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Autore: Matih Bobek    20/09/2014    1 recensioni
Brevi ma intensi spaccati di vita familiare ambientati nei giorni nostri. Simpatici, allegri e solari, questi piccoli racconti vertono su una voce narrante, il giovane figlio, nato e cresciuto nella periferia romana, e la protagonista indiscussa della casa, nonché della storia, la madre: personaggio stereotipato, a tratti assurdo, tanto da sembrare quasi... un alieno.
le storie affrontano, di volta in volta, momenti tipici della quotidianità familiare, prendendosi beffa, in modo ironico e sottile, dell'idea maschilista della donna casalinga.
Lo stile utilizzato è fresco, colloquiale, giovanile e numerosi sono i riferimenti alla cultura popolare, comunemente nota, al fine di rendere più partecipe il lettore.
All'interno del singolo episodio, i cambi di narrazione sono frequenti, pur mantenendo fissa la focalizzazione interna: ogni storia è costruita su uno schema fisso, che vede una breve premessa della situazione, in cui la voce narrante è direttamente coinvolta nel racconto, poi una dettagliata narrazione, da vicino, guidata da una seconda persona, per facilitare la personificazione, e infine il dialogo, in cui il narratore spesso interviene come voce fuori campo.
Spero che vi piacciano, o perlomeno che vi lascino un sorriso, e che lascerete consigli e opinioni, per me utili al fine di perfezionare stile, trama o personaggi.
Genere: Comico, Commedia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
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La giornata procede così, con mio padre che ogni tanto prende e caccia un urlo dei suoi (uno di questi giorni mi crolla il tetto addosso) con mia madre che fa su e giù per il corridoio, tutto il tempo, ogni cinque minuti e con il mio sistema nervoso andato a farsi benedire. Poi, a tre ore dall’appuntamento, non si sente più una mosca. La pace dei sensi. Nessuno parla, nessuno urla, nessuno scassa. Tutto tace. Sembra di riscoprire il paradiso perduto, ti vien voglia di zompettare come un fagiano da una stanza all’altra, vorresti riscoprire il mondo, i suoi colori, le sue meraviglie nascoste, il che può volere dire una sola cosa: mamma è in bagno. La prova del nove? La casa profuma di Borotalco e Garnier Fructis. Ma si sa, l’idillio dura sempre poco: ad un tratto, senti girare le chiavi del bagno, un movimento lento che scava nelle tue vene come un artiglio, poi la maniglia della porta lentamente si abbassa. L’equilibrio si spezza, la luce svanisce. D’un tratto, ti ritrovi catapultato nel secondo tempo di ‘Matilda sei mitica’, in attesa che la signorina Trinciabue venga a rovinare la pace e il divertimento. Eccola, eccola, senti il passo. Ha qualcosa di diverso… ma cosa? I tacchi! Ha i tacchi! E si è truccata. Lo senti: si avvicina alla tua porta, il passo è frenetico, è il suo. E’ sempre più vicina, senti tutti i tuoi tessuti irrigidirsi, i nervi tendersi, il sudore scendere. E poi bussa. E’ la fine. Non ti dà nemmeno il tempo di dire ‘avanti’, apre la porta. Tu, col sistema nervoso distrutto e lo sguardo pieno di pietà, stai sul letto. A gambe incrociate. Immobile. La guardi e aspetti che ti dica qualcosa: “Insomma?” Ha aperto lei la porta, mi è venuta a disturbare, ha spezzato ogni equilibrio e ha pure il coraggio di dire ‘insomma’! 
”Insomma che?”, “Non mi dici niente?” Fidati, è solo che un bene. “Cosa ti devo dire?” andiamo al sodo, già so come andrà a finire. Eccola, già la vedo, sta preparando la faccia compiaciuta, oddio oddio oddio: “Ma non hai visto che bella mamma che hai?” No, ti prego, tutto ma non questo, torno a piegare i panni, vanno bene pure le lenzuola con gli angoli, passo l’aspirapolvere sul tappetto, sopra e sotto fino a quando non è consumato, come mi ha insegnato lei, ma per favore, non questo. “Sì… stai benissimo.” Specialmente la gonna grigio topo e il cappotto color muflone, per nulla anni ’90. A quanto pare faceva parte del cast di ‘mamma ho perso l’aereo’ e non l’ho mai saputo. “So’ proprio pischella. Ma non sei contento di avere una mamma così?” devo proprio risponderti? “Sì, stai benissimo” Sorriso cristallizzato, viso di cera, mento spudoratamente. “E non hai visto ancora nulla.” No, ti prego. “Guarda che bello il reggiseno nuovo!” Sto entrando in coma. Lo sento. Tentiamo una manovra disperata: “Mamma, tra due ore dobbiamo stare dagli zii.” Scampato pericolo. “Siamo in ritardo!” O mio Dio, è un riflesso automatico. Fa paura. “Non ho ancora finito di prepararmi.” Sta in bagno da praticamente un giorno, però non è ancora pronta. “Devi vestirti anche tu!” “Ehm, ti ricordi? Mi hai obbligato a vestirmi stamattina.” “Certo che me lo ricordo, che pensi? che sono scema?” Eh, io non lo volevo dire però… “ti devi cambiare, sei stato tutto il giorno con i vestiti addosso.” Sta scherzando, vuole fare la simpatica. Simuliamo una risata: “ahahah” “Perchè ridi? sei scemo?” No, non stava scherzando. “Mamma, ti rendi conto che per una frase del genere, qualche anno fa ti avrebbero rinchiuso in manicomio per l’eternità?” No, lei non se ne rende conto, tant’è che non ha nemmeno sentito cosa stavo dicendo. “Le arance” ha detto. Mentre parlavo. Guardando il vuoto. So cosa state pensando: perché? Perché le arance? La domanda non è ‘perché’, è ‘chi’, ‘chi cavolo me lo fa fare?
   
 
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