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Autore: Inessa    04/09/2014    17 recensioni
Una diciassettenne un po' ingenua e un po' sola lancia un incantesimo d'amore per attirare a sé il proprio ragazzo ideale. Qualcosa però non va come dovrebbe e l'incantesimo finisce per colpire Derek, che si ritrova innamorato di Kira. L'imminente arrivo della luna al suo perigeo rende inoltre gli incantesimi più forti e più difficili da spezzare. Come se non bastasse, sembra che Derek avesse già una relazione di cui il resto del branco non era al corrente. [Sterek]
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Kira Yukimura, Scott McCall, Stiles Stilinski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Note iniziali: Anche stavolta, mi scuso per averci messo tanto a scrivere e ringrazio chi ha letto/recensito/messo la storia nelle varie liste del sito! Vi auguro tanti sogni Sterek!

E, soprattutto, grazie alla magica Graffias, che si è sorbita tutte le bozze della storia ed è stata tanto paziente con la mia psicopatia *regala limonate Sterek* (p.s.: la ricompensa mi spetta ancora o ci ho messo troppo? XD)

Questo è definitivamente l’ultimo capitolo (stavolta per davvero)! Spero che non abbiate la glicemia alta, in genere, perché ho deciso che volevo dare fondo al miele e un po’ mi vergogno (non è vero, mi vergogno TANTO) per essere stata tanto sdolcinata. Diabete.




4. Luna crescente

(seconda parte)




Nove giorni alla luna piena

Stiles non aveva conquistato Derek. Non si era svegliato una mattina e deciso che voleva stare con lui, e non aveva nemmeno messo in scena un corteggiamento, quando si era reso conto di volere sempre più Derek nella sua vita. Tutto era cominciato quando, dopo l'esperienza del nogitsune, aveva sentito la necessità di ricostruire gli eventi che, nella sua testa, erano ancora confusi e poco nitidi. Avrebbe voluto parlare con Scott, o anche con Lydia, ma loro avevano il lutto di Allison da elaborare, e lui non voleva essere un ulteriore peso. Isaac era andato in Francia con Chris Argent, Danny era partito, suo padre era fuori discussione, e lui aveva incontrato Derek, un giorno, mentre passeggiava senza meta per pensare. Derek aveva capito le sue necessità ed era stato discreto, aveva dimostrato quasi una certa delicatezza di cui non lo avrebbe creduto capace. E Stiles gli aveva confessato tante cose, mentre Derek lo ascoltava, annuiva, ed interveniva solo in maniera opportuna.
Quando aveva iniziato a sentirsi un po' più se stesso, aveva continuato ad andare da Derek, aveva iniziato a fargli delle domande sul sovrannaturale, tantissime sui licantropi, cose che gli gironzolavano per la testa da quando Scott era stato morso e lui era stato preso da una curiosità insaziabile, spesso per cose a cui nemmeno l'onnipotente Google sapeva dare una risposta. I lupi mannari provavano dolore? Più o meno degli esseri umani? Tendevano ad accoppiarsi per la vita come i veri lupi? Esistevano branchi misti? Perché ululavano esattamente? Da quanto nella sua famiglia c'erano lupi mannari? Chi era stato il primo e come ci era diventato? Roba così.
Capitava che Derek non sapesse rispondergli e Stiles restava stupito quando, qualche giorno dopo, Derek tornava con le informazioni che Stiles gli aveva chiesto. La prima volta che era successo, Derek aveva fatto spallucce ed aveva detto che non ci aveva mai pensato, ma che la domanda era interessante anche per lui. Piano piano, si erano insinuati l'uno sotto la pelle dell'altro e, prima di rendersene conto, Stiles si era preso una sbandata. Forte.
Insomma, Stiles non poteva vantare grandi esperienze di conquista attiva. L’unica persona che avesse provato a conquistare con consapevolezza era stata Lydia, e tutti sapevano com’era finita quella storia. E dubitava che comprare dei gioielli e dei palloncini per Derek gli avrebbe dato qualche chance. Quindi aveva provato a fare delle piccole cose per lui, sperando di fare centro.

“Gli hai regalato della frutta?” domandò Lydia, quasi scandalizzata, seduta sul suo letto a gambe accavallate in casa Stilinski. Il risultato del suo selvaggio corteggiamento di Lydia era stato ritrovarsela in camera sua che lo prendeva in giro e dubitava di come stesse cercando di riprendersi il suo ragazzo.
“A Derek piacciono le arance!” si giustificò Stiles, mettendo le mani davanti a sé come in segno di difesa, poi prese a muoversi avanti e indietro sulla sua sedia con le ruote.
“La prossima volta cosa gli regalerai? Un cammello?”
Stiles si passò le mani sul viso, esasperato. Non era abituato a stare dall'altra parte, ad essere l'oggetto di una frecciatina sarcastica. Lui non era bravo a corteggiare, che poteva farci?
“Scherzi a parte,” riprese Lydia e si sdraiò indietro sui gomiti, cosa che le fece cadere un ciuffo di capelli sul viso. “Sei sempre stato così accondiscendente con lui?”
Stiles serrò la mascella, interdetto, “Che vuoi dire?”
“Non so,” rispose Lydia, e si scostò i capelli dalla guancia con la punta delle dita, “Gli fai regali, gli fai scegliere i film, se ti dice di andartene te ne vai, sei così arrendevole,” fece spallucce, “Non mi sembra nel tuo stile.”
Sì, Lydia non aveva tutti i torti, ma Stiles stava tentando di farsi apprezzare. Non era facendo cose carine che si otteneva quel risultato? “Che dovrei fare, secondo te, scusa?” le domandò, grattandosi la fronte con il pollice.
Lydia arricciò le labbra, guardando verso l'alto, come faceva di solito quando stava riflettendo, “Essere te stesso?”
“Certo,” Stiles sbuffò una risata, “Perché quello ha sempre funzionato, guarda la fila di pretendenti che ho sempre avuto davanti alla porta.”
“Be', con Derek ha funzionato,” constatò lei.
“Con Derek non ci ho nemmeno provato,” rispose Stiles allargando le braccia. Poi prese una penna dalla scrivania e la cominciò a picchiettare sul bracciolo della sedia.
Lydia alzò gli occhi al cielo, “Appunto!”
“Ascolta,” riprese Lydia dopo qualche secondo di silenzio, mettendosi di nuovo a sedere e sporgendosi verso di lui. Per un attimo Stiles pensò che gli avrebbe preso le mani, ma non lo fece, “Quello che so io è che tu e Derek avete sempre avuto un rapporto travagliato...”
Stiles rise, “Travagliato, con Derek, is the new black.”
Lydia lo liquidò con un gesto della mano, “E so che tu gli hai impostato una stupida canzone oscena come suoneria, che lui non ha cambiato.”
“Adesso l'ha fatto,” la corresse accigliato.
“Vuoi smetterla?” lo rimproverò, e Stiles unì pollice e indice e se li passò sulle labbra, da sinistra a destra, imitando la chiusura di una cerniera, “So che quando leggeva i tuoi messaggi, la metà del tempo la passava a roteare gli occhi, ma poi sorrideva.”
Anche Stiles sorrise, intenerito, al pensiero. A volte lo faceva anche lui.
“Io non ti ci vedo a fare lo zerbino come stai facendo adesso, sei pur sempre un trickster.”
Se mi comporto da trickster,” Stiles simulò delle virgolette con le dita, “È la volta buona che Derek mette in atto una delle sue minacce.”
“Trova una via di mezzo,” gli consigliò Lydia, e lui annuì. Forse tutta quella teoria aveva un senso.




Gibbosa crescente - Cinque giorni alla luna piena

Derek avrebbe voluto dire che entrare nel loft e sentire l’odore di Stiles in qualche modo lo aveva stupito, ma non era abituato a mentire a se stesso. Erano giorni che Stiles gli gironzolava intorno, senza un motivo apparente. A volte lo aspettava nel parcheggio del loft, a volte nella foresta, a volte nel supermercato in cui faceva la spesa o nel ristorante tailandese che gli piaceva. Una volta gli aveva portato un caffè da Starbucks (il suo preferito), prima che uscisse per la sua corsa mattutina, un'altra si era autoinvitato a guardare un film (ancora, uno dei suoi preferiti), in un'occasione gli aveva regalato delle arance (ottime, nonostante non fosse stagione – era rimasto incredibilmente interdetto, non riusciva a trovare una spiegazione logica per quel gesto, per quanto si sforzasse). Spesso Derek lo aveva cacciato in malo modo, perché quel comportamento era molesto, e Stiles gli aveva risposto che lui si arrampicava sulle finestre e in più occasioni aveva seguito Scott, con la sua aura da serial killer, peggio di uno stalker mannaro.
Grazie a Dio, ad un certo punto aveva smesso con i regali, ma aveva continuato a comparire con insistenza nelle sue giornate.
Che Stiles non avesse paura di lui era stato chiaro più o meno dalla seconda volta in cui si erano visti e, nonostante lui provasse in tutti i modi a fargli capire quanto la sua sola presenza lo infastidisse, Stiles sembrava essere sempre tra i piedi.
Scott gli era andato da subito più a genio. Scott aveva degli ideali, era uno con la testa sulle spalle, era abbastanza furbo e gli ricordava un po’ se stesso alla sua età. Stiles era solo un inconveniente che non stava mai zitto, era fisicamente debole, sveniva alla vista del sangue e, soprattutto, non faceva mai quello che gli veniva detto. Stiles era piuttosto incontrollabile, a meno di non trattarlo con un minimo di violenza, cosa che lui non si faceva scrupoli a fare. All’inizio aveva anche funzionato: Stiles non aveva paura di lui, ma non ci teneva nemmeno a farsi male. Quando questa situazione idilliaca si fosse interrotta Derek non lo avrebbe saputo dire.
In quel momento, Stiles era tranquillamente sdraiato sul suo divano nuovo e stava leggendo un libro, rilassato e a suo agio come se fosse al suo posto in casa di Derek. Sembrava essere talmente assorto nella lettura da non aver sentito Derek entrare ma, notò dopo, in realtà stava ascoltando della musica con le cuffie. Derek si avvicinò al divano e, in un unico movimento, gli tolse il tomo dalle mani e gli sfilò via le cuffie dalle orecchie.
“Come cazzo hai fatto ad entrare?” tuonò Derek, poi lasciò cadere il libro per terra e incrociò le braccia al petto.
“Ehi, un po’ di delicatezza,” rispose Stiles abbassandosi a prendere il volume, che poi controllò attentamente. “Qualcuno mi ha insegnato a fare lo stalker,” aggiunse poi, e Derek gli ringhiò contro.
“Ho la chiave,” spiegò allora, alzando gli occhi al cielo. Poi strofinò con la manica della maglietta la copertina, come per pulire il libro da polvere invisibile. Era una raccolta d’incantesimi, realizzò Derek leggendo il titolo.
Stiles notò il cipiglio sospettoso che aveva assunto e, alzando di nuovo gli occhi al cielo, gli disse: “Non pensarci nemmeno, non sono stato io a maledirti. Te lo hanno detto anche Scott, Kira, Lydia, Peter e Deaton che è stata una nostra compagna di scuola.”
“Sai che è illegale duplicare le chiavi delle case altrui?” gli chiese senza degnarlo di una risposta.
“Non ho duplicato niente, me l’hai data tu,” Stiles lo guardò dritto in faccia nel dirlo.
Derek rimase interdetto e si domandò, non per la prima volta, quando Stiles avesse imparato a mentire così bene alle sue orecchie. Perché era ovvio che stesse mentendo, solo che il battito del suo cuore era rimasto regolare, seppur veloce, per tutto il tempo.
Derek sapeva che c’erano delle tecniche per aggirare le macchine della verità usate dalla polizia: pronunciando una bugia volontaria si potevano accelerare i battiti del cuore una prima volta, per esempio, così da mantenerli poi alterati per coprire le menzogne successive. Non gli sembrava una cosa oltre le possibilità di Stiles. Molto probabilmente aveva imparato come fare cercando su internet. Non c’era verso, infatti, che Derek, in possesso delle sue piene facoltà mentali, avesse mai dato una chiave di casa sua ad una persona invadente come Stiles. Sarebbe stato da masochisti.
“Sai che non credo ad una parola di quello che dici, vero?” gli chiese, e si allontanò per aprire l’armadio e prendere dei vestiti smessi. Si tolse i jeans stretti che indossava per metterne un paio più larghi e comodi e lo stesso fece con la camicia grigia a maniche lunghe, che sostituì con una canottiera. Solo quando, voltandosi, si ritrovò lo sguardo di Stiles puntato addosso, con gli occhi un po’ spalancati e la mascella serrata, realizzò di essersi spogliato davanti a lui.
Stava per urlargli contro qualcosa, ma una luce negli occhi di Stiles lo fermò. Si erano fatti malinconici e struggenti e gli misero addosso una certa tristezza, come una nostalgia, anziché disagio.
“Ho una cosa da sbrigare,” disse mentre si allacciava le scarpe, e Stiles si mise in ginocchio sul divano, incrociando le braccia sulla spalliera e aspettando che continuasse.
“Quando torno non voglio trovarti qui,” concluse e si avvicinò alla porta per prendere le chiavi della macchina. Notò che non c’erano e si guardò intorno per cercarle.
“Sul letto,” Stiles gli indicò le coperte con un dito, “Le lanci sempre lì e poi te ne dimentichi,” spiegò facendo spallucce e Derek si domandò cosa intendesse con sempre e cosa mai ne sapesse lui. Si abbassò, afferrò un angolo del copriletto e lo strattonò. Poi raccolse le chiavi che, in effetti, erano cadute per terra a quel movimento.
“Vai nella foresta? Vengo con te!” disse Stiles, e Derek alzò gli occhi al cielo. Gli aveva appena detto di sparire, era forse stato poco chiaro? Si girò per ripeterglielo, ma notò che, nonostante il tono sicuro di sé, c’era ancora quello sguardo da cucciolo malinconico sul viso di Stiles e Derek non riuscì a dirgli di no.
“Va bene,” annuì, e vide Stiles alzarsi felice dal divano, con un po’ troppo entusiasmo, “Ma mi darai una mano.”

Derek vide Stiles oltrepassare l’uscio e uscire dalla sua vecchia casa nella riserva, con una grossa scatola di legno in mano. Aveva il viso arrossato e un velo di sudore sulla fronte, il che lo fece sogghignare. La sua intenzione iniziale era stata quella di andare lì, come faceva di solito, e trovare qualcosa da riverniciare per tenersi impegnato. Quella mattina era stato fuori città ed aveva ribaltato un’intera biblioteca per cercare un metodo che spezzasse la maledizione che aveva colpito Kira; aveva trovato qualcosa, ma c’era una mole così grande d’incantesimi d’amore che ci avrebbe messo un pezzo per capire se uno dei libri reperiti potesse servirgli. Quindi, nonostante fosse difficile concentrarsi su altro, aveva pensato di liberare un po’ la mente con del lavoro manuale. Quando poi Stiles si era infilato nel suo piano, aveva scelto di prendersi una piccola vendetta e farsi aiutare a trasportare fuori delle cianfrusaglie bruciate ed ormai inservibili che aveva conservato dentro degli scatoloni per buttarle e liberare la casa, nel caso in cui avesse voluto seriamente restaurarla un giorno. Aveva fatto fare la maggior parte del lavoro pesante a Stiles, che si era prodigato nelle lamentele più fantasiose, e non si sentiva per niente in colpa.
Mentre lo vedeva scendere i gradini del patio con l’ultimo scatolone in mano, però, Derek fu colto da un attimo di compassione, quindi gli si avvicinò e gli chiese di passarlo a lui, così da poterlo caricare in macchina. Piegò leggermente le gambe per afferrarlo dal fondo e toglierglielo dalle mani, e sollevò casualmente lo sguardo verso Stiles. Quando incrociò i suoi occhi, ebbe una sensazione fortissima di déjà-vu, e anche Stiles inspirò stupito. Non aveva realizzato quanto gli si fosse avvicinato, curvandosi per prendere il carico. Stiles aveva il respiro affannato per lo sforzo, un velo di traspirazione sul labbro e una traccia di sporco sotto lo zigomo, dove probabilmente si era passato una mano.
Rimasero a lungo a guardarsi, e Derek pensò che avrebbe dovuto provare un certo disagio nell’essere così vicino a Stiles, come quando gli si era spogliato davanti. Solo che, entrambe le volte, non aveva sentito nulla del genere, solo una strana sensazione all’altezza del petto e una malinconia struggente. Si allontanò di scatto, scuotendo la testa e cercando di riacquistare lucidità.
Alle sue spalle, Stiles trasse un respiro profondo, ma non disse nulla.
“È per questo che mi stai sempre tra i piedi?” chiese a Stiles, colto da un’improvvisa idea, mentre caricava la scatola in macchina. Stiles lo guardò stranito, senza capire la domanda. “Stai cercando di farmi credere che sono… che i miei sentimenti sono per te e non per Kira?”
Capì di aver fatto centro quando Stiles abbassò lo sguardo, imbarazzato.
“Sai bene che la magia non può creare sentimenti dal nulla,” rispose Stiles passandosi una mano sul viso e sporcandosi ancora di più, “Noi stavamo-“ si interruppe, “Stiamo insieme, ma la magia ha sostituito Kira a me nei tuoi ricordi. Come pensi che abbia la chiave di casa tua? E che sappia che perdi le chiavi della macchina?”
Derek ringhiò, “Non cercare di confondermi le idee,” lo ammonì.
“È la verità, Derek!” disse Stiles accalorato e fece un passo indietro sulle scale, “È qui che ci siamo baciati la prima volta," indicò il gradino sotto i suoi piedi, "Vuoi dirmi che non te lo ricordi per niente?”
Derek chiuse il cofano dell’auto, sbattendolo con eccessiva forza. Certo che se lo ricordava. Solo che non era Stiles che aveva baciato lì.
“Non esiste un universo in cui io possa volerti anche solo toccare,” rispose a denti stretti e sentì che Stiles sussultava a quelle parole. “Sali in macchina, prima che decida di lasciarti qui,” gli ordinò mentre apriva la portiera del lato di guida.
Contrariamente a quanto fatto all’andata, Stiles non disse una parola per tutto il tragitto. Rimase in silenzio a guardare fuori dal finestrino, con un gomito poggiato sullo sportello ed una mano chiusa a pugno a sostenersi la testa. Quando raggiunsero il parcheggio di casa sua, Derek pensò che Stiles se ne sarebbe andato senza salutare, invece si voltò un’ultima volta, prima di incamminarsi verso la sua jeep.
“Ti manca?” gli domandò e Derek restò interdetto, “Kira, dico. Ti manca?” ripeté Stiles.
Derek annuì, “Da matti,” confessò, stupendosi di essersi lasciato sfuggire una dichiarazione così sincera. Non era la prima volta che gli succedeva, in quei giorni. Un attimo prima Stiles diceva qualcosa che lo faceva andare su tutte le furie e gli faceva venire voglia di rompere qualcosa, per evitare di rompergli un osso. E un secondo dopo una scintilla nei suoi occhi, nel modo in cui lo guardava gli faceva ammettere cose che non avrebbe voluto ammettere, o gli faceva accettare di fare cose che non avrebbe voluto fare.
“Per adesso questo mi basta,” disse Stiles con un filo di voce, “Perché anche tu mi manchi da matti,” mormorò tra sé e sé.



Stiles accostò sul ciglio della strada, dopo aver guidato in modo quasi automatico per qualche minuto. Spense il motore e poggiò la testa sul volante, con un lungo sospiro. Si ripeté mentalmente che non si sarebbe autocommiserato, anche se la tentazione era forte, per quello che aveva detto Derek, perché non era stato lui a parlare, ma lo stupido incantesimo.
Si fece forza tenendo a mente che, secondo Deaton, la forza con cui Derek lo rifiutava era segno che l'incantesimo lo vedesse come una minaccia da combattere. Inoltre, c'era un'altra cosa che non gli dava pace e che lo faceva sentire patetico all'inverosimile. Si sfilò il telefono dalla tasca e cercò il numero di Scott. Picchiettò un dito sul finestrino, nervoso, mentre i suoni lenti e regolari del telefono in attesa di una risposta.
“Ehi,” lo salutò quando sentì la voce di Scott, “Volevo chiederti... Che ne diresti se andassimo da Derek, domani stasera? No, non io e te, no, non è successo nulla. Vorrei chiedere a Kira, perché...”, farfugliò.
“È solo che...” Stiles fece una pausa e si batté di nuovo la testa contro il volante, “Non ce la faccio a vedere Derek così,” ammise. “Con me è sempre incazzato, ma quando pensa che non lo stia guardando si vede che si sente uno schifo.”
“Dimmi che ho capito male, Stiles. Vuoi che porti la mia ragazza a casa del tuo ragazzo – che mi hai tenuto nascosto per mesi - che in questo momento crede di essere innamorato di lei?”
Stiles fece una smorfia, detta così sembrava la trama di una pessima telenovela.
“Scott, mettiti nei suoi panni,” disse esasperato, “Gli stiamo dicendo che non può fidarsi di se stesso, che crede fieramente in un'illusione. Che l'unica persona che vorrebbe accanto all'improvviso non lo vuole più. Noi stiamo lavorando insieme come branco, mentre lui è da solo controdi noi.”
“Al massimo è da solo contro se stesso,” rispose Scott, secco.
“Il che è ancora peggio,” insisté Stiles e sentì Scott sospirare dall'altra parte della linea.
“Okay, okay, parlerò con Kira, è una sua decisione,” acconsentì Scott, poi aggiunse, “Ma vengo anche io, vieni anche tu e viene anche Lydia. Diventa una riunione di branco, una cena tra amici, quello che vuoi, ma è una cosa di gruppo.
Stiles annuì vigorosamente, come se Scott potesse vederlo, “Certo, certo, amico, fantastico!”
Dopo aver chiuso la chiamata, Stiles lanciò il telefono sul sedile accanto a sé e sì guardò intorno. Era solo, sul ciglio di una strada totalmente buia - se non fosse stato per i fari della sua jeep -, il suo ragazzo sosteneva che non ci fosse un universo in cui lo avrebbe toccato volontariamente, il suo migliore amico era incazzato con lui e lui si sentiva del tutto misero.
Quando, circa mezz’ora dopo, mentre rientrava in casa, il telefono gli notificò un sms di Scott che diceva Kira dice che va bene, ci vediamo domani sera alle 7 da Derek. Avvisa tu Lydia, non seppe se essere entusiasta o depresso all’inverosimile per ciò che lo attendeva.



Tre giorni alla luna piena

Se c’era una cosa che Stiles aveva imparato negli ultimi tempi era che, quando si trattava di Derek, era meglio anticipare le sue mosse e metterlo di fronte al fatto compiuto, senza tergiversare. Per questo motivo, nel tardo pomeriggio, poco prima del tramonto, aveva lasciato la jeep in uno spiazzo piuttosto distante ed aveva raggiunto a piedi casa Hale. Era entrato, con un grande cigolio di porte, ed aveva salito le scale fino alla soffitta; poi aveva aperto la botola che portava sul tetto e, non senza poche difficoltà, si era arrampicato sulle tegole annerite.
Di solito era Derek che lo aiutava a salire lì sopra, prendendolo in giro per la sua incapacità di coordinare braccia e gambe; a volte, nel farlo, si beccava anche qualche gomitata o qualche ginocchiata e Stiles gli intimava di non lamentarsi troppo, dicendo che era volere del karma e quindi, per un motivo o per un altro, se li era meritati. Più tardi, quando erano entrambi sdraiati sul tetto col naso all’insù, Stiles si girava e baciava Derek nell’esatto punto in cui lo aveva colpito. Se Derek aveva capito il suo schema, non lo aveva mai detto, ma lo attirava sempre a sé e gli poggiava, di rimando, le labbra sulla tempia.
Quella sera, però, Derek non era con lui e sarebbe stato fortunato se non lo avesse buttato giù dal tetto una volta arrivato. Il minimo che si aspettava era una minaccia e, per quella, si sentiva più o meno pronto.
Si sdraiò, respirando l’odore familiare di legno bruciato e umido, e guardò il cielo. Negli ultimi giorni la temperatura si era un po’ abbassata e ogni tanto delle nuvole attraversavano il cielo, ma ancora non si era vista nemmeno una goccia di pioggia. In quel momento la gibbosa crescente era nascosta dietro una nube e lui, sospirando, pensò che era un po’ grato, perché il solo pensare alla luna, in quei giorni, lo faceva sentire uno schifo.
Si irrigidì quando sentì un rumore arrivare dall’interno della casa e dovette farsi forza per non scattare a sedere. Non c’era nessuna probabilità che Derek non avesse in un modo o nell’altro percepito la sua presenza, e lui, nonostante i battiti furiosi del cuore lo tradissero, si impose di dimostrarsi calmo ed impassibile mentre lo aspettava. Rimase immobile, mentre Derek si arrampicava sul tetto, senza degnarlo di uno sguardo e senza nemmeno dar segno di averlo visto. Derek si stese dall’altra parte della botola, mettendo una certa distanza tra lui e Stiles, al contrario di quanto faceva di solito. Incrociò le gambe e si mise le mani dietro la testa, restando poi in silenzio, come se fosse stato da solo. Stiles ogni tanto, con la coda dell’occhio, gli lanciava delle occhiate e gli sembrava quasi di vedere una stupida statua di marmo, con gli occhi fissi verso il cielo, rigida e immobile. L’unica differenza era che Derek emanava inequivocabilmente calore, anche a una certa distanza. Era un insieme di muscoli e sangue pulsante e Stiles non sarebbe riuscito in nessuna circostanza a definirlo freddo.
Non avrebbe saputo dire quanto tempo era passato – minuti, o anche ore - quando Derek aprì la bocca per parlare.
“L’incendio è stato otto anni fa esatti,” lo sentì sussurrare Stiles e dovette stringere i denti per non girarsi verso di lui. Decise di prendere come un buon segno il fatto che la prima parola che gli aveva rivolto non fosse un insulto.
“Lo so,” disse Stiles annuendo appena con la testa.
“Vengo qui ogni anno,” continuò Derek, ignorando la sua risposta, come se non lo avesse sentito affatto.
“Lo so,” ripeté lui fermamente.
“Anche per l’anniversario della morte di Laura,” sussurrò ancora Derek, e Stiles assentì, pronunciando le stesse due parole di prima.
“Lo so.”
Dopodiché Derek rimase in silenzio per un altro po’ e Stiles vide con la coda dell’occhio che aveva sollevato la mano destra e con il pollice stava facendo roteare l’anello attorno all’indice. Sollevò lo sguardo e vide la maledetta luna fare finalmente capolino da dietro le nubi. Era senz’ombra di dubbio più grande del solito e lui pensò che fosse proprio coerente con le stranezze della sua vita dover fare a gara con gli elementi celesti.
“Una volta,” prese di nuovo la parola Derek, poi si fermò, con un sospiro, come se si fosse pentito di aver iniziato a parlare, “Una volta ho detto a Kira che tutto va via,” disse con voce incredibilmente ferma e Stiles deglutì per impedirsi di urlargli che lo aveva detto a lui, a lui, maledizione.
“Lei mi ha risposto ‘non io’,” aggiunse Derek, “È evidente che avessi ragione io.”
Stavolta Stiles si voltò, perché quella era una cosa che non riusciva ad accettare. Avrebbe voluto alzarsi, annullare la distanza tra sé e Derek e avvolgergli le braccia attorno alle spalle, affondargli il viso tra i capelli e ripetergli all’infinito che era stato lui a dirglielo, era stato lui a dirgli che tutto andava via, ma che lui non lo avrebbe fatto ed era lui che stava mantenendo la parola data anche in quel momento, che era lì, non era andato da nessuna parte e non se ne sarebbe andato.
Stiles si portò due dita all’attaccatura del naso ed inspirò a fondo per tentare di calmarsi, “L’anello,” disse con un filo di voce, “Conosci la storia dietro quell’anello?” domandò al profilo stoico di Derek, puntando gli occhi sulla sua mano destra.
Derek si irrigidì e Stiles pensò per un po’ che non gli avrebbe risposto, prese fiato per farlo al posto suo, ma la voce di Derek lo interruppe, “Fu un savio a regalarlo ad un grande re, perché le incisioni all’interno e all’esterno erano in grado di rattristare i momenti di felicità e rallegrare i momenti di dolore,” disse corrucciato, continuando a guardarsi le mani.
Stiles annuì, “Tutto passa.”
Passerà anche questo,” completò Derek recitando le parole dell’incisione interna, “Perché mi hai chiesto la storia, se la conoscevi già?”
“Te lo ricordi il nogitsune, Derek?” chiese Stiles a denti stretti, “Te la ricordi la mia scacchiera in cui tu eri il re?”
“Questo non dimostra niente,” ringhiò di nuovo Derek, voltandosi verso di lui con le mani strette a pugno.
“Tu sei il re,” disse Stiles, senza smettere di fissarlo, “E sono stato io a darti quell’anello, proprio perché tu eri dell’idea che ‘tutto va via’.”
Sentì Derek ringhiare e lo vide scoprire i denti, “Ti ho già detto che non voglio ascoltare le tue cazzate.”
“C’è una terza incisione, quasi invisibile, sul bordo,” continuò Stiles imperterrito e si sollevò a sedere.
Nihil transeat,” sibilò Derek.
Nulla passa,” confermò Stiles, “Ed è raro che venga incisa, perché secondo la leggenda il re la vide in un riflesso appena prima di morire, quando davvero nulla passa. Ma io ho voluto che ci fosse, perché io non me ne vado,” Stiles serrò la mascella e si avvolse ostinatamente le braccia attorno al petto, “Non me ne sono mai andato e non me ne andrò adesso, incantesimo o no. E poi,” riprese Stiles, “Ti ho detto che tutto quello che abbiamo vissuto ci ha in qualche modo segnati, anche se a me restano le cicatrici e a te no,” fece un gesto indicandosi il torace, “E quello che abbiamo vissuto non passa, ci ha resi quello che siamo, ti ha reso quello che sei e io non voglio cancellarlo.” Alla fine distolse lo sguardo, sentendosi arrabbiato, stringendo ed allargando le dita che gli tremavano per il nervoso. Dire quelle cose la prima volta era stato difficile, ripeterle in quelle circostanze era devastante.
Aveva dato l’anello a Derek una sera di fine luglio, su quello stesso tetto. C’era un festival musicale a Beacon Hills, lui era stato con Scott ad ascoltare le band e poi, in tarda serata, aveva raggiunto Derek e si erano arrampicati lì sopra per guardare i fuochi d’artificio. Stiles gli si era seduto tra le ginocchia, la sua schiena contro il petto di Derek, gli aveva detto “Ho una cosa per te,” e – con le braccia di Derek attorno a sé - gli aveva sciorinato tutta la storia del re, dell’anello, delle incisioni, vomitando sempre più velocemente le parole per l’imbarazzo. Fino all’ultimo aveva temuto che Derek lo prendesse in giro o che ritenesse un regalo del genere inopportuno. Stile gli aveva anche blaterato che non doveva per forza portarlo, ma che gli bastava che lo tenesse a mente. Derek non aveva risposto, lo aveva fatto voltare e lo aveva baciato così a lungo che alla fine non si era sentito più le labbra. E l’anello Derek non lo aveva mai sfilato.
Per un attimo pensò che le sue ultime parole avessero smosso qualcosa dentro Derek, che aveva spalancato gli occhi ed era rimasto pensieroso. Per un attimo gli sembrò di scorgere quell’espressione con cui lo guardava Derek di solito, la stessa che aveva sul viso la sera in cui si erano baciati per la prima volta.
“Derek?” lo chiamò, allungando una mano verso di lui. Derek la guardò per un attimo, aggrottando la fronte, ma poi il suo viso si contorse di nuovo in una smorfia di rabbia.
“Non cercare di confondermi le idee,” ringhiò Derek – per l’ennesima volta, come un disco rotto - alzandosi a sedere e muovendosi verso la botola.
“Derek, Kira non era nemmeno a Beacon Hills quando ti ho dato quel fottutissimo anello,” disse Stiles passandosi una mano tra i capelli e sperando di riuscire a fermarlo. Era per quello che era andato al concerto insieme a Scott, Kira era partita per il Giappone un paio di giorni prima.
“Me lo ricordo perfettamente, Stiles,” rispose Derek, stringendo le mani a pugno, “Era sera e lei è venuta qui per vedere i fuochi d’artificio,” infilò le gambe all’interno della botola e fece leva con le mani per saltare giù, “Adesso sparisci e vedi di starmi lontano,” gli intimò prima di sparire nel buio della soffitta.
Stiles rimase a bocca spalancata e strinse le dita così tanto al bordo della botola da farsi diventare le nocche bianche e sentire delle schegge di legno insinuarglisi tra i polpastrelli. Sentì la porta d’ingresso che sbatteva con violenza e poi vide Derek inoltrandosi di corsa nella foresta. Si abbracciò le ginocchia e vi poggiò sopra la fronte e rimase lì a dondolarsi pensando a tutto e a niente.


Derek sbatté con violenza la porta e si passò una mano tra i capelli diverse volte, passeggiando nervosamente su e giù per il loft. Non ne poteva più. Era stanco di dover dubitare di tutto e tutti, era stanco di sentirsi dire che provava i sentimenti sbagliati per la persona sbagliata, era stanco di sentirsi dire a chi dovesse tenere e a chi no. E poi c’era Stiles, che sapeva troppe cose, molte più di quante avrebbe dovuto e che cercava di convincerlo di cose che non esistevano né in cielo né in terra. Stiles che, se Derek ci aveva visto giusto, aveva convinto Kira e gli altri ad andare a cena a casa sua.
Scorse con lo sguardo l’interno del loft e si rimboccò le maniche. Doveva pur esserci qualcosa che appartenesse a Kira, lì dentro, qualcosa che potesse dimostrare a Scott, a Stiles e a Kira stessa che non era lui quello sotto incantesimo. Controllò di nuovo il cellulare, ma non c’era nessuna traccia degli sms che si erano scambiati, perché lui li cancellava sempre, per abitudine, per evitare che qualcuno li scoprisse. Sbuffò, pensando a quanto tutta la segretezza stesse complicando irrimediabilmente le cose. Si sedette sul letto, afferrò un cuscino e lo annusò d’istinto, ma lo rilanciò presto sulle lenzuola, con un gesto arrabbiato, perché c’era solo il suo odore. Ormai aveva lavato le lenzuola dalla maledetta mattina dopo il novilunio, ma per giorni erano state impregnate, senza ombra di dubbio, dall’odore di Kira, segno che lei in quel letto ci avesse dormito. C’era anche una borsa con dei suoi vestiti, che non era più tornata a prendere e, per qualche motivo, una maglietta con l’odore di Lydia.
Si alzò in piedi, aprì un armadio e prese a far scorrere le grucce, scrutando con attenzione i jeans e le camicie, ma era tutta roba sua. Allora aprì i cassetti e iniziò a rovistarvi dentro con poca attenzione, spiegazzando qualsiasi cosa vi trovasse all’interno, lanciando un paio di cose senza cura sul pavimento alle sue spalle. Doveva pur esserci qualcosa che indicasse che in quel loft c’era stata spesso un’altra persona insieme a lui, non potevano essere stati così bravi da nascondere gli indizi anche a se stessi. Lanciò per terra il contenuto dell’ultimo cassetto e una polo a righe arancioni e blu attirò la sua attenzione. La prese in mano e si sedette per terra, in mezzo alle ante dell’armadio aperte. Quella decisamente non era sua e non era nemmeno di Kira. Era di Stiles, ed era la stessa che aveva indossato quella volta che l’imbecille lo aveva presentato a Danny come suo cugino Miguel e lo aveva fatto spogliare davanti a lui, quindi c’era la possibilità che fosse finita in un suo cassetto in seguito e lui non se ne ricordasse. Se la portò al viso per annusarla, aveva l’odore del suo detersivo e, sotto sotto, si sentiva ancora l’odore di Stiles. La appallottolò e la buttò per terra con stizza, poi continuò a perlustrare il loft.
Trovò della Burn nel frigo, e sapeva che piacesse sia a Kira che a Stiles, delle curly fries, di cui Stiles andava matto, nel freezer ed un manuale di chimica del liceo nella libreria, che era saltato fuori solo dopo che l’aveva rivoltata da cima a fondo, come se fosse stato lì per parecchio tempo, tanto da essere stato riposto dietro gli altri libri. Si passò di nuovo una mano tra di capelli, con frustrazione. Ricordava di aver avuto Kira a studiare al loft, diverse volte, in un paio di occasioni l’aveva pure aiutata. Aprì il libro e, quando vide il nome Stiles Stilinski, scritto a matita e a stampatello sulla prima pagina, schizzò fuori dal loft, indemoniato. Stiles aveva le chiavi del suo loft, se avesse scoperto che era stato lui a lasciarlo lì, avrebbe riconsiderato la sua nonviolenza nei confronti del ragazzino.

Quando arrivò a casa di Scott, trovò la porta aperta e lui e Kira che lo aspettavano sull’uscio. Scott gli corse incontro, domandandogli cosa fosse successo, ma lui lo oltrepassò degnandolo appena di uno sguardo, “Devo parlare con Kira,” disse come spiegazione, e la raggiunse sulla porta. Le prese le spalle e gliele strinse, scrutandole la fronte, gli occhi, il naso, le guance, la bocca.
“Derek, va tutto bene?” domandò lei, incrociando le braccia al petto, preoccupata. Istintivamente, Derek le fece scivolare i polpastrelli su un braccio e le strinse la mano.
“Derek,” sibilò lei, e si allontanò con decisione dalla sua morsa, “Che c’è?”
“Sei stata tu a regalarmi l’anello?” le chiese Derek, ignorando Scott che si era messo accanto a Kira.
“Che anello?” domandò lei per tutta risposta, confusa. Derek strinse a pugno la mano con l’anello e la sollevò.
Kira lo notò e lui vide che aveva capito di cosa parlava, “Quello con le due incisioni?”
“Tre,” la corresse.
“Hai detto due,” insisté lei, “Ne abbiamo parlato in macchina con Lydia, tu hai detto che c’era un’altra incisione all’interno e basta, è tutto quello che so.”
Kira non stava mentendo e, se non fossero bastati i battiti del suo cuore a dirglielo, Derek lo avrebbe capito dal suo viso, “Kira, sei stata tu a darmi questo anello e spiegarmi delle incisioni.”
“Mi spiace, Derek,” gli rispose Kira in un sussurro, abbassando la testa.
“È stato la sera del festival, a fine luglio, sei venuta nella riserva dopo aver visto il concerto con Scott,” provò ad insistere, scuotendole di nuovo le spalle.
“Derek,” si intromise Scott con voce incredibilmente ferma, “Stiles è stato con me a quel concerto, Kira non era nemmeno in California.”
Derek artigliò le mani alla stoffa della maglietta leggera di Kira, voltandosi verso Scott, con i denti stretti.
“È vero, Derek,” confermò Kira, “Fidati di noi,” poi si fermò a riflettere e, come colta da un’illuminazione, disse, “Il passaporto.” Poi si voltò, allontanandosi dalla presa di Derek ed entrando in casa. Scott fece un segno a Derek, invitandolo a varcare la soglia. Seguirono Kira che correva veloce su per le scale, fino alla stanza di Scott, poi Derek la osservò confuso mentre lei rovistava nella borsa, accanto alla scrivania.
“Eccolo,” disse alla fine, tirando fuori una custodia portadocumenti a motivi gialli e rosa. Aprì il documento all’interno e scorse le pagine, sussurrando tra le dita delle date, “È il mio passaporto giapponese, guarda il timbro d’uscita dalla California,” lo invitò mettendogli davanti alla faccia una pagina di passaporto con delle scritte in giapponese e due timbri, uno verde e uno rosso. Lui controllò la prima data, ventisei luglio di quell’anno.
“Accanto c’è il timbro d’ingresso,” Kira indicò un altro rettangolo d’inchiostro, che recitava 15 agosto. Derek spalancò gli occhi e strinse i denti così tanto da sentirli quasi scricchiolare. Scostò con delicatezza il braccio di Kira e le puntò di nuovo lo sguardo sul viso. Le portò una mano all’altezza della gola e, nonostante l’improvviso guizzo di Scott, le prese il mento tra le dita e glielo sollevò appena, guardando il punto in cui la mandibola incontrava il collo, sia a destra che a sinistra. C’era qualcosa che non andava, e lui non riusciva a capire bene nemmeno cosa fosse. Cercava qualcosa nel volto di Kira e non riusciva a trovarlo. Si lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e si sedette sul letto.
Kira gli si mise accanto e gli poggiò una mano tra le scapole. In un altro momento si sarebbe goduto il gesto di conforto – dopotutto, erano due settimane che anelava quel contatto con Kira – ma in quell’istante non riusciva a concentrarsi su niente oltre l’idea fissa che aveva preso a martellargli la testa da quando Stiles gli aveva detto ‘Quello che abbiamo vissuto non passa, ci ha resi quello che siamo, ti ha reso quello che sei e io non voglio cancellarlo’.
“Qualcosa sta giocando con la mia mente,” sussurrò più a se stesso che a Kira e Scott che gli stavano accanto, portandosi le mani alle tempie. Giurò di aver sentito Scott sussurrare un Grazie al cielo.



Un giorno alla luna piena

Stiles sussultò e rovesciò il bicchiere di succo di frutta che aveva accanto al portatile sulla tastiera. Si alzò di scatto, imprecando, “Cazzocazzocazzo,” e, di riflesso, afferrò la prima cosa che gli capitò accanto per assorbirlo. Quando si rese conto che era una sua maglietta pulita imprecò doppiamente, tra i denti.
“Aaaah, maledizione,” mormorò spiegando la maglietta per constatare l’entità del danno e poi la appallottolò con rassegnazione. Si voltò per uscire dalla camera, gettare la maglia nel cesto della biancheria sporca e recuperare qualcosa dalla cucina per pulire per bene i tasti del portatile, quando sentì un rumore provenire dalla finestra. Ecco cosa lo aveva fatto sussultare, pensò afferrando la sua mazza da baseball ed avvicinandosi al davanzale. La lasciò cadere in terra qualche secondo dopo, quando, oltre il vetro, riconobbe la sagoma di Derek.
“Amico, mi hai fatto prendere un colpo, sei impazzito?” gli domandò gesticolando dopo avergli aperto, mentre Derek si arrampicava sul davanzale ed entrava.
“Perché ti stupisci?” chiese Derek senza rispondere, “È per caso la prima volta?”
Stiles chiuse la bocca con uno scatto. Cercò di sopprimere la fiammella di speranza che gli si era accesa dentro nel sentire quella domanda. L’ultima volta che si erano visti, Derek era stato parecchio ostile nei suoi confronti, e Stiles aveva deciso di stargli un po’ alla larga. C’era un orologio che ticchettava costantemente nella sua testa e gli ricordava che mancavano poco più di ventiquattro ore alla luna piena al perigeo, eppure lui sapeva bene che era meglio dare a Derek dello spazio per decomprimersi, or si sarebbe ostinato ancora di più nel rifiutarlo.
“Sono stato da Kira e Scott,” disse Derek, scrutandolo.
Stiles di solito era bravo ad interpretare Derek. Aveva affinato una sua tecnica, riusciva a riconoscere le sfumature delle espressioni del suo viso, gli sguardi, la postura… da quando era stato colpito dall’incantesimo, però, Derek era diventato un fottutissimo puzzle da un milione di pezzi. A volte gli sembrava che non ci fosse niente di diverso e che potesse ancora riuscire a metterli insieme anche ad occhi chiusi e, in altri momenti, invece, era del tutto imprevedibile. Adesso, per esempio, non sarebbe stato in grado di fare un’ipotesi su quello che stava succedendo, perché non sapeva cosa cazzo passasse per la testa di Derek.
“Devo baciarti?” chiese Derek all’improvviso e lui spalancò le palpebre. Derek roteò gli occhi, vedendo che lui non riusciva a stare al passo, “A quanto pare,” disse Derek calcando le parole con un velo di sarcasmo, “C’è qualcosa che gioca con la mia mente.”
“Dio,” rispose tirando un sospiro di sollievo ed allargando le braccia, “Non so cosa ti abbia convinto, ma meglio tardi che mai,” concluse battendo le mani tra loro ed incrociando le dita, come se stesse ringraziando il cielo.
“Secondo Kira e Scott un bacio potrebbe spezzare l’incantesimo,” continuò Derek pragmatico, “Quindi adesso ti bacerò,” disse, e Stiles se lo ritrovò all’improvviso dentro il proprio spazio personale.
“Quindi adesso ci credi?” gli chiese Stiles, facendo un passo all’indietro, d’istinto. Aveva le vertigini. C’era una voce dentro la sua testa che diceva ‘Dio, sì, sì, sì’ e una parte di lui sarebbe saltata addosso a Derek senza pensarci due volte. Ma un’altra parte di lui non voleva baciare Derek senza capire cosa gli passasse per la mente. Non voleva baciare un Derek che pensava che non esistesse un universo in cui lui potesse voler anche solo toccare Stiles.
“No,” rispose Derek con decisione, “Credo che ci sia qualcosa che non va e se questa può essere una soluzione, tanto vale provarci e cancellare per sempre il tentativo dalla lista.”
Derek fece un altro passo verso di lui e Stiles si sentì come se gli avessero dato un pugno nello stomaco e gli avessero risucchiato l’aria dai polmoni. Si portò le mani al volto, ma stavolta non si allontanò.
“Per sempre,” mormorò, ripetendo le parole di Derek, poi sospirò, scuotendo la testa, “Okay, okay,” sussurrò tentando di darsi un contegno. Il bacio era una delle probabili soluzioni e, che Derek ci credesse o meno, aveva ragione: bisognava provarci.
“Ma sei tu il ranocchio tra i due,” rise senza allegria alla sua stessa stupida battuta, “Quindi sono io che devo baciarti per farti tornare un principe, non il contrario.”
“Dettagli,” ringhiò Derek, afferrandolo per il colletto della camicia ed attirandolo verso di sé, “Sbrighiamoci.”
“Mio il ruolo di principe azzurro, mie le regole, amico,” disse Stiles tutto d’un fiato, in un’eco di qualcosa che aveva detto molto tempo prima, in quella stessa stanza. Si leccò le labbra e vide che Derek, nonostante sembrasse riluttante, seguì il movimento.
“Vieni qui,” sussurrò a Derek, afferrandogli le mani artigliate alla stoffa della camicia e facendogli allentare la presa. Si portò le mani di Derek sui fianchi e poi gli mise le braccia attorno al collo e gli accarezzò la nuca con i polpastrelli. Si sentiva abbastanza umiliato dallo sguardo duro con cui Derek lo stava fissando: lui non voleva baciare una statua di marmo. Lui rivoleva il suo Derek, quello con gli occhi in tempesta che lo guardava come se fosse la luna e che gli diceva che era perfetto, anche se lui non ci aveva mai creduto. Quello che gli mordeva il collo e a volte non riusciva a non lasciargli dei segni, pur sapendo che a Stiles non piacevano. Quello che gli si rannicchiava sempre contro e gli strofinava la barba sulla pelle della gola, facendogli venire i brividi. Quello che aveva imparato a permettergli di prendersi cura di lui.
Strinse gli occhi, gli afferrò il viso e fece scontrare le loro labbra con più forza di quanto avrebbe voluto. Derek restò impassibile, non ricambiò la sua stretta, non si avvicinò, non si chinò verso di lui per andargli incontro.
Dopo pochi secondi Stiles si allontanò, sentendo la sconfitta pesargli come un macigno nello stomaco. Si tirò indietro ma, inaspettatamente, Derek lo attirò di nuovo a sé e lo baciò ancora una volta, facendogli girare la testa per la sorpresa. Stavolta Derek mosse le labbra contro le sue e Stiles ricambiò, emettendo un suono con la gola. Derek gli era mancato. Gli era mancato l'odore del suo dopobarba mischiato a quello della sua pelle, gli era mancato sentire la sua consistenza sotto le mani, il modo in cui lo toccava. E in quel momento le sue labbra sapevano appena di birra. Non era passata che una decina di giorni, ma sapere che Derek lo disprezzava e non lo voleva gli aveva fatto sentire la sua mancanza in maniera molto più viva e dolorosa. Immaginava che averlo fra le braccia sarebbe stato come prendere una boccata d'aria fresca. Strinse un po' le dita sulle spalle di Derek e si accorse che gli tremavano. E non solo le mani, Stiles tremava dalla testa ai piedi.
Avrebbe voluto dire che anche Derek tremava, che c’era qualcosa in quel bacio, che stava sentendo Derek sciogliersi, ma sarebbe stato come mentire a se stesso. Si allontanò di nuovo e poggiò brevemente la fronte su quella di Derek.
“Non ha funzionato,” affermò con lo sguardo basso. Non era una domanda, poteva sentirlo che non c’era stata la scintilla.
“Mi dispiace,” sussurrò Derek, facendo un passo indietro, e a Stiles sembrò quasi sincero mentre lo diceva.
“Vorrei poterti restituire te stesso,” ammise Stiles continuando a guardare il pavimento, “Ma è evidente che non sono abbastanza,” concluse con un filo di voce.
“Stiles,” lo chiamò Derek piano, e sollevò una mano verso la sua guancia, ma lui si allontanò, muovendo la testa di lato. Si sentiva già abbastanza umiliante e totalmente, totalmente indegno.
“Ho bisogno di pensare, Derek,” disse indicandogli la finestra, “Lasciami da solo. Per favore,” aggiunse, quando sentì Derek tentennare.
Non chiuse nemmeno la finestra alle spalle di Derek, prima di buttarsi sul letto con tutte le intenzioni di iniziare una lunga notte di autocommiserazione.


Luna piena

Era venerdì e Stiles aveva bigiato la scuola per pensare. O almeno, questo era quello che si era detto, perché in realtà aveva passato l’intera notte e buona parte della giornata a compiangersi, nascosto sotto le coperte. Quando suo padre era andato a lavoro, quella mattina, non aveva avuto nemmeno bisogno di fingere che non stesse bene perché, a giudicare dallo sguardo che gli aveva rivolto lo sceriffo, doveva proprio avere un aspetto terribile. Si era lavato i denti e quando era stato costretto a guardarsi allo specchio aveva constatato che aveva due occhiaie orribili, i capelli che gli schizzavano in tutte le direzioni e sprizzava commiserazione da ogni poro.
Aveva sospirato e poi era sceso in cucina per spizzicare qualcosa da mangiare tanto per non restare a digiuno; poi si era buttato di nuovo a letto, dove aveva dormito gran parte della giornata.
Ogni tanto aveva aperto un libro di incantesimi o cercato su internet, ma ormai erano due settimane che leggeva tutto e il contrario di tutto, provava a leggere all’inverso, oppure una parola sì e una no, o a mettere insieme le iniziali degli indici, ma non c’era niente che lo aiutasse. Quindi aveva optato per nascondersi sotto le coperte ed uscirne fuori solo quando aveva avuto bisogno di aria, il che era patetico all’inverosimile.
Si era detto che era stato l’adolescente meno musone del mondo, quello che si era fatto meno pare mentali per ragazze o ragazzi, quindi si era guadagnato il diritto di essere un piagnone per ventiquattro ore. La cosa non lo aveva fatto sentire particolarmente meglio, anche perché, a voler essere precisi, non si stava solo struggendo per un ragazzo, ma per colpa di un incantesimo che… bah, non ne valeva nemmeno la pena. Era patetico e basta.
Adesso era pomeriggio inoltrato e lui era ancora a letto. Strofinò il viso contro il materasso e si strinse meglio il lenzuolo intorno, in un bozzolo di stoffa e caldo insopportabile. Chiuse gli occhi e sperò di addormentarsi di nuovo, ‘fanculo la luna piena, la sizigia, il perigeo e tutte le altre cazzate.
Improvvisamente sentì uno strattone ed il lenzuolo gli sfuggì dalle mani. Lo investì un’ondata d’aria e scattò a sedere sul letto, riparandosi gli occhi dall'improvvisa abbondanza di luce, mentre tentava di mettere a fuoco la figura che aveva davanti.
“Che cazzo, la buona abitudine di bussare vi viene tolta quando vi crescono le zanne?” domandò, cercando di afferrare di nuovo il lenzuolo che gli era stato strappato via.
“Io mi domanderei piuttosto che cazzo ci fai a letto da due giorni,” rispose uno Scott dall’aspetto piuttosto incazzato. Era strano vedere l’”onnipaziente” alpha così inferocito e Stiles si sentiva quasi orgoglioso per essere stato lui a fargli quell’effetto.
“Sono malato,” gli disse Stiles incrociando le braccia sul petto e sdraiandosi di nuovo.
“Certo, raccontalo a qualcun altro. Vuoi sapere cosa penso io?”
“No, ma sono sicuro che mi illuminerai comunque,” rispose senza guardarlo.
“Io penso,” esordì avvicinandoglisi e strattonandolo per la maglietta fino a farlo mettere in piedi, nonostante i suoi deboli tentativi di protesta, “Che tu sia un codardo,” concluse Scott in un sibilo.
Stiles gli lanciò un’occhiataccia, “Bene, adesso che mi hai illuminato, puoi andartene,” fece per allontanarsi, ma Scott lo fermò con i pugni stretti sotto il colletto.
“Okay, ricominciamo da capo,” disse Scott con voce molto più ferma, “Possiamo parlare con calma, amico?”
Stiles fece una smorfia nel sentire l’appellativo e annuì.
“Stasera c’è la luna piena, Stiles,” lo guardò combattuto, “Perché ti sei rinchiuso in casa pur sapendo che Derek ha bisogno di te? Credevo fossi innamorato di lui, amico!”
Abbassando lo sguardo, Stiles si passò una mano tra i capelli e si sedette sulla sedia della scrivania, “Non posso spezzare questo stupido incantesimo,” rispose con voce rotta. “Ieri sera Derek è stato qui,” spiegò, e Scott prese posto sul letto, “Ci siamo baciati.”
Sorrise amaramente, pensando che questa conversazione sarebbe stata molto plausibile qualche mese prima, se lui avesse raccontato di sé e Derek a Scott. Avrebbe potuto dirgli che si erano baciati sul patio di casa Hale e che lui era felice da matti e non riusciva a smettere di sorridere e di sentirsi la testa tra le nuvole. Avrebbe potuto dirgli che era così, così innamorato.
Scott prese un lungo sospirò e lui poté sentirlo anche se non lo stava guardando, “Non è cambiato nulla?”
Stiles scosse la testa in cenno di diniego.
“Ci abbiamo parlato io e Kira due sere fa,” disse Scott, “Mi ha chiamato e mi è sembrato molto confuso, quindi gli ho proposto di venire a casa mia, ho intuito che fosse stato con te.”
Finalmente Stiles sollevò lo sguardo, “Sì, mi ha cacciato via e mi ha detto di stargli alla larga, molto romantico,” rise con amarezza, “Infatti quando è comparso dicendo di volermi baciare ero abbastanza stupito.”
“Gli abbiamo spiegato che poteva essere una soluzione,” rispose Scott, “Ma sembrava davvero scosso, a modo suo, ovvio. Cosa era successo?”
Stiles gli spiegò dell’anello, e riferì brevemente la conversazione che avevano avuto. Disse che c’era stato un momento in cui Derek gli era sembrato per un attimo insicuro, ma che era passato in fretta, e Scott gli riferì del passaporto.
“Ha accettato di non potersi fidare della sua testa,” concluse Stiles, “E si è fidato di te e Kira,” si stropicciò il naso con una mano, il “Ma non si fida di me” era implicito. “Tuttavia, non è servito a niente.”
Scott rimase per qualche secondo in silenzio, perso nei suoi pensieri, e Stiles riconobbe l’espressione che aveva quando stava cercando di formulare uno dei suoi piani. “Secondo Deaton potrebbe volerci qualcosa di più profondo di un bacio,” disse infine. Stiles lo guardò stupito, invitandolo a continuare.
“Ha detto che l’incantesimo agisce sulla psiche, forse dovresti provare con qualcosa di più… psichico?” chiese senza suonare del tutto sicuro di quello che stava dicendo.
“Tipo?” domandò Stiles, non riuscendo ad immaginare nulla di psichico, non era nemmeno sicuro di sapere cosa implicasse la parola psichico. Lui si era sentito molto psichico quando Derek lo aveva baciato, ma evidentemente lo stesso non era stato per l’altro.
“Dici che ti è sembrato confuso per un attimo, forse sei riuscito a toccare il tasto giusto senza volerlo,” provò a dedurre. “Cosa gli avevi detto?”
Stiles provò a richiamare alla mente la conversazione di quella sera. Derek gli aveva parlato dell’anniversario dell’incendio, di quello della morte di Laura, lui gli aveva chiesto la storia dell’anello, ma c’era stato un momento in particolare in cui sembrava che fosse scattato qualcosa in Derek.
“Forse,” disse colto da un’idea, “Lui pensava che Kira lo avesse abbandonato, nonostante gli avesse promesso che non sarebbe andata via,” si leccò le labbra, “Lì ho perso un po’ la calma, gli ho detto che ero stato io a prometterglielo e che non me ne sarei mai andato.”
“Be’,” iniziò a dire Scott, ma Stiles lo interruppe.
“No, no, è stato dopo,” Stiles mosse le mani per fermarlo, “Gli ho detto che il passato non si cancella, che lo ha reso quello che è e io non voglio che si cancelli.”
Se lo ricordava, perché anche lui dopo aver pronunciato quelle frasi si era sentito un po’ scosso ed entrambi erano stati in silenzio per qualche minuto.
“Amico,” lo chiamò Scott e gli sembrò un po’ esasperato, “Quando mi hai raccontato che ero stato il primo a cui confessavi di essere innamorato di Derek… intendevi proprio il primo in assoluto?” Stiles lo guardò e annuì, “Lo hai mai detto a Derek?”
Stiles rimase interdetto, poi afferrò quello che Scott stava tentando di dirgli e pensò che se gli fosse spuntata una seconda testa lo avrebbe lasciato meno a bocca aperta. Psichico includeva le dichiarazioni d’amore?
“Vi siete baciati e Derek non ha fatto una piega,” rifletté Scott dopo averci riflettuto, e lui fece una smorfia di disappunto nel sentirsi ricordare quel fatto, “Ma quando gli hai parlato dei tuoi…” Scott fece un vago gesto imbarazzato con la mano, “sentimenti, è successo qualcosa.”
Aveva senso, pensò Stiles. Aveva senso e lui non avrebbe mai più sottovalutato la perspicacia di Scott, anzi, in quel momento avrebbe anche potuto fargli una maledetta statua.
“Dici che potrebbe funzionare?”
Scott aprì le braccia, come per dire “Sembrerebbe logico.”
“Oddio,” mugolò coprendosi il viso con le mani, “Non potevo essere un principe azzurro come tutti gli altri, una limonata e via? Perché la mia vita non può essere La Bella addormentata?
“Coraggio,” gli disse Scott alzandosi e mettendogli una mano sulla spalla, “Margaret è molto meno inquietante di Malefica. Credo. Ha pur sempre risvegliato un cimitero di angeli o qualcosa del genere. E ha beccato la luna gigante. Ma resta comunque meno inquietante di Malefica, ne sono certo.”
Stiles rise, suo malgrado. Scott gli era mancato.
“Mi ci vedi con una spada a combattere contro dei rovi maledetti?” gli chiese indicandosi.
“Ti vedo di più con una spada di legno a combattere contro i mulini al vento,” rispose Scott ridendo a sua volta.
“Ehi, amico,” esclamò Stiles portandosi una mano al petto con fare drammatico, “Una citazione letteraria dopo una potenziale intuizione geniale: sei sicuro di non essere anche tu sotto incantesimo?”
“’Sta zitto,” lo ammutolì Scott roteando gli occhi al cielo, “Ti ricordo che sono ancora incazzato con te.”
Sorridendo in modo triste, Stiles si morse la lingua per non pronunciare le ennesime scuse che gli erano salite spontaneamente alla bocca.
“E se non funzionasse nemmeno questo, Scott?” domandò in maniera un po’ apatica, alzandosi in piedi.
“Stiles, a volte mi viene il dubbio che tu non sia abbastanza determinato a combattere contro questa cosa,” ammise Scott con un sospiro. “Non fai che dire che non sei abbastanza, non fai che dubitare di te stesso e di Derek.” Fece una pausa, come per valutare se fosse il caso o meno di andare avanti, “È davvero questo che mi hai tenuto nascosto? Una relazione in cui non credi?”
“Forse ho sempre avuto il dubbio che non fosse reale, che fosse troppo bello per essere vero,” rispose Stiles, “E tutto questo me lo ha confermato.”
“Be’,” disse Scott facendo spallucce, “Andiamo a scoprirlo, no?” propose con un mezzo sorriso.
“Sì, cazzo,” Stiles ondeggiò una mano stretta a pugno, improvvisando uno scatto d’entusiasmo, “Andiamo, Sancho!”
Si era già lanciato verso la porta, ma Scott lo bloccò afferrandolo per una spalla, “Prima va’ a farti una doccia e renditi presentabile. Fai schifo e sei in pigiama!”
Stiles borbottò contrariato, il suo entusiasmo era stato stroncato sul nascere.
“Che importa, stavolta io sono l’eroe!” urlò mentre attraversava il corridoio, “E tu sei la spalla!”
Prima di chiudersi alle spalle la porta del bagno, sentì Scott urlare: “Vola basso, amico, sei Don Chisciotte, mica Batman!”


Una volta entrati nella foresta, Stiles iniziò a guidare la jeep in una maniera che gli sarebbe costata l’isolamento nella sua camera a vita se per caso fosse giunta alle orecchie di suo padre. Scott teneva la testa fuori dal finestrino ed annusava l’aria, per seguire le tracce di Derek, e ogni tanto gli dava indicazioni su dove girare. Mentre guidava nel tramonto avanzato, tra gli alberi ogni tanto compariva la maledetta luna, rotonda, incredibilmente luminosa e gigantesca. Era di un colore rossastro, sanguigna e un po’ demoniaca.
Sei con me o contro di me? le domandò Stiles in silenzio.
Di colpo, si ritrovò davanti Derek, e frenò così di scatto che lui e Scott balzarono sul sedile. Si slacciò la cintura di sicurezza, saltò giù dalla macchina e poco dopo sentì Scott che sbatteva lo sportello alle sue spalle e lo seguiva con un rumore di passi veloci nel terreno.
Si fermò di fronte a Derek, ma non si avvicinò più di tanto. Come quella sera di quasi tre mesi prima, Derek era in tenuta da corsa e lo stava guardando come se da lui non si aspettasse niente di buono.
“Sei un idiota,” disse ad alta voce, indicandolo, e Derek aggrottò le sopracciglia con espressione poco felice. Stiles sentì Scott che alle sue spalle mormorava qualcosa in disappunto.
“Sei l’idiota più testardo che io abbia avuto la sfortuna di incontrare nella mia vita,” continuò, e Scott sibilò un “Amico?! Davvero?” esasperato alle sue spalle.
Derek rimase immobile davanti a lui, a metà tra il perplesso e l’indignato, con la mascella serrata e le braccia rigide lungo i fianchi.
“Non sei in grado di preparare un caffè decente, ma suppongo che ti meriti una lode per provarci sempre,” strinse i pugni, “Ti sporchi come un bambino mangiando una pizza, sei così abituato a dormire da solo che quando ci sono anche io non mi lasci quasi spazio, la mattina ti alzi sempre all’alba e hai un regime di allenamento maniacale,” si fermò, riprendendo fiato, “Leggi solo libri pesanti, hai una strana ossessione per i film storici e sei fissato col riparare i vecchi oggetti rotti, il tuo piatto cinese preferito sono gli spaghetti di soia ai gamberetti e non sopporti gli involtini primavera, dici sempre che la tua ancora è la rabbia, ma è cambiata da almeno un anno a questa parte. Mi hai fatto penare un’eternità prima di convincerti a baciarmi, ma adesso tieni sempre in frigo una scorta di fottuti energy drink, anche se ti fanno schifo, e poi mi baci lo stesso dopo che li ho bevuti io. E non hai mai pianto, nemmeno dopo l’incendio o dopo la morte di Laura, ma sei scoppiato in lacrime una mattina tra le mie braccia e io sono morto un po’ dentro, anche se non hai mai voluto dirmi il perché. Mi hai chiesto solo di stringerti e basta ed io l’ho fatto.”
Aveva tirato fuori tutto d’un fiato, senza smettere di guardare negli occhi Derek, che man mano sembrava essere sempre più sul punto di ridurlo a pezzettini. Stiles fece un passo avanti, con una sorta di coraggio disperato. Aprì le braccia e sbuffò una mezza risata esasperata. “E io ti amo,” dichiarò finalmente, azzardandosi a sollevare una mano e sfiorare con i polpastrelli la guancia di Derek.
“Ti amo così tanto che a volte non so cosa farmene di me stesso,” ammise, ed appiattì il palmo contro la barba ruvida di Derek, incoraggiato dal fatto che lui si fosse mosso appena verso alla sua mano, chiudendo gli occhi per un istante. Poi Stiles si allontanò e, nonostante fosse stata una sua iniziativa, sentì subito la mancanza del contatto, il vuoto che c’era tra le sue braccia. Continuò a parlare, mentre indietreggiava verso la jeep, con l’intenzione di finire il suo discorso e poi andarsene, lasciar andare Derek, dargli la possibilità di smaltire la luna e poi tornare.
“Una volta mi hai detto che noi siamo come la terra e la luna. Anche quando sembra che la luna sia più vicina, in realtà è lontanissima,” sollevò lo sguardo, dove una luna ormai bianca come il latte illuminava lo spazio tra gli alberi. Ormai era calata la notte, e Derek si riparò gli occhi dalla luce dei fari della jeep col palmo di una mano.
“Be’, sai una cosa, Derek?” chiese amaramente, “È valido anche il contrario, a volte sembra lontanissima, e tuttavia è alla stessa distanza, sarà sempre l’oggetto celeste più vicino alla terra. E adesso?” domandò indicando la luna, “Adesso è più vicina e più potente che mai.”
L’espressione di Derek non si era fatta né più comprensiva, né meno ostile. Derek era rimasto stoico, con le sue sopracciglia e i suoi muscoli e gli occhi taglienti. Stiles si voltò per raggiungere di nuovo la jeep, con le mani che gli tremavano.
“Luna o no, spezzerò quest’incantesimo,” disse oltre la sua spalla, voltandosi appena, con voce flebile, consapevole che Derek lo avrebbe sentito lo stesso, “Fosse l’ultima cosa che faccio.”
Cercò lo sguardo di Scott, che gli sembrava piuttosto confuso ed esitante e gli fece segno di salire in macchina. Aveva appena messo una mano sulla maniglia e stava per applicare una leggera pressione ed aprirla, quando la voce di Derek lo gelò.
“Non so se ti amo, Stiles,” proclamò con voce ferma alle sue spalle, senza tradire nessuna emozione, “Ma mi fido di te.”
Stiles dovette fare forza su se stesso per non voltarsi. Deglutì e strinse gli occhi, sentendosi il cuore battere così forte da fargli temere che gli sarebbe saltato fuori dal petto. Se Derek si fidava di lui, negli ultimi giorni aveva avuto un modo piuttosto bizzarro di dimostrarlo.
“Ed è qualcosa che risale a molto tempo fa,” continuò Derek con lo stesso tono. “Quindi, dato che è evidente che in questo momento non posso fidarmi di me stesso, mi fido di te. E credo che manterrai questa promessa come hai fatto con tutte le altre.”
Stiles annuì e saltò in macchina, dove già lo aspettava Scott, seduto sul sedile passeggerò. Avviò il motore e guidarono in silenzio per diverso tempo, mentre raggiungevano la strada principale.
“Ti perdono, amico,” annunciò ad un certo punto Scott, dal nulla. Stiles sarebbe potuto morire di gratitudine, quella sera.



Derek si strinse la radice del naso tra due dita. Se il suo organismo ne fosse stato in grado, in quel momento lo avrebbe tormentato con un mal di testa epico, ne era certo. Maledisse Peter con tutte le sue forze, perché Peter aveva morso Scott e da quel momento in poi la sua vita era diventata una scuola superiore, piena di adolescenti con abitudini da adolescenti, problemi da adolescenti e ormoni da adolescenti.
Forse lui aveva una piccola parte di colpa in tutto ciò, perché aveva scelto di mordere Erika e Boyd e Isaac, ma tutto era partito da Peter. Si versò da bere in un bicchiere e si ripromise di scoprire se Peter avesse ancora le sue scorte di alcol speciale, perché un giorno ne avrebbe avuto bisogno. Un giorno l’unico modo per sopravvivere a un branco di adolescenti riuniti insieme dentro casa sua sarebbe stato non essere sobrio.
Si voltò verso di loro, riconcentrando la propria attenzione su quello che stavano dicendo e a cui era riuscito miracolosamente a togliere il volume per qualche minuto. Si domandò cosa avessero da schiamazzare più del normale.
Vide Stiles che stritolava Scott in un abbraccio, mentre tutti gli altri ridevano, e d’istinto inarcò un sopracciglio. Quando si allontanarono, Scott diede a Stiles un colpetto sulla spalla. Chi aveva dato dell’alcol a questi minorenni?
“Isaac, amico!” esclamò Stiles girandosi a braccia aperte verso Isaac, che lo guardò dubbioso, ma alla fine rise ed allargò a sua volta le braccia, facendosi abbracciare.
“Ehi, ehi, voglio anche io un abbraccio,” si intromise Erika, strappando letteralmente Stiles dalle braccia di Isaac, mentre Stiles, ridendo, diceva “Ce n’è per tutti, vacci piano!”
“Dovresti farti stampare una maglietta con su scritto ‘free hugs’, amico,” disse Scott, mentre Stiles si avvicinava ad una Lydia che lo guardava come se volesse lanciargli un tacco a spillo addosso se si fosse avvicinato abbastanza. Dopo qualche secondo, però, con uno sbuffo, accettò anche lei la dimostrazione di affetto.
“Ho carenze di affetto,” mormorò Stiles, e la sua voce era attutita dai capelli di Lydia, che alzò gli occhi al cielo ed arricciò le labbra, per poi allontanarlo intimandogli di non esaltarsi troppo.
Derek si avvicinò e tutti cercarono di darsi un contegno e una parvenza di serietà. Sentendo il silenzio scendere attorno a lui, Stiles sollevò la testa da dove era sepolta nella spalla di Lydia e lo guardò incuriosito.
Restò interdetto per un attimo, poi allargò le braccia verso di lui e lo chiamò con un entusiasmo che disturbò il suo udito, “Derek!”
Derek lo incenerì con uno sguardo, prima che potesse avvicinarsi al suo spazio vitale, e Stiles lasciò cadere le mani lungo i fianchi, facendo spallucce, “Okay, Lupo Guastafeste, volevo farti un favore.” Poi Stiles si girò e, sorridendo di nuovo, domandò: “Qualcuno vuole il bis?”



Luna calante

Derek fu svegliato da un rombo di tuono eccezionalmente assordante, seguito subito dopo dallo schiocco di un lampo. Si portò una mano alla fronte e guardò l’orologio sul comodino, notando che era più pomeriggio che mattino. Si sentiva come se avesse dormito per un’eternità, il che forse era dovuto al fatto che non fosse abituato a svegliarsi così tardi. Aveva la testa annebbiata, come se fosse stato drogato, ed emise un lamento all’idea. Considerando la sua vita, non era del tutto da escludere che fosse quello il caso.
Si alzò a sedere e sentì un altro rombo, se possibile più forte di quello di prima. Scorse con la coda dell’occhio la luce del lampo che lo seguì oltre la finestra e stava per voltarsi per scoprire se stesse piovendo, ma fu bloccato da uno strano formicolio ai polsi. Sobbalzò, accorgendosi di avere delle strane corde, come di elettricità, che sembravano caricarsi e scaricarsi al ritmo dei lampi oltre i vetri. Poi, di colpo, scomparvero.
Si guardò a lungo i polsi, muovendoli e domandandosi cosa diavolo stesse succedendo. Era la seconda volta che gli accadeva, contò, pensando all’episodio in casa di Stiles.
Stiles.
Sgranò gli occhi, tentando di mettere insieme i pezzi confusi di ricordi che gli venivano in mente. Non era stato drogato, ma a quanto pareva c’era andato abbastanza vicino, era stato incantato. Si portò le mani alle tempie; ricordò della mattina imbarazzante in cui aveva detto a Kira che era bellissima, di aver quasi litigato con Scott, di aver minacciato e cacciato via in malo modo Stiles, ripetutamente. Scostò via le lenzuola, di scatto, saltò fuori dal letto e si vestì di corsa. Fu fuori dal loft in tempo record e constatò che, sì, non solo stava piovendo, ma gli elementi sembravano essersi scatenati in un temporale di tutto rispetto.


Derek guidò fino a casa Stilinski, arrivando proprio nel momento in cui la jeep di Stiles imboccava il vialetto. Ancor prima di vederlo, sentì Stiles lanciare maledizioni mentre scendeva dall’auto, cercando in malo modo di ripararsi dalla pioggia con la camicia a quadri sollevata sopra la testa. Quando scorse i fari della sua Toyota, Stiles si bloccò e lasciò la presa, così che le gocce di pioggia, pesanti, iniziarono a colpirlo in pieno, bagnandogli i capelli e le spalle.
“Derek?” lo chiamò stupito, “Stai bene?”
Derek gli si avvicinò e gli venne in mente la dichiarazione in grande stile che Stiles gli aveva fatto la sera prima. Quando lui e Scott erano andati via, Derek aveva ricominciato a correre, aveva liberato le zanne e gli artigli ed aveva ululato ad una luna gigante, di quelle che avrebbero fatto fremere Stiles e la sua passione per l’astronomia, forse, se lui non fosse stato impegnato a riportare il suo cervello sulla retta via.
“Riesci ad immaginare la terra senza la luna?” chiese a Stiles, oltre il rumore della pioggia.
Stiles rise senza reale ironia, “Ancora con la luna, Derek?”, domandò, con i capelli fradici appiattiti sulla fronte, e Derek poteva vedere il piglio di insicurezza nella sua espressione. Non capiva cosa volesse, e in genere Stiles era dannatamente bravo a leggerlo.
“Senza la luna la terra sarebbe alla mercé delle perturbazioni gravitazionali celesti, oscillerebbe su se stessa come una trottola, gli ecosistemi sarebbero distrutti,” spiegò Derek, incurante della pioggia sempre più forte. “La terra e la luna sono un pezzo l’una dell’altra, si orbitano intorno e si tengono ancorate a vicenda.”
Poteva sentire il cuore di Stiles battere a mille, aveva anche il fiato un po’ accelerato e i vestiti erano ormai zuppi.
“Una volta ti ho promesso che sarei venuto con te a osservare le stelle, ma non lo abbiamo ancora fatto,” gli disse, consapevole di essere incoerente. Aveva tante cose da dire, ma non le aveva pianificate e quindi decise di sciorinarle così come gli passavano per la testa.
“Oh, e il tuo telescopio si chiama Excalibur,” fece un sorrisetto ironico e Stiles scoppiò a ridere, “E mi piacciono i tuoi nei, soprattutto quelli che hai sulla guancia, ma anche quelli che hai sul fianco sinistro. E, prima che tu possa farti venire dei dubbi, so che Kira non li ha, ho controllato,” specificò pensando a quando aveva sollevato il volto di Kira, cercando qualcosa che non riusciva a trovare.
Il ghigno di Derek si trasformò spontaneamente in un sorriso, perché non c’era verso che non fosse ancora un po’ sotto incantesimo per aver detto certe cose ad alta voce. “Tu e tuo padre fate a turni per stirare i vestiti, perché è una cosa che odiate entrambi, però a volte accetti di aiutare me, quando ho rimandato per troppo tempo di fare il bucato e ho una montagna di roba.”
“A volte fai esasperare tuo padre di proposito, perché sai che in fondo si diverte,” Stiles spalancò un po’ la bocca, “E ti piace quando non metto il gel nei capelli.”
“Ah,” ricominciò Derek dopo una pausa, “E anche tu mi sei mancato da impazzire, solo che non sapevo fossi tu.”
Un tuono risuonò in lontananza e Derek riuscì a vedere alla luce del lampo il momento esatto in cui Stiles comprese. Fece qualche passo verso di lui, sorridendo.
“Alcune di queste cose non te le ho mai dette,” sussurrò Stiles quando Derek gli fu così vicino da poter vedere le gocce di pioggia che gli si intrappolavano tra le ciglia e poi scorrevano giù quando muoveva la testa.
“Lo so,” rispose semplicemente Derek.
“Cazzo, sono il tuo principe azzurro,” disse Stiles, lanciandoglisi addosso. Lui aprì le braccia ed afferrò Stiles per le gambe, per fargliele allacciare attorno alla sua vita. Rise, mentre Stiles gli tempestava la faccia di baci zuppi di pioggia. L’odore di terra bagnata e foglie e Stiles gli colmò le narici; tutto intorno, sotto gli schiocchi delle labbra di Stiles, poteva sentire il picchettare dell’acqua sul terreno.
“E tu sei un ranocchio,” mormorò Stiles e lo strinse più forte. Derek rise di nuovo e ricambiò l’abbraccio.
“Credo che tu stia facendo confusione,” rispose Derek tracciando dei cerchi sulla schiena di Stiles, sotto la stoffa della maglietta e della camicia a quadri.
“Mi hai fatto impazzire per giorni, mi sono guadagnato il diritto di reinventarmi a mio piacimento tutte le fiabe che voglio,” affermò Stiles con il viso poggiato sulla sua spalla. Derek gli mormorò delle scuse, mentre, finalmente, gli premeva il viso nella pelle del collo e vi si strofinava come faceva di solito.
“Non è colpa tua,” gli sussurrò Stiles, afferrandogli il mento e facendogli sollevare lo sguardo. Lo vide scrutarlo per un attimo, e dovette aver trovato qualsiasi cosa stesse cercando nei suoi occhi, perché gli sorrise.
“Ti amo,” disse quindi Derek, approfittando del contatto visivo e poi si chinò per baciare la curva stupita che avevano preso le labbra di Stiles. Aveva di certo sbagliato qualcosa se, dopo tutto quello che era successo, dopo essere riuscito anche a spezzare la maledizione, Stiles aveva ancora dei dubbi in proposito.
Quindi, quella sera glielo sussurrò più volte del dovuto - mentre lo abbracciava da dietro impaziente in attesa che Stiles aprisse la porta di casa; mentre ridendo si spogliavano dei vestiti fradici e bevevano del caffè per riscaldarsi; mentre parlavano, con le labbra ormai rosse e le mani intrecciate sul letto in camera di Stiles; mentre Stiles lo colpiva per scherzo quando lui gli mordeva il collo. E, anche se furono troppe volte, pensò di essere in qualche modo giustificato. E poi gli piaceva l’odore che emanava Stiles ogni volta che glielo sentiva dire.
“Non abituartici,” sussurrò a Stiles dopo essersi fatto sfuggire l'ennesima dichiarazione, “Sono circostanze straordinarie.”
Stiles roteò gli occhi e, per tutta risposta, gli si sdraiò addosso e gli morse le labbra.




Epilogo


Stiles si soffiò il naso per l’ennesima volta e provò ad inspirare, senza alcun successo. Era in camera sua, seduto sul letto in pigiama, e avrebbe scommesso di avere un aspetto orrendo. Ecco quali erano le conseguenze delle scene romantiche sotto la pioggia nella vita reale. Era certo che il Principe Eric non si era ammalato dopo che Ariel lo aveva tirato fuori dall’oceano. Perché doveva essere proprio lui il principe sfigato?
“Sto per morire,” disse con tono molto teatrale, lasciandosi andare indietro per poggiare le spalle al muro e chiudendo gli occhi. “Fidati di Stiles,” provò a dire, ma si interruppe per tossire, “E lui si ammalerà nel momento dell’anno meno opportuno.”
Seduti di fronte a lui, Scott, Kira, Lydia e Margaret risero.
“Dovrei festeggiare la ripresa della mia vita sessuale,” continuò indicando Derek, che aveva appena varcato l’uscio della sua camera con una tazza in mano, “E invece sono qui, in punto di morte.”
Mormorando “Troppe informazioni, amico,” Scott si schiaffò una mano sul viso e poi finse di tapparsi le orecchie per non sentirlo. Kira arrossì, mentre Margaret, con il suo trucco nero, si contorceva le mani e si mordeva il labbro. Quando era entrata in camera di Stiles e aveva capito chi fosse Derek, aveva boccheggiato e detto qualcosa che era suonato vagamente come un “Oddio, io avrei attirato lui?” – Gli era sembrata un po’ delusa per il resto della mattinata e Stiles si era sentito un po’ orgoglioso e un po’ geloso per quella reazione.
Derek si sedette sul letto accanto a lui, gli mise la tazza in mano e gli diede un bacio sulla tempia, “Non odori di morte,” mormorò annusandolo, “Solo di febbre.”
Stiles emise un lamento e gli poggiò la testa sulla spalla, “Fantastico,” commentò sarcastico, “Ho un aspetto orribile e puzzo. Sono il peggior principe azzurro che si sia mai visto.”
“Anche il più melodrammatico,” rispose Lydia con un sospiro, sistemandosi la gonna sulle ginocchia.
“A proposito di principe azzurro,” intervenne Kira, “Avete visto quel film…”
Stiles non sentì il resto della domanda, ma a quanto pare tutti e le mamme di tutti avevano visto il film in questione, e si persero in una discussione sulla trama e gli attori. Lui chiuse gli occhi e strofinò la faccia contro la spalla di Derek, che gli mise una braccio attorno al collo.
Ogni tanto Derek interveniva nella conversazione, e lui, quando non era impegnato a spargere microbi, era felice, perché il momento di imbarazzo iniziale che aveva imbambolato Derek e Kira era passato velocemente. Derek aveva anche provato a scusarsi, perché era un cretino ed un martire e si scusava anche quando non era colpa sua, ma Kira aveva liquidato le sue scuse con un sorriso timido.
Cullato dalle voci degli altri, si sporse in avanti e poggiò le labbra sulla base del collo di Derek. Derek profumava di buono, e la sua pelle era morbida e liscia e lui pensava proprio che avrebbe dovuto ricoprirla di baci, perché era quello che la pelle di Derek si meritava. Si sentiva le palpebre calde e pesanti.
Eclissandosi dalla conversazione, Derek gli avvicinò la bocca all’orecchio, mormorando, “Cosa stai facendo, Stiles?”
Per tutta risposta, Stiles farfugliò qualcosa e Derek gli toccò la fronte con il dorso di una mano.
“Scotti di nuovo,” gli comunicò, allontanandosi da lui, probabilmente per cercare il termometro, ma Stiles gli si aggrappò addosso piagnucolando e pregandolo di non andare via.
“Forse è meglio se andiamo noi,” disse Lydia, alzandosi, “Stiles non mi sembra del tutto in sé.”
“Oh, no,” si lamentò lui, sollevando la testa, “Restate!”
“Mettilo a letto, Derek,” consigliò ancora Lydia e diede a Stiles un colpetto sulla testa, mentre anche gli altri salutavano e gli auguravano di guarire presto.
Stiles approvava quell’idea, non per nulla Lydia era un genio, “Oh, sì, questo dovresti farlo, Derek.”
Troppe informazioni,” urlò Scott dall’altra parte della porta e Derek rise in una maniera così bella che Stiles non poté fare a meno di mettersi in ginocchio sul materasso, gettargli le braccia attorno alle spalle e stringerlo forte.


Note finali:Spero che qualcuno sia ancora vivo e chiedo di nuovo perdono per il miele, really.

Un paio di cosine:

(1) In questo capitolo c’è una specie di citazione di Merlin (no, non quella sul telescopio che si chiama Excalibur) e se qualcuno la trova vince una granita con la brioche!

(2) Qui c’è una versione dell’anello con la terza incisione, che nel mio per esempio non c’è. Spesso l’anello in questione viene attribuito a re Salomone, ma ci sono diverse versioni della leggenda.

(3) Uhm, non ricordo, al massimo lo aggiungo dopo XD

(4) Non avevo mai scritto una storia così lunga (è a un soffio dai 40k), quindi mi scuso per debolezze di trama o eventuali contraddizioni, dimenticanze e imperfezioni varie. So che questo non le giustifica, ma ci ho provato. Spero che nell’insieme la storia vi sia piaciuta e che nessuno sia morto di diabete. Grazie di nuovo!
(5) Pubblicità: Se non le avete ancora lette, vi consiglio le seguenti traduzioni di Graffias: Werewolf Love Songs, Vol. 1 e ‘Linski’s Late Night Antidote To Lame e an awful curse. Buona lettura :)
   
 
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