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Autore: elyxyz    09/09/2014    16 recensioni
C’erano state volte in cui Merlin aveva scherzato sul fatto che la sua magia amasse Arthur come (e forse più di) lui.
Erano le volte in cui il suo servo combinava qualche romantica sciocchezza, o si lasciava andare a qualche gesto un po’ troppo sentimentale per non incolpare qualcun altro – o qualcos’altro, nella fattispecie – per scagionarsi.
(...) Tutto questo, fino a quando Merlin non si ammalò.
(...) “Chi va là!” strepitò, rovesciando nella foga lo scranno su cui era seduto, per impugnare una forchetta come arma e correre nella stanza attigua.
Arthur non era pronto a vedere ciò che si trovò davanti, ma probabilmente non lo era neppure lo spazzolone che, poverino, spaventato com’era dal suo urlo, tremava a mezz’aria come segno di resa.
Accanto ad esso, un gambale fluttuante faceva una specie di pomposo inchino e uno spallaccio roteava su se stesso, accarezzato da uno strofinaccio, e tutto il resto della sua armatura penzolava ovunque, nel bel mezzo di un’ipotetica pulizia.
[Merthur, magic!revealed, anthropomorphic!magic, animal!magic – 2 capitoli in tutto.]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Merlin’s Magic Loves Arthur

So che dovrei aggiornare le storie già in corso, invece di postare cose nuove, ma sono un po’ in crisi… per la fine delle ferie e per la fine di due storie che mi hanno tenuta impegnata per anni.

Così, mi dispiace, oggi ho preferito caricare una nuova storia piuttosto che star lì a piagnucolare.

È composta di soli due capitoli, una ‘what ifmerthur senza collocazione precisa rispetto al telefilm, dove la magia di Merlin assume sembianze umane e animali.

 

 

Dedicata a chi mi segue con costanza e affetto.

A chi si entusiasma per le mie bizzarre ispirazioni e mi sostiene.

Grazie.

 

 

 

 

Merlin’s Magic Loves Arthur

 

(Parte 1 di 2)

 

 

 

 

C’erano state volte in cui Merlin aveva scherzato sul fatto che la sua magia amasse Arthur come (e forse più di) lui.

Erano le volte in cui il suo servo combinava qualche romantica sciocchezza, o si lasciava andare a qualche gesto un po’ troppo sentimentale per non incolpare qualcun altro – o qualcos’altro, nella fattispecie – per scagionarsi.

In quei momenti, il re di Camelot aveva sempre accantonato la faccenda con uno sbuffo accondiscendente, catalogandola come una delle tante stranezze del suo amante.

Tutto questo, fino a quando Merlin non si ammalò.

 

L’inverno, nelle terre dei Pendragon, non era mai stato clemente. Lo stregone se ne lamentava di continuo dicendo che, quantomeno, l’umile vita a Ealdor aveva avuto almeno un vantaggio: inverni freddi sì, ma mai così lunghi e tanto rigidi.

 

I rigori – da che mondo era mondo – avevano sempre avuto come compagni i malanni di stagione: morbi transitori come geloni, tossi, raffreddori e febbri.

E Merlin, in qualità di assistente del medico di corte, aveva curato un’infinità di persone, restando eccezionalmente sano, pur essendo rimasto a contatto con le più disparate indisposizioni.

Arthur diceva sempre che il suo servo era così sciocco che pure le malattie – per dignità – evitavano di avere a che fare con lui.

 

Poi, una mattina di fine febbraio, quando ormai il disgelo era alle porte e l’ultima epidemia di febbri era stata debellata da quasi una luna, Arthur non fu svegliato – come sempre – dal suo valletto, ma da uno degli altri servitori del palazzo.

Con un inchino deferente, il giovane Malcom lo avvisò che Merlin era indisposto e che lo avrebbe sostituito nell’assolvere ai suoi doveri.

 

Indisposto, un accidente!, aveva considerato il re, arpionando una salsiccia con troppa foga, dopo essersi fatto aiutare nel vestirsi per partecipare ad una riunione del Consiglio.

 

Aveva congedato definitivamente il servo, chiarendogli che non sarebbero stato richiesti ulteriori servigi. Poi fece mente locale di preparare una bella ramanzina per quello scansafatiche.

D’accordo, forse la battuta di caccia del dì addietro non era stata la scelta più azzeccata, ma fingersi malato per ripicca gli sembrava un tantino puerile e Merlin avrebbe dovuto fare i conti con lui!

 

Fu così che, dopo un interminabile, noiosissimo incontro con i Nobili Consiglieri, re Pendragon – anziché tornare nei propri appartamenti per pranzare – deviò verso la torre che ospitava il cerusico reale e il suo maldestro assistente magico.

 

Merlin sapeva fingere bene, considerò, sentendolo tossire – non appena varcata la soglia dell’ambulatorio – fin dalla sua stanzetta. O forse no, si corresse, con un rigurgito di sensi di colpa, allorché raggiunse il suo valletto incosciente, febbricitante e visibilmente malandato.

 

“Merlin, ma cosa…?” Si ritrovò a dire, incredulo, sfiorandogli la fronte bollente.

 

“È un morbo influenzale piuttosto aggressivo”, gli rispose Gaius, comparendogli alle spalle a tradimento, facendolo sussultare.

 

Il vecchio ebbe il buon cuore di non infierire, mentre posava una bacinella colma d’acqua e delle bende intrise che poi adagiò sulla pelle rovente del suo figlioccio.

 

“È… lui… voglio dire… non è niente di serio, vero?” domandò allora il monarca, mentre lo stomaco gli si torceva per l’ansia.

 

“La sua vita non è in pericolo, se è ciò che temete. Ma credo ci vorrà una settimana perché raggiunga il culmine e possa guarire”.

 

Arthur si limitò ad annuire, segno che aveva inteso.

“C’è qualcosa che posso fare per lui?”

 

“Forse avreste dovuto impedirgli un’infreddatura ieri pomeriggio”, spiegò il vecchio medico, nella sua voce pacata c’era tutto il suo austero rimprovero. “Ma oramai è tardi per pentirsene”, lo scagionò poi, con senso pratico. “Ad ogni modo sì, Sire, c’è qualcosa che potete – anzi, che dovete, fare: rimanetegli lontano. Ho ragione di credere che la sua febbre potrebbe essere contagiosa e non potete ammalarvi anche voi, soprattutto non ora, con la delegazione di Mercia in arrivo domani…”

 

Arthur comprese le parole infuse di buonsenso dell’anziano archiatra, tuttavia il suo cuore gli diceva che il suo posto era lì, lì con l’idiota che amava.

 

Eppure, essere il re gli ricordava ogni giorno che le scelte che compiva – il più delle volte – non erano quello che voleva fare, ma quello che andava fatto.

 

“Potrei avere qualche istante con lui?”

 

Gaius accondiscese, uscendo da lì, chiudendo silenziosamente la porta dietro di sé.

 

Il nobile sospirò, sedendosi sul piccolo sgabello davanti al letto.

“Servo inutile e idiota, che mi combini?” soffiò poi, sottovoce, per non disturbare il sonno agitato del mago.

Con mano leggera, gli carezzò uno zigomo appuntito, infondendo in quel gesto d’affetto tutto l’amore che in quel momento non poteva dimostrargli.

“Cerca di rimetterti in fretta, d’accordo? Ho già licenziato Malcom, quindi non c’è nessuno a pulire le mie camere, a lavare i miei abiti, a lucidare la mia armatura… Chi credi mi scriverà il discorso che devo fare domani al re di Mercia?

Arthur afferrò il panno intiepidito e lo intinse nuovamente nell’acqua fresca per dargli sollievo.

“Il mago più potente al mondo… ridotto ad uno straccio! Dov’è la tua magia quando serve?!” lo pungolò, per spronarlo a reagire e non per infierire sulla sua condizione. “Non importa quale astruso incanto devi adoperare… Ti rivoglio al mio fianco, intesi? Se non ti fosse chiaro, ho bisogno di te”, gli confessò, chinandosi per sfiorargli le labbra con le proprie.

 

Fu un lieve bussare alla porta a farlo ricomporre, prima che Gaius apparisse avvisandolo che era richiesto da Geoffrey, lo scrivano di corte, per discutere sul trattato da presentare l’indomani.

 

Arthur lasciò la stanzetta a malincuore, sentendo già un piccolo vuoto dentro al petto.

 

 

***

 

 

L’ora del pranzo era passata da un bel po’, quando Arthur fece ritorno negli appartamenti reali.

Appena varcata la soglia, rammentò di non aver comandato ad alcun servo il proprio pasto né una sostituzione per i giorni a venire.

Grande fu il suo stupore, quindi, allorché vide il focolare ben avviato, il letto rifatto, le stanze riordinate e un fumante vassoio colmo di cibo pronto per essere divorato.

 

Ringraziando l’anima pia che aveva provveduto a ciò, si sedette a tavola, pronto a divorare il più gustoso cosciotto d’agnello della sua vita.

Dio, quanto gli era mancato questo sapore negli ultimi mesi!

 

Se Arthur fosse stato meno distratto dal succulento cibo, avrebbe capito che febbraio non rientrava ancora nella stagione giusta per sacrificare gli agnelli… e che, quindi, quel pasto aveva qualcosa di inusuale.

Ma a caval donato non si guardava in bocca, e Sua Maestà divorò con gusto ogni portata.

 

Fu solo verso la fine, quando cioè il suo stomaco era finalmente sazio, ch’egli s’accorse di qualche altra stranezza.

Nascosta sotto ad un canovaccio v’era la sua torta preferita, ancora tiepida, come appena sfornata.

Crostata di fragole, in febbraio? Ma come era poss-

Il rumore di un pezzo d’armatura che sbatteva contro il pavimento lo fece trasalire spaventato. Ma forse era solo un caso; chi l’aveva pulita in precedenza, poteva aver posizionato male alcune parti…

 

Tuttavia, un istante dopo, un altro suono metallico si ripeté, e successivamente l’anta del suo armadio cigolò sinistramente – anche se non vi erano correnti d’aria né finestre aperte – e… Buon Dio! Era il suo elmo, quello che stava rotolando sopra il tappeto?

 

“Chi va là!” strepitò, rovesciando nella foga lo scranno su cui era seduto, per impugnare una forchetta come arma e correre nella stanza attigua.

Arthur non era pronto a vedere ciò che si trovò davanti, ma probabilmente non lo era neppure lo spazzolone che, poverino, spaventato com’era dal suo urlo, tremava a mezz’aria come segno di resa.

 

Accanto ad esso, un gambale fluttuante faceva una specie di pomposo inchino e uno spallaccio roteava su se stesso, accarezzato da uno strofinaccio, e tutto il resto della sua armatura penzolava ovunque, nel bel mezzo di un’ipotetica pulizia.

 

“Ma che diamine succede?!” esclamò, sconcertato, e tutto cade a terra con un fragoroso tonfo.

 

Che… che ci fossero i fantasmi?, ipotizzò re Pendragon, grattandosi la nuca mentre scrutava guardingo i pezzi ora immobili. No, doveva esserci di mezzo Merlin. In qualche modo. Anche se non sapeva come, visto che, poco fa, versava incosciente a letto.

 

Arthur rilasciò un lungo sospiro.

“Ehm…” ritentò, valutando quale risultato avrebbe sortito. A quel punto, la vecchia spazzola si risollevò da terra, sembrando in ascolto.

 

“C’entrate qualcosa con la magia del mio servo?” tirò a indovinare, anche se parlare con un bruschino spelacchiato non rientrava esattamente fra i doveri di un re.

 

Lo spazzolone sembrò annuire, con un mezzo inchino deferente.

 

“È stato lui a comandare… a comandare tutto questo?” rifece, allargando le braccia per indicare la sistemazione della stanza.

 

Lo spazzolone fece un gesto ingarbugliato in risposta.

 

“Non riesco a capirti”, ammise il monarca, strofinandosi una tempia.

 

Fu allora che un grande bagliore illuminò l’ambiente, e dove un istante prima v’era il nulla, ora sostava una bellissima fanciulla, eterea ed evanescente come uno spirito – quello che probabilmente era – anche se vestita con gli stessi abiti del suo servo.

 

“E tu chi saresti?!” l’interrogò Arthur, incredulo. “E perché diamine sei abbigliata come Merl-” L’intuizione corretta gli venne d’istinto, perfettamente precisa pur nella sua completa follia. “Sei la magia di Merlin?!

 

La donna spirito annuì, con sguardo devoto e una riverenza autenticamente ossequiosa. E Arthur deglutì a vuoto.

L’unica volta in cui aveva veduto la magia del suo servo, questa si era materializzata come una sfera di luce incandescente, una palla pulsante davanti a Merlin, che gli aveva detto che quella era la sua forma più pura: energia impossibile da plasmare.

 

Ed ora eccolo lì, lo stesso Potere, ma con sembianze umane.

La cosa più sconcertante, però, era che, sotto sotto, Arthur sapeva che era vero. Da quel nucleo di forma umana poteva percepire lo stesso calore benevolo, lo stesso agglomerato di sentimenti positivi e amore incondizionato che percepiva stando accanto al suo compagno. Lo sentiva familiare.

 

“Sei qui per sostituirti al tuo padrone?” chiese quindi, e la magia storse il nasino in una smorfia infastidita.

 

“D’accordo, perdonami. Merlin non è il tuo padrone, siete un tutt’uno, vero?” riconsiderò, facendola sorridere e arrossire. “Tu sei parte di lui, come lui è parte di te…” le disse, ricordando le parole che tante volte aveva usato lo stregone, per spiegargli il suo dono.

“Ma non dovresti essere accanto a Merlin, per aiutarlo a guarire?” l’interrogò un momento dopo, pensieroso, ma la magia, ancora una volta, scosse il capo come diniego.

 

“Non puoi fare niente per lui?”

 

Di nuovo, ricevette un contrito no come risposta.

 

“Beh, d’accordo. Puoi… puoi restare qui, se vuoi…” le accordò. Perché – che diamine – cos’altro poteva dire?

 

La magia sorrise incantata e non perse tempo; con un bagliore molto più piccolo del primo, scomparve nel nulla. Un istante dopo, Arthur vide che tutti i pezzi dell’armatura si stavano pulendo e lucidando da sé, mentre un piumino spolverava le mensole e un ciocco di legna volava da solo verso il focolare.

Dalla cesta degli abiti lavati e stirati, in lenta processione, si levarono le sue camicie e i pantaloni, come soldati in marcia, diretti verso l’armadio.

Da dietro il paravento, il re poteva sentire lo strofinio della scopa contro il pavimento.

 

Beh, d’accordo. Che male poteva fare?

 

Si sedette allora alla propria scrivania, ad affrontare ciò che aveva evitato fino a quel momento: l’odioso discorso che non sapeva da che parte incominciare.

 

Per un po’ lasciò vagare lo sguardo sui tanti piccoli incantesimi che scorrazzavano davanti a lui, dando loro la colpa per la sua mancanza di concentrazione, ma poi, con spirito di sacrificio, decise di concentrarsi per buttare giù almeno qualche riga decente.

 

 

***

 

 

Un’intera veglia dopo, e un’infinità di fogli cestinati a terra, Arthur stava ancora a rosicchiare la punta della sua penna d’oca, rimpiangendo la mancanza del suo scudiero.

Merlin poteva essere un pasticcione su mille cose, ma il re doveva riconoscere che i discorsi che il suo valletto gli scriveva lo avevano salvato da un sacco di figuracce.

 

Oh, e come avrebbe fatto, adesso?

Persino la magia pareva averlo abbandonato, perché da almeno due tacche di candela non si udiva più nessun suono o nessuno spostamento soprannaturale.

Arthur era praticamente certo di essere rimasto solo. Solo con i propri crucci.

 

Ma proprio quando stava per cedere, sbattendo la fronte contro il legno del tavolo, si accorse della penna accanto alla sua mano, che si muoveva da sola, scivolando con maestria sulla pergamena, senza neppure una sbavatura.

 

Arthur rimase affascinato da quel movimento sinuoso, dal lieve grattare della punta contro la carta ruvida e, quando sbatté le palpebre, s’accorse che era passato un terzo di veglia. Il documento vergato restava lì, davanti a lui, l’inchiostro pronto ad asciugare.

 

Dopo averlo letto – e, caspita, era a dir poco perfetto! – lasciò un sentito ringraziamento alla magia, anche se non sapeva dove indirizzare esattamente la sua riconoscenza.

 

Poi, giusto mentre stava considerando di andare a vedere come stesse Merlin, arrivò Gwen, inviata dall’archiatra reale, per un aggiornamento sulle sue condizioni. Ah, quella vecchia volpe di Gaius…

 

Purtroppo, Sua Maestà dovette reprimere il desiderio di rivedere l’altra metà della sua medaglia e fu costretto ad accontentarsi di sapere che, nel complesso, la situazione rimaneva invariata.

Arthur ringraziò Guinevere per lo zelante ragguaglio e per la premura con cui lei aveva predisposto la sua cena: la serva si era infatti presentata sull’uscio degli appartamenti reali con tanto di vassoio colmo di ogni prelibatezza, che il sovrano, in realtà, una volta rimasto solo, spiluccò appena.

 

I pasti serali erano un momento di pace che lui e Merlin avevano imparato a condividere da tempo; quando non era richiesta la loro presenza ai banchetti, godevano della quiete del tramonto e di una porzione divisa a metà, rubandosi il cibo o imboccandosi a vicenda.

Poi, pigri e sazi, chiacchieravano di tutto e di niente fino all’ora di coricarsi e si sarebbero amati mentre la luna faceva il suo percorso in cielo.

 

Arthur sospirò tristemente. Sarebbe stata una lunga notte solitaria…

Quindi raccattò un po’ di energia per dirigersi nel corridoio esterno e comandare alla guardia di turno di reperire un servo e una tinozza da riempire per il suo bagno. Forse rimanere in ammollo l’avrebbe rilassato un po’.

 

Sua Maestà non fece neppure in tempo a formulare pienamente quel pensiero, che la magia di Merlin comparve, ancora una volta dal nulla, con uno sguardo adorante e un inchino servizievole.

Ma allora… come mai Merlin era sempre stato così irriverente e screanzato?, si domandò d’istinto.

 

Con un battito di mani, tre paia di secchi d’acqua fumante comparvero all’istante e, da soli, si diressero verso la tinozza oltre il paravento, rovesciandosi in essa con fragoroso scrosciare.

 

Arthur osservò la magia rimboccarsi le maniche della tunica evanescente e muovere le lunghe dita esili in direzione dello strofinaccio con cui, solitamente, Merlin gli lavava la schiena. Il pezzo di stoffa raggiunse ubbidiente le mani incantate.

 

“Ehm… Lo apprezzo davvero, e… e non intendo mancarti di rispetto… Ma non mi sento a mio agio con una serva, e…

 

Ancora una volta, il re non riuscì nemmeno a terminare la frase, che la magia cambiò aspetto, diventando un giovane servo aitante, ma assolutamente diverso da Merlin sotto ogni foggia, tranne che per i vestiti.

 

D’accordo, dovette ammettere, forse non era tanto la questione femminile a turbarlo, quanto più il fatto che fosse qualcun altro, e non Merlin, a mettergli le mani addosso. Il bagno era diventato qualcosa di intimo per loro, e…

 

…E come avrebbe fatto a deludere la magia del suo stregone, dopo tanta abnegazione e sollecitudine che stava dimostrando nei suoi confronti?

 

Merlin non gli diceva sempre che il suo Dono aveva un debole per lui?

 

Non volendo contrariarlo, Arthur fece un cenno assertivo del capo verso il valletto soprannaturale, ma per buona misura andò a spogliarsi dietro il divisorio e, solo una volta che fu in ammollo – l’acqua era deliziosamente perfetta, d’accordo –, gli diede il permesso di comparire.

 

 

***

 

 

Magia aveva delle mani fantastiche.

Re Pendragon represse a stento un gemito di piacere per come i suoi muscoli stanchi venivano sciolti con lenti, meravigliosi massaggi. Il suo collo e le spalle sembravano ringiovaniti di un secolo almeno e il Dono del suo stregone pareva sapere esattamente quali punti premere e le zone da trattare.

Forse aveva memorizzato questo particolare spiando Merlin, ma… al diavolo! Per un trattamento così, avrebbe perdonato a Magia qualunque cosa…

 

E poi l’acqua rimaneva gradevolmente al punto giusto, senza raffreddarsi mai.

E lui si stava appisolando, lì, in ammollo. Poteva rimanere così per sempre…

 

Fu proprio quando considerò di assopirsi un pochino, che il suo valletto magico smise la manipolazione e gli porse un telo con cui doveva coprirsi.

Poi, con un inchino riverente, si smaterializzò da lui e Sua Maestà, tutto sommato, fu felice di quella garbata gentilezza.

 

Probabilmente Magia si era congedata per la notte, pensò (domandandosi quando aveva iniziato a chiamarla con un nome proprio nella sua testa), vedendo gli abiti per dormire ben disposti davanti al suo armadio.

Arthur si prese il tempo di asciugarsi con cura, rivestendosi pigramente, perché non c’era nessuna testaccia dura ad aspettarlo nudo nel letto a baldacchino.

Successivamente deviò verso il tavolo e si versò un generoso calice di vino speziato per conciliarsi il sonno e si diresse, scalzo, verso lo scranno imbottito.

 

Per poco non rovesciò la coppa, tale era il suo stupore.

Re Pendragon non si aspettava proprio ciò che vide: un grosso gatto evanescente era addormentato sul tappeto davanti al fuoco del camino.

Arthur sorrise intenerito. Anche Merlin si accoccolava sempre su quel punto per leggere i suoi libri di incantesimi.

 

Lentamente, per non destarlo, il sovrano si accomodò al suo fianco, lasciandosi affascinare dalle braci roventi e dalle lingue di fuoco che danzavano seducenti dinanzi a lui.

Le fusa di Magia gli giunsero inattese, ma non sgradite. Non si era neppure accorto del fatto che le stava accarezzando il pelo folto della schiena… Ma concentrandosi, si meravigliò di quando fosse morbido e setoso.

 

“Non pensi che sia ora di andare a letto?” domandò ad un certo punto, forse retoricamente.

Da un lato, non si aspettava di ricevere una vera risposta, tuttavia… era un essere senziente quello che gli sostava accanto, quindi non era da escludere.

Nelle veglie precedenti, benché muta, Magia era riuscita a comunicare con lui, perciò il cavaliere non sapeva cosa aspettarsi.

 

I mugolii d’apprezzamento del gatto crebbero di intensità e Arthur si sentì in dovere di grattargli dietro le orecchie, indugiando per qualche momento ancora, e poi – quasi di colpo – il suono cessò.

Il felino si risollevò dal comodo giaciglio, stiracchiandosi indolente. Gli si strusciò addosso con gratitudine e poi fece qualche passo per distanziarsi e si sedette sulle zampe posteriori, fissando il monarca in attesa.

 

Anche il nobile lo imitò, rialzandosi dal pavimento per sgusciare sotto alle coltri del suo letto, sbadigliando.

L’ora in cui di solito si coricava era passata da un bel po’, senza che lui se ne rendesse conto.

E tutto questo perché Magia l’aveva distratto.

L’aveva fatto per tenergli compagnia?

 

Forse si era trasformata in animale per apparirgli meno invadente, e il re si sentì scaldare il cuore per quella delicata gentilezza.

Stava per invitarla a rimanere lì, al calduccio, quando il pensiero del suo compagno, solo e sofferente, lo fece rabbuiare.

 

“Devi andare da Merlin”, le disse. Non era una domanda o un comando. Era una semplice constatazione.

 

Meoww…” ribatté il gatto magico, dopo essersi leccato il pelo con dovizia.

 

“Vorrei essere lì con lui, ma non posso”, gli spiegò. “Potresti vegliarlo per me?”

 

Meoww…” replicò Magia, spiccando un balzo verso il letto.

Come il grosso felino si acciambellò a lato del re, il suo mantello si mise a brillare e una sfera di luce dorata si separò dal corpo soprannaturale dirigendosi verso la porta e oltrepassando il legno magicamente.

 

“Grazie”, le disse il nobile, accarezzandola un’ultima volta, prima di soffiare sull’unica candela accesa.

 

Meo”, rispose infine lei, traghettandolo nel mondo dei sogni…

 

 

Continua...

 

 

 

Disclaimer: I personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

 

Ringraziamenti: Un abbraccio alla mia kohai che subisce le mie paranoie. X°D

E a Laura, che si sciroppa le anteprime con un entusiasmo che mi commuove.

Note: Oh, d’accordo. Penso l’abbiate capito: Magia è fondamentalmente una merthur fangirl. ^_=

 

Non starò ad ammorbarvi sui cicli di accoppiamento delle pecore. Posso dirvi però che mi sono documentata e a febbraio di solito non ci sono agnelli.  XD

 

La parte in cui Magia pulisce le camere e l’armamentario di Arthur, rimanendo invisibile, è un chiaro omaggio a “Fantasia” della Disney e alla “Spada nella roccia”.

 

Dal telefilm, sappiamo che è Merlin a scrivere i discorsi di Arthur, da quando questi è diventato re.

 

Come detto nel capitolo, ad un certo punto ‘la magia’ è diventata ‘Magia’, perché Arthur si rivolge a lei come se questo fosse il suo nome proprio.

 

 

Anticipazione del prossimo capitolo:

 

Arthur osservò, impotente, i rapaci girare in tondo in cielo, liberi di cavalcare le correnti d’aria e di gridare la loro stridula felicità, e pregò qualunque divinità in ascolto affinché Cenred non si accorgesse del piccolo ricordino che era atterrato, con assoluta precisione, sulla sua testa.

In alternativa, andava anche bene che non capisse – o non immaginasse – che la colpa era di Magia, perché Merlin sarebbe morto di crepacuore, vedendola impagliata come trofeo dentro al maniero del re di Mercia.

 

Re Pendragon cercò di distogliere gli occhi dal guano che gocciolava tra i capelli del sovrano davanti a lui, e sperò ardentemente che nessuno avrebbe osato fiatare sull’argomento.

 

Giusto in quel mentre, Magia planò in picchiata, afferrando con gli artigli ferali una piccola lepre selvatica, uccidendola, per poi portargliela in dono.

Arthur, suo malgrado, accettò l’offerta e le accarezzò il capo, facendole arruffare le piume di soddisfazione, sotto lo sguardo seccato dell’altro regnante.

 

 

Avviso di servizio (per chi segue le altre mie storie): Qualche giorno fa, ho postato una flash-fic spoiler 5x13 The morning after(ed eventuali pareri sarebbero apprezzati).

 

 


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