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Autore: feenomeniall    20/09/2014    1 recensioni
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Mi accorsi che avevo dedicato molti anni alla danza, tralasciando la maggior parte delle cose che i miei amici – o qualunque ragazzo della mia età – facevano. Mi lasciai andare e cominciai a bere, fumare e partecipavo alle feste solo per il piacere di uscire di casa. Se mi fossi fermato anche solo un attimo a pensare, tutti i ricordi sarebbero venuti a galla, facendomi affogare nel passato. Semplicemente, dimenticai. Mi dedicai ai tatuaggi, ai piercing, ai viaggi e la mia arte.
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Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Ob&Ob.'
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O B L I V I O N


 
 
‘Cause oblivion is getting lost in the obscutiry -


Oblio s.m. Totale dimenticanza.
Ci sono giorni in cui tutto quello che vorresti fare è rimanere chiuso nella tua stanza. Seduto sul tuo letto con la schiena contro il muro e le ginocchia strette al petto e l’unica cosa che fai, è piangere. Piangere sperando di dimenticare.

Il periodo più movimentato della vita di ogni essere umano, probabilmente è quello dell’infanzia. Quando si è bambini si va alla scoperta del mondo, delle nuove cose. All’età di sei, sette anni circa, le bambine si appassionano alla ginnastica artistica o alla danza, mentre i bambini al calcio o al nuoto; tutto nella norma.
A me, gli sport, non facevano affatto impazzire. A mia sorella, normalissima bambina di quattro anni, la danza piaceva da quando aveva cominciato a prender coscienza delle cose che la circondavano. Guardava film e cartoni animati sulla danza, giocava con le Barbie solo se avevano un tutù e delle scarpette, e per carnevale si vestì da ballerina. Rimase con quel costume addosso per quasi una settimana. La sua ossessione crebbe a tal punto che, i nostri genitori, decisero di iscriverla ad una scuola di danza, un’accademia che metteva a disposizione corsi per principianti in giovane età. Era anche molto prestigiosa, a dir la verità; questo perché i miei genitori – provenienti entrambi da famiglie benestanti – non badavano a spese per offrirci sempre il meglio.
Il suo primo giorno mi convinsero ad andare con loro, nonostante volessi rimanere a casa con il naso infilato tra i libri di Geronimo Stilton. Ne ero praticamente dipendente. Non dimenticherò mai le alzate di occhi al cielo da parte di mia madre ogni volta che mi presentavo a casa con una nuova uscita tra le mani.
Appena entrai nella sala prove, vidi solo un’infinità di bambine con tulle rosa e scarpette. La prima cosa che feci, fu provare disgusto. Ero talmente infastidito dalla scena che mi allontanai da loro, cominciando a girovagare un po’ qui e un po’ lì, cercando qualcosa di più interessante da vedere. Per puro caso, entrai in una stanza, nella quale la luce era fioca e gli specchi sulle pareti creavano un gioco di ombre. Un ragazzo, probabilmente sui vent’anni, era seduto a terra dall’altra parte della stanza e non si era accorto minimamente di me.
Lo guardai per un po’, fissando ogni muscolo del suo corpo. Mi soffermai sui suoi polpacci; erano gonfi, le vene in rilievo. Il suo corpo allenato e statuario mi fece una strana impressione. Spostai lo sguardo, fermandolo sui suoi piedi. Uno era ancora coperto dalla scarpetta rigida e, all’apparenza, vellutata; l’altro nudo. Rabbrividii appena da quanto fosse raccapricciante la scena. Era malconcio e dalle unghie sgorgava sangue. Prima ancora che potessi pensare ad altro o accorgermene, fasciò il tutto e rimise la scarpetta. Solo in quel momento mi accorsi della musica soave che aleggiava nella stanza e rimasi incantato non appena il ragazzo incominciò a danzare. Le sue braccia, sinuose come il resto del corpo, si muovevano accompagnando le note come un archetto accarezza le corde del violino. Le sue gambe, nonostante fossero tese, mi sembravano di una morbidezza sovraumana, come se non le sforzasse affatto. I suoi movimenti erano così leggeri da farlo quasi sembrare sospeso nell’aria. Gli occhi chiusi e le labbra semiaperte, come se ogni nota suonata, venisse assaporata per essere vissuta al meglio.
Mi innamorai. In quel momento capii che cosa volessi davvero fare per il resto della mia vita. Per diverse settimane tentai di convincere i miei genitori a farmi partecipare alle lezioni con mia sorella. Feci di tutto pur di andare.
La prima lezione la cominciai indossando una fastidiosissima calzamaglia azzurrina e gli occhi di tutti puntati addosso. Un po’ per il prurito della calzamaglia, un po’ per le troppe attenzioni, la prima lezione fu un vero e proprio disastro. Ma non demorsi e continuai.
All’età di quattordici anni, passavo le otto ore pomeridiane ad allenarmi, mentre mia sorella – dodici anni – aveva cominciato a dedicarsi agli smalti glitterati, alle telefonate con le amiche e ai ragazzi.
A metà maggio di quello stesso anno, mi chiesero di far parte della compagnia dell’accademia. Mi promisero di pagare i miei studi da privatista, mentre giravo il mondo con loro. Pregai i miei genitori in ginocchio e all’età di sedici anni, ero già primo ballerino alla Royal Ballett. Ballai anche davanti alla regina e il mio livello di incredulità, quel giorno, non poteva che essere alle stelle.
La compagnia non si fermava certo a Londra, però. Ci esibimmo in molti spettacoli anche nella Grande Mela e, durante uno di questi, la mia vita venne completamente sconvolta. Avevo appena finito di ballare quando mi comunicarono che un talent scout della Juliard, mi notò. Sentii le gambe di gelatina e quando rientrai nella mia stanza d’albergo, ricordo, piansi per ore. Sembrava di vivere in un sogno.
Accettai la borsa di studio che mi offrirono senza alcuna esitazione, dicendo addio a tutti i miei compagni. Ero, a tutti gli effetti, il primo della classe e, non per vantarmene, ma anche il ballerino più acclamato.
Ma, ahimè.. la felicità non dura che un battito di ciglia e di questo me ne accorsi a mie spese. Guardai il mio più grande sogno frantumarsi come uno specchio, proprio sotto i miei occhi, a causa del legamento crociato che – durante un gran plié – decise di rompersi definitivamente. Rimasi ad osservare la mia vita crollare. Due interventi, la settimana di riposo e una lunga terapia e dovevo ricominciare dalle basi.
Mi accorsi che avevo dedicato molti anni alla danza, tralasciando la maggior parte delle cose che i miei amici – o qualunque ragazzo della mia età – facevano. Mi lasciai andare e cominciai a bere, fumare e partecipavo alle feste solo per il piacere di uscire di casa. Se mi fossi fermato anche solo un attimo a pensare, tutti i ricordi sarebbero venuti a galla, facendomi affogare nel passato. Semplicemente, dimenticai. Mi dedicai ai tatuaggi, ai piercing, ai viaggi e la mia arte.
Scoprii la vocazione per il disegno mentre scrivevo uno dei miei tanti monologhi su uno dei miei adorati taccuini di pelle. Feci altri disegni, prima di mostrarli ad un mio amico che apprezzò davvero molto il mio lavoro. Mi diede la spinta giusta per buttarmi in qualcosa e cominciai a fare sul serio. Iniziai ad organizzare mostre ogni primo ed ultimo venerdì del mese nel pub nel quale lavoro tre volte a settimana.
Presi coscienza la mia orientazione omosessuale all’interno dell’accademia. Sfilavo davanti a corpi mezzi nudi di ragazzi che si allenavano da anni. Ero un adolescente ed il mio corpo reagiva in modo in cui – di norma – non avrebbe dovuto fare. Ma non mi lasciai andare subito a certi bisogni; avevo solo voglia di costruire il mio futuro. Ricordo che quando lo dissi ai miei genitori, non ero nemmeno in me. Ormai non li vedevo più, ero sempre in viaggio. Ero arrabbiato con il mondo per quello che mi era successo e, sinceramente, poco mi importava del loro parere. Sono ormai passati quattro anni dall’ultima volta che li ho visti.
Ebbi il mio primo rapporto con uno dei ragazzi dell’accademia. Ovviamente avevo avuto qualche sporadica esperienza di baci, ma nulla di più. Fu un evento che mi lasciò il segno, per questo non ne parlai mai con nessuno. Da quel giorno decisi che non avrei mai permesso ad anima viva – e anche morta – di toccarmi. Poi arrivò Harry.
Per me era davvero un giorno come un altro. Camminavo con degli amici per le strade di Londra. Ci eravamo fermati perché Sean, detto “topo di biblioteca” era entrato in una libreria senza avvertire e Mike era corso a riprenderlo. Avevo appena finito di ridere ad una battuta di Ezra, quando voltai lo sguardo. Per un attimo non riuscii a credere ai miei stessi occhi. Davanti a me c’era ciò che di più bello potessi mai desiderare. I miei occhi entrarono nei suoi e il mondo attorno a me, cominciò ad andare al rallentatore. In una frazione di secondo vidi nei suoi occhi tutto il dolore di una vita; dolore che, con il tempo, avrei imparato a conoscere. In quel momento decisi che doveva essere mio.
Dovevo entrare nella sua vita e avrei fatto di tutto pur di farlo. Mi armai di pazienza e in uno dei primi giorni di giugno, decisi che dovevo dare scacco matto al re. Uscii di casa per andare a fare una passeggiata al parco e schiarirmi le idee. Dovevo trovare un modo per ritrovarlo e chiedergli di prendere un caffè insieme. Se solo avessi saputo che luoghi frequentasse, sarebbe stato tutto molto più semplice. Girovagai per il parco senza metà, finché non notai una familiare figura dai riccioli scompigliati. Chiamatelo destino o colpo di fortuna, ma in quel momento non mi sentii mai così felice.
«Ciao» dissi dopo essermi avvicinato a lui, che in quel momento sembrava essere ovunque tranne che seduto su quella panchina. Voltò lo sguardo e mi ritrovai immerso nei suoi occhi. Piegai la testa di lato e rimasi a guardarlo, osservando attentamente ogni minimo particolare. I tatuaggi che spiccavano sul suo petto e s’intravedevano attraverso il collo della maglietta. La pelle perfettamente liscia del suo volto. Il naso dritto e le labbra piene. I ricci scompigliati gli ricadevano sulla fronte. I suoi occhi stanchi, mantenevano la loro profonda bellezza. Il verde vivo e brillante spiccava su ogni altro colore. Mi venne da ridacchiare nel guardarlo imbambolato. Portai una mano sulla bocca per non sembrare troppo scortese. «Sono Louis» dissi, porgendogli poi la mano.
Si alzò di scatto dalla panchina, schiarendosi la voce. Mi morsi l’interno della guancia e per un momento credetti potesse svenire. «Harry» rispose stringendomi la mano. Il suo primo tocco non lo dimenticherò mai. Era come se una corrente di migliaia di volt mi avesse oltrepassato. Un solo tocco mi fece provare cose che nemmeno in un centinaio d’anni, mi sarei aspettato di provare.
«Allora, ti va di prendere un caffè, Harry?» gli domandai con un sorriso a pieno volto, cominciando ad incamminarmi verso l’uscita del parco. Voltai di poco la testa e lo vidi annuire leggermente, mentre cominciava a seguirmi.
Parlammo – più o meno – di noi, di quello che ci piaceva fare. E, mentre parlava, guardavo a quelle labbra come un naufrago guarda alla terra ferma e non desideravo altro che averle sulle mie. Mi invitò a casa sua. Accettai senza ripensamenti.
Quel pomeriggio passò tranquillamente. Fu quando parcheggiai la moto davanti casa sua che il mio cuore cominciò a battere più forte. Alzai la mano, leggermente tremante, e suonai il campanello. Attesi qualche minuto, ma ne valse la pena. Mi aprì la porta in tutta la sua bellezza e con i capelli scompigliati di chi si era appena svegliato. Mi trascinò dentro e da lì cominciò tutto. Non ci staccammo un attimo e – lo ammetto – lo desideravo ardentemente, con tutto me stesso. In ventuno anni di vita, non mi ero mai innamorato e – a dir la verità – non sapevo nemmeno cosa significasse, quindi figuriamoci se potevo innamorarmi di punto in bianco. In definitiva, la prima volta che lo vidi, fui attratto dal suo bell’aspetto. Ma mi accorsi che lui era prezioso. Fu quando mi mostrò quello che era dentro di lui che cominciai ad impaurirmi. Ma non di quel ragazzo dagli occhi verdi e splendenti, no. E nemmeno delle sue paure tormentose. Avevo il terrore di me stesso; cominciai ad innamorarmi e non sapevo affatto come comportarmi.

 
*

Siamo a New York. Erano mesi che non tornavo in questa splendida città. Per un po’ l’ho considerata una seconda casa e tornarci sotto un altro aspetto, devo ammettere che fa un certo effetto. Quando Harry mi annunciò che mi avrebbe portato qui, non credevo minimamente a quello che mi avesse detto finché non vidi i biglietti. Due; uno per me e uno per lui.
Siamo qui da un paio di giorni e credo di non poter essere più felice di così. L’espressione dipinta sul volto di Harry lascia trasparire il fatto che la mia eccitazione sia palpabile nell’aria. Mi giro e rigiro in cima all’Empire State Building, per poter catturare quanti più particolari possibili. Scatto anche qualche foto per sicurezza. Voglio che i miei lavori siano sempre perfetti e che i dettagli ne conferiscano la bellezza più autentica. Scendiamo e non sono affatto stanco. Sento l’adrenalina scorrere nelle vene. Passeggiamo per Central Park e – nonostante io sappia che Harry mi sta maledicendo in ogni lingua possibile – mi fermo davanti ad ogni artista di strada ed interagisco. Mi volto appena a guardarlo, ed è bello come il sole. Non capisco come riesca a sopportarmi, eppure lo fa.
Rientriamo nella stanza dell’hotel e lo guardo crollare sul letto. Mi mordo il labbro e sorrido appena, inclinando leggermente la testa. La stanchezza dipinta sul suo volto, i capelli scompigliati sulla fronte, lo rendono l’opera d’arte più bella che i miei occhi abbiano mai visto. Mi sdraio accanto a lui, intrufolandomi tra le sue braccia e mi sento a casa; il luogo più sicuro in questo mondo. Lo guardo e so che sta architettando qualcosa. Odio le sorprese, soprattutto quelle in grande stile. Sono un maniaco del controllo e so che non posso averlo su ciò che non conosco. Ma lui ne va matto, completamente. Apre gli occhi e mi sento una morsa allo stomaco. L’abisso di quelle iridi verdi mi avvolge in tutto il mio essere. Le sue labbra sulle mie, mi fanno esplodere il cuore. Rotoliamo appena sul letto e poi cominciamo ad amarci ancora una volta, come se fosse la prima. E mi perdo in quell’amore di un’infinità incredibile che quasi arrivo a non ricordare il mio nome.
*
 
Siamo a Times Square. Harry mi strascina per la strada più famosa del mondo come se niente fosse. Mi guardo attorno perdendomi a fissare le luminarie. Gliele indico praticamente tutte, mentre un sorriso sincero spunta sulle sue labbra. E il mondo attorno a noi, sparisce. Ci siamo solo io e lui. Mi prende di nuovo per mano e mi trascina in mezzo alla piazza, facendomi fermare esattamente davanti a lui. Con il pollice indica qualcosa dietro di lui. Alzo lo sguardo incontrando il mio nome sul megaschermo.
«Ho sempre creduto che ci fosse qualcosa di sbagliato in me e che per questo la mia vita aveva deciso di punirmi, mandandomi solo disgrazie. Ma ecco la quiete dopo la tempesta; la mia un’unica ancora di salvezza, la mia più grande debolezza.
«Prima di incontrare te, la mia vita era completamente avvolta da un’oscurità talmente fitta che ero sicuro non avrei mai più rivisto la luce. Lei è ancora lì, ma tu, con il tuo amore, sei riuscito ad aprire un varco, arrivando nel profondo del mio cuore.
«Se non posso far smettere alla pioggia di cadere, come posso pretendere che il mio cuore smetta di chiamare il tuo nome? Ho bisogno di te per sempre nella mia vita. E dei nostri baci appassionati di chi si appartiene e non si cura del mondo.
«Tu mi rendi forte, Louis, mi rendi una persona migliore; una persona che non avrei mai creduto di poter essere».
Sento il respiro sempre più pesante e il cuore battere molto più velocemente. Le persone attorno a noi ci guardano e odio attirare l’attenzione di tutti. Ma in questo momento non mi importa. Sento gli occhi colmi di lacrime e mordo il labbro per farlo smettere di tremolare. In questo preciso istante avrei solo voglia di prenderlo a sberle, urlargli che è un idiota ed infine baciarlo, fino allo sfinimento. Si volta appena verso il megaschermo e sorride.
«Quindi Louis..» mormora prima che una scritta appaia. Alzo gli occhi verso lo schermo. “Will you marry me?”. Ogni mia funzione è completamente andata e non riesco più a capire nulla di quello che sta succedendo. La folla intorno a noi comincia ad urlare qualcosa. Mi porto entrambe le mani sulla bocca e annuisco appena.
«Sì, Harry – dico mentre il mio cuore esplode – ». Times Square – o almeno una parte – scoppia in un fragoroso applauso. Lo vedo avanzare verso di me e mi fiondo tra le sue braccia, appoggiando le labbra sulle sue.
«Ti amo, Harry» mormoro, appoggiando la fronte contro la sua.
«Ti amo anch’io, Lou».





Here I am!

Perchè lo spazio autrice deve essere sempre così complicato da scrivere? Ringrazio le mie amiche del gruppo "Gente Speciale" su whatsapp che nel frattempo mi mandano foto di Harry e si insultano a vicenda perchè arrivano determinate foto. Che dolcetti.
Che posso dire su questa one shot? E' la seconda slash che scrivo ed è il sequel di "Obscurity", la storia è narrata dall'altra metà della coppia (sicuramente la mia metà preferita, perché l'altra persona è antipatica e dovrebbe mettere il suo orgoglio da parte e scrivermi qualche volta). Detto questo spero vi sia piaciuta e che mi facciate sapere che cosa ne pensate.
Alla prossima,
love ya ♥
   
 
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