Libri > Percy Jackson
Ricorda la storia  |      
Autore: PaneBianco    10/09/2014    4 recensioni
[Jeyna! Perchè ce ne sono troppo poche] [Future! After Blood of Olympus]
—Voglio che tu me lo dica ora. Senza giri di parole, senza blocchi, senza che tu ti nasconda dietro la tua maschera di coraggio. Voglio sentirti pronunciare quelle parole, Reyna Avila Ramìrez-Arellano.—
Lei deglutì. Nessuno la chiamava mai in quel modo e, soprattutto, nessuno le aveva mai chiesto di non essere forte, di non essere un capo che mette da parte i suoi sentimenti per il bene comune. Lui le stava chiedendo questo. Voleva che lei pronunciasse quelle parole, che si rendesse vulnerabile, che esprimesse i suoi sentimenti con naturalezza. Senza pensare alla reazione, alle conseguenze, agli altri. Solo a quello che provava.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jason Grace, Reyna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
Regina


—Che ci fai qui?!—
Il vento le sferzava tra i capelli scuri, sparpagliandoli intorno al viso. Nascondendo il suo viso. Il cappuccio della giacca tirato sopra la testa celava nell’ombra i suoi occhi. Rimase in silenzio.
Indossava dei jeans logori e strappati in alcuni punti. Potevano sembrare jeans all’ultima moda, ma in realtà era stata un empusai a farle quei graffi sui pantaloni. Memoria dell’ultima missione.
Sotto la giacca nera indossava una t-shirt verde prato, bagnata sui bordi. Nessuno sarebbe riuscito a riconoscerla.
Eppure, appena l’uomo aveva aperto la porta di casa, l’aveva riconosciuta con una facilità incredibile. Forse era il suo modo di camminare, così fiero e coraggioso. Il modo in cui si strofinava le braccia contro il fianco quando era nervosa. Oppure il modo in cui chinava la testa quando stava pensando intensamente. Lei non lo sapeva.
Lui continuava a fissarla aspettando una risposta. A lei morirono le parole in gola.
—Se non hai niente da dire, allora addio.— sbottò chiudendosi la porta alle spalle.
Lei rimase a fissare lo zerbino della casa senza muoversi di un millimetro. Le lacrime cominciavano a spingere per uscire dai suoi occhi. Lei le cacciò indietro con forza e respirò profondamente.
Cominciò a piovere.
Continuava ad aprire e chiudere le mani freneticamente, mentre il suo respiro si fece sempre più accelerato; ma questo poteva sentirlo solo lei, perché da fuori sembrava solo una donna che si accingeva a bussare alla porta di una casa.
Bussò forte contro il legno e questo produsse un suono stranamente dolce. Quando aveva bussato la prima volta non ci aveva fatto caso.
L’uomo aprì la porta dopo qualche secondo.
—Ancora tu? Si può sapere cosa vuoi?— chiese gesticolando contro di lei.
La donna buttò indietro il cappuccio della giacca e i capelli le vennero spinti contro la schiena dal forte vento. Ora l’uomo poteva vedere chiaramente il suo viso.
Gli occhi neri luccicavano alla luce delle candele nell’ingresso. Venivano nascosti occasionalmente dalle lunghe ciglia intrecciate, come a celare quello che stava passando nella sua mente. La bocca socchiusa non lasciava trasparire alcuna emozione; una linea sottile come una spada e altrettanto tagliente. Sulla guancia destra una lunga cicatrice le solcava il viso dall’occhio fino al mento. Era lì da poco, qualche settimana, ma il gonfiore e il colore violaceo non accennavano a diminuire.
Lo sguardo dell’uomo si fermò sulla sua cicatrice, passando dall’essere seccato a perplesso.
—Che ti sei fatta?— chiese con sincero stupore.
Lei ignorò la domanda con un gesto noncurante della mano e si fermò qualche secondo a fissare l’uomo che aveva davanti. A cercare sul suo viso se era rimasto qualcosa del suo passato che poteva riconoscere. I capelli biondi erano più lunghi di quando era ragazzo ed ora stavano perfettamente a posto sulla sua testa; non erano spettinati o tagliati male: erano perfetti. Gli occhi erano di un blu molto più scuro dell’ultima volta che li aveva visti e sembravano appannati, come se la guardassero da dietro un velo. La cicatrice sul labbro ormai non si vedeva quasi più.
Era cresciuto dall’ultima volta. Le spalle si erano allargate ed aveva aumentato la massa muscolare, anche se aveva sempre le stesse gambe secche.
—Posso entrare?— sussurrò la donna con voce seria, come quando dava un ordine.
L’uomo, invece di spostarsi per farla passare, chiuse la porta alle sue spalle e si avvicinò al lei.
—No, Reyna. Parliamo qui, se proprio dobbiamo parlare. Lo sai che non ti ho mai perdonato.—
Quelle parole furono per lei una lama avvelenata dritta al cuore. Non riusciva a scrollarsi di dosso il senso di colpa, anche se lei non aveva colpa. Se lui avesse saputo…
Ma lei non riusciva a parlare. Le bruciava la gola e le girava la testa. Quelle parole l’avevano soffocata.
—L’ultima volta che ti ho vista— cominciò Jason —stavi scappando via dal Campo Mezzosangue. È stato dieci anni fa, alla fine della guerra con Gea. Eravamo nel mezzo del combattimento e io non vedevo altro che mostri da ogni parte. Quel giorno ne avevo uccisi così tanti che mi sentivo quasi male al solo pensiero. A un certo punto ho visto te che combattevi contro delle chimere. Vidi Piper che combattevo lì vicino contro altri mostri. Venni tramortito dalla spada di un gigante e rimasi svenuto per qualche minuto. Quando rinvenni vidi Piper accasciata al suolo in una pozza di sangue e tu che correvi via.— prese fiato dopo il suo lungo monologo.
La donna, ora, guardava verso l’orizzonte, persa nei propri pensieri, nei propri ricordi di quel fatidico giorno.
—Tu non ti sei fermata neanche un secondo per aiutarla. Non ti sei neanche preoccupata di controllare se stava bene. Finita la guerra ha passato due mesi in ospedale, tra trasfusioni e punti di sutura. Ha rischiato di perdere l’uso della mano destra e aveva perso talmente tanto sangue che ha rischiato di morire dissanguata! Se tu ti fossi fermata anche solo qualche minuto per aiutarla a fasciare le ferite, tutto questo non sarebbe successo. Mi stai ascoltando?!— urlò Jason, prendendo Reyna per la giacca. Lei non oppose resistenza e si lasciò cadere per terra.
Rimase seduta sul pavimento senza proferire parola, lasciando che le parole di fuoco dell’uomo le scivolassero addosso come acqua. Lui non sapeva niente.
—Ho fatto quello che un pretore di una legione avrebbe fatto.— disse lei in un sussurro appena udibile, mentre si alzava di nuovo in piedi.
—E cioè lasciando una ragazza ferita in una pozza di sangue?—
Lui la guardò negli occhi, sostenendo quella tristezza che aleggiava nello sguardo di lei.
—No,—rispose lei, continuando a guardarlo —uccidendo l’ultimo gigante con le forze che mi rimanevano, ponendo fine alla guerra.—
Lui non rispose, e che cosa avrebbe dovuto rispondere? Aprì la porta di casa e le fece segno di entrare. Lei varcò la soglia e si ritrovò in un piccolo salottino in stile Cherokee. Le pareti di legno, I lampadari di metallo, fiori alle finestre e scaccia sogni dappertutto. Il lampadario mandava fulmini e saette, mentre un soffice divano color legno riempiva gran parte della stanza.
—Piper non c’è.— borbottò lui sedendosi sul divano.
Lei rimase in piedi.
—Lo so.—
Lui le rivolse uno sguardo interrogativo.
—Sono venuta quando ero certa di trovarti solo.—
—Ci hai spiato?—
—Annabeth mi ha detto che stasera usciva con Piper.—
Jason si rilassò sul divano e continuò a guardarla.
—Quando Piper venne ferita,— cominciò lei —avevo già ucciso tutte e tre le chimere e il mostro che la inseguiva. Le diedi un’occhiata veloce per assicurarmi che non fosse in pericolo di vita e, anche se perdeva molto sangue, capii che ce l’avrebbe fatta con qualche trasfusione e un po’ di nettare e ambrosia. Intorno a noi la battaglia imperversava ancora. Ti vidi uccidere un gigante e vidi Percy ucciderne un altro. Secondo i miei calcoli ne doveva essere rimasto solo uno. E in quel momento ci travolse. L’ultimo gigante era già ferito e perdeva sangue dal petto. Non ci misi molto a ucciderlo…—
—E poi? Perché non sei tornata da Piper? Perché sei scappata via? Ha rischiato di perdere l’uso della mano! Ha rischiato di morire!— tentò di dire lui, gridando contro di lei.
—IO L’HO PERSA PER DAVVERO UNA MANO!—
L’aveva detto. Aveva finalmente detto a qualcuno il suo segreto che teneva nascosto da dieci anni. Vide Jason deglutire e sentì ancora una volta le lacrime minacciare di uscire dei suoi occhi.
Tirò su la manica destra della giacca e slacciò il braccialetto di cuoio all’altezza del polso. La mano meccanica si sganciò dal suo braccio e rimase inerte nella sua mano sinistra. Sentiva ancora lo sfrigolio del meccanismo lungo tutto il braccio.
Fece un respiro profondo e continuò la sua versione del fatidico giorno.
—L’ultimo gigante mi tagliò la mano destra. Solo gli dei sanno come ho fatto ad ucciderlo ugualmente. Io stessa non ricordo come è successo. So solo che dopo che vidi il mio polso senza la mano, cercai di scappare. Raccolsi la mia mano tagliata e corsi via cercando di non farmi vedere da nessuno e, soprattutto, di non svenire. Inciampai tra i cespugli e trovai uno zaino con del nettare all’interno. Lo bevvi e la mia ferita cominciò a farmi meno male, ma la vista del mio polso e della mia mano insanguinata erano troppo. Seppellii la mano tagliata vicino a un fiume appena fuori dal Campo. Mi svegliai la mattina dopo con la ferita quasi completamente rimarginata, anche se il dolore continuava ad attanagliarmi. Pensai di essere svenuta la sera prima. Non sapevo dove andare. Non potevo tornare al Campo, non dopo che ero scappata via così. Non potevo neanche andare al Campo Giove: era troppo lontano e non volevo che i ragazzi vedessero il mio polso così. Andai in un ospedale mortale. Mi curarono il braccio e mi diedero una mano meccanica. Dissero che potevo continuare a fare una vita normale, ma la mano meccanica non valeva neanche la metà di una mano vera. Quando uscii dall’ospedale incontrai mia madre…—
—Hai incontrato Bellona?—
—Sì, anche se può sembrare strano. Mi disse che ero stata coraggiosa e che era fiera di me. Mi portò da Vulcano e lui fabbricò questa nuova mano per me. È come una vera mano, anche se ogni tanto devo pulirla o disinfettarla. Fu a quel punto che tornai al Campo Giove. Ormai avevano già eletto dei nuovi pretori, ma furono tutti colpiti vedendomi tornare dopo tanto tempo. Mi diedero una casa a Nuova Roma anche se non avevo completato tutti gli anni di servizio. Dissero che quelli che avevo fatto ne valevano almeno il triplo. Per qualche anno vissi tranquillamente con gli altri a Nuova Roma, ma al quarto anno mi stancai e cominciai ad accettare ancora delle missioni.
Man mano che passavano gli anni, tu mi venivi sempre in mente. Annabeth mi disse che avevano costruito delle case per i veterani del Campo Mezzosangue e che tu vivevi qui con Piper. Per altri tre anni cercai disperatamente di non pensare a te, ma avevo paura che tu ce l’avessi ancora con me perché avevo abbandonato Piper ferita…e infatti avevo ragione. Ho aspettato ancora qualche anno prima di venirti a trovare, perché continuavo a rimandare e avevo un sacco di missioni da portare a termine; l’ultima due settimane fa.— aggiunse indicando la ferita sulla guancia.
Jason continuava a fissarla con sguardo vacuo, come se stesse cercando il modo giusto per accettare quello che lei aveva appena detto. Dopo qualche minuto abbassò lo sguardo sulle sue mani. Non proferì parola. Se ne stava lì senza dire niente e Reyna non ce la faceva più ad aspettare. Aspettare che la perdonasse, aspettare che capisse, aspettare che accettasse, aspettare che la amasse…
—Se non hai niente da dire, allora io vado. È tardi e domattina ho una riunione con l’intera legione. Almeno ora sai la verità — e con questo si girò per andarsene.
—Aspetta! Reyna, mi dispiace.—
—Ti dispiace per cosa, esattamente?—
—Mi dispiace per tutto. Per aver pensato che avevi lasciato Piper a morire solo perché la odiavi, per aver pensato che eri una persona orribile, per non averti cercato prima, per averti fatto soffrire…per non aver capito prima il motivo per cui odiavi tanto Piper…—
—E ora lo sai, il motivo?—
Jason si era avvicinato sempre di più, senza smettere un secondo di guardarla negli occhi. Lei aveva incrociato le braccia al petto e lo aveva guardato con aria di sfida.
Lui le mise le mani sulle spalle e la guardò intensamente.
—Voglio che tu me lo dica ora. Senza giri di parole, senza blocchi, senza che tu ti nasconda dietro la tua maschera di coraggio. Voglio sentirti pronunciare quelle parole, Reyna Avila Ramìrez-Arellano.—
Lei deglutì. Nessuno la chiamava mai in quel modo e, soprattutto, nessuno le aveva mai chiesto di non essere forte, di non essere un capo che mette da parte i suoi sentimenti per il bene comune. Lui le stava chiedendo questo. Voleva che lei pronunciasse quelle parole, che si rendesse vulnerabile, che esprimesse i suoi sentimenti con naturalezza. Senza pensare alla reazione, alle conseguenze, agli altri. Solo a quello che provava.
—Io ti amo, figlio di Giove.—
Per la prima volta in quella sera, Jason Grace sorrise. I suoi occhi si schiarirono e ritornarono quelli di una volta, quelli che la guardavano durante una battaglia; prima che venisse rapito da Giunone. Un lieve rossore lo pervase sulle guance, risaltando ancora di più i suoi occhi; mentre un largo sorriso gli increspava le labbra. Reyna avrebbe potuto dire che aspettava da tempo quel momento, ma non era così. Si sentiva svuotata, stanca e pervasa dalla vergogna. Sentiva che le guance cominciavano ad andare a fuoco, ma non si dette la pena di pensarci. Il suo sguardo era tutto per Jason.
Lui appoggiò la sua fronte su quella di Reyna, continuando a guardarla con gli occhi che luccicavano.
—Io devo andare.— tentò di dire lei, ma, proprio in quel momento, Jason la baciò.
Improvvisamente si sentì andare a fuoco. Doveva essere così che Leo si sentiva sempre, pensò. La pressione sulle sue labbra non era lieve e questo le piacque ancora di più. Sembrava che Jason non l’aveva dimenticata, anzi, l’aveva aspettata. Le mani di lui le scivolarono sulla schiena, cercando di avvicinarla, ma in quel momento, un piccolo pensiero le inondò la mente. Si staccò delicatamente da lui, con ancora gli occhi chiusi e la bocca impregnata del suo sapore.
—E Piper?— sussurrò.
Jason trasalì.
—Sto baciando te e tu pensi a lei. Sei sempre la stessa, Reyna. Pensi prima agli altri, anche se li odi. Pensi che con le tue azioni potresti farle del male e così sopprimi i tuoi desideri. Ti amo, Reyna.—
Un brivido le percorse la schiena e sentì il suo corpo attratto da quello di lui. La testa le girava come quando veniva ferita in battaglia e cercava disperatamente di rialzarsi e mettere a fuoco il mondo intorno a lei. Prima che l’ultima scintilla di volontà fosse volata via, si costrinse a ripetere la frase appena detta.
—Piper?—
—Stiamo litigando molto in questo periodo e, in qualche modo, ci stiamo allontanando. La mia vita è diventata monotona e credo che anche il mio amore per lei stia cominciando a vacillare…anzi, ne sono certo. Sentivo che mi mancava qualcosa…— rispose tenendo ancora gli occhi chiusi e le mani sui suoi fianchi.
L’avvicinò di nuovo e, questa volta, lei gli mise la mano sinistra e il polso destro dietro al collo. La baciò di nuovo, come non aveva mai fatto, come nessuno aveva mai fatto. Sentiva le lacrime scendere lungo il suo viso e sfiorarle la cicatrice sulla guancia, ma questo non la fermava. Voleva che Jason non si allontanasse mai più, voleva sentirlo sempre lì vicino a lei. Voleva che quel bacio non smettesse mai e voleva sentirsi così per sempre. Voleva sentirsi per sempre una Regina.








 
Nda:
Ciao a tutti! Questa è la prima storia che posto nel fandom di Percy Jackson. Spero che vi sia piaciuta!!
Non sono molte le storie che trattano della coppia Jeyna e sono ancora meno quelle in cui la nostra figlia di Bellona si realizza.
Pensavo che anche lei merita un lieto fine dopo tutte le sofferenze che ha passato.
Spero di non aver fatto i due troppo OOC, anche se per alcuni versi sono cresciuti in quei 10 anni.
Ringrazio tutti quelli che l'hanno letta e in particolare le mia amiche Fede_27 e
LIttlE_PePpErmIt (anche se la seconda shippa Jiper/Jasper >.<).
A presto ♥
Leti
PS: si sono una Jeyna shipper se non si è capito XD
 
  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Percy Jackson / Vai alla pagina dell'autore: PaneBianco