Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: Harley Sparrow    15/09/2014    8 recensioni
|Helsa| |Hans x Elsa|
Questo è il vero e proprio seguito di Bring me to Life; si tratta di una one shot che ci racconta come se la passano i due innamorati a un mese dal ritorno ad Arendelle.
*
Il principe Hans che insiste per fare una gita al palazzo di ghiaccio di Elsa; un sogno che è rimasto sepolto nella mente della regina per giorni e che proprio adesso preme per tornare alla mente.
Le due anime spezzate dalle sofferenze di una vita che trovano ancora una volta la forza di guardarsi negli occhi e tornare a sorridere.
*
Perché tutto questo? Perché congelare quel drammatico momento delle loro vite per tutti quegli anni? Perché non era riuscita ad andare avanti?
Faceva male vedere tutto quello, faceva male a lei quanto a lui.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elsa, Hans
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Bring me to Life'
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 – NOTA BENE –
- Se non avete letto Bring me to Life, prima di leggere questa one shot vi consiglio di prendervi qualche giorno (o ora) per leggere la long, sempre scritta da me, perché questa, essendo un vero e proprio sequel di quella storia, contiene numerosissime allusioni agli avvenimenti accaduti in essa.
- Per capire meglio in che punto della storia fra Hans ed Elsa ci troviamo, date un occhio alla Cronologia di Bring me to Life
- Questa storia è un mega-prequel di Mi passi il sale? (cliccateci sopra per leggere) quindi vi invito a leggerla, quando avrete terminato la lettura di questa.
- Vi metto il link della canzone che dà il titolo alla storia, anche se voglio sperare che la conosciate tutti. Si tratta di FIX YOU – traduzione ita (cliccateci sopra per ascoltarla) una bellissima canzone dei Coldpaly che secondo me, sia per le parole che per la musica, si addice davvero tanto per i nostri due ciccini innamorati.
- Vi avverto: la storia è davvero lunga perché non volevo spezzarla in alcun modo. Leggetela con calma e se non sarete diventati ciechi, ci vediamo alla fine della storia, e magari scrivetemi anche un commentino… Ci tengo davvero tanto…
- Inizio dell’impresa: 13 luglio 2014 (a dire il vero avevo ben in mente l’ossatura della trama mentre scrivevo l’epilogo di Bring me to Life).
- Fine dell’impresa: 9 settembre 2014
- Visto che Elsa e Hans sono entrambi dei complessati patentati, la frase iniziale di Giorgia se la dedicano a vicenda.
 
 
 
AND… HERE… WE…
GO!

 

 
FIX YOU
 
 
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Dopo la pioggia ed il gelo
Oltre le stelle ed il cielo
Vedo fiorire il buono di noi
Il sole e l’azzurro sopra i nevai.
 
Vorrei illuminarti l’anima
Nel blu dei giorni tuoi più fragili, io ci sarò
Come una musica,
come domenica di sole e d’azzurro.

[Di sole e d’azzurro; Giorgia]
 
 
 
 
 
 
 
When you try your best but you don't succeed
When you get what you want but not what you need
When you feel so tired but you can't sleep
Stuck in reverse
 
 
 
Erano passati più di venti minuti da quando la regina Elsa aveva dichiarato conclusa la riunione del Gran Consiglio. Dopo aver abbandonato la sala si era diretta a grandi passi verso la torre più alta del castello.
Sentiva ancora su di sé gli occhi penetranti di Hans, che da quando si erano svegliati insieme abbracciati, come al solito, non aveva fatto che guardarla come se desiderasse che gli dicesse qualcosa.
"Hai dormito bene?" le aveva chiesto, e lei si era limitata ad annuire, evitando però i suoi occhi. Sapeva di non poter scappare da lui ancora per molto, ma aveva bisogno di pensarci da sola prima di sentirsi riempire la testa di parole.
La torre più alta si trovava nell'ala est, la più isolata del castello – la più fredda – e fin da quando era piccola, Elsa adorava appartarsi in quella parte del palazzo perennemente esposta al gelido vento del nord, che soffiava nelle orecchie della bambina e impediva ai cattivi pensieri di importunarla.
Non sentì il rumore di passi lenti alle sue spalle, non sentì nemmeno sulla pelle gli occhi verdi che la fissavano incuriositi mentre guardava – scrutava – corrucciata il cielo verso nord, verso la montagna che racchiudeva il suo segreto – la sua libertà.
Lo sentì solo quando fu a pochi passi da lei, distanza che annullò in poco tempo prima di cingerle la stretta vita con un braccio.
Erano roventi i baci che le lasciava sul collo, che percorsero una scia da una spalla scoperta all'altra, chiedendo – urlando – cosa ci fosse che non andava, quale pensiero la opprimesse. Quando si staccò, appoggiò la testa sulla sua spalla e guardò nella stessa direzione della regina, che aveva socchiuso gli occhi, colpevole.
"Quando mi porti al tuo palazzo?"
Aprì gli occhi Elsa, e senza rispondere accarezzò i capelli ramati del principe.
"Stanotte ti agitavi nel sonno." Continuò imperterrito appoggiando entrambe le mani al parapetto, negandole così ogni via di fuga. Non era il mascheramento di una domanda, non era nemmeno un'esclamazione, la sua. Era una semplice constatazione che impedì alla regina di obiettare – non che volesse o potesse farlo.
"Ecco perché mi hai guardata male per tutto il giorno." cominciò evasiva la donna, guardando fisso verso l'orizzonte montagnoso e appoggiando le mani su quelle del principe.
"Non ci provare, Elsa." asserì lui con decisione, afferrandola per le spalle e facendo in modo che si guardassero negli occhi.
"Sentivo che è stata una notte movimentata, ma non ricordo cosa ho sognato..." rispose in tutta sincerità, poi, colta da una dolorosa, maledetta consapevolezza gli afferrò il viso con le due mani.
"Ho congelato il letto? Dovevi svegliarmi!" sussurrò senza riuscire a impedire che una smorfia di disgusto si dipingesse sul suo bel viso, disgusto verso sé stessa.
Hans venne colto alla sprovvista. Scoprì con rammarico che si era preparato per estrarre la verità dalla testa di Elsa in ogni modo, ma non per questo.
"Solo un po', poi ti sei calmata..." la rassicurò prendendole le mani fra le sue.
Non riuscì a proferir parola Elsa, e rimase a occhi bassi, bocca serrata per qualche istante, sforzandosi di ricordare il sogno della sera prima, ma non ci riuscì. Sapeva solo di essersi svegliata con la sensazione di aver dormito male.
"Allora, quando mi porti a vedere il tuo palazzo?" cambiò argomento il principe, staccandosi da lei e avvicinandosi al parapetto per vedere meglio verso nord.
"Hans." iniziò la regina in tono accondiscendente.
"Uhm?" Hans si portò una mano davanti agli occhi per poter vedere più in là, sperando di scorgere una delle guglie di ghiaccio, che però non comparve. Era troppo lontano.
"Non credi che sia meglio aspettare la bella stagione?"
"Perché?" chiese tranquillamente il principe.
Era difficile distogliere il principe Hans da un pensiero ostinato. Non bastò ricordargli che l'indomani sarebbero arrivati degli ospiti – ospiti non del tutto desiderati –, o che la fine di settembre aveva portato con sé l'inizio dell'inverno, o che Elsa si sentiva troppo stanca per intraprendere un viaggio del genere. Perché sarebbe stato possibile rimandare alla settimana dopo, (settimana in cui avrebbe fatto ancora più freddo)(ma non importa, perché lei per il suo compleanno gli ha donato un bel mantello di lana, pesante e caldo, che lo proteggerà dal freddo), e infine, se la regina era così stanca, lui si sarebbe offerto volontario per fare la guarda alla sua stanza, per impedire a chiunque di svegliarla mentre faceva un riposino (oppure fare la guardia direttamente al letto, nel letto).
"Tu non capisci!" sbottò infine Elsa, esasperata.
"Spiegami, allora." le propose lui voltandosi per guardarla negli occhi, e non poté fare a meno di notare la rabbia che stava divampando sul volto della sua regina, derivata dalla leggerezza con cui lui aveva liquidato gli ostacoli che si frapponevano fra lui, lei, e una giornata passata da soli.
 
"È pericoloso!" rispose portando una mano a indicare verso il nord e lasciandola subito cadere lungo il fianco, immobile, patetica, come i suoi tentativi di convincerlo.
Rimase a fissarlo per alcuni istanti, poi si avvicinò al parapetto e vi appoggiò entrambe le braccia, mantenendo una certa distanza dall'interlocutore.
"Non so se essere offeso o lusingato da questa tua apprensione nei miei confronti..." rispose sogghignando dopo una breve riflessione, senza darle il tempo di motivare quella risposta.
Si avvicinò alla sua postazione Hans, e prima di informarla di una cosa elementare, la fissò per un po', sperando che distogliesse lo sguardo dall'orizzonte.
"Non sono un bambino." le disse come se fosse stata una confidenza.
Prima di rispondergli, vicina alla sconfitta, lanciò uno sguardo verso il suo corpo, realizzando per la millesima volta che dopotutto era davvero un bell'uomo, non più il bambino che aveva conosciuto una vita prima. Diede le spalle al parapetto, puntellandosi sui gomiti, e si voltò verso la porta della torre senza distogliere lo sguardo dal torace dell'uomo, rimasto con le spalle verso la porta con un braccio appoggiato al parapetto.
"Questo lo vedo..." Il tono di voce cominciò a cambiare – vacillare – diventando più dolce e rendendo la regina più manipolabile.
Hans sorrise immaginando a cosa stesse pensando la regina, che non gli lasciò il tempo per fare qualche battutina sui suoi pensieri maliziosi.
"Facciamo così, la settimana prossima vedrò cosa si può fare..."
"...A meno che il duca di Weselton non invii un messaggio in cui dice che si vergogna di venire qui al tuo cospetto per chiederti scusa, e quindi rimandi la sua visita a dopo l'inverno." proferì Hans, nascondendo male quella punta di speranza di non dover rivedere il duca e il suo odioso riportino.
 
Il ducato di Welselton si era visto costretto a tagliare i ponti con Arendelle dopo lo spiacevole incidente del palazzo di ghiaccio. Il duca aveva inviato due sicari per uccidere Elsa, e questo gesto, oltre alle continue insinuazioni del duca sulla mostruosità della regina e sulla necessità di sopprimere quel frutto marcio della casata reale di Arendelle, aveva avuto come conseguenza, una volta finito tutto, l'allontanamento del ducato da ogni genere di rapporto. Dopo tre anni però la guerra fredda stava cominciando a volgere alla sua fine: il duca, probabilmente obbligato dai figli, si era visto costretto a riprendere i rapporti diplomatici con il regno a causa dell'incombere di una crisi economica ancora allo stadio primario, sanabile solo con l'aiuto di un regno potente come Arendelle, e ovviamente con delle scuse pubbliche.
 
"Ne dubito" rispose pensierosa la regina, non prima però di aver focalizzato nella mente l'immagine del duca mentre ballava con la sorella, una vita prima, e di conseguenza non prima di aver soffocato una risata a quel ricordo.
 
Se il vento le avesse permesso di sentire i passi di qualcuno che saliva le scale della torre, avrebbe aspettato a confutare con quella prontezza la tesi del suo uomo. Non appena il suono delle sue ultime parole si perse nell'aria, dalla porta fece capolino un giovane, probabilmente sui quindici anni, che le porse una lettera scusandosi per averli interrotti.
Elsa l’afferrò con ancora il sorriso gentile sulle labbra, nato dal tentativo di rassicurare il ragazzo e di ringraziarlo per averle portato la lettera fin lassù. Il sorriso però scemò via non appena vide il sigillo della casata dei Weselton. Aprì la busta stracciandola e lesse avidamente le parole contenute in essa, sotto lo sguardo incuriosito dei due uomini.
"Non ci credo..." sussurrò quando arrivò quasi alla fine, e quando ci arrivò, ripeté il suo disappunto.
"Cos...?" provò a chiederle Hans, ma lei lo zittì con una mano. Quando ebbe finito di leggere alzò il viso stoicamente e licenziò il giovane. Appena tornarono a essere soli, mise fra le mani di Hans la lettera con una certa rabbia, accompagnando il gesto ad un commento poco carino sulla fortuna sfacciata del principe.
Man mano che questi leggeva, gli si allargava sul volto quel sorriso di trionfo che la regina odiava con tutto il cuore.
"Partiamo domani?"
 
*
 
Andarono a dormire presto. Tutti i compiti da svolgere erano stati portati a termine giorni prima perché non si accumulassero durante la visita del duca. Trovata straordinaria, aveva commentato Elsa con sarcasmo quando Hans glielo aveva fatto notare quella mattina.
"Tempo incerto..." iniziò a commentare Elsa con disprezzo mentre parlavano ancora una volta della sconfinata fortuna del principe "non ci posso credere! Sono solo calate un po' le temperature e quell'insignificante omuncolo inizia a tremare di paura."
"Vastra maestà, non siete felice di poter passare due giorni con me?" rispose Hans passando una mano fra i capelli sciolti della regina e tirandoli leggermente.
"Ma noi passiamo ogni momento insieme!" Si sciolse dall'abbraccio tirandosi su con i gomiti per guardarlo in faccia.
"Io intendo noi due da soli, senza Anna che mi guarda in ogni momento come se stessi per ucciderti e Olaf che ti segue ovunque tu vada." le rispose appoggiando le schiena alla testata del letto, deciso a convincerla che quella di passare un giorno e mezzo al catello di ghiaccio era una buona idea, una grandiosa idea.
"...E poi lo so che anche tu vuoi tornare al tuo castello, ne hai bisogno." le confessò alla fine, ricordando quanta nostalgia era dipinta sul volto della sua regina quando l'aveva trovata a guardare verso nord quella mattina.
Elsa alzò gli occhi al cielo, consapevole che non riuscirà a nascondergli niente fino alla fine dei suoi giorni.
Sospirò, e gli permise di stringerla ancora una volta fra le sue braccia – le sue spire – e prima di confessargli la verità, iniziò a fare l'inventario di cose da portare per sopravvivere.
"Quattro coperte basteranno? Forse è meglio portarne cin–"
"–Una può bastare." la interruppe il principe con decisione.
"Quattro."
Non era una proposta quella di Elsa. Era un ordine.
"Una." insistette il principe in tono di sfida.
Chiunque sarebbe stato punito severamente se si fosse rivolto in quel modo alla regina, ma Hans godeva di immunità da quando aveva rimesso piede ad Arendelle. Immunità che mascherava le parole 'la regina lo ama troppo per prendersela'. Infatti Elsa, anziché arrabbiarsi, iniziò a parlargli in tono accondiscendente.
"Hans, congelerai! E non ti basterà baciarmi per far spuntare il sole. Settembre non è una maledizione."
E lui ci pensò su, realizzando che forse aveva ragione. La diede vinta alla sua amata, anche se solo in parte.
"Va bene, però le porti tu."
"Perfetto!" sancì Elsa afferrandogli il volto con una mano volutamente fredda e stampandogli un bacio sulla guancia.
 
Quando la luce si spense lasciando che il buio impregnasse la stanza, quando il "Buonanotte, Elsa" si perse nell’aria, la regina trovò la forza per confessare un principio di verità sulla sua apprensione.
"Tu non sai quanto desideri averti con me domani, ma c'è qualcosa che..." si bloccò, incapace di trovare le parole giuste, e quando il principe senza battere ciglio le chiese 'cosa', lei si sentì improvvisamente una stupida.
"Lo vedrai domani."
 
*
 
Elsa ricordava molto bene cos’era successo anni prima al suo palazzo, quando aveva tentato senza molto successo di nascondersi al mondo, quando pur di non farsi aiutare, aveva rischiato di diventare un'assassina nei confronti della sorella. I primi due anni era ritornata poche volte in quel posto, sempre da sola, nonostante le suppliche della sorella di portarla con sé. Mentre nel periodo di tempo che andava dal suo innamoramento per il principe Hans, fino al giorno in cui finalmente avevano potuto stare insieme, vi si era recata molto più spesso, per poter stare da sola con i suoi pensieri.
 
*
 
Quella notte Hans non riuscì a chiudere occhio per diverse ore. L'agitazione che gli avevano procurato le ultime parole di Elsa, il freddo che si era impossessato della stanza non appena si era abbandonata al sonno, le parole senza senso che sussurrava terrorizzata e quelle che lui le aveva sussurrato all'orecchio finché non si era tranquillizzata, lo avevano leggermente scosso. Che cosa gli nascondeva Elsa? Perché era così riluttante all'idea di trascorrere un giorno in santa pace insieme, al suo castello?
Il castello.
Ogni volta che ne aveva parlato in passato, quando nel regno di Corona passavano le intere nottate a parlare, le si illuminavano gli occhi, mentre adesso sembrava tutto il contrario, tutto sbagliato.
 
Quando arrivò il mattino, fu lei a svegliarlo (con più dolcezza di quella che avrebbe usato lui). Quando Hans aprì gli occhi, la squadrò attentamente, seduta a cavalcioni sul suo ventre, e, sì, gli nascondeva qualcosa sotto quel sorrisetto malizioso.
Le sorrise a sua volta allungandosi per baciarla.
Dopotutto, aveva ben due giorni per capire cosa la tormentava.
 
*
 
Hans non avrebbe mai ammesso che vederla camminare a piedi scalzi in mezzo alla neve, lo destabilizzava ancora.
Passarono alcuni minuti prima che sostituisse un’espressione più naturale allo sguardo incredulo. La guardò, e la vide nascondere poco e male (e dov'era il problema?!) la felicità derivata dalla consapevolezza di essere finalmente libera, come quando era fuggita da tutto e da tutti.
 
Erano partiti presto. Anna era stata un po' titubante all'idea di avere la responsabilità di presenziare al Gran Consiglio per due giorni, in assenza di Elsa, e soprattutto era sospettosa e preoccupata all’idea di lasciarli andare insieme, da soli, ma alla fine aveva ceduto: così avrebbe avuto l’occasione per stare un po' da sola con Kristoff (prospettiva che le aveva fatto notare lui quella notte, quando aveva cominciato a borbottare il suo disprezzo per quell'unione sbagliata fra Hans e sua sorella).
 
Prima che le porte si aprissero di nuovo ad Arendelle, Elsa non aveva mai imparato ad andare a cavallo, e anche dopo non era stata la sua priorità, a differenza di Anna, che voleva imparare a fare tutto. Non si fidava di sé stessa, figuriamoci se si sarebbe fidata di una bestia sotto di sé che al minimo scatto rischiava di venir congelata all'istante. Era stato Hans a convincerla a provare, sei mesi prima: lui diceva che una regina che non sa andare a cavallo è più scandalosa di una regina che si fidanza con un traditore, così si era impuntato, e nei momenti liberi le insegnava a montare su Sitron, il suo adorato cavallo che lei aveva fatto inviare ad Arendelle dalle Isole del Sud prima di andare a recuperarlo nel regno di Corona.
Il giorno in cui arrivarono insieme ad Arendelle, lei gli disse che nelle stalle c'era una sorpresa per lui, che udendo la parola "stalle", intuì a cosa si stesse riferendo, ci sperò così tanto che quando vide i suoi sogni avverarsi davanti agli occhi, quando vide il suo cavallo che nitriva felice alla visione del suo padrone dopo quasi tre anni, corse verso di lui, sicuramente più felice di quando aveva visto Elsa due giorni prima (circostanze diverse, reazioni diverse). Passata la prima ondata di felicità che lo aveva quasi portato a piangere tutte le lacrime che non era stato in grado di versare in quegli anni, si era accorto che Elsa rimaneva a debita distanza da lui, e le chiese il motivo. Lei aveva liquidato la questione con un’alzata di spalle, dicendogli che non le piacevano molto gli animali. Così lui aveva preso come missione personale quella di farle amare gli animali, a partire da Sitron. In verità era l'unico modo che gli era venuto in mente in quel momento per sdebitarsi per tutto quello che quella donna aveva fatto per lui.
A distanza di poco più di un mese, lei aveva imparato a malapena a rimanere per cinque minuti da sola su Sitron, prima di urlare istericamente che voleva scendere; così lui accarezzava il muso del cavallo e la faceva scendere con molta calma. Quel mese le era servito più che altro per non chiudere più gli occhi terrorizzata quando allungava una mano verso il cavallo e per offrirgli uno zuccherino.
 
Insomma, quel giorno cavalcarono insieme su Sitron, ancora in grado di sopportare il peso di due persone, quattro coperte e un cesto con dei viveri.
Fortunatamente, quando si trovarono a poche leghe dal palazzo, individuarono una casetta abitata da una famiglia di spaccalegna e affidarono a loro il cavallo, che non sarebbe stato in grado di proseguire per le strette strade di montagna. In un primo momento il vecchio capofamiglia non riconobbe in Elsa la sua regina, pensando che fossero due banditi, ma quando lei si tolse il cappuccio e mostrò i suoi capelli argentei, l’uomo si convinse. (E fu ancora più convinto quando gli porsero alcune monete d’argento, con la promessa del resto quando sarebbero tornati).
Quando abbandonarono la casetta era passato mezzogiorno. Lasciandosela alle spalle, dovettero lasciarsi alle spalle anche gli ultimi boschi, finché l’erba incominciò a farsi sempre più rada fino a lasciare posto alla neve fresca. Fu a quel punto che Elsa si tolse le scarpe di ghiaccio e alzò leggermente la gonna del vestito per immergervisi come se fosse stato un mare caldo.
Il palazzo era ormai vicino, entrambi lo sentivano, così lei cominciò a farsi seria e lui sempre più curioso, al punto che la superò di qualche passo. Fu il primo a scorgere il castello, e fu assolutamente spaventato da quella visione.
Nero. Il palazzo di ghiaccio era diventato completamente nero. Lui si voltò con sguardo interrogativo per cercare di capire cose significasse quel colore, ma la vide fare un sospiro di sollievo e superarlo lentamente, come ipnotizzata dal richiamo della sua casa, della sua essenza.
 
Quando Elsa vide il suo palazzo di quel colore così tetro, si sentì finalmente a casa. Si voltò leggermente verso Hans per scrutare l'espressione scioccata dipinta sul suo viso e passò oltre, mettendo la distanza di una decina di passi fra sé e il principe. Quando si voltò e vide che rimaneva immobile su due piedi e non la seguiva, si voltò verso di lui e iniziò a camminare all'indietro con disinvoltura.
"Gli sono mancata!" spiegò ad alta voce, e non appena queste parole le uscirono dalla bocca, Hans vide chiaramente e con notevole sconcerto che il castello aveva incominciato a schiarirsi, diventando impercettibilmente di un grigio sempre più chiaro. Quando giunsero davanti alla scala che portava direttamente all'entrata di esso, il castello era tornato a essere come lo aveva visto per la prima volta: azzurro.
 
Mancava solo una cosa per farlo sembrare il castello di tre anni prima... E non appena questo pensiero prese forma nella mente del principe, la cosa che mancava, si materializzò davanti a lui ed emise un suono gutturale, estremamente acuto, un urlo dal quale riuscì a distinguere chiaramente le parole "Va’ via!".
Il mostro di neve che Elsa aveva creato anni prima era ancora vivo, ancora determinato a minacciare la sua vita. Gli capitava di fare degli incubi su quel mostro: fin da piccolo era stato abituato a lottare contro gli uomini, non contro pupazzi di neve malefici, quindi quell’esperienza lo aveva un po’ scosso. Quando se l'era ritrovato davanti per la prima volta aveva lottato contro di lui probabilmente perché il potere della sua ambizione aveva schiacciato la paura; questa volta, la paura per la sua vita e quella di Elsa, lo portò ad estrarre la spada e a brandirla, pronto ad attaccare il mostro. Non gli avrebbe permesso di rovinargli la giornata.
Nel momento esatto in cui decise di fare un passo avanti e iniziare la lotta, sentì Elsa urlare. All'inizio non aveva capito cosa stesse dicendo, cosa che lo portò a pensare che fosse un grido di paura, ma quando si frappose fra Hans e il mostro, capì cosa stesse facendo.
"Marshmallow!" Iniziò a sbracciarsi per catturare l'attenzione del mostro. "Fermo!" continuò ponendosi davanti alla spada del principe per non fargliela notare.
Quando il mostro la vide fece un passo indietro.
"Elsa!" Disse in un tono che suggeriva la felicità nel vedere la sua creatrice – tono che chiunque a parte lei avrebbe inteso come pericolosamente minaccioso.
Hans intanto rimaneva fermo e vigile, la spada ancora sguainata. Quando Elsa si voltò per guardarlo e vedere se era tutto a posto, vedendo la spada che puntava verso il gigante di neve – il suo adorato gigante di neve – mise una mano su quella di Hans che teneva la spada e gliela fece abbassare, dicendogli che non gli avrebbe fatto del male.
"Ne sei sicura?!" Abbassò la guardia, ma non distolse gli occhi dal gigante.
"Ma certo!" trillò la regina prendendogli un braccio e stringendolo forte a sé, così Hans dovette rimettere la spada nel fodero.
Poi ci furono le presentazioni, e Hans credette di star sognando, anche se di solito, quando sognava Marshmallow, quello era tutto fuorché tenero, sia con lui che con Elsa.
Sicuramente però era più intelligente di Olaf; per esempio, non gli chiese un abbraccio, e per questo gli fu più che grato.
"Devo farti fare una cosa, Marshmallow!" Elsa richiamò poco dopo l'attenzione del gigante, ancora concentrato a guardare l'uomo che tre anni prima gli aveva tagliato una gamba – riaggiustata poco dopo dalla sua adorata regina.
"Sai, questo principe non è come noi..." disse prendendo una mano di Hans, che durante il viaggio si era fatta sempre più fredda. "Lui non è fatto per stare al freddo. Ho bisogno che mi vai a cercare un po' di legna per accendere un fuoco."
Il gigante capì all'istante, e si voltò per andarsene verso i boschi.
"Marshmallow!" lo chiamò dopo che ebbe fatto qualche passo. Quando si voltò, Elsa si tolse la coroncina che portava e gliela lanciò. "Puoi tenerla per due giorni!" gli urlò vedendo che sul volto di neve si apriva un sorriso raggiante alla vista del luminoso gioiello.
Quando si fu allontanato abbastanza, Elsa perse quel sorriso trasognato che si era allargato sul suo viso da quando aveva rivisto il suo omone di neve. Improvvisamente le tornò in mente un particolare dei sogni che l'avevano tormentata in quegli ultimi giorni, da quando aveva scoperto che Weselton stava per tornare ad Arendelle.
Aveva avuto paura di lui dal primo momento che lo aveva sentito parlare dei suoi poteri. Aveva avuto paura solo di lui quei giorni di angoscia che erano succeduti alla sua incoronazione.
Lo aveva visto strabuzzare gli occhi con disgusto alla vista degli spuntoni di ghiaccio affilati, lo aveva sentito accusarla di essere un mostro. Aveva sentito bene uno dei due scagnozzi che avevano tentato di ucciderla dirle "Il duca di Weselton vi manda i suoi saluti" prima di scoccare la prima freccia. Li aveva risentiti quella notte, e probabilmente anche nelle notti precedenti.
 
 
And the tears come streaming down your face
When you lose something you can't replace
When you love someone
but it goes to waste
could it be worse?
 
Erano rimasti in silenzio davanti alla scala ad ammirare l'imponente castello che perdeva a poco a poco il suo dolce colore per far spazio a un rossore livido.
"Andiamo." disse riscuotendosi da quei pensieri.
Fece un passo avanti e si sentì afferrare il braccio; si voltò per guardare Hans negli occhi.
"Tutto bene?" Lui aveva capito che c'era qualcosa che non andava, qualcosa dentro al castello che non le dava pace, e per un istante, guardando il viso mesto della donna, si pentì di aver insistito tanto per intraprendere quel viaggio.
"Sì..." rispose semplicemente, prendendogli la mano e tirandolo verso di sé per baciarlo. Quando si staccarono, il suo sguardò si illuminò leggermente, ma mantenne quel tratto di preoccupazione che Hans avrebbe giurato che fosse dovuto al colore delle pareti, oppure il colore stesso era dovuto alla sua preoccupazione.
Iniziarono a percorrere la lunga scala di ghiaccio scivoloso. Elsa avrebbe potuto scalarla di corsa a occhi chiusi, però preferì attendere Hans, che andava a passo sostenuto, troppo orgoglioso per ammettere che forse era meglio andare più piano per evitare una scivolata ogni tre gradini.
Arrivati in cima, le porte si aprirono da sole, come se il palazzo attendesse Elsa da tantissimo tempo e non vedesse l'ora che lei vi entrasse per accoglierla.
L'entrata era meno spoglia di quando l'aveva vista per la prima volta. Certo, in quel momento era stato più importante correre a cercare quei due bastardi che volevano ucciderla, invece di rimanere a osservare la bellezza di quel posto, ma era certo che tre anni prima, la fontana di ghiaccio fosse molto meno elaborata, e non c'erano nemmeno quei tre gruppi scultorei. Il primi due, più vicini fra loro e in bella vista, erano composti da due persone ciascuno: Anna e Kristoff stretti in un abbraccio, con i loro sorrisi solari che riscaldavano il cuore pur essendo statue di ghiaccio, e appena lì vicino c'erano due persone che lui conosceva perché i loro ritratti erano numerosi nel palazzo reale, e anche perché li aveva visti di persona da piccolo, gli stessi giorni in cui aveva conosciuto Elsa. Era una perfetta riproduzione dei defunti sovrani di Arendelle, i genitori di Elsa. Rimase fermo a guardarli per qualche istante, sentendo il respiro tranquillo di Elsa alle sue spalle. Gli aveva parlato di rado della perdita dei suoi genitori, ma quei pochi momenti gli erano bastati per capire quanto avesse sofferto, e quanto soffrisse ancora, forse più di quanto volesse ammettere a sé stessa.
Ma fu la statua più in là di qualche metro, un po' più nascosta nell'ombra, che catturò la sua attenzione. Oltrepassò la statua del re e della regina e lasciò che Elsa ricacciasse dentro le lacrime senza proferire parola, senza voltarsi o dirle niente. Quello che c'era da dire glielo aveva detto tempo addietro, quando l'aveva trovata a piangere davanti alla loro tomba il giorno dell'anniversario della loro morte.
Quella statua era... Lui. All'inizio aveva pensato follemente di trovarsi davanti a un suo fratello, ma più si era avvicinato, più aveva capito che si stava trovando davanti a un sé stesso di ghiaccio.
Era perfetto. Non nel senso che lui fosse perfetto (questo lo sapeva già): la statua riproduceva il suo corpo intero in maniera così minuziosa ed elegante che per un attimo si stupì che non respirasse.
"Non hai idea di quanto tu mi sia mancato. Credevo di impazzire." gli aveva confidato quando erano ancora nel regno di Corona a fare i bagagli per andare ad Arendelle. Sapeva già che non gli aveva mentito, anzi, gli aveva raccontato tutta la sofferenza che aveva affrontato in quei mesi, ma ora, avendo davanti la prova della sua sofferenza, capiva per davvero a cosa si era riferita quando gli aveva detto che stava per impazzire.
...E lui non aveva avuto nemmeno il privilegio di avere un suo ritratto da guardare nei momenti più cupi.
Lo aveva ritratto con un sorriso solare, il suo vero sorriso, quello che riservava solo per lei. Sentì il bisogno di baciarla dopo questa visione, e, come se solo col pensiero l'avesse richiamata, la sentì avvicinarsi lentamente a lui e abbracciarlo da dietro.
"È uno dei tanti motivi per cui non volevo che Anna venisse qui con me..." esordì cingendogli il torace e guardando assorta la statua.
Rimase in silenzio ad accarezzarle le mani per qualche istante.
"…E gli altri motivi?" chiese sottovoce rimanendo – beandosi – in quella posizione.
"Di sopra." rispose lei stringendolo forte a sé, come per non permettergli di muoversi.
Quando Hans si decise ad andare di sopra però, la porta si spalancò con un tonfo ed entrò Marshmallow con un sorriso felice e spensierato sul volto e con tantissimi rami spezzati tra le braccia. Si abbassò sulle ginocchia e li appoggiò al pavimento con poca delicatezza, rischiando di abbattere le statue.
Elsa lo ringraziò e gli disse che era libero di farsi un giro per le montagne circostanti, raccomandandogli di non farsi vedere da nessuno. Probabilmente non era un permesso che gli veniva accordato molto spesso, perché il gigante si lanciò fuori dalla porta e in poco tempo sparì dalla loro vista.
Hans si voltò verso la regina, che aveva dipinto sul volto un sorriso intenerito, e le chiese come poteva lasciarlo andare in giro per il mondo con la sua corona.
"Gli piacciono i diamanti che brillano." rispose con un'alzata di spalle dirigendosi verso la scala che portava ai piani più alti.
"Andiamo?" disse dopo aver fatto un respiro profondo. Lui la superò e procedette per primo, come per mostrarle che non aveva paura di niente.
Riconobbe gli scalini che portavano al piano superiore dove era avvenuto lo scontro fra Elsa e i due scagnozzi del duca.
 
Man mano che saliva le scale, Elsa si rendeva conto di aver vissuto quel momento in un sogno, solo che nel sogno il castello era scuro, mentre in quel momento era rossiccio. Dannata paura.
 
Per tutto il giorno Hans non aveva saputo minimamente cosa aspettarsi di trovare nascosto nel castello. Le statue avevano dimostrato la sofferenza ancora pulsante dentro di lei, soprattutto quella per la morte dei suoi genitori; ma soffriva anche per qualcos'altro, qualcosa che si trovava sopra di loro, a pochi metri, ormai.
Quando vide, dovette sbattere le palpebre qualche volta per accertarsi che non fosse un incubo. Si bloccò non appena vide lo sfacelo che albergava in quell’ampia sala, e quando lei capì che lui aveva inteso – ricordato – lo superò e i diresse verso il balcone lasciandolo solo a contemplare quello che gli aveva tenuto nascosto finché aveva potuto.
Quando aveva fatto cadere il lampadario sulla testa di Elsa e lei si era scostata rovinando a terra, quando l'aveva presa in braccio per difenderla da qualunque sciocco si fosse esposto di nuovo per ucciderla, prima di lasciare la stanza, si era guardato bene intorno. Ogni centimetro delle pareti era ricoperto da aghi di ghiaccio affilatissimi; per terra, delle lunghe lastre acuminate giacevano inermi senza la vittima che avrebbero dovuto avere; la porta del balcone era completamente sfondata da un pesante blocco di ghiaccio anch'esso non giunto a conclusione del suo omicidio. Il lampadario crollato a terra aveva lasciato frammenti ovunque sul pavimento. Si era guardato intorno, quel giorno, e mai avrebbe immaginato di dover rivedere quello scenario.
 
High up above or down below
When you're too in love to let it go
But if you never try, you'll never know
Just what your worth
 
Non c'era niente che fosse cambiato, salvo qualche metro dove il pavimento era tornato liscio come prima. Sentì il ghiaccio scricchiolare sotto i suoi piedi, rimase a fissarli per un po', incapace di alzare il volto e tornare a guardare – a rivivere – quella scena agghiacciante.
Con la coda dell'occhio la vide poggiare i gomiti sul parapetto del balcone, ricostruito in parte, e appoggiarsi a esso, in attesa.
 
Perché tutto questo? Perché congelare quel drammatico momento delle loro vite per tutti quegli anni? Perché non era riuscita ad andare avanti?
Faceva male vedere tutto quello, faceva male a lei quanto a lui.
 
Intanto Elsa scrutava mesta l'orizzonte, in attesa della reazione di Hans. Quando si era bloccato in quel modo davanti alla sala, aveva capito che ricordava, ma non sperava che avrebbe capito anche il perché di tutto ciò.
Mentre aspettava, le giunsero alla mente nuove, vivide immagini del sogno che l'aveva tormentata la notte precedente.
Correva a perdifiato attraverso la sala che in quel momento accoglieva lei e Hans, era molto più grande che nella realtà, e soprattutto più buia. Alle sue spalle i due inseguitori, le guardie di Weselton che le urlavano "puttana" con la voce del duca. Terrorizzata, chiamò Hans più e più volte, ma questi non arrivava – perché non arrivava? –. Voleva usare i suoi poteri ma non ci riusciva. Era in trappola, e poco dopo capì – vide – perché lui non accorreva in suo aiuto. Non poteva.
Eppure... Eppure in quel momento, o meglio, quando si era svegliata e aveva ricordato per pochi istanti il sogno, prima che sprofondasse di nuovo nell'oblio del sonno, ricordava che la visione di Hans trafitto da una freccia di balestra – quella destinata a lei – non l'aveva spaventata. Aveva fatto lo stesso sogno per alcune notti di seguito, da quando aveva saputo che il duca sarebbe giunto ad Arendelle. La prima notte era stata di puro terrore, al punto che Hans l'aveva dovuta svegliare per evitare un congelamento simile a quello che aveva subito una delle loro ultime notti nel regno di Corona, sei mesi prima. L'aveva minacciata scherzosamente che la prossima volta che fosse successa una cosa simile, avrebbe bruciato il letto con lei sopra, e lei ritrovando la calma gli aveva raccontato il sogno, sentendosi una stupida; gli aveva confessato i suoi timori nel rivedere quel maledetto omuncolo, e lui era rimasto ad ascoltarla e a cullarla tutta la notte. Quello che non sapeva Elsa era che il principe aveva fatto la stessa cosa anche le notti seguenti, ma senza svegliarla. E lei non capiva quella sensazione di sollievo che la pervadeva ogni volta che arrivava a vedere il suo cadavere. Non capiva, e si sentiva in colpa per questo.
 
Accompagnata da questi pensieri attese che il principe la raggiungesse. Dopo molto tempo, probabilmente erano passati più di dieci minuti, sentì i suoi passi dirigersi verso il balcone, verso di lei. Attese senza voltarsi, e quando lo scricchiolio del ghiaccio sotto gli stivali non fu più udibile, sentì gli occhi di lui su di sé, uno sguardo bruciante, quasi corrosivo, e forse anche un po' deluso. Non ebbe il coraggio di voltarsi.
 
Con un sospiro, Hans sedette ai piedi della regina con la schiena appoggiata alla parte di muretto di ghiaccio del balcone ancora intatta. Lei controllò di sottecchi i suoi movimenti e capì che desiderava essere imitato. Lo fece. Si abbassò e prese posto accanto a lui, ma erano così lontani che i loro abiti non si sfioravano nemmeno. Andava bene così.
 
"Ti facevo più ordinata..." esordì il principe dopo un po', tentando inutilmente di sdrammatizzaere. Si strinse nel pesante mantello e appoggiò la nuca alla lastra di ghiaccio.
Elsa non riuscì a celare un sorriso, però questo svanì subito lasciando spazio alla serietà che le imponeva lo stato di nervosismo.
 
Rimasero in silenzio per alcuni istanti, poi prese di nuovo la parola il principe: Elsa si ostinava a rimanere zitta, così lui la incitò a parlare.
 
"Pensavo...Credevo che..."
"...Che mi fosse passata?" tagliò corto lei iniziando a tormentarsi le mani. "Lo credevo anch'io, tre anni fa, quando ero venuta qui per recuperare la mia corona. È stato subito dopo che te ne sei andato..." Ormai tutto ruotava intorno a lui, Hans non poté fare a meno di notarlo e di compiacersene: avrebbe potuto dire 'dopo che l'inverno è finito', o 'dopo che mi sono riappacificata con Anna', e invece scelse la sua partenza – forzata – come indicatore di tempo. Dopo una breve pausa riprese.
"Avevi ragione, sai? Dio solo sa quanto avevi ragione nel dirmi che ero un mostro..."
"Che stai dicendo?" Hans non voleva negare ciò che le aveva detto, ma dover risentire le parole velenose che le aveva rivolto gli faceva ricordare quei tempi in cui l'aveva odiata per davvero, e lui odiava sé stesso per questo.
"Il nostro incontro prima del tuo processo, rammenti?"
"L'ho detto solo per ferirti... Non lo pensavo davvero!" le ricordò lui, mentendo, come a voler affievolire la sua colpa, cosa impossibile, perché lei lo aveva già perdonato per questo, mentre lui no, e non l'avrebbe mai fatto.
"Ciò non toglie che avevi ragione." tagliò corto la donna.
"...Come l'avevi quando mi dicesti che qualche anno non era di certo sufficiente per cancellare...–"
"–Le ferite di una vita, sì." ricordò lui con un sorriso. Mosse la mano di qualche centimetro per avvicinarla a quella di lei, ora abbandonata sul pavimento a grattare con un'unghia la superficie perfetta. Si bloccò. Lei non aveva ancora finito di parlare. Si lanciarono uno sguardo di sottecchi, prima di distogliere gli occhi.
 
"Io..." ricominciò con la voce tremante.
"Non sono sicura nemmeno adesso di essere capace di sciogliere tutto questo." concluse con un tono di voce sempre più basso.
Non ci era voluto molto ad Hans per capirlo: gli erano bastati i primi due secondi per arrivare a questa grande verità.
"Perché?" le chiese in un sussurro voltandosi verso di lei.
Elsa appoggiò la nuca alla parete del balconcino e fece un respiro profondo.
Non riuscì a fermare le lacrime.
 
Tears streaming down your face
When you lose something you cannot replace
Tears streaming down your face and I
 
"Li vedevo sempre. Mi seguivano come un'ombra per ricordarmi chi sono, cosa stavo facendo. Cosa ho fatto al mio popolo… ad Anna." incominciò mortificata, con la voce così bassa che sembrava che qualcuno la stesse strangolando. Hans rimase immobile ad ascoltarla.
 
Gli raccontò dal principio come era arrivata a quel punto; gli disse che la prima volta che era tornata al suo palazzo non aveva voluto portare nessuno con sé, perché sapeva che Anna avrebbe fatto domande su quel disastro, domande alle quali lei non avrebbe saputo dare risposta – cosa volevano colpire quegli spuntoni di ghiaccio, perché quel blocco era prossimo a cadere dal balcone. Non aveva passato molto tempo lì, giusto il necessario per cercare Marshmallow e farsi restituire la corona. Era rimasta nella sala d'ingresso a fissare il soffitto, incapace di andare ai piani più alti per vedere cosa rimanesse di quel giorno, anche se la visione del balconcino distrutto che l'aveva accolta una volta arrivata davanti al palazzo le aveva lasciato intendere che niente era mutato dalla settimana prima.
Se n'era andata senza voltarsi indietro, consapevole di aver lasciato tutto immobile e immutato. Consapevole che non si era ancora rimarginata la ferita che si era aperta nel suo cuore alla visione di quei due uomini che le puntavano contro delle armi, dei loro volti contratti dal disprezzo, delle sue mani che stavano per compiere un omicidio, il ricordo di quella rabbia – la rabbia che lui aveva notato –, che divampava dentro di sé e che le stava facendo compiere quell'atto disumano, non necessario, non le lasciava pace. E dopo l'incontro con Hans al suo processo, dopo tutto quello che le aveva detto, quei ricordi l'avevano tormentata al punto che ogni volta che si recava al suo palazzo con l'intenzione di distruggere la prova della sua mostruosità, ritornava a casa senza aver concluso niente.
Asciugandosi frettolosamente una lacrima col dorso della mano, disse ad Hans che col tempo aveva cercato di giustificare questa sua scelta, ammettendo che quella sala che si presentava davanti ai loro occhi le servisse da monumento per ricordarle i suoi sbagli. Mentre parlava, lo sguardo del principe rimaneva fisso su un punto indefinito davanti a sé. L'ascoltava, l'amava, ma non riusciva ad avvicinarsi, a proferir parola alcuna, perché più lei parlava, più lui ricordava con quali sentimenti era giunto al suo palazzo, cosa lo aveva spinto a fermarla dal commettere un assassinio. A cosa stava pensando mentre 'deviava' il colpo della balestra. E più ricordava, più si odiava.
Quando poi era tornata dal primo viaggio per il regno di Corona, quando finalmente l'ultima notte i due avevano messo da parte i loro dissidi, tutto era cambiato. Ed era cambiato maggiormente dopo il suo secondo viaggio in quel regno, avvenuto sei mesi prima. Lei si recava a palazzo per poter pensare in santa pace a lui, perciò anche le tracce del suo tentato omicidio erano diventate l'emblema del fatto che lui fosse stato , che le avesse parlato, che l'avesse salvata.
Nei tempi in cui Anna non le parlava, aveva passato molto più tempo in quel luogo impregnato di lacrime e di pensieri infelici, di solitudine e di angoscia. Eppure quello era stato l'unico posto che nonostante tutte le lacrime assorbite, le aveva dato la forza per andare avanti.
Nuove lacrime si fecero strada sul suo volto al ricordo di quei tre mesi di infelicità che avevano preceduto la loro nuova e definitiva unione. Cercò di asciugare il volto con un gesto nervoso, lanciando uno sguardo al principe e cercando di decifrare la sua espressione del viso, ma non riuscì a capire nulla.
"Cancellare tutto questo sarebbe come far finta che non sia successo niente, che io non sia un mostro e che tu non mi abbia salvata. Non posso! Non ci riesco." concluse lasciando che passasse qualche istante prima di pronunciare l'ultima frase.
 
Udendo queste parole, Hans trovò il coraggio per parlarle, tenendo però lo sguardo fisso sul punto indefinito.
Elsa si sbagliava. Ciò che si presentava ai loro occhi non era la prova di quanto lei fosse cattiva e lui buono. No... Rivelava quanto entrambi fossero due mostri. Lei doveva saperlo.
Si arrese e sospirò colpevole.
“Ti sbagli.” esordì con la voce bassissima.
 
"Non ho mai cercato di salvarti."
 
Tears streaming down your face
I promise you I will learn from my mistakes
Tears stream down your face and I
 
 
Elsa era perfettamente consapevole che lui aveva progettato di ucciderla e che se Anna non si fosse messa in mezzo, lo avrebbe fatto davvero, senza alcuna esitazione e senza rimpianti, e lo aveva accettato. Come lui aveva accettato che non lo avrebbe mai perdonato a livello ufficiale per quel gesto, anche se entrambi erano giunti insieme alla conclusione che la colpa per quel che era successo non era solo da una parte, così, dopo immani sofferenze, erano riusciti a metterci una specie di pietra, sopra. Non parlavano spesso di quello che era successo prima, però capitavano delle volte in cui accadeva, ma tendevano a scherzarci su.
Hans aveva paura. Aveva paura di rivelarle che l'unico atto di salvataggio, se così poteva essere chiamato, era stato quello di impedirle di uccidere le due guardie. Elsa era convinta che quando aveva deviato il colpo di balestra, il crollo del lampadario fosse stato del tutto accidentale, e Hans glielo aveva lasciato credere, probabilmente perché quell'argomento era uscito dopo il secondo viaggio a Corona, quindi dopo che ci avessero messo una pietra sopra. Era così abituato all'amore di Elsa che temeva – erroneamente – che se lo avesse saputo sarebbe rimasta delusa, e soprattutto si sarebbe arrabbiata.
 
"Quando ho visto tutto questo..." disse alzando una mano e indicando lo sfacelo che si presentava davanti ai loro occhi, "ho pensato che il motivo fosse che ancora non avevi accettato quello che avevi fatto. Ma poi hai detto che..." continuò cercando nell'aria le parole giuste, parole difficili da pronunciare, ma alla fine le trovò.
"Io non ho alcun merito."
Le spiegò le vere intenzioni con cui era giunto al palazzo, il motivo per cui aveva voluto deviare il colpo che le sarebbe stato fatale.
Doveva essere lui ad ucciderla, è questo che aveva continuato a ripetersi mentre partiva da Arendelle per cercarla, come per una sorta di macabra perversione. Voleva essere lui a porre fine alla vita della donna che non avrebbe potuto avere.
La stessa cosa che si era ripetuto vedendo i due uomini entrare nel palazzo da soli, e infine, lo aveva deciso una volta tradita Anna. Doveva essere lui. Non avrebbe permesso a nessuno di farlo al suo posto, soprattutto non in quel modo.
Quando aveva raggiunto la sala e si era lanciato su quell’uomo, aveva preso seriamente in considerazione di ucciderla in quell’attimo di confusione, per questo aveva gettato uno sguardo veloce al lampadario. Non aveva sbagliato mira, come lei sosteneva prendendolo in giro: era uno dei migliori arcieri del suo regno, al punto che avrebbe colpito una lepre in movimento a 50 piedi di distanza. Non era stato casuale quel crollo.
 
"…Ti avrei uccisa, ma ti ho dato tempo per fuggire, capisci?" le disse senza ancora voltarsi verso di lei, che implorava di essere guardata negli occhi.
"...E mi sono maledetto per questo atto di misericordia fino a poco tempo fa." le confessò infine, con un tono rabbioso, menando un pugno contro il pavimento. Elsa sussultò.
Continuava a ripetersi che avrebbe dovuto ucciderla in quel momento, quando ne aveva avuta la possibilità, e più se lo ripeteva, più si era scoperto restio ad ucciderla, in quel momento. Era stato un tentativo troppo banale per sperare che funzionasse davvero. E più si rendeva conto di questo aspetto delle sue azioni, più si scopriva attratto da quella donna che non poteva avere, che credeva che mai avrebbe avuto.
 
Odio, sempre e solo odio fino a quando lei era tornata la seconda volta nel suo luogo di prigionia. L'aveva odiata così tanto che il solo ricordo di quei passati sentimenti gli faceva crescere dentro un senso di colpa che gli artigliava il cuore – l'anima – e non lo abbandonava per lungo tempo. In verità, una parte di lui, la parte estremamente orgogliosa e vanesia, era fermamente convinta che avesse fatto la cosa giusta progettando di ucciderla. All’inizio era semplice e puro egocentrismo, mentre poi, quando aveva cominciato a smettere di odiarla, aveva realizzato che senza quel tentato omicidio così ben architettato, loro si sarebbero trovati lì insieme, non così innamorati.
 
"Perché non me l'hai detto?" La domanda di Elsa arrivò presto, tranquilla e innocente, e questa volta fu lei a muovere la mano in direzione del principe e a spostarsi un po' verso di lui.
In quel momento Hans si rese conto che faceva davvero freddo. Guardò le venature rosse sempre più accese che assumevano le pareti del castello e si chiese cosa stesse provando Elsa in quel momento. Paura? Rabbia? Delusione?
Finalmente riuscì a guardarla negli occhi. Erano offuscati da nuove lacrime che non erano ancora scese perché probabilmente attendevano il colpo finale, la risposta che Hans non voleva darle.
 
Aveva paura. Questo era il punto. Aveva sempre avuto paura che qualcosa sarebbe cambiato fra di loro se lei avesse saputo che lui l'aveva tradita in ogni modo, nascondendo molto bene le sue intenzioni dietro a una maschera di galanteria e coraggio. Lei credeva in quell'Hans, perché così facendo aveva la prova che lui non fosse mai stato così malvagio, dopotutto.
Quello che non sapeva, e che lui non aveva mai voluto dirle, era che il suo cuore era già marcio quando era arrivato ad Arendelle.
 
"Secondo te?" le rispose distogliendo nuovamente lo sguardo, sentendosi incapace di sostenere quello di Elsa.
Lei lo guardò ancora, e ancora, e questa volta fu lui a sentire uno sguardo di ghiaccio che scavava nella sua pelle in cerca di verità. Quello di cui Hans non riusciva a rendersi conto era che, come lui capiva lei, Elsa lo capiva più di quanto non capisse sé stesso.
 
"...Perché saresti stato un insopportabile guasta-feste? ...O perché sei un insopportabile orgoglioso?" gli disse in un sussurro, la voce rotta un pianto liberatorio che – con grande stupore di Hans – si trasformò in una risata che parve più un rantolo. In un istante se la ritrovò fra le braccia a piangere sulla sua spalla.
"Oh, Hans, dovevi dirmelo!" Tirò su col naso mentre lui le accarezzava la schiena con incertezza.
"Pensavi davvero che sarebbe cambiato qualcosa?" Si tirò su leggermente per afferrargli un lembo del mantello, per dare più fermezza alla sua domanda.
Bloccato. Con le spalle al muro. E non aveva via di scampo, questa volta, come quando gli aveva chiesto perché aveva preferito ucciderla al posto di provare a farla innamorare di sé.
"Sì." rispose semplicemente.
In tutta risposta, come dimostrazione che lui si sbagliava di grosso, lo strinse in un bacio soffocante, quasi violento, come se avesse dovuto sostituire uno schiaffo, che il principe meritava alla grande.
"No." lo rassicurò quando si staccarono, e lui le asciugò le lacrime baciandole gli occhi e le guance.
 
"Perché piangi ancora?" le chiese abbozzando un sorriso a pochi centimetri dal suo viso.
"Perché mi hai fatto ricordare cosa ho sognato stanotte e le notti precedenti." rispose sollevandosi da lui dopo che si era di nuovo abbandonata fra le sue braccia.
 
 
 
 
Lights will guide you home
And ignite your bones
And I will try to fix you
 
C'era qualcosa che non tornava in quel sogno. Era esattamente uguale agli altri, a quello che l'aveva svegliata una settimana prima e l'aveva resa triste e sconsolata per tutta la notte, eppure quelle due ultime mattine si era svegliata in una piacevole sensazione di oblio ovattato che l'aveva portata a pensare di non aver sognato. Eppure i ricordi avevano iniziato ad aggredirla da quando era arrivata al suo palazzo, e l'avevano sopraffatta proprio mentre Hans le rivelava la verità sulle intenzioni con cui era giunto a castello.
 
Sapeva che l'amava, altrimenti non si sarebbe trovato lì, in quel momento. Avrebbero trascorso le loro vite beandosi dei fugaci momenti nella stanza di lui nel regno di Corona, una volta all'anno, o ogni due o tre anni. No, lui l'amava, e se le aveva tenuto nascosto qualcosa, lo aveva fatto solo per vergogna, e lei non era certo il tipo da deridere qualcuno, specialmente Hans, perché lo amava con ogni fibra della sua essenza.
 
E allora perché si era sentita sollevata alla visione del suo cadavere trafitto da una freccia?
Due parole. Due parole le erano rimbalzate per la mente prima che lei si addormentasse di nuovo e risprofondasse nel sonno. Non le venivano in mente, eppure sapeva che sarebbero state la chiave di tutto. Decise di dirglielo: magari insieme sarebbero giunti a capo di quell'enorme garbuglio.
"Quanto ti sentiresti ferito se ti dicessi che ieri ho fatto lo stesso sogno di mercoledì scorso e che vedendoti morto mi sono sentita bene?" Le parole le uscirono tutte d'un fiato dopo che si fu scostata di nuovo da lui.
 
Hans rimase pietrificato. Cosa diavolo gli aveva detto? Si voltò verso di lei sperando di vedere il suo viso nascondere un sorriso di scherno, lo sperò davvero, ma tutto quello che vide fu l'alzarsi e abbassarsi della schiena di lei, scossa dai singhiozzi che rotolavano per tutta la sala.
Si impose di rimanere calmo. Non c'era motivo di preoccuparsi.
"Si può sapere cosa...?"azzardò una risata che uscì nervosa e gracchiante. Non sapeva nemmeno cosa dirle, e quel freddo sempre più pungente non aiutava.
Non aiutò nemmeno vederla accasciarsi lungo il pavimento in preda ai singhiozzi.
Odiava vederla in quello stato, odiava vederla star male e odiava il fatto che così facendo, tirava fuori da lui il suo lato più tenero, tenuto nascosto sotto miliardi di strati di qualsiasi altro sentimento. Aveva smesso di intenerirsi per qualcosa verso i sei o sette anni, come il mondo degli adulti gli aveva imposto – come i suoi fratelli gli avevano imposto, se non voleva essere preso in giro anche per quello – e poi era arrivata Elsa. A volte si trovava a sorridere senza un motivo preciso, o forse perché poco prima il pensiero di lei lo aveva sfiorato, lasciandogli un sorriso da innamorato stampato sulle labbra. Non le aveva mai detto che l'amava, ma lei non se n'era mai lamentata. Gli sguardi, le parole, i gesti che l'uno faceva per l'altro erano sufficienti a dimostrare quanto amore stava nutrendo i loro cuori da quella notte nel regno di Corona passata su un divanetto a raccontarsi paure e rimpianti, illuminati dalla fiamma calda e confortante di un amore appena sbocciato.
 
Elsa era strana. Sempre pronta ad addossarsi la colpa per tutto quello che accadeva nel mondo, a palazzo, a lui – be', effettivamente la febbre di due settimane prima l'aveva presa per colpa sua, ma cosa importava? Era guarito! – sempre timorosa di ferire le persone a cui voleva bene al minimo gesto o parola, sempre... lei. Questo lo aveva capito e accettato molto tempo prima, quindi, sebbene la sua affermazione l'avesse toccato nel profondo, non intese quella rivelazione come un affronto alla sua persona, come se fosse stato minato il loro affetto, così come lei non si era arrabbiata per quello che lui le aveva detto poco prima.
Rimase ad ascoltarla mentre pronunciava frasi senza senso sul fatto che lui fosse morto sul pavimento di ghiaccio del palazzo, e poi si decise. Era da una settimana che lo faceva, dove stava il problema – a parte nel fatto che fosse sveglia?
Si distese di fianco a lei, rannicchiata sul fianco destro, e le passò il braccio destro intorno alla vita, afferrandole una mano, abbandonata sul pavimento.
"Ssssh." incominciò a cullarla.
 
Elsa si sbagliava. Non ricordava le fantomatiche parole come non ricordava il resto del sogno.
 
"Elsa..." Hans era vivo. La freccia che gli trapassava il petto era completamente sparita. Era inginocchiato davanti a lei, accasciata sul pavimento colma di orrore.
 
"Elsa..." le sussurrò Hans dietro di lei accarezzandole con la mano libera i ciuffi di capelli che erano usciti dalla semplice treccia che aveva fatto poco prima di partire.
 
"È solo un sogno..." Le afferrò le mani, lei intimorita continuava a guardarsi intorno, ma non c'era più traccia dei due uomini.
 
"Solo un brutto sogno" le disse in un soffio, i suoi singhiozzi sembravano aver coperto le parole del pricipe, eppure lei ripeté quelle parole con la voce un po' più calma, sebbene rotta dal pianto.
"...Un brutto sogno..."
Hans sentì che riacquistava lucidità, così le fece eco di nuovo con la voce bassa, calda. "Sì, solo un brutto sogno."
 
"Calmati..." Udì ancora una volta la sua voce, così vicina, così calda...
L'Hans del sogno le aveva preso il viso fra le mani costringendolo a guardarlo. E lei si era persa ancora una volta in quegli occhi che le facevano sentire la primavera, che lei amava tanto senza averla mai vista.
"Non è successo niente..." Ora era sparito. Sentiva solo la sua voce che le parlava, come una carezza leggera che portava via la nebbia della confusione. Non c'era più nessuno nella stanza, solo lei e l'oscurità, una luce tenue – forse un braciere prossimo a spegnersi? – in lontananza, opaca. Aveva gli occhi pesanti, le bruciavano, forse era colpa delle lacrime.
 
"...Non è successo niente..." continuò il principe con il sorriso sulle labbra, issandosi su un gomito e sollevandosi per baciarle un punto ben definito dietro all'orecchio.
 
Elsa era strana. Si disperava per qualsiasi cosa avesse minimamente a che fare con lei, come quella volta che Hans aveva avuto la febbre così alta che lei aveva voluto vegliare su di lui per tutta la notte, anche se non era mai stato in pericolo di vita. Aveva la testa dura, non accettava l'idea che le cose brutte accadessero e basta, senza che i suoi poteri avessero a che fare in alcun modo. Si disperava, faceva intenerire Hans, e quando, giunto all'esasperazione, iniziava a ridere di lei, cominciava a ritornare in sé.
 
"Io..." continuò il principe stringendola sempre più a sé, e gli parve che per un attimo il freddo si stesse attenuando. O forse era diventato completamente insensibile: era pur sempre disteso su una lastra di ghiaccio duro come il diamante.
 
"Io..." La voce sembrava sempre più chiara, più vera. Eppure lui non c'era. Dov'era?
 
Elsa spalancò gli occhi, travolta dalla consapevolezza come se questa fosse stata una secchiata di acqua bollente. Ora si che ricordava. Ora si che la felicità nel vederlo morto assumeva un senso.
Perché lui non se n'era mai andato.
Fece appena in tempo a rotolare sul suo braccio e voltarsi per guardarlo negli occhi prima che pronunciassero insieme quelle due parole.
 
"Sei qui." sussurrò lei, regalandogli uno di quei sorrisi lacrimosi che lui non riusciva a non amare.
"Sono qui." Il verde si perse nel blu. Hans sorrise: lei aveva capito.
 
"Sono qui." La voce di Hans era un sussurro perso nell'oscurità di una stanza appena tornata calda. Non vedeva più niente. Solo le stelle fuori dalla finestra. Forse non era un sogno. Forse glielo stava dicendo nella realtà. Lo sentiva. Non era davanti a lei; era dietro, le parlava abbracciandola da dietro.
 
Passato un attimo di disorientamento (di Elsa, perché non capiva com'era possibile che tutto le fosse sembrato così chiaro nel giro di pochi minuti, di Hans, che si rese conto quasi – quasi – con gioia di essere stato scoperto), le loro labbra si incontrarono. Elsa si tuffò sopra di lui nello stesso momento in cui lui l'attirò a sé stringendole la vita e percorrendole la schiena e i fianchi con le mani.
 
Con suo sommo dispiacere, Hans si accorse troppo tardi – non prima di aver picchiato la testa contro il pavimento – che non erano ad Arendelle, sul letto di lei o di lui, quindi non c'erano cuscini ad attutire niente. Gli scappò un gemito lamentoso dalla bocca e la sentì sorridere sulle sue labbra, così per ripicca invertì le posizioni. Se voleva fare la Regina delle Nevi, allora che stesse lei a diretto contatto col ghiaccio.
Si sentiva protetta, lei, a essere bloccata contro il pavimento, quindi non lo prese come affronto. Ricominciò a baciarlo con più foga intrecciando le dita fra i capelli di lui. Tutto quel che era successo da quando erano partiti per il viaggio aveva fatto loro accumulare tanta tensione che non vedevano l'ora di unirsi, di stare vicini, di diventare una cosa sola ancora una volta.
Eppure Hans trovò la forza di staccarsi da lei e tornare seduto, sotto uno sguardo incredulo e, sì, deluso.
"Dobbiamo fare una cosa prima, non credi?" Si alzò in piedi e le porse una mano rivolgendole un sorriso dolce, quello che lei amava tanto. Piena di incertezza, rossa in viso, lei gli prese la mano e lasciò che la facesse alzare tirandola su per un braccio. Quando furono in piedi entrambi, Hans mosse qualche passo all'indietro, prendendole anche l'altra mano perché lo seguisse al centro della sala, accanto al lampadario frantumato. I minuscoli pezzi di ghiaccio che ricoprivano il pavimento iniziarono a scricchiolare generando l'unico rumore nella sala, un rumore fastidioso che fece capire a Elsa cosa voleva Hans: cancellare tutto quello che si spalancava davanti a loro. Far tacere quei frammenti delle loro vite che ormai erano stati superati una volta per tutte, perché loro erano, insieme, ad amarsi, non più a farsi la guerra l'un l'altro.
"Sei sicuro?" gli chiese dopo che si furono scambiati un lungo sguardo d'intesa.
"Qui sono racchiuse le tue colpe... E le mie..." rispose soppesando sulle ultime parole. Le prese il viso fra la mani, e vide gli occhi di lei farsi grandi, avvolgerlo, cullarlo.
"Questi non eravamo noi, non..." continuò bloccandosi, incapace di trovare le parole giuste, come mi dispiace per tutto quello che è successo.
"...Adesso sono cambiate le cose." concluse infine, abbassando lo sguardo.
Oh, erano cambiate eccome le cose. Per esempio, la prima volta che aveva messo piede lì, non avrebbe mai immaginato che ci sarebbe stata una seconda volta, visto che lei doveva morire. Era senso di colpa, un senso di colpa che lo divorava ogni volta che la guardava negli occhi e ripensava a quello che le stava per fare. E lei lo capiva, ma non gli diceva niente: agiva e basta, come in quel momento. Capì cosa le voleva dire, perché desiderava così tanto che la sala tornasse alla sua perfezione. Lo capì, e improvvisamente sentì di desiderarlo anche lei. Gli percorse le braccia con le mani fino ad arrivare a cingergli le spalle, a quel punto gli diede un lungo bacio che lui ricambiò all'istante.
"Puoi lasciarmi sola un momento?" gli chiese sussurrandogli le parole all'orecchio.
Lui annuì tranquillo e si sciolse dall'abbraccio. Non si guardarono negli occhi, c'era ancora troppo imbarazzo. Si diresse verso l'uscita, dove le scale lo avrebbero portato ai piani minori e le disse che andava a prendere le coperte.
"Prendi anche la legna!" gli urlò Elsa quando aveva già fatto alcuni gradini.
 
*
 
Le concesse ben quindici minuti da sola, o così gli parve. Rimase nella sala d'ingresso a fissare con sguardo perso le statue di ghiaccio davanti a lui: si trovò a sperare che un giorno la sua statua sarebbe stata vicina alle altre. Certo, Anna l'avrebbe presa come un affronto personale, ma a chi importava di lei? Non gli rivolgeva neanche la parola...
Si caricò sulla spalla le quattro coperte, che alla fine aveva dovuto portare lui perché Elsa aveva tenuto il cesto con i viveri. Riuscì a portare anche un po' di legna, ma la metà di ciò che era riuscito a raccogliere gli cadde facendo le scale: meglio loro che lui, dopotutto.
Forse non erano passati proprio quindici minuti, a giudicare dallo sguardo imbarazzato con cui Elsa lo accolse. Ciononostante, sembrava più luminosa la stanza, forse perché l'aveva abbandonata quel livido rossore della paura di Elsa. I frammenti di ghiaccio sul pavimento erano spariti, così come le lastre di ghiaccio acuminato che tempo prima stavano per infilzare l'uomo con la balestra. Rimaneva ancora il blocco di ghiaccio sul balcone, le porte e il lampadario frantumati. Dopo averle lanciato un sorriso di comprensione, appoggiò le coperte in un angolo e tornò giù a prendere altra legna. E il cesto con il cibo.
Quando tornò era tutto a posto, tranne il lampadario. La trovò davanti a esso a fissarlo, dando le spalle a lui.
"Sai," incominciò gettando a terra i rami di pino spezzati che caddero emettendo un tonfo sordo "non credo che sia molto aggraziato in mezzo a tutto questo splendore..." disse avvicinandosi a lei a passi lenti.
"Dici?" chiese la donna abbozzando un sorriso nervoso.
"...Se però lo preferisci, possiamo farlo diventare una moda e far crollare tutti i lampadari del tuo palazzo." le disse stringendole la vita e appoggiando la testa sulla spalla; sentì le mani di lei stringere le sue.
Elsa chiuse gli occhi e rimase immobile.
"Non credo che Anna gradirebbe..." azzardò trattenendo un sorriso al pensiero di una Anna che gira per il palazzo armata di balestra, in cerca di Hans. Sarebbe stato dannosissimo… per lei. Conoscendola, l’avrebbe impugnata dal lato sbagliato.
Il principe si rese conto che forse aveva bisogno ancora di qualche istante per pensare prima di agire, così si staccò da lei – che si voltò subito dalla sua parte – e si diresse verso la legna per posizionarla meglio.
"Si può sapere come farà a non sciogliersi il pavimento?" le chiese attirando la sua attenzione. Lei dopo aver osservato attentamente i suoi movimenti, gli voltò di nuovo le spalle e rispose con più di una punta di orgoglio che il suo ghiaccio non si scioglieva facilmente, quindi di stare tranquillo.
Rimase incerto finché non vide la fiamma brillare fra i rami, bruciarli, scaldare l'ambiente circostante nel raggio di un paio di metri – era pur sempre un palazzo di ghiaccio – e non sciogliere il pavimento. Il suo ghiaccio si scioglieva solo se era lei a volerlo.
Nel frattempo Elsa, non sentendosi ancora pronta per distruggere il lampadario, si era dilettata nell'aggiungere nuove decorazioni di ghiaccio alle pareti, che Hans ammirò con tanto di occhi, ancora scioccato dalla bellezza, dalla perfezione che quella donna era in grado di generare.
Quando la fiamma arse luminosa riflettendosi sulla parete, Elsa rimase a fissarla per alcuni istanti, durante i quali iniziò a ricordare, ricordare il significato che quel fuoco assumeva per lei, per loro, e di quante volte l'aveva sentito dentro sé quel calore, l'amore di Hans.
Chiuse ancora una volta gli occhi, al di là del lampadario, e dalle palpebre filtrava una luce tremolante, una danza disarticolata di chiaro-scuri che la rimandò a quella notte di sei mesi prima, quando aveva scoperto di amare veramente il principe che in quel momento fissava incuriosito ogni sua azione.
Quando aprì gli occhi, il lampadario era completamente sparito, come se non ci fosse mai stato, e davanti a lei c'era lui, che si era accampato su una coperta distesa sul pavimento davanti al fuoco, e la guardava con un sorriso soddisfatto, dolce, fiero di lei. Si alzò in piedi, e, prima che potesse raggiungerla, lei alzò una mano e dal soffitto calò un nuovo lampadario, ancora più bello ed elaborato di quello che lo aveva preceduto. Hans si era bloccato a osservare questa nuova creazione, e quando fu completata, abbassò gli occhi e la vide che gli tendeva le mani. Abbozzò una corsa nella sua direzione, e quando la raggiunse la prese per la vita e la sollevò leggermente da terra.
"Bravissima." le sussurrò all'orecchio quando la ripose giù.
 
Nessuno aveva detto loro che sarebbe stato facile – a parte Olaf, che non poteva nemmeno concepire l'idea che Elsa potesse commettere degli sbagli. Nessuno si era mostrato comprensivo quando Hans era sceso dalla carrozza che lo aveva scortato da Corona ad Arendelle. Forse negli ulimi giorni qualcosa aveva cominciato a smuoversi, come l'approvazione di un'idea che Hans proponeva dal fondo della sala del Consiglio, ma erano ancora rari i momenti che potevano concedersi da soli senza avere gli occhi disgustati di tutti puntati contro. Erano quelli i momenti in cui si sentivano liberi, liberi di improvvisare un ballo nel centro della sala vuota, per esempio. Un ballo senza etichette e formalità, solo il volteggiare libero seguendo una musica tutta loro, che nasceva dal cuore, che li guidava, come un mese prima li aveva guidati ad attraversare insieme l'ampio cortile di Arendelle senza sentirsi nel posto sbagliato.
C'era silenzio nell'aria, ma non pesava a nessuno dei due. Ad Hans bastava guardare il sorriso di lei per sentire quel vuoto colmato. E gli occhi, quegli occhi blu che lo facevano sempre sentir cullato dalle onde calme del mare, che per anni gli aveva lambito la pelle e mai – mai – era stato più piacevole. Occhi che credevano in lui, occhi dell'unica persona sulla faccia della terra che non lo faceva sentire come se fosse stato un errore dei suoi genitori. Occhi che, per qualche motivo a lui ancora estraneo, lo amano senza riserve.
Rimasero a danzare per un po' mentre lungo le pareti, nuove decorazioni sempre più belle e armoniose si arrampicavano sulle colonne di ghiaccio nascendo dal nulla, senza che Elsa le creasse di sua spontanea volontà.
 
E quando si avvicinarono al giaciglio di coperte, Hans le fece lo sgambetto. Si distesero insieme sulla pesante coperta, e, dopo che la convinse che non aveva poi così tanto freddo, incominciarono a spogliarsi con una certa urgenza, interrompendo i baci solo per pochi istanti.
 
Fare l'amore con Hans la faceva sentire più viva che mai, ed era sempre stato così, anche le loro prime volte nel regno di Corona, quando non erano ancora in grado di distinguere la passione dal puro e semplice desiderio accumulato dopo mesi e mesi passati ad aspettare da soli, a sperare di potersi rivedere almeno una volta nella vita. Dopotutto il destino era stato più che magnanimo: aveva dato loro l’occasione di imparare ad amarsi.
Da quando erano tornati ad Arendelle, il principe sembrava sentire il bisogno di avere una sorta di potere su di lei. La regina gli aveva proibito di accedere ai suoi appartamenti durante il giorno per non destare sospetti – come se non ci fossero già, le ripeteva ogni volta – e lui lo faceva ugualmente; si avvicinava di soppiatto, iniziava a baciarla, e alla fine era lei a supplicare che lui la facesse sua. Avveniva così anche di notte, e lei non se n'era mai lamentata, forse perché quella situazione la faceva sentire veramente amata almeno quanto faceva sentire lui, il principe mal visto dall'intera corte, importante. Lei lo lasciava fare. Lui e i suoi maledetti complessi di abbandono. Lo lasciava fare e insieme diventavano una cosa sola. A dire il vero, non era tanto il raggiungimento del famoso apice a sancire quel momento, quello in cui lei diventava lui e lui diventava lei in un solo corpo. Era il guardarsi negli occhi e capire di desiderarsi, come era successo un attimo prima che lei gli permettesse di farle lo sgambetto. Era l'intrecciarsi delle loro mani bollenti, e strette al punto che sembravano voler entrare una nella pelle dell'altra.
 
*
 
"Che strano..." sussurrò il principe guardandosi intorno.
Quando Elsa si abbandonò tra le braccia del principe e appoggiò la testa al suo petto che si alzava e abbassava sempre più tranquillamente di respiro in respiro, notò che se n'era accorto. Lei lo aveva notato da quando aveva distolto per un istante gli occhi dai suoi, per alzarli al soffitto mentre lui la sovrastava e la mandava in orbita; lui doveva essersene accorto solo ora, quando era rotolato via da lei.
Arancione. Le pareti della stanza erano diventate di colore arancione con venature azzurrine e verdi, che a volte si mischiavano generando un nuovo color verde acqua, caldo e confortante. Né lui né Elsa avevano mai visto le pareti di quella sfumatura così calda, e non ci misero molto per capire perché fosse così: la passione lo aveva colorato dello stato d'animo in cui loro si sentivano.
 
*
 
Non ci furono altre crisi di panico – a parte quando Elsa scoprì che la cuoca aveva messo pochissimo cioccolato nella sua tortina, mentre per Hans aveva abbondato con la dose di crema. Passarono ciò che rimase della giornata stretti stretti vicino al fuoco, a raccontarsi storie, a far l'amore senza l'ansia che qualcuno potesse sentire i loro gemiti, e a parlare finalmente soli e senza pensieri del più e del meno, di come Hans si era trovato ad Arendelle in quei primi tempi e di quanto Elsa non sopportasse più le occhiatacce che tutti, Anna in primis, lanciavano loro ogni volta che li vedevano vicini. Non esagerò con le parole contro la sorella perché sapeva benissimo che avrebbero solo esaltato il principe, però aveva bisogno di sfogarsi, e lui fu tutto orecchie.
 
Non avevano mai visto l'alba insieme. Quando si trovavano nel regno di Corona, era necessario che lei se ne andasse prima, se non volevano essere scoperti, mentre ad Arendelle dormivano come ghiri finché il sole non era già sorto.
Quella mattina Elsa si svegliò, e come al solito fece troppo rumore mentre cercava di trovare una posizione più comoda sul pavimento (Hans le aveva proposto di farsi un letto di neve, ma lei aveva preferito stargli appiccicata per tutta notte, anche a costo di un mal di schiena terribile). Poi decise di sistemare la legna per ravvivare il fuoco, così lo svegliò del tutto. Stretti nei mantelli lasciarono perdere il braciere e uscirono sul balcone per vedere il sole sorgere davanti a loro. Arendelle sembrava così piccola di fronte a quell'immensità, che erano quasi tentati di rimanere un altro giorno, se non fosse stato per la sensazione di avere tutte le ossa rotte.
E poi Elsa ricordò che aveva lasciato il suo regno in mano ad Anna, quindi verso le dieci si prepararono a lasciare il castello.
 
"Non credi che manchi qualcosa?" esordì Elsa quando scesero nella sala d'ingresso, rivolta verso le statue di ghiaccio.
"Uhm?" rispose Hans in modo distratto mentre cercava di arruffare le quattro coperte per comprimerle meglio. La risata argentina di Elsa lo fece interrompere, o forse furono le sue mani a fermarlo dal compiere quel disastro lanoso.
"Stavo dicendo che… manco io..." riprese mentre insieme cercavano di piegare ordinatamente le coperte.
"Dove?!" chiese lui cercando di capire da che parte voltare il tessuto. Elsa gli strappò senza molte cerimonie la coperta dalle mani e la piegò da sola. Poi la appoggiò per terra e gli disse – sembrava più un ordine, a dire il vero – di guardarla. Lui, ancora interdetto, fece come gli aveva chiesto, e la guardò alzare una mano in direzione della statua di Hans e concentrarsi. A quel punto, a poco a poco, si formò una statua di ghiaccio che riproduceva fedelmente la regina di Arendelle. Sembrava che la stesse modellando come creta, perché riuscì a fare in modo che si insinuasse fra le braccia incrociate sul petto della statua di Hans e che quest'ultimo l'abbracciasse da dietro.
Erano perfetti, e quando Hans lo vide, non gli importò più che lui si trovasse lontano dagli altri gruppi: aveva lei vicino. Sempre e solo lei, e non avrebbe potuto chiedere di più per essere felice.
 
Raggiunsero la casa dove avevano lasciato Sitron mezzogiorno, e il padrone di casa rischiò un infarto quando Elsa lo ringraziò con una moneta d’oro e altre d’argento. Alla fine fu il figlio ad accompagnarli nella stalla a recuperare il cavallo, e se ne andarono salutati dalle urla di ringraziamento del vecchio.
 
Il giorno prima erano partiti presto, quindi in pochi li avevano visti lasciare il palazzo di Arendelle. Quando tornarono invece c'era molta vita ad animare il castello, sia fuori che dentro. Anna corse ad abbracciarla non appena scese da cavallo, la strinse così forte che sembrava che Elsa fosse scampata per poco ad un pericolo mortale – effettivamente per lei, Hans lo era.
La principessa non lo degnò di uno sguardo e, prendendo Elsa sottobraccio, la condusse all'interno del palazzo per raccontarle cosa aveva combinato in quei giorni di sua assenza. Hans le guardò entrare – Elsa si voltò per rivolgergli uno sguardo desolato – e si diresse verso le stalle per riportarvi Sitron. Rimase con lui per un po' ad accarezzarlo sovrappensiero. In altri tempi si sarebbe dispiaciuto e imbarazzato oltremodo se lei avesse scoperto che era grazie a lui se i suoi incubi si trasformavano in sogni. Lo stava cambiando, su questo non c'era più dubbio, ed era inutile negarlo. Da quando era arrivato ad Arendelle, gli capitava spesso di sentirsi fuori posto, a volte anche quando era con lei, mentre sentì che quegli ultimi giorni avevano messo ancora una volta alla prova il loro amore - sì, amore - e ancora una volta ne erano usciti vittoriosi, più forti di prima.
Rientrò nel castello, stanchissimo e con la schiena rotta. Aveva bisogno di dormire. Si diresse verso la camera di Elsa, ma sentì delle voci uscire da essa, voci femminili, concitate (– i tuoi ministri non sono poi così antipatici come pensavo –), quindi deviò all'istante come se la porta fosse stata arroventata e si rinchiuse nella sua stanza, la stanza che gli era stata assegnata e che usava per tutto tranne che per dormire. Il letto infatti era intatto da giorni.
Vi si buttò sopra, amareggiato del fatto che in quel momento la camera della sua amata fosse zona ad alto rischio, e ancora di più per il fatto che era ad alto rischio solo per lui.
 
*
 
Ormai erano passate le sette di sera quando Elsa, vestita di tutto punto, era riuscita a liberarsi di Anna e correre verso la stanza di Hans. Lo trovò disteso sul letto a pancia in su, il petto che si alzava e abbassava a intervalli regolari e il respiro lievemente pesante. Intenerita da quell'immagine si avvicinò lentamente al letto, attenta a non fare alcun rumore, e quando fu abbastanza vicina si levò le scarpe. Gattonò lentamente vicino a lui e gli si acciambellò sul petto. Il principe fece uno scatto e aprì gli occhi.
"È l'ora di cena?" chiese quasi spaventato.
Elsa lo guardò sognante. Lui la prendeva sempre in giro per i suoi capelli, che quando dormiva diventavano un ammasso cespuglioso, ma anche lui non scherzava affatto: forse era anche colpa del viaggio, ma i capelli ramati del principe erano ridotti a un ammasso di ciuffi sparati da tutte le parti.
In quel momento, con lui vicino, le sembrò tutto così perfetto, così facile, che si chiese perché aveva passato tre giorni a rodersi il fegato per una paura che lui era stato in grado di dissipare con poche parole. Si rese conto che quei due giorni al palazzo le erano serviti davvero, per capire molte cose di lei, di lui, e del loro amore, per andare avanti. Sentì di essere finalmente pronta per incontrare il duca di Weselton, l'uomo che la vedeva come una perfida strega malvagia; era anche pronta per lottare ancora una volta per Hans, e ancora e ancora, finché tutti non lo avessero amato e stimato quanto faceva lei. Finché Anna l’avesse piantata di parlare di lui come se si trattasse della peggior feccia del mondo. Le aveva dato la sua benedizione, però non si era mostrata minimamente amichevole con lui da quando era arrivato.
 
"No, dormi pure." gli rispose sorridendo e appoggiando di nuovo la testa al suo petto.
"Di’ ad Anna che non è educato negare il saluto a un principe... " mormorò Hans nel sonno muovendosi un po’ per stare più comodo, la voce così impastata che Elsa ci mise un po' per capire a cosa si stesse riferendo.
 
"Lo farò." promise solennemente muovendosi un po’ in avanti per affondare il viso nell’incavo del collo del principe.
 
Ecco, lo ha ferito. Fantastico. Pensò Elsa infervorandosi contro la sorella; tipico di Hans buttare sul ridere una cosa che lo interessava sul serio.
Intrecciò la gamba sinistra con quella destra del principe e gli sfiorò il collo con le labbra, così aggiunse in un soffio due parole che lo fecero sorridere lievemente.
 
“…Sono qui.”
 
 
 
Lights will guide you home
And ignite your bones
And I will try to fix you
 
 
 
 
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Siete arrivati fino a qui, che gggioia!! Spero di non avervi tediati in nessun modo, anche se capisco che quasi 13’000 parole possano essere un po’ pesanti… xD
Concedetemi una battuta idiota: Hans è più efficiente di Mary Poppins a far mettere a posto la stanza a Elsa.
Ah-Ah. Che ridere.

Dunque, organizziamoci. Per i temerari, ho ancora un bel po’ di cose da scrivere, più che altro curiosità e spiegazioni su ciò che avete appena letto.
Ai non-temerari mando un carissimo saluto e vi aspetto nella mia pagina facebook Harley Sparrow-EFP dove pubblico aggiornamenti, foto e considerazioni sulle storie che ho scritto e che scriverò (Anche se mi sa che non tornerò a scrivere per Frozen per un bel po’, visto che la maggior parte delle storielle che ho pubblicato in precedenza sono nate da qui). O contattatemi se volete fare una chiacchierata(?).
Altre fanfiction facenti parte della serie “Bring me to life” e collegate a questa one shot:
- Malattia (in cui Hans sveglia Elsa per una domanda stupida)
- Di statue di ghiaccio e lavori lasciati a metà (in cui Hans rompe le scatole a Elsa mentre sta lavorando)
- Mi passi il sale? (In cui Hans fa tardi a cena e scoppia il finimondo)
- Esperienze pericolose (in cui troviamo le avventure di Elsa con Sitron)
 
 
– CURIOSITÀ –
I colori del castello. C’è una teoria (forse anche confermata dalla Disney) secondo la quale il castello di ghiaccio assume colori diversi in base allo stato d’animo della sua creatrice. Quindi abbiamo l’azzurro per lo stato di calma e felicità, giallo per la rabbia, rossiccio per lo stato di angoscia. Mi sono permessa di inventare altri due colori: il nero, quando Elsa non c’è (come se l’anima di esso se ne fosse andata con lei), e arancione in quel particolare momento di passione. Inoltre, mentre facevano all'ammòre, il castello era diventato arancione con sfumature azzurre e verdi. Dico solo che l'azzurro e il verde era l'unico colore che entrambi vedevano in quel momento. (oddeus, che romanticona che sono!)
 
…E così abbiamo trovato un Hans e una Elsa ancora timorosi dei loro sentimenti. Dopotutto, è passato poco più di un mese da quando sono tornati ad Arendelle, quindi la catarsi completa di entrambi non è ancora avvenuta. Hans però comincia a sentire dei sensi di colpa per quello che le ha fatto, così come Elsa riesce pian piano ad andare avanti, senza più ritenersi un mostriciattolo assassino.

Dare una spiegazione ai comportamenti di Hans quando la salva, cercando di rimanere più possibile nel personaggio, è l’impresa più ardua che io abbia mai dovuto affrontare su EFP. Ve lo giuro! In poche parole: lui voleva ucciderla davvero, e su questo punto la mia opinione è un po’ mutata da quella del capitolo primo di Bring me to Life. Mi piace pensare che Hans fosse arrivato al castello di ghiaccio con l’intenzione di ucciderla, ma non di farlo in quel momento, e più si rende conto di amare Elsa, più questa consapevolezza di aver desiderato la sua morte lo distrugge.
 
Il sogno di Elsa. Io spero vivamente di essermi fatta capire. Praticamente una settimana prima di questi avvenimenti ha iniziato a fare brutti sogni, rivivendo quei momenti in cui il duca di Weselton le dava della strega e progettava di ucciderla. La prima notte era talmente spaventata che Hans ha dovuto svegliarla, mentre le notti successive si è limitato a cullarla nel sonno. Solo che lei ricorda ben poco del sogno, e solo le parti brutte e spaventose. Sicuramente è capitato anche a voi di “sognare” ciò che sta accadendo fuori dalla vostra testa, come per esempio quando c’è un rumore o qualcuno che parla. Insomma, Hans ha iniziato a dirle di stare calma e lei lo ha sognato mentre glielo diceva davanti a lei, solo che poi si è semi-svegliata e non lo ha più visto, perché la stringeva da dietro. Ha visto solo la finestra e il fuoco della stanza in lontananza che si spegneva. E visto che aveva pianto fino a quel momento, le bruciavano gli occhi talmente tanto che li ha richiusi subito tornando a dormire.
 
Spero anche che abbiate anche compreso il sottile gioco di quasi inconsapevole complicità che li coinvolge. Ho tentato di spiegarlo nel momento in cui lui le fa lo sgambetto, e dove poi ho scritto che è lei a permettergli di farglielo. Perché? Perché Elsa sa che lui ha bisogno di credere di avere lui il potere su di lei, perché Hans in realtà è un uomo insicuro, e ha bisogno di certezze, come quella di avere Elsa ai suoi piedi. Ma Elsa non è poi così succube di lui. Non è che Hans lo fa perché è un pazzo perverso maniaco del potere e del controllo; lo fa perché lui ne ha bisogno quanto lei ha bisogno di sentirsi importante per qualcuno.
Insomma, un po’ come Bruce Wayne e Selina Kyle!
Comprendi?!
 
Inoltre…
Hans inizia a provare vero senso di colpa per quello che ha fatto a Elsa solo a partire da quando torna ad Arendelle, cioè quando scopre quello che Elsa ha fatto per lui, e quel senso di colpa sopprime sempre di più la parte di lui che crede e si compiace di ciò che ha fatto. Quella parte non morirà mai in lui, però man mano che va avanti con gli anni, si evolverà in compiacimento perché così si è dato la possibilità di stare con Elsa e aver quel magnifico rapporto con lei, cosa che non sarebbe successa se le avesse fatto la corte come ha fatto con Anna. Oddiochediscorsicontortichefaccio!
In Bring me to Life (cap. 8) Hans fa un incubo in cui lui e Elsa vengono mangiati da Marshmallow, è per questo che è così sospettoso nei confronti del mostro (e chi non lo sarebbe?!). Povero cucciolo (Hans, intendo).
Se non avete visto la Scena dopo i titoli di coda, non potrete capire perché Marshmallow ama la corona di Elsa…xD
Sempre in Bring me to Life, Hans da piccolo conosce i genitori di Elsa, è per questo che riconosce i loro volti nelle statue.
E poi amo Hans talmente tanto che ho deciso che lui preferisce la crema pasticcera al cioccolato. Come me. xD
 
Spero anche di ricevere recensioni di qualsiasi genere e lunghezza: ci tengo perché così almeno il mio lunghissimo lavoro riceverà un minimo di feedback.
 
Detto ciò, non so davvero quanti siano arrivati a leggere fin qui. Mi rivolgo a voi, veri temerari, e vi mando un saluto affettuoso.
 
Harley Sparrow
   
 
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