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Autore: tomboy    09/09/2014    1 recensioni
Uno scorcio della vita di Luca.
"Venne accolto dalla luce, le pareti bianche, i libri diligentemente ordinati, tutto così perfetto e preciso. E poi il letto. Una piazza e mezza. Coperte azzurro chiaro, che ricordavano il colore del cielo nella stagione delle fragole. Coperte che si muovevano al respiro di qualcuno. "
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le dieci regole del dottore

 

 

Senatus haec intellegit, consul videt;
 hic tamen vivit. Vivit?

Cicerone

 

Lo perseguitava. Disteso sulla panca Luca si passava i palmi delle mani sugli occhi, a cancellare tutto lo schifo che riaffiorava nella sua mente, sprazzi di luce e di buio. A fatica si girò su un fianco, la vista ancora sfuocata. Ripercorse piano con gli occhi i contorni poco familiari di quella cucina; sul piano c’era un barattolo di yogurt magro e un bicchiere da vino scheggiato. Si passò la lingua sulle labbra, la gola che lo implorava di liberarla da quel bruciore. Socchiuse gli occhi e allungò un braccio crollando con un tonfo sul pavimento. Imprecò mentalmente; aveva ancora le percezioni spaziali distorte. Il lavandino e la tanto agognata acqua potevano trovarsi a pochi centimetri (come gli mostrava la sua mente) o a metri, che in quelle condizioni valevano kilometri. Rimase con la faccia a terra, le labbra a baciare la polvere, conscio che prima o poi la confusione dei sensi sarebbe terminata. Non voleva ripensare a come fosse capitato lì, in quella stanza dalle pareti rosa pesca. Non voleva pensare a nulla. Era solo l’ennesima persona (ragazzo, uomo, come definirsi?) che si concedeva una notte brava. Sospirò e in un riflesso ormai automatico si portò una mano alla tempia. Sentendo i ricordi che volevano rompere le dighe che faticosamente aveva costruito con l’alcool, cominciò a darsi piccoli colpi con il palmo della mano. Piano. Forte. Mezzoforte. Mezzopiano. Come a comporre una melodia. Si sentiva gli occhi lucidi. Salì di una scala. E poi fortissimo. Come le trombe che urlano e la grancassa che dalla forza dei colpi si spezza. Un desiderio così grande di farsi del male per non permettere al cervello di pensare a qualcosa di diverso dal dolore fisico.

Un rumore in quella confusione. Un gatto dal pelo fulvo che gli sorrideva furbo; i grandi occhi verdi che sembravano intimarlo di rendersi presentabile.  Luca si sollevò a fatica sui gomiti e con lentezza si tirò su, le gambe tremanti. Per la prima volta osservò con attenzione la stanza: ordinata, dai colori chiari, delle foto allegre appese sul frigo. No. No. No, così non andava bene. D’improvviso sveglio e attivo, si diresse verso il corridoio, un bicchiere di vino accanto al telefono, un’impronta quasi invisibile di burro cacao. Altre due stanze a porte socchiuse. Con il respiro mozzo aprì la prima, un piccolo bagno. Acqua. Si fiondò con la testa sotto il lavandino; così fresco e dolce era l’oro blu. Alzò lo sguardo, un accappatoio rosa pesca era appeso lì vicino, un gel doccia alla vaniglia infilato nella tasca. La mente gli urlava. No. No. No!

Con fare tremante, pregando gli dei, aprì l’ultima porta. Venne accolto dalla luce, le pareti bianche, i libri diligentemente ordinati, tutto così perfetto e preciso. E poi il letto. Una piazza e mezza. Coperte azzurro chiaro, che ricordavano il colore del cielo nella stagione delle fragole. Coperte che si muovevano al respiro di qualcuno. Dei capelli di un rosso pastello sparsi sul cuscino. Un nasino alla francese che spuntava da sotto le coperte. Luca chiuse gli occhi. Non gli serviva ricordare le ultime ore per sapere che era una di quelle ragazze dolci che amavano le coccole e le carezze, una di quelle che credevano nel principe azzurro col cavallo bianco, nel destino e in tutte quelle sciocchezze.

Ogni notte … ogni notte la stessa storia. Stasera non bevo, no, non lo faccio. Non è la soluzione. Ubriacarsi? Da deboli. Era questo che diceva al barista con in mano l’ennesimo bicchiere vuoto. E poi si diceva che era l’ultima volta. Poi nelle nebbie della mente e nelle luci più colorate si diceva che almeno doveva puntare su una di quelle ragazze coperte di trucco e dalle gonne troppo corte; quelle ragazze forti che l’avrebbero vissuta come un’avventura. Invece? Invece a volte la situazione gli sfuggiva di mano e metteva gli occhi su quelle ragazze dalle stanze dipinte di rosa, dai sapori dolci di fragole e vaniglia, dalla leggerezza dell’inesperienza. Perché erano quelle che gli piacevano, che di giorno seguiva con gli occhi, perché erano quelle che gli facevano girare la testa e sorridere senza rendersene conto. Loro lo fulminavano. Con le labbra rosso vivo e la pelle color delle conchiglie.

Non serviva che la ragazza del letto azzurro aprisse gli occhi per sapere che l’avrebbero colpito come fanali, come gli occhi di Bambi. Che l’avrebbero fatto sciogliere e poi rabbrividire, perché quelle non erano ragazze da una notte e via. Perché le aveva colte in momenti di debolezza, perché sapeva che desideravano che lui rimanesse. E a quest’ultima richiesta non poteva assentire.

Occhi verde fragola e smeraldo, occhi assonnati e dolci lo fulminarono sul posto. La ragazza era sveglia. Si stiracchiò piano e con calma lo squadrò. Luca la vedeva ondeggiare lo sguardo sul suo petto e lentamente alzare la testa verso i suoi occhi. Occhi chiari come l’acqua di primavera. Gli sorrise. Si alzò e Luca vide la sua biancheria, bianca, come nuvole. Si voltò imbarazzato, di scatto, come se non avesse mai visto una donna. Mordendosi la lingua non poté fare a meno di portare di nuovo gli occhi su di lei. Lei che lo fissava confusa. Luca si strinse nelle spalle cominciando a cercare la sua T-shirt grigia, non senza sospirare. Come gliel’avrebbe detto? Che faccia avrebbe fatto? Non era colpa sua. L’avrebbe capito? Lei era perfetta, era lui lo stronzo. Che beffa il suo nome … Luca. Lux, lucis. Quando mai lui era stato luce?

I suoi occhi cerbiatto cercavano di penetrare i pensieri di Luca che con le scarpe in mano la fissava. Ancora in boxer turchese, la maglietta che gli tirava sul petto. Lo sguardo di lui tinto di colpa. E per una volta si sentì in dovere di dire la verità. «Ex.» Due lettere. Una vocale. Una x e una y che giocavano. E negli occhi di lei si fece strada il sollievo, si portò una mano al petto a dire che anche lei, anche lei aveva la stessa motivazione. Chiara sorrise, Chiara pianse. Luca colmò lo spazio che li divideva, la abbracciò fraterno prendendole poi il volto fra le mani, scosse la testa di lato. No. Mai più. Mai più, capito? Tutto quello in un gesto. Le sorrise piano, lasciò la stanza voltandosi solo una volta, alzò la mano in segno di saluto e scarpe in mano lasciò l’appartamento.

Luce. Buio. Luce. Cos’era appena accaduto? Era male? Era bene? Con la testa vuota per la prima volta da settimane scese le scale a balzi, con sulle labbra una melodia. Aprì il portone del palazzo, raccolse un giornale da terra, non pensava più al suo passato, si sedette su una panchina e si mise a leggere con la calma nel cuore. Lei non c’era più.

 

  
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