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Autore: Aching heart    14/09/2014    0 recensioni
"Malefica non sa nulla dell'amore, della gentilezza, della gioia di aiutare il prossimo. Sapete, a volte penso che in fondo non sia molto felice." [citazione dal film Disney "La Bella Addormentata nel Bosco"]
Carabosse è una principessa, e ha solo dieci anni quando il cavaliere Uberto ed il figlio Stefano cambiano completamente la sua vita e quella dei suoi genitori, rubando loro il trono e relegandoli sulla Montagna Proibita. Come se non bastasse, un altro tragico evento segnerà la vita della bambina, un evento che la porterà, quattordici anni dopo, a ritornare nella sua città ed intrecciare uno strano rapporto di amore/odio con Stefano. Ma le loro strade si divideranno, portando ciascuno verso il proprio destino: Stefano a diventare re, Carabosse a diventare la strega Malefica. Da lì, la nascita della principessa Aurora sarà l'inizio del conto alla rovescia per il compimento della vendetta della strega: saranno le sue forze oscure a prevalere alla fine, o quelle "benefiche" delle sette fate madrine della principessa?
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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17. The moment of truth (part II)

Stefano chiuse la porta dietro di sé con un tonfo che riecheggiò nella stanza quasi vuota. L’aria era densa di tensione, era percepibile nelle spalle contratte del principe e nella sua mascella serrata, e nel respiro affannoso e indignato del Re, nel suo sguardo irato. Mai, mai Uberto aveva guardato suo figlio con tanto disgusto negli occhi, mai ne era stato tanto deluso. E per niente al mondo Stefano avrebbe osato comportarsi a quel modo, se non per Rosaspina. Per lei, solo per lei avrebbe fatto qualsiasi cosa, e solo per lei trovò la forza di soffocare il dispiacere per aver deluso suo padre, guardarlo negli occhi e ribadire la sua posizione.
-Non ho intenzione di chiedere il vostro perdono, padre. Non sento di doverlo chiedere.
Uberto fremette dalla collera. – Tu dovresti implorarlo, il mio perdono, per ciò che hai osato fare!
-Siete stato voi a dirmi che potevo avere un’amante! Cosa vi dà fastidio, quindi? Che io la ami? Che io sia felice, finalmente, dopo anni passati ad ubbidirvi e a leggere il disprezzo nei vostri occhi ogni volta che provavo ad essere qualcosa di diverso da ciò che voi volevate?
-Io ti ho cresciuto per essere Re! – urlò Uberto – Quello che volevo era un figlio degno di sedere su un trono, e ti ho insegnato il dovere, ti ho insegnato l’obbedienza, ti ho insegnato che l’amore è una sciocca chimera che chiunque può permettersi di inseguire, tranne un sovrano! Guarda al passato, Stefano, e dimmi perché piccole casate che hanno stroncato illusioni come l’amore nei propri figli hanno prosperato e sono diventate grandi, e dimmi perché invece un uomo potente come Thomas, un Re, che ha dato ascolto ad un capriccio sposando una popolana è andato incontro alla morte prima del suo tempo! E’ questo ciò che non riesci a capire. Non mi sarebbe importato nulla se tu avessi anche un harem al castello, sotto il naso di Helena, ma il problema è quella ragazza, che ti ha manipolato così abilmente da non farti neanche rendere conto di chi ti stessi portando a letto!
Stefano strinse i pugni, ignorando le insinuazioni di Uberto – perché anche se desiderava Rosaspina con tutto se stesso aveva resistito, aveva salvaguardato la sua purezza, perché nonostante ciò che poteva pensare suo padre, lui sapeva che non avrebbe potuto darle nessun futuro onorevole.
-Forse voi sapete meglio di me chi è Rosaspina, padre? – chiese con sarcasmo.
Uberto proruppe in una falsa risata, una risata di scherno. – Rosaspina, è così che si è fatta chiamare? Oh, un nome degno di una principessa, devo riconoscerlo…
-Questo cosa vorrebbe dire?
L’usurpatore gli si rivolse bruscamente. – Ti prego, dammi una prova del fatto che l’intelligenza di mio figlio non è stata solo una mia illusione per anni: quando l’hai vista per la prima volta, non mi interessa né come né quando, ti sei almeno reso conto di averla già incontrata?
Stefano rimase per un attimo spiazzato.
I suoi occhi lo trafissero come i suoi stavano facendo con lei, lo guardò con aria di sfida.
Lui ne fu immediatamente infastidito, ma ebbe anche una strana sensazione, come un déjà-vu . Gli sembrò di aver già vissuto una situazione simile, ma non riusciva a ricordare né dove né con chi. Quei chiarissimi occhi verdi, comunque, era certo di averli già visti.
Ricordò quella sensazione del loro primo incontro, quella strana familiarità che aveva provato guardando gli occhi verdi di Rosaspina, quel pungolo nella sua mente, come se dovesse ricordarsi qualcosa, ma non sapeva cosa.
-Come potete saperlo?
-Bene, almeno mio figlio non è un completo idiota. Ma non sei comunque riuscito a riconoscerla, sebbene per certi versi sia cambiata pochissimo. Ha offuscato la tua mente fino a questo punto? Deve proprio saperci fare…
-Padre, smettetela con queste allusioni – disse con decisione. Uberto tuttavia lo ignorò.
-Non avrei mai pensato che si sarebbe abbassata a tanto, che sua madre le avrebbe permesso di umiliarsi in questo modo. Ma del resto, è questa la fine che fanno spesso le bastarde reali, non è vero? Si riducono a sgualdrine. E per quanto il nome che si è scelta possa essere principesco, questo non cambierà mai ciò che è…
-Non una parola di più, padre!
-…la figlia di un Re, è vero, ma soprattutto la figlia di una mugnaia – concluse Uberto, gustandosi le ultime parole.
La verità colpì Stefano con la forza di un ariete.
-La figlia di un Re e di una mugnaia… - ripeté.
-Lo hai capito, finalmente. Quella ragazza è…
-…Carabosse – concluse lui, come pietrificato. – Non è possibile. Non può essere lei –  mormorò, cercando di ricordare quella bambina odiosa che tanto disprezzava da piccolo.
-Davvero? Stessi capelli castani, stessi occhi verdi, persino il carattere è rimasto lo stesso: io dico che è lei. Ma se la mia parola e quella di una fata, colei che me l’ha rivelato, non ti persuadono, nel castello ci sono numerosi ritratti di Carabosse e dei suoi genitori. Potrai facilmente notare la somiglianza con la tua Rosaspina.
Stefano non ne ebbe bisogno: sapeva che suo padre non gli avrebbe mai fornito delle prove da controllare se non fosse stato sicuro della sua ragione. E se anche questo non fosse bastato, adesso Stefano capì il perché della familiarità degli occhi di Rosaspina; e adesso che suo padre lo faceva riflettere sulle somiglianze, le vedeva anche lui. Il naso delicato, all’insù, la bocca carnosa, con quella forma particolare... e quello sguardo fiero e altezzoso, lo sguardo con cui lo sfidava, era rimasto lo stesso negli anni. Quanto era stato cieco a non accorgersene prima! Quanto doveva esserle sembrato sciocco, mentre la baciava, mentre le professava il suo amore, mentre beveva tutte le sue menzogne su di sé, sulla sua famiglia, su tutto. Su tutto? Anche quando lo baciava, e intrecciava le braccia attorno al suo corpo come se non volesse lasciarlo andare mai più, e tremava contro di lui, e sospirava e gemeva di desiderio, anche allora mentiva? Quando stava piangendo perché credeva che lui fosse innamorato di Helena, era una finzione anche quella? E i suoi sentimenti…
Ah, si disse con amarezza, ma lei non ha mai detto di amarti.
-E a che scopo, questa messinscena?
-Non lo immagini? Ti ha ingannato e sedotto con il trono come unico obbiettivo, e una volta raggiunto avrebbe di sicuro ucciso entrambi. Alla fine era questa la vendetta di Elsa… e Niamh mi aveva ben avvertito!
-Non posso credere che mirasse davvero ad uccidermi.
-Magari il suo piano era quello di irretirti a tal punto da spingerti ad uccidermi, e poi ti avrebbe tenuto come animale da compagnia, ti avrebbe fatto eseguire i suoi ordini e ti avrebbe usato quando avrebbe avuto voglia di divertirsi… - insinuò malignamente Uberto.
Stefano si sentì umiliato come mai in vita sua. C’era una parte di lui che si sarebbe battuto ancora con suo padre, che avrebbe giurato sull’innocenza di Rosaspina, non ritenendola capace di azioni così malvage, ma doveva rendersi conto che la realtà era un’altra. La realtà era che Rosaspina non esisteva, era stata creata da quella che si poteva considerare la sua più acerrima nemica per ingannarlo, e il motivo più plausibile era appunto per vendetta. E, di fatto, non sapeva cosa Carabosse fosse o non fosse in grado di fare.
Sentiva come se un vuoto fosse stato creato dentro di lui, come se all’improvviso gli fosse venuta a mancare la terra sotto ai piedi. Non poteva dire di conoscere Rosaspina da molto, ma lo stesso lei gli era entrata dentro con una facilità disarmante, e lui si era innamorato senza neanche rendersene conto. Adesso, sapendo che la donna di cui si era innamorato non esisteva, si sentiva estraniato, perduto, come se mancasse una parte di sé.
Pensò a tutto quello che c’era stato fra loro: tutto falso.

Si inginocchiò vicino a lei e la strinse forte a sé, mormorandole parole rassicuranti, sperando che bastasse. Lei, vinta completamente dal bisogno e da quel contatto, si abbandonò fra le sue braccia, cercandovi rifugio e salvezza, mentre il principe le accarezzava lentamente la testa, facendo scorrere dolcemente la mano sui suoi lunghi capelli castani, ad un ritmo costante.

Falso.

-Mio padre mi ha imposto il matrimonio, lei non è nulla per me…
-Ah, davvero? Oggi non sembrava!
-Ti giuro che è così. Non sai come mi sono sentito quando hai visto quella scena che… era tutta un equivoco!
-Tu? Tu?! E io allora? Come credi che mi sia sentita, eh? Io mi sono sentita morire!

Tutto falso.

Strinse i pugni con tanta veemenza da affondare le unghie nella carne, tanto che probabilmente i palmi delle mani avrebbero sanguinato.
Si sentiva tradito, umiliato, ferito. Con quale coraggio lei aveva potuto guardarlo negli occhi e fargli una predica, quando aveva “scoperto” che lui era un principe? Aveva finto magistralmente, anche perché lei doveva sapere chi era lui. Come aveva fatto a dirgli quelle parole, quando avrebbero dovuto essere destinate a lei?
Uberto vide la reazione di Stefano, l’incredulità e la rabbia nei suoi occhi, la tensione nel suo corpo, e se ne compiacque, certo di averlo convinto. Si rilassò notevolmente, e parlò con tono vittorioso.
-Ringraziando gli dei, non è successo nulla. Stiamo entrambi bene e il piano di quella sgualdrinella è stato sventato. Questa notte darò ordine alle guardie di portarla nel bosco, ucciderla e seppellirla. E’ opportuno che vada anche io, per accertarmi che…
-No – intervenne bruscamente Stefano. Uberto non riusciva a capacitarsene, come poteva suo figlio difendere ancora quella piccola bastarda, dopo tutto quello che gli aveva detto? Ma Stefano continuò a parlare. – Non è abbastanza.
Il Re lo guardò stupito, poi sul suo viso si fece strada un sorriso di pura perfidia, e subito dopo stava ridendo di gusto, ridendo con cattiveria. Per suo figlio, la morte di quella sgualdrinella non era abbastanza. Si sentì di nuovo fiero e orgoglioso di lui.
-Dunque cosa proponi, figlio mio?
-Voglio vendicarmi – disse in tono glaciale. – Lei mi ha ingannato, deriso, umiliato. Merita una punizione esemplare, e voglio essere io a darle ciò che si merita.
Uberto lo squadrò attentamente, e nei suoi occhi vide ferrea decisione. – Molto bene. Hai un giorno. Un giorno per vendicarti, per fare di lei quello che vuoi. Dopodiché ci libereremo di quella seccatura per sempre.
Stefano abbassò la testa, in segno di rispetto. Sembrò raccogliere le forze per qualcosa, poi si inginocchiò davanti ad Uberto. – Padre, vi chiedo perdono per ciò che ho fatto. Non avrei mai dovuto sfidare la vostra autorità, per niente al mondo.
La soddisfazione del Re raggiunse l’apice. – Sei perdonato. Ma ricorda bene, Stefano: tu mi devi obbedienza, sempre, perché sono tuo padre e perché sono il tuo Re. E quando un giorno sarai tu a regnare, dovrai esigere lo stesso. Tu sei nato con grandi potenzialità, io ti ho insegnato come sfruttarle al meglio, ti ho dato i mezzi per essere potente. Non lasciare mai più che i sentimenti si frappongano fra te e il trono che meriti.
-Ve lo giuro, padre.
-Adesso va’, ritorna da Helena e fa’ il tuo dovere.  
Stefano si alzò, fece un inchino e poi uscì dalla stanza, lasciando suo padre da solo.
Uberto non poté trattenere un ghigno. La piccola principessa era di nuovo in gabbia, ma stavolta ci avrebbe pensato lui a mettere fine alla sua prigionia, una volta per tutte.
***
Nello stato pietoso in cui versava Carabosse, a malapena si accorse di quando una delle guardie poste davanti alla sua stanza entrò per lasciarle una brocca d’acqua e un piatto con del pane. Ignorò la guardia anche mentre usciva e le lanciava uno sguardo curioso, come a chiedersi cosa potesse aver fatto una ragazza del genere per dover essere sorvegliata, tuttavia non poté ignorare allo stesso modo il cibo che le era stato portato. Non mangiava nulla da quella mattina, si sentiva debole e stanca, e il suo stomaco brontolava fastidiosamente, perciò si avventò sul piatto e in poco tempo lo svuotò, sorte che toccò anche alla brocca d’acqua. Si sentì leggermente meglio dopo aver mangiato, ma era ancora spossata e disperata.
Carabosse ipotizzò che quello di mandarle un pasto così misero, un pasto da detenuta, fosse un’idea di Uberto: se fosse stato Stefano ad occuparsene le avrebbe mandato molto di più, perché la amava e si preoccupava per lei, oppure non le avrebbe mandato nulla, perché era arrabbiato per le sue menzogne e in preda alla furia. Ma quella crudele sottigliezza di ragionamento era propria di Uberto.
Solo a pensare a Stefano, Carabosse sentì una stretta al cuore e gli occhi farsi lucidi. Adesso lui doveva sapere tutto, e chissà come avrebbe reagito. Voleva sapere cosa provava, se era deluso, arrabbiato, se la odiava, o se invece l’aveva perdonata, se aveva capito perché lo aveva ingannato, se la amava ancora. Improvvisamente si rese conto che forse Stefano non avrebbe più voluto vederla. A quel pensiero si sentì sprofondare in un abisso. Non poter più vedere il suo viso, i suoi occhi, non poter più udire la sua voce, che aveva il potere di farla tornare indietro dal suo baratro di dolore, e dover invece attendere che Uberto decidesse la sua sorte!
Lacrime calde iniziarono a cadere dai suoi occhi verdi, e lei sentì di aver toccato il fondo. Guardò il suo riflesso nello specchio, e vide gli occhi arrossati e colmi di lacrime, il viso mortalmente pallido, le labbra morse per la preoccupazione, e il corpo scosso da tremiti e singhiozzi silenziosi.
Era patetica.
Era patetica ad essersi ridotta così per qualcuno che avrebbe dovuto uccidere, per qualcuno che insieme a suo padre aveva reso la sua vita una distesa di cenere e rovine, era patetica perché poteva incolpare solo se stessa se adesso stava piangendo, era patetica perché nonostante tutto aveva ancora fiducia in Stefano, sperava ancora che lui sarebbe venuto a salvarla.
Era patetica.
Una stupida.
Un’ingrata.
Una traditrice del suo stesso sangue.
Lo strisciante senso di colpa che provava non faceva che demolirla fisicamente ed emotivamente. Sentiva di aver tradito i suoi genitori, innamorandosi di Stefano, ma soprattutto disperandosi così per lui. Sapeva che Uberto l’avrebbe uccisa, presto o tardi, ma non se ne curava, perché tutto il suo dolore era per Stefano, e sentiva che fosse un oltraggio alla memoria dei genitori.
 
“Tu?
Tu?! E io allora? Come credi che mi sia sentita, eh? Io mi sono sentita morire!”

Una stupida…

“Sii forte per lei. Sii forte per lei.”

 …un’ingrata…

“Sii forte, figlia mia. Sii sempre la principessa che sei. Io sono orgoglioso di te. Sarai una grande Regina, un giorno.”

…una traditrice del mio stesso sangue.

Carabosse si rannicchiò e si prese la testa fra le mani, e iniziò a dondolarsi piano, cercando di ricreare il dolce cullare di sua madre, ma non c’era niente che potesse fare per evitare quei ricordi. C’erano demoni nel suo cuore che non potevano essere messi a tacere.
La speranza che Stefano venisse a salvarla rimase vana per un’altra ora, durante la quale tutto il suo oceano di angoscia e ricordi spiacevoli ruppe gli argini e la travolse.
Fu con fatica che si alzò ed aprì il baule ai piedi del letto.  Scavò fra i vestiti ed estrasse un involto di stoffa nera che srotolò, portando alla luce un pugnale dalla lama lucida ed affilata con una gemma scura incastonata fra l’elsa e l’impugnatura. Lo osservò bene, e con il dito percorse la lama, giocando con il bordo affilato. Le sarebbe bastato un taglio netto sul polso, o un colpo ben assestato nel ventre, e avrebbe smesso di soffrire, e si sarebbe sottratta dalle grinfie di Uberto. Sarebbe morta comunque, ma non gli avrebbe dato la soddisfazione di essere lui ad ucciderla.
Osservò di nuovo il suo riflesso, devastato come prima, ma stavolta con un pugnale in mano, e capì che non lo avrebbe fatto. Si sentiva esausta, languida, ma il fuoco che aveva dentro non si era spento. Le braci erano ancora vive, e sarebbe bastato riattizzarle perché le fiamme guizzassero vivide come una volta. C’era ancora voglia di lottare in lei, e forza per lottare.
Non era il suo sangue che voleva veder scorrere.
All’improvviso sentì dei passi fuori dalla porta. Erano liberi dal clangore metallico e dalla pesantezza dell’armatura. Era una camminata agile ma decisa, e lei la riconobbe come quella di Stefano. Era venuto, alla fine. La domanda era: cosa avrebbe fatto lei? Come in risposta, strinse il pugnale nella sua mano. Ormai aveva perso Stefano per sempre: adesso lui sapeva chi era, e l’avrebbe sicuramente odiata. Si detestavano fin da bambini, in fondo. Erano nemici, lo erano sempre stati, non c’era altra verità. Se mai l’avesse davvero amata, aveva di sicuro soffocato quel sentimento con la collera per essere stato ingannato, e cosa avrebbe fatto lei?
Decise che almeno avrebbe vendicato i suoi genitori.
Carabosse sentì il principe mandar via le guardie, poi udì il cigolio della porta che si apriva. Lei era ancora in piedi, dando le spalle a Stefano, con il pugnale stretto in mano e nascosto dalla sua vista. Lo sentì entrare e chiudersi la porta alle spalle, lo sentì respirare, sentì il suo sguardo su di sé, ma non sentì la sua voce, così fu lei la prima a parlare.
-Ora sai tutto.
-Sì – rispose Stefano. Attese una sua reazione, ma nemmeno un fremito scosse Carabosse. – E dopo tutto quello che tu avresti dovuto dirmi e che invece mi ha rivelato mio padre, dopo come mi hai ingannato, non dovrei sentirmi così. Come se dopotutto tu fossi l’unica cosa che conta. Come se tu fossi una parte di me senza la quale non potrei vivere, e non importa quanto costerà averti accanto.
Questa volta, questa volta Carabosse tremò.
-E non mi odi? – chiese con la voce quasi spezzata.
-Potrei farti la stessa domanda. Non mi odi?
-Sì –  rispose flebilmente.
-E allora, Carabosse, prendi la tua vendetta.
Lei si voltò, alzando il braccio con cui reggeva il pugnale, che scintillò pericolosamente. Il suo volto era come scolpito nella pietra, non recava tracce di alcuna emozione. Eppure anche così aveva una bellezza letale che fece rabbrividire Stefano. Non disse nulla mentre la vedeva avanzare. Non si mosse da lì, neanche quando lei giunse così vicina da avere il pugnale ad un soffio dalla sua gola.
-Dovrei ucciderti. – Gli occhi le si fecero improvvisamente lucidi. – Solo che… solo che non ce la faccio. Non ci riesco – sussurrò mentre lasciava andare il pugnale, che cadde a terra tintinnando.
In quello stesso istante Stefano afferrò la sua mano, poi la afferrò per la vita e la strinse a sé, e la baciò. Lei rispose mentre si aggrappava a lui. Fu un bacio che sapeva di dolore e di disperazione, fu  pathos allo stato puro. Si allontanarono per un secondo, per riprendere fiato.
-Io non posso farti del male – disse lei. – Farti del male mi ucciderebbe.
-E allora non farlo – sussurrò lui. – Non te ne darò motivo.
Si baciarono di nuovo, disperati allo stesso modo, con ancora più trasporto. Lui passò la mano fra i lunghi capelli di Carabosse e poi li strinse, quasi con spietatezza, per legarla a sé e non lasciarla mai più andare via. Quei baci diventarono sempre più profondi e lunghi, mentre il cuore di Carabosse batteva sempre più velocemente. Il braccio che Stefano aveva avvolto attorno alla sua vita salì sulla schiena, a stringerla ancora di più, anche se erano ormai schiacciati l’uno contro l’altra. Le tirò i capelli, facendole alzare la testa, mentre le labbra di lui scendevano piano verso il mento e poi sul collo, tracciando una scia di baci bollenti. Il suo respiro sulla pelle fece rabbrividire Carabosse, e i brividi scesero lungo il suo corpo, e lei sentì nascere un languore nel ventre che aveva provato altre volte con Stefano, ma mai così intensamente. Lui non si fermò, ma continuò la sua discesa lungo il collo, sfiorando la pelle candida con le proprie labbra, finché non giunse al solco fra i seni, lasciato scoperto dalla scollatura del vestito. Lì iniziò a lasciare baci veri e propri, leccando lembi di pelle, e stavolta fu Carabosse ad afferrare i suoi capelli, e a spingere più giù la testa di Stefano, mentre un lento pulsare cresceva d’intensità fra le gambe. Quando si lasciò sfuggire una serie di gemiti lievi, Stefano parve perdere il controllo, ritornò sulla sua bocca mordendo famelico le sue labbra, e la spinse contro una colonna del baldacchino, schiacciandosi il più possibile contro di lei, per sentirla, per sentire la sua pelle sulla propria, mentre le sue mani dai fianchi di lei salivano al ventre, ai seni. Stavolta fu lei a cercare un maggiore contatto, afferrandolo per il bavero della giacca e avvicinandolo, ma quando fu chiaro che ormai solo i vestiti li separavano, prese a sbottonare la giacca con crescente frenesia, mentre le mani di lui scendevano sotto la gonna, e poi risalivano lungo le sue gambe facendola tremare sempre di più man mano che si avvicinavano al punto in cui sentiva crescere un calore travolgente. Quando sentì le sue dita proprio , dove una specie di piccolo cuore palpitava furiosamente, emise un gemito acuto, seguito da un sospiro, e si aggrappò ancora più furiosamente alle spalle di Stefano, come se ne andasse della sua vita. Più le sue mani si muovevano, più il piacere cresceva, ma prima che lei potesse arrivare al culmine lui tolse le dita con un sorriso malizioso, facendola sentire terribilmente incompleta. Ma Stefano non aveva intenzione di farla sentire così ancora per molto, perché avvolse Carabosse fra le sue braccia e poi l’adagiò sul letto, sovrastandola. Istintivamente lei aprì le gambe per accoglierlo, e lui vi si incuneò, mentre si chinava a baciarla e iniziava a sciogliere i lacci del vestito e lei faceva lo stesso con la camicia di lui. Presto anche la camicia finì sul pavimento con la giacca. Rimasto a torso nudo, Stefano ribaltò la situazione, portando Carabosse sopra di lui, per facilitarsi il compito di liberarla da quel fastidioso corpetto, e lei si chinò sul suo corpo fino a baciarlo, assaporando il gusto della sua pelle, dalla bocca al collo, e dal collo fin giù, sul petto scolpito da anni di allenamenti. Alla fine, anche se con un po’ di difficoltà, lei si ritrovò con addosso solo una leggera sottoveste e, come in un gioco, Stefano ribaltò nuovamente la situazione, spingendola sotto di lui.
Continuarono con quel tira e molla finché entrambi non furono completamente spogliati degli abiti che li separavano dall’unirsi in tutto e per tutto, e allora, finalmente, si amarono. 




Angolo Autrice (molto imbarazzata): Salve, spero di non avervi fatto aspettare troppo  con questo aggiornamento. Mi sono messa d'impegno perché questo per me è l'ultimo giorno di libertà. Domani ricomincia la scuola, e si prospetta un anno da incubo, peggiore dell'anno scorso. 
Questo capitolo è stato un parto. Podalico, aggiungerei. Mi incartavo ad ogni battuta, non sapevo come andare avanti e rendere bene le emozioni dei personaggi. Per non parlare dell'ultima parte del capitolo che... beh, è la seconda scena "erotica" che scrivo, e penso che faccia schifo quanto la prima, se non di più. Purtroppo - lo so, è la millesima volta che lo dico - sono una frana con tutto ciò che riguarda romanticismo ed erotismo. Penso che questo sia il meglio che sono in grado di fare, perciò chiuderò questo capitolo in un angolino della mia mente e farò finta che non esiste. Chi è con me?
Bene, io ringrazio tutti quelli che hanno aggiunto la storia fra le ricordate/seguite/preferite, i lettori silenziosi e Sylphs per aver recensito.
Mi raccomando, fatemi sapere cosa pensate del capitolo!
A presto!

 
   
 
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