava quando lui la chiamava Principessa e le sfiorava una mano con le sue labbra, quelle stesse labbra che per anni erano state solo sue, della donna che aveva sposato – Elizabeth.  
“Anne, cosa fate voi qui?” chiese sbalordito lui, allontanandosi dal tavolo, costeggiandolo e avvicinandosi a lei, alla sua unica ragione di vita.
“Volevo vedervi prima della partenza di domani, passare del tempo con voi e…” si guardò attorno, ritenendo saggio non continuare; non c’era bisogno che i lord sapessero le sue vere intenzioni, il suo bisogno di passare un’ultima notte con lui, nel loro letto, abbracciati a fare l’amore.
Richard capì subito le sue intenzioni, - dopo tredici anni di matrimonio aveva imparato a conoscere ogni sua minima espressione, ogni suo pensiero, ogni suo stato d’animo – ma in quel momento così delicato non poteva mettere al primo posto il suo cuore, non se in gioco c’era il suo futuro, il futuro dell’Inghilterra e dei suoi amici.
“Ora sono impegnato, mia cara, ma prometto che verrò da voi appena mi sarà possibile, - chiuse una mano a coppa sul suo viso, le sorrise mortificato e, incurante degli occhi di tutti i presenti puntati su di loro e su ciò che avrebbero pensato, la baciò dolcemente sulle labbra – Ve lo prometto.”
“Allora vi attenderò sveglia nelle mie stanze, mio caro. – disse con finto compiacimento, gettando poi uno sguardo agli altri nobili – Mie lord.”
“Vostra Maestà!” esclamarono in coro i nobili, abbassando il capo in segno di rispetto. Un secondo dopo, Anne uscì dalla stanza e Richard e i suoi consiglieri tornarono ai loro affari come se nulla fosse mai accaduto.


 

**



“Anne, Anne, svegliatevi!” la voce calda di Richard la svegliò dal sonno in cui era caduta ore prima, e per un momento ebbe la sensazione di aver dormito per anni, che tutto quello che era accaduto loro – la morte di Edward, il Protettorato di Richard, i Woodville, l’incoronazione e la morte del loro bambino – fosse stato solo un sogno, un orribile sogno.
“R-Richard?” Anne aprì gli occhi, ritrovandosi tra le braccia del suo amato, ma quando si guardò attorno si rese conto di non essere a Middleham come aveva sperato ma a Londra, in quel castello che odiava, e che presto Richard sarebbe partito per affrontare Henry Tudor. “Richard!” esclamò ancora, totalmente sveglia: “Che ore sono, perché non mi avete svegliata?”
“E’ quasi l’alba mia cara, e vi chiedo di perdonarmi, ma non ho avuto cuore di svegliarvi. Dormivate così tranquilla, e quando mi sono steso accanto a voi, incerto se svegliarvi, vi siete accoccolata sul mio petto e avete stretto la vostra piccola ma forte mano attorno alla stoffa della mia camicia di lino, proprio com’eravate solita fare quando vivevamo a Middleham.”
“Avreste dovuto svegliarmi, invece. – ribattè Anne, ingoiando un boccone amaro e la voglia di rimproverarlo per tale superficialità – Ci sono così tante cose che devo dirvi, cose di cui discutere, e ora…” si morse un labbro, i suoi occhi vagarono dal viso di Richard alla finestra dalla quale stavano iniziando a filtrare i primi raggi del sole: “Ora non c’è più tempo.”
“Parleremo al mio ritorno, ve lo prometto.” Le baciò il capo, poi le tempie, una guancia e infine la bocca: “Tornerò da voi, io tornerò sempre da voi, e passeremo i giorni che restano insieme.”
“Vorrei tanto crederci…” sussurrò, combattendo contro la voglia di piangere, contro la paura che attanagliava il suo stomaco, la sua gola.
“Anne…” tentò di rassicurarla, stava per dirle di fidarsi di lui, ma in quel momento qualcuno bussò alla porta: era tempo di andare.
“Verrete a salutarmi nel cortile, mi darete la vostra benedizione?” chiese, insicuro sulla risposta.
“Sono ancora la Regina, no? Sono ancora vostra moglie.” Posò il capo contro il suo, chiuse gli occhi e si inebriò del suo profumo, di quell’ultimo momento insieme prima di lasciarlo andare, forse per sempre.


 
**



Richard era partito da un giorno intero quando Anne decise di intraprendere quel folle gesto. Aveva passato la notte a contemplare l’oscurità della sua stanza, a tastare quel letto vuoto e freddo, immaginando che il suo Richard fosse là con lei, e aveva deciso che no, non poteva finire così. Lei doveva chiedergli tante cose, doveva dirgli che lo amava, doveva fare un’ultima volta l’amore con lui prima, prima…
Doveva dirgli addio, doveva congedarsi da lui e dirgli che lo perdonava, che non gli portava rancore, non importa quello che sarebbe successo. Lei era sua, suo era il suo cuore, e questo non sarebbe mai cambiato.

“Katherine, Katherine!” Anne chiamò la ragazza che, celere, si precipitò da lei. “Riempi un baule con le mie cose, dì allo stalliere di preparare i cavalli e una lettiga per me: partirò per Nottingham nel giro di due ore.”
“Nottingham?” i grandi occhi grigio-azzurro di Kat si sgranarono per la sorpresa: “Maestà, questo non è saggio. La guerra incombe su quelle terre e voi, voi…”
“Io so quello che faccio, e anche se dovesse succedermi qualcosa chi mai piangerebbe una regina sterile?” chiese retoricamente, sorridendo in modo sarcastico ma al contempo triste: “Fai come dico, e quando sarò andata via prendi Margaret e Teddy e vai in un posto sicuro. Se la battaglia dovesse volgere a favore di Tudor sareste tutti in pericolo, e dubito che Elizabeth potrà aiutarvi in qualche modo…”
“Milady, io…” Kat tentò di ribattere, ma con un cenno della mano Anne le fece capire che non avrebbe accettato ulteriori proteste: “Come Vostra Maestà comanda.”


Tutta la notte viaggiò Anne, a bordo di una lettiga – avrebbe preferito un cavallo, ma le strade non erano sicure e lei non voleva rischiare – e solo molte ore dopo il tramonto, quando il castello era avvolto nell’oscurità, arrivò alla sua destinazione, in quel posto pieno di ricordi dolorosi, lo stesso castello in cui, un anno prima, Richard le aveva comunicato della morte del loro unico figlio. Il sol pensiero di rimettere piede là dentro la spaventava, riempiva la sua testa con oscuri presagi, ma Anne si fece forza e non permise alla paura di avere il sopravvento: era là per un motivo ben preciso e non si sarebbe tirata indietro proprio ora, non ora che era così vicina a Richard, al suo amato.
Entrata nella sua stanza, dopo essere passata quasi inosservata – le uniche eccezioni furono una manciata di guardie e Francis Lovell, il quale l’aveva scortata fino agli appartamenti del sovrano – Anne trovò Richard sveglio, chino su di una mappa sui cui era stata posata l’unica fonte di luce, una candela mezza consumata che illuminava il suo profilo, i suoi capelli color dell’onice e il suo viso d’alabastro.

“Milord.” La voce di Anne gli sembrò provenire da un posto lontano, un sogno in cui era caduto senza accorgersene. Se ne stava immobile davanti a lui, con una cappa di ermellino sulle spalle, il cappuccio abbassato e i capelli scarmigliati a causa del lungo viaggio. Il suo viso era arrossato, ma questo non la rendeva meno bella.
“Anne?” Richard si alzò immediatamente, raggiungendola e stringendo entrambe le sue fredde mani nelle sue: “Cosa ci fate voi qui, siete impazzita?”
“Forse, ma non potevo, io…” Anne sentì le sue forze mancare, e come una bambina impaurita cercò riparo tra le braccia di Richard: “Ho bisogno di parlarvi, ho bisogno di capire e… perdonatemi, non dovrei darvi altri pensieri, e so di essere egoista, ma io devo sapere: voi mi amate ancora, Richard? Sinceramente?”
“Anne, Dio, Anne, come potete solo dubitarne?” prese il suo viso tra le mani, e nei suoi occhi lesse il dubbio, il bisogno di essere confortata: “So cosa si dice a corte, so di avervi recato offesa ballando tutte le sere con nostra nipote, ma quello che ho fatto l’ho fatto per il paese. Io… io mai, mai, ho avuto intenzione di ferirvi, anche se so di averlo fatto più volte.”
“Lo avete fatto, maestà, mi avete messa in ridicolo, umiliato, e tutto per cosa? Per quella frivola ragazzina, quella giovane, amabile ragazza dal viso roseo che tanto sembra essere amata da tutti e che tutti pensano mi rimpiazzerà molto presto al vostro fianco – Anne rise amaramente – Ma di cosa mi stupisco? Sono una donna sterile, gracile e incline alla malattia, mentre lei è fertile, vi darà tanti bambini, eredi sani e forti.”
“E quello che voglio io non importa?” sussurrò lui a poca distanza dal suo viso, chiudendo gli occhi: “Io non voglio nessun’altra se non voi. Voi siete l’unica che amo, che abbia mai amato. Voi siete la madre del mio bambino…”
“Il nostro bambino è morto, Richard, ed io non sono una sciocca!” esclamò lei in un moto di rabbia, allontanandosi: “Voi avete bisogno di un erede, un figlio ed io non posso darvelo. Io… insomma, chi mai vi biasimerebbe se decideste di mandarmi in un convento? Io stessa ci ho pensato molte volte e…”
“Basta, basta!” Richard non era più disposto ad ascoltarla, ad ascoltare quelle assurdità: “Siete venuta qui per commiserarvi, per ricordami quanto io sia miserabile, o per passare un’ultima notte insieme?”
“Sono venuta qui per dirvi che vi amo, che non porto alcun rancore nei vostri confronti; sono qui perché non sono stata una buona moglie negli ultimi mesi, perché ho evitato il vostro letto ma ora, ora tutto ciò che voglio è passare un’ultima notte con voi, fingere che nulla sia successo.” Posò il capo sulla sua spalla e, benché sapesse che la sua era una richiesta assurda, disse: “Possiamo far finta che sia la nostra prima notte di nozze? La ricordate ancora, vero?”
“Come potrei scordarla? Eravate timida, impacciata… bellissima.” Le baciò le guancie, le labbra: “La mia bellissima, preziosa vedova vergine.”
“Siete stato sempre voi, solo voi. Non ho avuto nessun’altro, amato nessun’altro. Sono sempre e sempre sarò la vostra Anne.”
“Ed io sono ancora il vostro Richard.” Le disse, circondando la sua sottile vita con entrambe le braccia.
“Allora, fate l’amore con me un’ultima volta, mio Richard, mio amore.” Lo pregò, alzandosi sulla punta dei piedi, intrecciando le mani attorno al suo collo e unendo le labbra alle sue.

Anne percepì quasi immediatamente la sua risposta, la disperazione e l’urgenza del bacio che Richard stava ricambiando. Poche volte aveva percepito tale disperazione nei suoi baci, nelle sue carezze: la prima volta era stata la notte in cui le aveva annunciato la sua decisione di prendere il trono, e la seconda fu in una notte senza stelle, una settimana dopo la morte di Ned, in quella notte in cui lei aveva giaciuto con lui incapace di provare alcuna emozione, in cui aveva sperato senza successo di rimanere nuovamente incinta mentre lui la faceva sua e il suo viso veniva rigato di calde lacrime, lacrime di profonda tristezza e disperazione. Le loro mai iniziarono a sfilare nastri, lacci, ad aprire farsetti e vestiti, ad intrufolarsi dentro stoffe e accarezzare la pelle dell’altro sopra le fresche camicie di lino; con impazienza, Anne gli sfilò il farsetto, facendo la stessa cosa con la camicia poco dopo, nello stesso momento in cui lui le tolse il vestito, incurante del rumore sordo provocato dal vestito a causa di un movimento troppo brusco: in altre occasioni, Anne avrebbe protestato e si sarebbe arrabbiata per la sua foga, ma quella sera no, quella sera tutto era diverso. Vestita solo con la sua lunga camicia da notte, fu presa alla sprovvista dalle forti braccia di Richard che, circondata la vita, la sollevarono da terra, provocandolo un gridolino divertito. Tanto tempo prima, ricordò Anne, erano soliti ridere mentre facevano l’amore, quando lui la provocava, la solleticava prima di farla sua, di farla godere di lui e delle sue carezze.
“Avete idea di quanto siate bella?” le disse respirando sul suo collo, dopo averla posata al centro del letto. “Siete bellissima, Anne, la donna più bella che abbia mai visto e chi dice il contrario è uno stolto.”
“Un tempo me lo dicevate tutte le sere, ma da qualche tempo ho iniziato a dubitarne.” Confessò lei, e Richard capì subito che si stava nuovamente riferendo a Elizabeth, agli sguardi che aveva riservato in quei mesi a sua nipote che, ogni giorno di più, le ricordava suo fratello.
“Mai! Non dubitarne mai, amore mio. Voi siete l’unica, la più bella, la mia sola ed unica Anne.” Tornò a baciarla e, slacciati i nastri della sua camicia, intrufolò all’interno una mano, chiudendola a coppa su di un suo seno, portandola ad inarcarsi per il piacere delle sue carezze.
“Richard!” mormorò, quando la sua bocca prese il posto delle sue mani, affondando le sue dita nel mare dei suoi ricci scuri e respirando a fatica. Da quanto tempo non si sentiva così viva, si domandò, così beata?
“Oh, Richard!” gemette ancora, quando lui entrò lentamente in lei e intreccio entrambe le mani con le sue, tornando a baciarla con trasporto.
“Lentamente, stanotte voglio fare l’amore con voi lentamente, voglio inebriarmi di voi, ubriacarmi del vostri baci, delle vostre carezze.”
“Lentamente…” ripetè lei, rossa in viso, cacciando la testa all’indietro e godendo di ciò che venne dopo, della passione, della dolcezza, dell’amore e del piacere che lui le donò senza risparmiarsi.


 

**


Anne, stesa ancora nuda sotto le coperte, guardò con sguardo vacuo il suo lord, il suo amate, vestirsi e prepararsi per l’imminente battaglia. Altre due volte avevano fatto l’amore quella notte, perdendosi nel corpo dell’altra, ma poi l’alba era arrivata e il sogno era terminato.

“Voglio che partiate immediatamente. Tornate a Londra il più velocemente possibile, e se non riuscite trovate rifugio nel santuario più vicino. In ogni caso, chiedete asilo in qualche abazia, a Westminster magari e rimanete là tutto il tempo necessario, fino a quando non tornerò da voi.” Richard si avvicinò a lei, le scostò un ciocca di capelli dal viso e aggiunse: “Se non dovessi tornare, fate sottomissione a Tudor, o fuggite in Borgogna con i bambini se potete. Loro non saranno al sicuro, specialmente il piccolo Teddy.”
“Li terrò al sicuro, tutti loro. Non dovete temere per me, per noi. Tutto ciò che dovete fare e tornare sano e salvo a Londra, al posto che vi spetta.”
“Mi aspetterete, dunque?” chiese, temendo che lei potesse fare qualcosa di sciocco: “Non vi rinchiuderete in qualche convento, vero?”
Anne rise, divertita da una tale e sciocca preoccupazione e rincuorandolo rispose: “No, mio amore, no. Vi aspetterò e starò al vostro fianco se ancora mi vorrete come vostra regina e consorte.”
“Non vorrei nessun’altra, Anne: pensavo di averlo ampiamente dimostrato questa notte.” Le tese una mano, aiutandola ad alzarsi dal letto, a vestirsi e quando anche lei fu pronta Richard si inginocchiò per avere la benedizione di sua moglie.
“Tornate da me, Richard, amore mio. Tornate sano e salvo da me.”


Dopo essersi alzato, Richard la strinse forte a sé e la baciò con trasporto un’ultima volta. Ancora una volta, Anne percepì la disperazione nel suo bacio, ma non permise a sé stessa di indugiare e con lo stesso trasporto rispose al suo bacio e, dopo un’ultima carezza e un ultimo sguardo complice, lo lasciò andare, lo lasciò al suo destino, all’ultima, faticosa battaglia che lo attendeva.
 

**



Anne si svegliò di soprassalto quella mattina. Erano passate settimane da quando Richard era partito, dallo loro ultima notte passata insieme, e non aveva ricevuto notizie alcune. Anche quella notte, il suo riposo era stato senza sogni, ma quella mattina fu diverso: quella mattina una strana sensazione si fece strada in lei, una voce che le diceva che in quel giorno di fine Agosto si sarebbe svolta la battaglia decisiva, la battaglia che avrebbe scritto le sorti del suo paese, del suo popolo, le sue e quelle del suo sovrano e marito. Costretta nell’abazia di Westminster insieme a Katherine e ai suoi nipoti, Anne passò la giornata a pregare, domandandosi se Richard fosse salvo, vivo e vittorioso. Poi, al tramonto, l’Arcivescovo giunse da lei con un messaggio, una lettera che un messaggero aveva portato per lei; non appena l’aprì, Anne si rese subito conto che a scriverla era stato Richard di suo pugno, che tutto era andato bene e che la battaglia era stata vinta. Tudor era stato sconfitto, morto sul campo di battaglie e l’esercito di Richard, del Re, stava marciando verso sud, verso Londra: Richard stava tornando a casa, da lei, e questa consapevolezza le riempì il cuore di gioia.

“Milady, quali notizie dalla battaglia, come sta Sua Maestà?” chiese Katherine, anche lei in pena per le sorti di suo padre.
“Sua Maestà sta bene. Tuo padre ha vinto e sta tornando a casa, a Londra.” Rispose Anne, piangendo di gioia, abbracciando la ragazza che, come lei, si lasciò andare ad un pianto liberatorio.


Quando Richard entrò nel cortile del palazzo reale, Anne era là ad aspettarlo, vestita con i suoi migliori abiti e con indosso la corona. In quel momento non le importavano le occhiate maligne dei nobili, le loro allusioni: tutto quello che voleva era Richard, riabbracciarlo e baciarlo alla luce del sole. Smontato da cavallo, Anne gli corse incontro, abbracciandolo nel centro del cortile, felice come non mai di rivederlo, e lui le riservò un sorriso carico di affetto, amore e promesse sul loro futuro.

“Impaziente come sempre, amore mio.” Le sussurrò ad un orecchio, continuando ad abbracciarla.
“Impaziente di rivedervi, milord. Queste settimane sono state troppo lunghe, e poi dal modo in cui mi stringete non sembra che la cosa vi dispiaccia poi tanto.”
Richard rise sommessamente, e circondata la sua vita iniziò a camminare verso l’ingresso del castello, dove il resto della sua corte lo stava aspettando: “Confesso di esserne piuttosto lieto, e poi è anche grazie a voi se ho vinto. I lord del nord sono rimasti fedeli, e nonostante il tradimento di Stanley abbiamo riportato una grande vittoria.”
“Dovreste ricordarlo ai nostri nobili, allora: dopo tutto, non sono così inutile come dicono.” Disse lei, piccata, nello stesso momento in cui Richard stringeva più forte la sua presa su di lei.
“Non inutile, mai inutile.” Le disse, guardandola negli occhi: “Voi siete l’amore della mia vita, la ragione che mi ha spinto ad andare avanti, a combattere fino alla fine. Voi siete tutto per me, il mio mondo.”
“E voi siete il mio. Ma adesso venite: sono stati preparati banchetti in vostro onore, e la corte aspetta impaziente di salutare il suo Re.”


 
**



Mesi erano passati dalla vittoria di Richard contro Henry Tudor, e molte cose erano cambiate. Lady Elizabeth non sposò mai il Re come molti avevano ipotizzato, ma fu data in sposa ad un principe portoghese, così da creare un’alleanza forte con il paese e dare a lei un matrimonio degno del suo rango. Anne rimase al fianco di Richard, riprendendo il posto che le spettava, e non passò molto prima dell’annuncio ufficiale che, in Ottobre, fu fatto alla corte: la regina era incinta, aspettava un figlio, un possibile erede al trono, non era più l’inutile donna sterile di cui tutti sparlavano e che guardavano con pietà.

“Se sarà maschio lo chiameremo Richard – annunciò Anne, stesa nel letto accanto al suo sovrano, accarezzando il grande pancione che, da qualche tempo, le impediva anche i più semplici movimenti – Richard come il suo coraggioso padre, come i suoi valorosi nonni.”
“Richard è uno splendido nome, mia cara.” Concordò lui, posando una mano sul ventre, nella speranza di sentire il bambino scalciare. “Ma sarò contento anche se sarà femmina. Per lei, sarò disposto a cambiare ogni legge, per lei combatterei anche contro il Papa in persona.”
“Fareste questo?” chiese Anne, piacevolmente stupita.
“Perché non dovrei? Nostra figlia sarebbe una splendida regina. Potremmo chiamarla Mary, o Eleanor, come la grande regina d’Aquitania, oppure Isabel, come vostra sorella.”
“Sarebbe bello, ma io sono certa che sarà un maschio, che è Richard quello che porto in grembo.”
“Io, invece, sono convinto che questo è un nuovo inizio – disse con solennità, sporgendosi verso di Anne e baciandola – una nuova occasione c’è stata data, amore mio, e davanti a noi ci sono giorni felici, giorni di pace, e sono più che certo che i giorni che restano li passeremo insieme.”
“I giorni che restano…” Anne immaginò quei giorni, giorni sereni, pieni di gioia e serenità, lontani da guerre, lutti, morte: “Sì, credo che abbiate ragione, mio caro, credo che i giorni che verranno saranno pieni di amore, vita e, chissà, magari di altri figli.”





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Angolo Autrice: Non so neanche io bene da dove mi sia uscita questa OS, semplicemente ho iniziato a scrivere ed eccomi qua. Diciamo che volevo riscrivere parte dell'ep 10, quella pietosa scena di sesso tra Richard ed Elizabeth che ogni volta mi da la nausea, e creare un AU in cui Anne non è morta e può combattere per ciò che è sempre stato suo. Spero che la storia vi sia piaciuta e, nulla, lasciate una recensione se vi va. Bye ;)
  
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