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Autore: Calenzano    07/09/2014    4 recensioni
Sul sentiero qualcosa scendeva pian piano. Ma non era nulla che potesse fare pensare a una coppia con una bambina di nove anni. Sembrava piuttosto un chiarore indistinto, come... Come una luce coperta da una spessa cortina, che però verso il suo centro, là dove avrebbe dovuto brillare netta la fonte, questa divorasse la luce, anziché emetterla.
Guardare la montagna dall'alto in basso non è una buona idea, mai. Alla fine sarà lei a guardare dall'alto. E sui sentieri della val Badia talvolta si fanno incontri inquietanti...
Genere: Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Percorse gli ultimi metri del sentiero quasi correndo per l'abbrivio dato dalla discesa, poi finalmente il terreno tornò in piano.

Meno male che quella scarpinata era finita. Mattia mosse i primi passi sull'erba soffice del prato, ispezionandola con il debole alone di luce offerto dalla piccola torcia che teneva in mano, alla ricerca di un posto dove potersi sedere e liberare dalla morsa degli scarponi. In negozio sembravano comodissimi, ma tu prova a portarli per ore su questi viottoli tutti sali e scendi.... Individuato un quadrato di terreno privo di insidie, Mattia ci si lasciò cadere pesantemente. Guardò i tornanti che aveva appena finito di scendere, nessuna traccia dei suoi, almeno non sui tratti visibili.

Elena sarà rimasta indietro di nuovo, quella fa già storie per camminare di giorno... Immagina di notte.

L'idea dell'escursione notturna all'inizio gli era piaciuta, anche se si era guardato bene dall'ammetterlo. Salire alle malghe in jeep, cenare, e iniziare la discesa al tramonto. Per un po' era stato divertente correre avanti a nascondersi tra i cespugli ai lati della strada, per poi saltare fuori all'arrivo di sua sorella emettendo gemiti cavernosi e godendosi i suoi strilli. Ma poi si era rotto di dover rallentare continuamente per stare dietro al suo passo di lumaca, e ancora più dei rimbrotti di sua madre, dopo l'ennesima piagnucolante protesta di quella fifona. Forse per quello i suoi non avevano obiettato quando aveva chiesto di poter andare avanti da solo.

“Non uscire dal percorso; e quando arrivi in fondo, fermati e aspettaci!” Gli aveva gridato dietro sua mamma. Come se potesse correre il rischio di perdersi, di sentieri non c'era altro che quello. Controllò sullo smartphone, ci aveva messo poco più di venti minuti a coprire l'ultimo tratto. Lo schermo si spense, e rimase solo la luce bianca della luna a bagnare il paesaggio.

Tutto intorno, i volumi massicci dei monti chiudevano la valle. Scuri di bosco sulle pendici, sembravano diventare stranamente leggeri, quasi galleggianti, nelle vette brulle dal caratteristico colore brunastro. La roccia, a tratti, rifletteva i raggi lunari, ora su un ghiaione, ora su uno spuntone sporgente.

Mattia, però, guardava in direzione opposta, verso il fondo del prato, al di là dello steccato, dove dalle finestre illuminate del rifugio Pederü ogni tanto arrivava, smorzato, uno scoppio di voci. Per l'ennesima volta, pensò con invidia ai suoi amici del Forte, che in quel momento di certo si stavano divertendo come pazzi nella movida della Versilia. Falò e birra sulla spiaggia, e poi a ballare fino all'alba.

Quel gran buco del Gori... Lui, quest'anno, è andato addirittura a Mikonos. E io invece, qui, tra le merde di vacca.

Sentì tutto il malumore riemergere. Proprio una bella pensata, quella dei suoi, di scegliere la Val Badia per quell'anno. Ogni tanto è bene cambiare, aveva affermato suo padre, con quell'insopportabile tono da punto-e-basta. E non c'era stato verso. “Vedrai che ti piace: c'è la natura, l'aria buona...”

Frega un cazzo della natura, e l'aria buona c'è anche al Forte.

Si trovò di nuovo a immaginare un dialogo con cui zittiva i suoi con un paio di uscite brillanti, e addirittura riusciva a convincerli a lasciarlo a casa, da solo. Sempre meglio che lì. Gli avevano fatto fare addirittura il Giro dei Fanes, un ridicolo percorso per bambini illustrato con la leggenda della zona. Giusto Elena poteva divertirsi con quella roba di nani e principesse. A proposito, quanto ci mettevano a scendere? Il sentiero era ancora deserto, doveva averli staccati più del previsto. Pensò di togliersi anche i calzettoni intrisi di sudore, poi lasciò stare, nella speranza che arrivassero presto. La macchina li attendeva nel parcheggio del rifugio, e poi, l'albergo. Almeno là c'era la connessione Internet, e il suo i-Pod con i Club Dogo ed Emis Killa che lo aspettava.

Per un attimo, ogni pensiero cadde, e si trovò a considerare l'atmosfera ovattata in cui era immerso. Mentre fino a poco prima il silenzio era quello, normale e pulito, della notte, ora sembrava una di quelle rare volte che la neve era caduta in città, avvolgendo tutto in una cappa. Eppure i prati erano verdi, punteggiati di boschetti di pini mughi – altra informazione di suo padre, per lui potevano essere qualsiasi cosa, per quanto gliene importava - e la frescura pungente era quella della notte di agosto. Dal rifugio, laggiù, non arrivava più il minimo rumore. Poi lo vide.

 

Sul sentiero qualcosa scendeva pian piano. Ma non era nulla che potesse fare pensare a una coppia con una bambina di nove anni. Sembrava piuttosto un chiarore indistinto, come... Come una luce coperta da una spessa cortina, che però verso il suo centro, là dove avrebbe dovuto brillare netta la fonte, questa divorasse la luce, anziché emetterla. Procedeva ondeggiando in modo curioso, lento, a destra e a sinistra.

Mattia si alzò, senza smettere di fissarlo. Possibile che fosse un effetto della luna? Magari era solo il riflesso sulla ghiaia della strada, e il movimento un'illusione dovuta allo scorrere delle nuvole. Ma dopo qualche minuto, dovette ricredersi. Il moto era troppo regolare, e poi, qualsiasi cosa fosse, si stava innegabilmente spostando.

Figata.... Si immaginò a raccontarlo agli amici del mare. Devo fare un video, o non ci crederanno mai.

Ma la ricerca frenetica del telefono nello zaino rimase a metà. Perché il tenue alone luminoso evitò la curva del sentiero, e continuò a diritto, senza fretta, là dove avrebbe dovuto esserci solo il pendio ripido.

Fu colto da un misto di emozioni. Da un lato il timore, che sentiva rapidamente trasformarsi in fifa, per quella cosa ignota, che continuava a venire nella sua direzione, lungo il percorso che lui stesso aveva fatto poco prima, apparendo e sparendo tra le macchie di pini mughi. Dall'altro, però, anche un formicolio eccitante alla bocca dello stomaco. Aveva la sensazione di stare assistendo a qualcosa di sovrannaturale, tipo True Blood. Tanto, dopotutto, a un centinaio di metri alle sue spalle c'era il rifugio, reale e rassicurante, con tutta la gente dentro.

Male male corro da quella parte.

 

Giunto alla fine del sentiero, il chiarore incedeva sul prato senza far rumore, sempre con quella andatura vagamente ubriaca. Adesso era sufficientemente vicino per distinguere una sagoma, nell'alone luminoso.

Una creatura. Qualcosa che poteva ricordare di lontano certe serie fantasy che aveva visto in passato, in streaming, sul PC.

Era troppo, per Mattia. La sua mano si rituffò all'interno dello zaino, ed estrasse lo smartphone, attivando rapidamente la videocamera. Puntò il telefono. Ma il cuore gli batteva all'impazzata, e si sentiva vagamente stordito, come se stesse sognando.

Forse è davvero un sogno...

E di colpo, non era più sorpreso. Era tutto normale, tutto come doveva essere. Le vette, il prato, la luna. E l'eco di parole antiche di millenni, dei tempi degli utensili di bronzo che raschiavano attorno al fuoco, che ora tornavano a nuova vita, assumevano una forma concreta, tangibile, reale come lui stesso. Sentì di poter correre tra i boschi, leggero, privo di peso, abbeverarsi all'acqua gelida dei torrenti, penetrare nei recessi più segreti delle rocce, fin nel grembo buio della montagna, e qui farsi tutt'uno con la sua muta, massiccia mole di pietra calda ed eterna.

La montagna mi ha scelto, pensò felice.

Un odore sottile, penetrante, sgradevole. Era dolciastro e nauseante, come di qualcosa di selvatico, abbandonato da tempo dalla vita e lasciato marcire al sole. L' impressione disgustosa lo turbò, insinuandosi in quella sorta di trance, e facendolo tornare al presente. Si rese conto che quell'essere, che adesso lo fronteggiava immobile, alto più di un uomo adulto, era avvolto in un manto grezzo, pesante, che gli copriva pure la testa, grossa in modo anormale.

Una mosca gli sfrecciò vicino all'orecchio, e Mattia abbassò di scatto lo sguardo, istintivamente. E si ritrovò a fissare due poderose zampe allungate, terminanti in zoccoli fangosi, che sbucavano dalla stoffa. Nel silenzio attutito si avvertiva il ronzare sordo di decine di mosche e di insetti, che spiccavano il volo e tornavano a posarsi brulicando sulla carne marcescente dei quarti posteriori, grigiastra e spellata come un vecchio tappeto. Qua e là biancheggiavano le ossa, in alcuni punti del tutto scoperte.

L'essere si curvò, chinando il capo verso di lui. Mattia, paralizzato dall'orrore, fu investito da una zaffata di decomposizione, tanto forte da fargli girare la testa e far salire su per l'esofago un sapore acido, che non riuscì ad arrivare alla bocca. La aprì ugualmente, ma non ne uscì più che un suono cigolante. La faccia della luna, fino ad allora smorzata dalle nuvole, tornò per un attimo a splendere, e divenne visibile il lungo teschio equino, appuntito attorno alla voragine delle froge, che si profilava opaco nell'ombra sotto la stoffa. La fronte piatta, la mascella poderosa, la fila dei grossi denti sgraziati che parevano sorridere grottescamente. Ma quello che fece correre per la schiena di Mattia un brivido, più gelido del vento di tramontana quando striscia sul ghiacciaio della Marmolada, furono le orbite. Dove avrebbero dovuto trovarsi cavità buie, brillavano due piccoli luci perfettamente rotonde, rosse come tizzoni di brace in mezzo alla cenere.

Mattia non seppe se il lampo maligno che attraversò quegli occhietti ardenti fosse reale, o fosse solo un parto della sua mente sconvolta. Ma fece appena in tempo a cogliere un fermo immagine delle fauci improvvisamente spalancate del mostro, e dei lunghi incisivi storti, affilati come lame, prima che questi si avventasse contro di lui, con una rapidità demoniaca.

Lo smartphone cadde senza far rumore tra l'erba del prato, mentre le urla echeggiavano nella notte nuvolosa della val Badia. La lucina rossa lampeggiò ancora per qualche minuto, poi, esaurita la memoria di registrazione, si spense.

 

 


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E buttiamoci sull'horror, così, per provare. O sul soprannaturale. O sul fantasy. Vabbé. L'intenzione era fare un omaggio alla bellezza di questo angolo di Dolomiti e alla cultura ladina (il titolo significa “Una luce nella notte”). Dalla leggenda del Regno dei Fanes (https://www.youtube.com/watch?v=D6f0Nq9IhPY) è tratto il personaggio di Spina de Mul, il malvagio stregone che appare sotto forma di mulo mezzo putrefatto, e che qui provvede a ruminare l'irriverente Mattia.

I luoghi e i percorsi citati esistono realmente, e (ahinoi) pure i tamarri che talvolta vi si aggirano.

Fortuna che la magia della montagna resiste ancora.... 

 

  
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