LA
LUCE DEI MIEI OCCHI
CAPITOLO
VENTICINQUE
Amy
rientrò a casa piuttosto stanca. Quella giornata
di lavoro era stata pesante e ora non vedeva soltanto l’ora
di abbracciare sua
figlia e mettere qualcosa sotto i denti.
Peccato
che quello che si trovò davanti non appena
fu entrata in cucina non era esattamente quello che si aspettava. Sopra
il
tavolo vide un sacco di fotografie sparse, quelle fotografie che aveva
nascosto
nel fondo del suo cassetto per non rischiare di ritrovarsele tra le
mani,
benché non avesse avuto il coraggio di disfarsene
completamente, e il suo
diario aperto sulle ultime pagine. E davanti a quel tavolo, ferma in
piedi,
c’era sua figlia, Charley, con un’espressione che
non prometteva nulla di
buono. Era la tipica espressione che assumeva quando succedeva qualcosa
che non
le piaceva, la sua tipica espressione da infuriata che però
cerca di trattenere
le lacrime. Stavolta era anche peggio; sul suo volto riusciva a leggere
altre
emozioni: rabbia, tristezza, sorpresa e delusione.
“Charley”,
sussurrò la madre guardando la ragazza
con occhi spalancati, non sapendo bene se arrabbiarsi anche lei oppure
preoccuparsi per la scoperta che aveva fatto la figlia.
Perché sicuramente
aveva scoperto qualcosa, per forza doveva aver scoperto qualcosa.
“Dove hai
trovato queste cose?” intuiva già la risposta a
quella domanda ma voleva che
Charley le spiegasse perché si fosse messa a rovistare nei
suoi cassetti.
“Non
è importante questo”, le rispose la ragazza con
voce fredda, guardandola di sbieco. “Adesso mi
spieghi”. Non era una richiesta,
né una domanda. Era un ordine.
Amy
sospirò affranta. In fondo, dentro di sé, aveva
sempre sospettato che questo momento prima o poi sarebbe arrivato, che
non
avrebbe più potuto tergiversare e che le domande della
figlia sul padre si
sarebbero fatte sempre più insistenti. Charley era troppo
curiosa, non le
piaceva non sapere, specialmente se si trattava di lei.
Però, aveva sempre cercato di scacciare
questo pensiero, continuando a ripetersi che la ragazza non avrebbe mai
potuto
scoprire niente.
“Sai
Charley, ci sono alcune cose troppo dolorose e
troppo crudeli da raccontare a qualcuno giovane come te, specialmente
se lo
riguardano in prima persona”.
“Oh,
non mi rifilare questa stupida storia del sei-
troppo- giovane. È squallida e pure
troppo usata!” urlò la ragazza, sbattendo le mani
sul tavolo e guardando la
madre con uno sguardo di fuoco che la fece indietreggiare.
La
donna abbassò lo sguardo rassegnata. Era arrivato
il momento, sua figlia voleva la verità e doveva
raccontargliela. L’unica cosa
che la spaventava era la sua reazione: l’avrebbe odiata dopo?
Oppure avrebbe
capito e sarebbe andata avanti? Ne dubitava, lei stessa ancora aveva
gli incubi
per quello che era successo quattordici anni fa e si sentiva mordere
dai sensi
di colpa.
Amy
si sedette su una sedia e fece segno a Charley
di fare lo stesso. La ragazza ubbidì senza togliere gli
occhi dal viso della
madre, probabilmente per studiarne le espressioni dalle quali sperava
di
cogliere qualche sensazione.
“Come
sai io sono rimasta incinta di te a
diciassette anni”, iniziò la donna con voce bassa,
evitando lo sguardo della
ragazza. “Ma non c’eri solo tu… avevi
anche un fratello… gemello”.
Charley
sbuffò: questo lo aveva già capito da sola.
Voleva sapere il resto. Ma decise lo stesso di non interrompere la
madre,
voleva comunque tutta la storia per filo e per segno.
“Allora
abitavo ancora a New York dove avevo
conosciuto Robert, tuo padre e… io lo amavo molto, mi fidavo
molto di lui. Ma
ero anche ingenua e, quando rimasi incinta di t… di voi, lui
mi disse che
sarebbe andato tutto bene. Mi aveva consigliato lui un ginecologo, ma
io ti
giuro… ti giuro che non lo sapevo…”.
Lacrime calde cominciarono a solcare il
viso della donna. “Non lo sapevo che lui faceva degli
esperimenti. Questo
medico lavorava per una compagnia o un’associazione, non so
bene, che faceva
esperimenti sui bambini per qualcosa che non ho mai ben capito. Ha
cominciato a
farli finché voi due eravate in pancia e Bob ha pure
ricevuto dei soldi per
questo. Lui era d’accordo col medico e lo aveva fatto solo
per i soldi. Poi tu
e Adam siete nati, ma… pochi giorni dopo tuo fratello era
scomparso e di quel
medico non c’era più nessuna traccia. Abbiamo
chiamato anche la polizia, ma
niente. Solo allora Bob mi ha confessato quello che era successo in
realtà, del
fatto che aveva ricevuto dei soldi perché vi facessero degli
esperimenti. Ma
anche lui era stato ingannato, così almeno aveva cercato di
spiegarmi. Pensava
che fosse una cosa innocente, che quelle iniezioni servissero solo per
testare
qualche cosa su di voi o rendevi immuni da qualche malattia, non
pensava che avrebbero
portato via Adam. Aveva pensato solo ai soldi, pensava che
così avrebbe potuto
avvantaggiarci in qualche modo, visto che erano un bel po’,
così non vi avremmo
fatto mancare niente”. Fece una pausa prima di proseguire. Si
vedeva lontano un
miglio quanto quella storia la facesse stare male. Ciò
però non fece
impietosire Charley che, in certi momenti, sapeva essere molto dura e
fredda.
“Io però non mi fidavo più di lui ed
ero disperata, rivolevo il mio Adam. Vi
volevo già bene, molto, ad entrambi…
così l’ho lasciato. Lui però non voleva
rassegnarsi, continuava a dirmi che gli dispiaceva. Perciò
ci siamo trasferiti
qui in California, io, te e i nonni. Volevo dimenticarlo”.
Cadde
un silenzio tombale, non si sentiva volare una
mosca. Amy piangeva silenziosamente spostando gli occhi su quelle
fotografie
che la ritraevano con Bob. Charley, invece, era ancora seduta con lo
sguardo rivolto
al pavimento. La donna non riusciva a capire che cosa provasse,
sembrava
completamente indifferente.
“E
immagino che non sai dove si trovi ora”.
“No,
ma lo vorrei tanto. Vorrei tanto sapere dove si
trova, che cosa stia facendo, come sta”.
Charley
ghignò, alzandosi dalla sedia per dirigersi
al piano superiore
“Dove
vai?” le chiese la madre spaventata e
preoccupata.
“A
schiarirmi le idee”.
Guidava
alla massima velocità che le consentiva la
sua moto, zaino e chitarra in spalla, in una notte piuttosto scura, con
i
capelli sparsi al vento e gli occhi che le pizzicavano per le lacrime a
cui
stava impedendo di scendere.
Dopo
che aveva sentito tutta la storia, era salita
in camera sua e aveva buttato in un borsone le cose più
essenziali, decisa ad
andarsene di casa almeno per un po’. La madre aveva tentato
di fermarla, ma lei
non aveva voluto sentir ragioni. Solo ora si stava rendendo conto che,
forse,
aveva esagerato un pochino, che la sua reazione era stata un
po’ spropositata.
Però… beh, questa non era una cosa che avrebbe
potuto dimenticare tanto
facilmente, non era come se sua madre le avesse semplicemente tenuto
nascosto
di aver buttato via un suo spartito o qualcosa del genere. Sua madre le
aveva
tenuto nascosto un fatto importantissimo della sua vita, le aveva
tenuto
nascosto di avere un fratello gemello. E le aveva anche mentito su suo
padre.
Anche se, comunque, restava sempre un bastardo egoista. Li aveva
venduti, aveva
venduto i suoi stessi figli.
Per
non parlare del fatto, poi, che si sentiva
terribilmente tradita da sua madre, della quale, invece, si era sempre
fidata
ciecamente.
Ma
non era scappata solo per questo. Non appena
aveva sentito del medico e degli esperimenti, un terribile dubbio
l’aveva
assalita.
Laboratori.
Scienziati.
I
ragazzi mutanti.
Lo
Stormo.
Fang.
Adam.
Era
una tranquilla serata un po’ afosa, i ragazzi
dello Stormo se ne stavano seduti in salotto, chi a guardare la Tv, chi
al
computer, chi a leggere qualcosa e chi a sbaciucchiarsi comodamente su
una
poltrona.
A
un tratto, a disturbare quella tranquillità, si
sentì lo squillante suono del campanello che fece fare un
balzo a tutti quanti.
Dopo di quello, ne seguirono altri, uno dopo l’altro, segno
che la persona
fuori dalla porta non aveva molta pazienza.
I
ragazzi si chiesero immediatamente e con un
leggero senso di panico chi mai poteva essere.
“Vado
io”, disse Fang alzandosi dalla sua poltrona e
posando il portatile sul tavolino di legno.
Si
diresse alla porta con passo sicuro; non si
sarebbe mai immaginato di trovare quello che trovò
dall’altra parte: Charley,
tutta spettinata e con uno zaino in spalla, se ne stava esitante sulla
soglia
della porta. Quello che lo stupì di più,
però, erano le lacrime che le
solcavano il viso. Stava visibilmente piangendo e non faceva niente per
nasconderlo. Non la conosceva da tanto tempo, ma l’aveva
osservata attentamente
in questi giorni e poteva dire, senza esitazioni, che non gli sembrava
per
niente una ragazza dalla lacrima facile, anche quando accadeva qualcosa
di
brutto era il tipo che si teneva tutto dentro.
E,
senza aspettarselo minimamente, vide la ragazza
buttare a terra la borsa e la chitarra e lanciarsi su di lui,
circondandogli il
collo con le braccia e affondando la testa nel suo petto.
Scoppiò a piangere
più di prima.
Fang
rimase lì, completamente spiazzato, non sapendo
bene che fare. Non gli era mai capitato di dover consolare qualcuno,
tanto meno
una ragazza. Se qualcuno dello Stormo piangeva, c’era sempre
Max per quello. Così,
fece l’unica cosa sensata che gli venne
in mente: circondò la vita della ragazza con le braccia,
poggiandole una mano
sul capo e prendendo a cullarla dolcemente per calmare il tremolio che
l’aveva
presa per colpa dei singhiozzi.
Riuscì,
infine, a trascinarla in salotto dove i
presenti rimasero sbigottiti non appena la videro così.
“Charley!”
esclamò Shary scattando dal divano come
una molla per la sorpresa. Non aveva mai visto la sua amica
così, non l’aveva
mai vista piangere. “Oh, mio Dio! Che è
successo?”
“Mia
madre… è una bugiarda…”,
bofonchiò la mora tra
le lacrime. “Avevo un fratello”.
“Cosa?!
Aspetta, raccontaci tutto come si deve”.
E
così Charley raccontò tutta la storia che aveva
raccontato sua madre a lei, senza tralasciare nessun dettaglio. E, man
mano che
raccontava, anche le lacrime iniziavano a diminuire e lei cominciava a
calmarsi
pian piano.
I
ragazzi rimasero sbigottiti e soprattutto
dispiaciuti per tutta quella storia. Cercarono tutti quanti di
consolarla e di
dirle che non doveva starci così male. L’unico che
non si espresse fu Fang.
Come Charley, aveva un terribile dubbio ma nemmeno lui voleva crearsi
false
speranze.
Amy
se ne stava seduta al tavolo della cucina, dove
c’erano ancora le fotografie sparse che non aveva avuto la
forza di
raccogliere. Non riusciva nemmeno a fermare quelle lacrime che
continuavano a
bagnarle il viso.
Quando
aveva visto la figlia varcare la porta di
casa con l’intenzione di non tornare quella notte, si era
sentita morire. Aveva
tutte le ragioni per odiarla, le aveva mentito, le aveva tenuto
nascosta una
parte della sua vita molto importante.
Lei
stessa si sentiva una merda, era ancora piena di
sensi di colpa che le mordevano il culo. In fondo, in parte era pure
colpa sua
se avevano preso Adam.
Sperava
solo che Charley avesse bisogno
semplicemente di schiarirsi le idee e che tornasse presto.
Non
poteva perdere anche lei.
Charley
si precipitò giù dalle scale come una furia.
Era
rimasta a dormire a casa di Jo e Shary, visto
che aveva deciso di rimanere da loro per un po’. Voleva anche
indagare su Fang,
voleva essere assolutamente certa che fosse lui, sebbene tutti i suoi
sensi le
dicessero che era così.
Ma
adesso… adesso, dopo quel terribile sogno che
aveva fatto, tutti gli indizi portavano a lui. Non era niente di
concreto, si
trattava solo di un sogno e da un sogno non si potevano avere indizi
certi, ma…
lei se lo sentiva, era una cosa di… non sapeva spiegarlo
nemmeno lei. Ma ne era
certa e non poteva più stare zitta.
Quello
che però non si aspettava assolutamente, fu
la presenza di Fang in salotto, ancora in maglietta e boxer coi quali
aveva
dormito, spettinato, pallido e sudato.
Immediatamente,
a Charley passarono di nuovo per la
mente le immagini del sogno, o meglio, dell’incubo: una donna
che urlava per il
dolore, due bambini che piangevano nelle culle, uno di loro che veniva
portato
via da due mani rudi, il viso di Fang e una voce femminile che gridava:
“Adaaaaaaaaaaaaaam!”
“Charley!”
esclamò Fang sorpreso, voltandosi verso
di lei e spalancando gli occhi.
“Fang”,
sussurrò la ragazza.
Restarono
lì per qualche minuto a guardarsi, occhi
negli occhi, due paia di occhi identici, cogliendo solo adesso tutte le
somiglianze che c’erano fra loro.
“Io…
io, ti ho sognato”, disse di nuovo la ragazza,
non sapendo bene come spiegare la cosa.
“Anch’io”,
la interruppe Fang, guardandola deciso
negli occhi.
“Allora,
credo che
dovremmo parlare, Adam”.
MILLY’S
SPACE
Buonsalve
: )
Lo
so, sono in un terribile ritardo, anche con
l’aggiornamento della altre fic. Ma ho da poco iniziato
l’università e mi sono
dovuta trasferire in un’altra città e
l’ispirazione, oltre che la voglia e il
tempo, mi è mancata per un po’. Tuttavia, eccomi
di nuovo qui.
Spero vi piaccia questo capitolo dove finalmente viene rivelato un
fatto
piuttosto crudo e inaspettato ^^ che dite??
Fatemi sapere…
Bacioni,
Millyray
MAXBARBIE:
io
sono molto grata delle tue recensioni sempre così belle e
soprattutto perché mi
fai notare i miei sbadati e vergognosi errori : ) grazie mille.
Spero di risentirti. Un abbraccio.