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Autore: Rusty 93    09/09/2014    1 recensioni
Dopo aver visto diversi film con Carlyle, dopo aver sbirciato un po’ la sua biografia e dopo aver scoperto dell’esistenza dei Robelie... In sostanza ho messo tutto in un grosso calderone e ne ho fatto un minestrone-fiction(Lol ). Buona lettura.
Genere: Angst, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Emilie de Ravin, Robert Carlyle
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
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glasgow

Caratteristiche: AU/crossover molto intricata e delirante [Robelie/Rumbelle] ambientata nel mondo moderno, senza magia.

Personaggi: Un giovane Robert Carlyle interpetra Robert Gold; Emilie De Ravin interpetra Emilie Belle French; Il padre di Robert è logicamente, Stephen Lord (Non Robbie Kay! xD); Il padre di Emilie è quello che fa re Maurice (non so come si chiami l’attore e non mi interessa).

Note d’autore: Dopo aver visto diversi film con Carlyle, dopo aver sbirciato un po’ la sua biografia e dopo aver scoperto dell’esistenza dei Robelie... In sostanza ho messo tutto in un grosso calderone e ne ho fatto un minestrone-fiction(Lol ). Buona lettura.

 

 Glasgow

Amore e abbandono sono due esperienze così fortemente collegate da essere quasi indistinguibili: non puoi sentire la forza dell’abbandono se non sai cosa sia l’amore.

Nel mio caso, sembra che mi sia stata insegnata la forza dell’amore solo per farmi sperimentare l’attimo seguente, l’esperienza dell’abbandono. Questa è la prima cosa che dovete sapere di me: ho 20 anni ma ho già visto abbastanza della vita da bastarmi per il resto della mia fottuta esistenza.

A proposito, mi presento: mi chiamo Robert Gold, ho 20 anni, faccio un lavoro che odio e sono nato a Glasgow, in Scozia, una trappola per topi dalla quale credo che non riuscirò mai a scappare.

Al momento vivo ancora con mio padre che fa l’imbianchino e mi ha preso con sé a lavorare. Certe volte penso che non ho ancora mandato tutto a puttane solo perché se lo facessi, gli darei un dispiacere troppo grande. Ma a parte mio padre, odio tutto: odio questa schifosa città, inquinata e in rovina, odio la Scozia e gli Scozzesi ...e lo scotch mi fa schifo. Odio il mio corpo troppo, magro e basso, la mia faccia troppo comune, la mia miseria e le cose che sono costretto a fare per sopravvivere alla miseria... tipo aiutare mio padre a dipingere le case della Glasgow -Bene.

E poi odio l’amore e chi si concede all’amore convinto che sia la sola cosa per cui valga la pena vivere: questa è solo una gran cazzata per romantici. L’amore è solo il preludio scintillante di sofferenza ed abbandono e fidatevi di ciò che dico: io sono figlio dell’abbandono, mia madre mi ha abbandonato quando avevo 4 anni.

“Robert! Svegliati e alzati dal quel cazzo di letto, prima che venga a tirarti giù a calci.” Questo è mio padre.

Per l’ennesima volta, non ho sentito la sveglia. Guardo l’orologio: sono le 6 e 10. Dio, quanto la odio questa fottuta vita. Do un calcio alle coperte e mi trascino fuori dal letto con una lentezza impressionante perfino per me.

Guardo fuori dalla finestra: è nuvoloso e sembra che stia per piovere... ma questa è solo Glasgow, amici: asfalto e cielo grigio sono inclusi nel prezzo.

Appena arrivo in cucina, mio padre inizia a darmi ordini: “Muoviti ragazzo, siamo già in ritardo! Cambiati e mangia qualcosa, mentre io carico il camion.”

Mangio una merendina e bevo un po’ di caffè, mentre mi do un occhiata allo specchio: l’unica cosa positiva del fare l’imbianchino è che ho messo su un po’ di muscoli negli ultimi mesi. Gonfio i bicipiti e provo a darmi un’aria da duro... Niente da fare, il risultato complessivo è ancora misero.

Mi cambio con gli abiti da lavoro e poi esco: mio padre mi sta già aspettando e scalda il motore della macchina, mentre si fuma la prima sigaretta della giornata.

“Hallelujah! Cristo, un giorno di questi mi farai perdere qualche lavoro, con i tuoi fottuti ritardi.”

“Siamo dei cazzo di imbianchini ‘pà... nessuno se ne accorge se arriviamo dieci minuti in ritardo.” Rispondo sbuffando.

“E invece no, ragazzo! Quegli stronzi spilorci della Glasgow-Bene non aspettano altro se non pagarmi un lavoro la metà di quello che dovrebbero... e ti assicuro che gli basta una qualunque scusa. Quindi vedi di rimetterti in riga, o la prossima volta che ti svegli tardi, ti riduco la paga.”

Io a mala pena lo ascolto, sono molto più interessato a osservare le strade deserte dal finestrino. Insomma, interessato è una parola grossa, ma tutto è meglio che sentire mio padre che mi ripete le stesse cose per l’ennesima volta. Lui si incazza ancora di più, accende la radio e fino alla fine del viaggio, nessuno dei due parla.

Sono quasi le 7 e mezza quando arriviamo a destinazione: una tranquilla cittadina sulla costa alla periferia di Glasgow. Qui il cielo sembra meno triste e plumbeo, ma probabilmente è solo una mia impressione. Il cliente di oggi abita nel classico villino bianco con annesso prato ...così curato e perfetto, che sembra una fottuta moquette verde.

“Apri il bagagliaio e porta dentro i campioni di vernice, i giornali e il nastro adesivo... intanto io parlo col cliente.”  Mi dice mentre scendiamo dall’auto.

Io annuisco e mentre apro il portabagagli, tiro fuori una sigaretta e me la infilo in bocca. Inizio a portare la prima cassa di cose ed entro nella tana del lupo.

Mio padre e il padrone di casa(un uomo stempiato, di altezza media ma grasso come un tricheco), stanno parlando in corridoio. Mi sentono e si voltano verso di me.

“D-ve li mett-, sign-re?” Ho ancora la sigaretta spenta fra le labbra e il cliente sembra non capire quello che dico, ma mio padre indica qualcosa alle sue spalle: “Nella biblioteca ragazzo, è la prima porta a sinistra. Appoggia tutto e poi portami il catalogo dei colori.”

Entro nella stanza indicata, un posto che sembra tutto meno che una biblioteca: è una stanza semiovale vuota e con le pareti ingiallite. Sulla destra noto una poltrona coperta con un vecchio lenzuolo, e quattro grossi scatoloni. Appoggio la cassa e afferro il catalogo.

Mio padre lo prende dalle mie mani senza neanche degnarmi di uno sguardo: è sempre così quando è occupato a lisciarsi per bene i clienti con tutte le sue balle. Mio padre è uno stronzo, manipolatore e disonesto... ma non mi lamento finché questo gli permette di guadagnare qualche sterlina in più.

Torno alla macchina e prendo la scala pieghevole portandola sotto braccio. E’ molto lunga, quindi devo fare un po’ di manovre per essere sicuro di arrivare a destinazione senza sbattere contro i muri del corridoio.

Sono quasi arrivato nella biblioteca, quando senza alcun preavviso, sento sbattere forte qualcosa contro la scala. Il fracasso che ne segue è da pazzi: sento un tonfo, un rumore di vetri infranti e un “Ahia!” di una voce femminile. Il tutto avviene alle mie spalle, quindi non ho una sola dannata idea di cosa stia succedendo, anche se direi che qualcuno è decisamente andato a sbattere contro la mia scala... Oh, cazzo! Sta a vedere che ho ucciso il cliente con la scala... papà questa volta mi ammazza di sicuro.

Appoggio la scala al muro del corridoio e mi volto: una ragazza dai lunghi capelli bruni si sta rialzando in mezzo ad una marea di vetri rotti.

“Ti sei fatta male?” Mentre le pongo la domanda, non posso fare a meno di dare una sbirciata alle belle gambe snelle e non troppo lunghe, che si scorgono da sotto la gonna... porta una divisa blu scuro di un college che non conosco.

Lei alza lo sguardo verso di me “Io sto bene, ma il vaso...” Guarda mesta verso i vetri rotti e io noto che per terra ci sono anche dell’acqua ed un paio di rose.

Lei fa per rialzarsi ma nel farlo, poggia una mano a terra e si taglia con un vetro “Ahi!”

Bene allora, ricapitolando, non sono neanche le otto di mattina e mio padre avrà già di che incolparmi per un mese: sono un ritardatario, ho rotto il vaso(speriamo che non fosse prezioso) di un cliente e la figlia bella e un po’ incapace dello  stesso cliente, si è appena tagliata una mano per colpa mia... O meglio, in realtà non è colpa mia, ma papà dirà comunque così.

“Aspetta, ti aiuto.” Le porgo una mano e l’aiuto a rialzarsi.

“Grazie! Tu sei l’imbianchino?”

“Sono il suo aiutante...”

“Ah ecco, mi sembravi un po’ troppo giovane!” mi sorride.

Io non so cosa rispondere, non sono molto abituato alle conversazioni educate e ho un po’ paura che mi scappi qualche parolaccia, se apro bocca più del necessario. Mi limito a fissarla come un ebete ed intanto, noto che hai dei grandi e stupendi occhi blu, con delle scaglie azzurre verso il centro dell’occhio. “Hem, io sono Emilie, ti stringerei la mano ma ecco, non vorrei sporcarti...” dice guardandosi la mano insanguinata.

Sembra imbarazzata, ma non so se è per il mio silenzio ostinato o per l’incidente di poco fa.

Miracolosamente, riesco a formulare una frase di senso compiuto “Non fa niente.”

Lei mi osserva perplessa, senza capire “Per cosa?”

“Per... per la stretta di mano. Nessuno me la stringe mai, quindi non è un problema.”

In quel momento arrivano il cliente e mio padre.

“Emilie! Che accidenti hai combinato questa volta?” L’uomo-tricheco guarda i vetri rotti e poi vede la mano insanguinata della ragazza “Ti sei fatta male?”

“Non è nulla di grave papà, sono solo caduta.”

Mentre quello stupendo quadretto famigliare continua come in una pubblicità dei fottuti cerotti per bambini (o qualcosa del genere, comunque), mio padre mi guarda male.

“Che accidenti ai combinato ragazzo? E perché la scala è qui, in mezzo al corridoio?”

“Stavo aiutando Emilie...”

“Si certo, come no... Lo so io cosa stavi facendo. Ora prendi la scala e mettiti al lavoro mentre io mischio i colori.”

Entriamo in biblioteca e lui mi scruta torvo “Ricordi cosa ti ho detto l’ultima volta? Non azzardarti filtrare con le figlie dei clienti se prima non hai finito di lavorare, intesi?”

Già, certo, papà... peccato che io non stessi per niente filtrando, ma è lei che mi è venuta praticamente addosso. “Intesi...” Mugugno cupo mentre sistemo la scala.

 *

*

*

Note d’autore sulla storia: allora, l’ho scritta un po’ in fretta quindi spero veramente si capisca tutto.
Visto che è un vero minestrone di cose, volevo chiarire con voi cos’è fantasia e quali sono le informazioni documentate... Biografia di Robert Carlyle: 1. È nato a Glasgow; 2. La madre se ne è andata di casa quando lui aveva 4 anni; 3. Il padre faceva l’imbianchino o una cosa simile; 4. Robert ha lavorato con suo padre fino all’età di 21 anni, quando poi si è iscritto a scuola di recitazione.

Note d’autore personali: si, sono ancora viva. Si, ho cancellato tutte le mie storie precedenti.
Sono tornata per il semplice motivo che è impossibile smettere con una dipendenza da internet da un giorno all’altro e stavo in parole povere, dando di matto. Però ricomincio da zero, tabula rasa: nuove storie, nuovo atteggiamento e riduzione graduale (e obbligatoria) delle ore che passo davanti al pc. Posso farcela. Sconfiggerò questo mostro, continuando intanto a fare quello che amo... cioè continuando a scrivere. Lo so probabilmente non vi interessava sapere queste cose, ma almeno così fugo ogni dubbio, facendovi capire chiaramente che sono pazza. ^_^"

  
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