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Autore: Sinead1370Kimaira    26/09/2014    1 recensioni
Ardua e difficile è la strada per chi vuole tornare in paradiso.
Impervio e doloroso è il percorso di coloro che vogliono amare.
Addio amore.
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1370, perché io sono stato uno schiavo all’Inferno.
Segnare ogni istante della propria vita poteva essere maniacale, ma diventava prezioso quando la consapevolezza dell’effimerità della esistenza metteva a dura prova la sanità mentale.
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Storia partecipante al contest Lacrime (Multifandom e originali) indetto da Syria_ sul forum di EFP.
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Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Vi sono mancati almeno un po' Luryel e Shenyur?
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Ardua e difficile è la strada per chi vuole tornare in paradiso.
 Impervio e doloroso è il percorso di coloro che vogliono amare.
Addio amore.

 
 
 
 
Clangore di armi. Urti rabbiosi e urla raschiate dal profondo della gola feriscono le tue orecchie come lame affilate. Ti muovi silenzioso, schivando colpi che ti manderebbero al creatore – che tanto per inciso non ti sopporta- e infliggendo ferite mortali ai tuoi avversari.
Il sangue scorre sulla tua armatura, brandelli di carne si soffermano sul metallo che ha visto giorni migliori di questo. Devi farti fabbricare una nuova armatura, pensi mentre appena in tempo ti sottrai a un fendente metallico diretto verso il tuo collo.
Ruoti il polso e la spada, fluida, accompagna il gesto cantando la gloria dell’Eterno riposo. Intorno a te i tuoi nemici arretrano e si schierano compatti, portando in avanti gli scudi e piegandosi sulla difensiva.
Porti la tua arma di fronte al tuo viso, trasformato in una maschera di morte dalla guerra. Gli occhi viola si stringono e uno spostamento d’aria alle tue spalle ti fa voltare. Veloce, sciolto, letale. Sembri un ballerino. Un’aggraziata figura danzante, instancabile e forgiata da ore di allenamenti.
Rassomigli tanto a un Angelo.
Per quanto l’Inferno abbia inciso su di te, nulla potrà mai mascherare la tua recondita natura che riaffiora prepotente a ogni tuo movimento, a ogni tuo sguardo.
Angelo.
Parola estranea per te da quando hai di tua sponte abbandonato il cielo. Ti sei lasciato alle spalle la falsità del Cielo, il fasto di essere figlio di un Arcangelo e il terrore di essere sbagliato. Tu, pur essendo un’impura creatura senz’ali, condannata a rimanere inchiodata al suolo, sei nato tra le schiere più alte del Paradiso.
Ma è proprio vero che più alto vivi più è dolorosa la caduta. La tua lama mortifera affonda nel ventre di un demone bruno con la stessa facilità di un uccello tra le nuvole. Lo guardi morire, occhi negli occhi, per accertarti che la vita lo abbia lasciato per davvero. Mai lasciare un nemico in fin di vita alle tue spalle.
I demoni sono particolarmente restii a morire. Le truppe alate guidate dal tuo fratellastro sono alte nel cielo e si diramano in nugoli neri che scendono in picchiata e riprendono quota secondo studiate strategie. “Principe!” La voce del tuo generale ti riscuote e ti permette di schivare un colpo di un’ascia che stava per dividerti a metà come una noce.
Mai distrarsi.
Il Demone di fronte a te ringhia dai suoi due metri di altezza e i bicipiti scoperti cozzano contro l’armatura ammaccata. Urla e strepita, menando fendenti alla cieca con la sua scure che a occhio e croce è più alta di te e pesa almeno il doppio. Arretri e caricando sulle cosce gli salti letteralmente in faccia, colpendolo con un calcio dritto sul naso da cui inizia zampillare sangue.
Lo scavalchi e gli atterri alle spalle, ma prima che abbia il tempo di ritrovarti salti di nuovo e gli allacci le gambe intorno al collo, torcendogli il capo. Gli spezzi la noce della nuca con uno scrocchio rumoroso e ti godi lo spettacolo da quell’altezza. Intorno a te masse di demoni si sgozzano a vicenda urlando e imprecando.
Infondo al tumulto vedi lui.
Il motivo per il quale hai lasciato il paradiso.
La creatura che tempo fa si portò in tuo debole cuore da angelo e che detiene tuttora il potere su quel pugno marcio che ti batte nel petto. Shenyur si destreggia poderoso tra i nemici, seminando morte con tranquillità e calcolata freddezza.
E’ il figlio di Lucifero.
L’ex Arcangelo del quale tuo padre Uriele s’infatuò ai tempi delle nuvole d’oro.
Corsi e ricorsi storici.
La montagna di carne e ossa sotto di te finalmente inizia a cedere sulle ginocchia e precipita al suolo come una torre di Babele creata da un ingegnere ubriaco. Rialzandoti, inciampi su qualcosa e il capogiro che ti coglie alla sprovvista ti consegna dritto nelle mani dei nemici e uno dei quali con particolare intraprendenza e coraggio si avventa su di te. Lo precedi sfilandoti un pugnale dallo stivale e lasciando che da solo s’infilzi come un pezzo di carne.
Lo stupore nei suoi occhi quando si rende conto che Tristo Mietitore è venuto a prendere la sua anima è tale che ti fa muovere dentro un moto di pena. Ti rialzi seppur a fatica, ma mantieni l’aria spavalda. Mai mostrare la propria debolezza. I nemici arretrano. Stanno mano a mano ritornando alle loro roccaforti. Basta un ultimo sforzo, una breve sortita per distruggerne un buon numero ed eliminare così tutte le loro speranze. Brandisci una nuova spada e ti sposti in avanti, notando che tra i tuoi piedi giace abbandonata la testa del generale che prima ti aveva avvisato del pericolo.
La scalci malamente ringraziandolo per il suo aiuto e guardi i nemici con aria di sfida.
 
 
 
 
La tua arma è ormai un’estensione del tuo stesso arto.
Recidi le teste dei tuoi avversari con estrema naturalezza, come se quello fosse uno dei tuoi giochi d’infanzia. Per un breve momento hai visto Luryel, il TUO angelo, comparire lontano nella folla e il solo pensiero che qualcuno possa ferirlo ti manda in bestia. Perché tanto interessamento per un’altra creatura?
Proprio tu che hai speso anni della tua vita a vanificare ogni esistenza, ora non riesci a toglierti dalla testa un misero angelo. Il figlio di Uriele. Sembra tanto una patetica storiella per adolescenti. Il demone innamorato dell’Angelo di turno. Schivi un fendente e rispondi con un colpo micidiale che taglia in due il tuo nemico all’altezza del busto e gli organi si spargono sanguinolenti sul terreno. Un suo commilitone inciampa in quello che fino a alcuni secondi prima era lo stomaco del tuo avversario.
Ti muovi come un predatore, ma con un occhio controlli sempre il punto in cui sei sicuro che Luryel si sta ancora battendo. Lo vedi danzare sensuale tra i nemici, le membra sciolte e leggere che si muovono turbinando. Vorresti raggiungerlo. Daresti tutto pur di avere l’onore di batterti per lui, essere il suo compagno e proteggerlo da ogni male.
Pazzo demone innamorato.
Riscuotendoti brandisci la spada e con rabbia trafiggi un essere ghignante che ha avuto l’intraprendenza di minacciarti. Ti sfoghi sui nemici, come se fossero loro la ragione della tua frustrazione. Il tuo nervosismo è causato solo a quel metro e sessantotto di pelle chiara e muscoli lievemente accennati. Con una giravolta decapiti un mostro violaceo e non noti un pugno diretto al tuo volto. Quando nella tua testa esplode il quattro luglio ricordi le parole di Astaroth, tuo precettore.
Mai distrarsi.
Una lama nera e grondante di sangue sta per abbattersi sulla tua testa. Tenti di reagire, ma prima che tu possa fare qualunque cosa, il tuo avversario è sbalzato cinquanta metri in linea d’aria. In piedi accanto a te vedi Luryel. Spada sguainata e sorriso accesso. I ricci neri scossi dal vento saturo di morte contrastano in divertita protesta con la pelle lattea chiazzata di sangue che speri non sia suo.
La mano sinistra stringe l’arma con facilità e il tatuaggio che gli si arrampica sul polso ti fissa. Un uroboro verde con quattro numeri marchiati a fuoco all’interno del polso. La carta d’identità di uno schiavo.
Appena abbandonato il Paradiso, Luryel era rimasto per sette anni nel Tartaro, la cosiddetta “cucina dell’Inferno”. Aveva lottato, scrollandosi di dosso tutta l’aria di purezza, integrandosi nella virulenta civiltà demoniaca e risalendo fino al gradino più alto. Fino a diventare Principe di un’intera città.
Luryel si voltò verso di lui e sorridendo si passa una mano tra i capelli, invitandoti con un semplice gesto a rialzarti. Ti tende la mano e tu la afferri. I vostri occhi incatenati sembrano due vecchi amanti ritrovati dopo tanti anni. Passione dolorosa, che ti tiene sveglio la notte e ti fa strappare i capelli.
Le sue dita fresche s’incatenano alle tue e con braccio saldo lo sorreggi, mentre lui con gesto agile si alza in verticale e ti sorpassa per sgozzare un arciere che stava incoccando una freccia.
Tirandoti su, gli copri le spalle.
Vi muovete in sincronia, spiandovi di nascosto come due peccatori, due amanti che si occultano dietro i loro cuori. Gli alleati si stanno avvicinando, ma Luryel non lascerà mai il campo per primo. Non prima di aver stuzzicato a dovere la morte. Vederlo scherzare col fuoco è per te uno spettacolo inebriante. I tuoi occhi rossi corrono sul suo corpo e una sola certezza riaffiora nella tua mente… pagheresti oro, pur di essere tu la fiamma che un giorno consumerà la sua anima.
 
 
 
1, perché io sono il migliore.
3, perché io sono perfetto.
7, perché io sono l’apoteosi del creato.
0, perché io sono l’inizio di tutto.
1370, perché io sono stato uno schiavo all’Inferno.
 
 
Luryel si era sempre divertito ad associare un significato a ogni numero che gli marchiava la pelle tenera del polso. Aveva voluto un Uruboro a incorniciargli il tatuaggio come pegno d’infinito. La continuità dolorosa dei ricordi, il velenoso percorso eterno del destino che rotola giù dai pendii del fato.
Feraji, il suo patrigno adottivo e regnante della città di Adentinarx esamina con estrema cura un rotolo di pergamena e ogni tanto accarezza la mano del suo compagno Vafarel. Muovendosi sulle punte, Luryel piroetta delicatamente e si dirige fuori scostando i drappi messi all’ingresso della tenda nell’accampamento. Le zolle di terreno irregolare sono impregnate di carni e sangue ed esalano ancora gli odori della guerra. Ispirando forte l’Angelo starnutisce e si sfrega il naso con l’indice, iniziando poi a camminare. I soldati si stanno curando le ferite.
Collaborano tra loro, mettendo da parte l’orgoglio e provano a sopravvivere. Centinaia, migliaia di buche vengono scavate e i corpi, afferrati per i polsi e per le caviglie vengono gettati come tributo alla terra, affinché riposino in pace. Ammesso che esista la pace per dei dannati. Sono i sopravvissuti a occuparsi dei morti, padri e figli che si danno l’ultimo addio, fratelli che si separano con la muta promessa di ricongiungersi prima o poi, amanti di una notte o di tutta una vita si baciano per l’ultima volta prima di abbandonarsi all’abbraccio della terra pregna di peccato.
Per questa volta non ti tocca seppellire nessuno. Zoray, il tuo fratellastro, è tornato sano e salvo eccetto qualche ferita marginale, curata nel giro di pochi minuti. Continui a camminare fino a uscire dall’accampamento in cerca di cadaveri o feriti che sono rimasti abbandonati. Scavalchi le rocce anguste ed eviti le radici che escono e si rituffano nel terreno arido. Un lamento lontano si perde nel vento. Segui le vibrazioni dell’aria e trovi un moribondo, che solo vedendoti sussurra: “Finalmente”.
Volta il capo verso di te, piantando gli occhi neri e quasi spenti nei tuoi, prima di mormorare: “Principe, sono lieto che stiate bene.” Ti chini accanto a lui e prendi una mano portandotela sul petto, mentre gli scosti i capelli incrostati dalla fronte. Gli rispondi lievemente: “Questo cuore mio batte ancora anche per merito tuo. Come ti chiami coraggioso soldato?”
La voce roca riesce a malapena a far giungere un: “Glaucide”.
Gli chiedi: “Hai figli? Un compagno? Qualcuno che ti attende a casa?”
Una lacrima gli solca il volto e risponde: “ Non ho più genitori e sono stato strappato al calore del mio compagno ancor prima che potessimo avere un erede. Nessuno mi attende e nessuno mi reclama, se non la morte.” Gli asciughi la lacrima e sfoderi la spada. Egli con un gesto disperato si aggrappa al tuo braccio e con gli occhi bagnati ti sussurra: “ Vi ringrazio, Principe.”
La lama affonda all’altezza del cuore, mentre un fiotto di sangue erutta dalle labbra del Demone.
Estrai la spada, baciandogli la fronte. Devi portarlo al campo di sepoltura affinché si ricongiunga con i suoi commilitoni. Con uno sforzo riesci a caricartelo in spalla e procedi lentamente verso la vostra base militare. Lo lasci lì, con un ultimo saluto a un soldato morto triste. Morto tra le lacrime, strappato alla vita da una guerra ingiusta. T
utto questo perché sei all’Inferno.
Senza che tu te ne renda nemmeno conto una lacrima rotola lungo gli zigomi accennati, seguita da un’altra che percorre lo stesso sentiero sull’altro lato della guancia. E poi un’altra e un’altra ancora. T’inondano il volto mentre inizi a correre veloce, per sfuggire alla vista dei tuoi sottoposti. Tu devi dare loro forza, devi dare loro la speranza che torneranno a casa un giorno. Proprio tu che hai perso ogni speranza quindici anni or sono. Respiri a fondo e inizi a trotterellare in lungo e in largo, avanzando leggermente. Inizi a correre quando ti rendi conto che a breve avresti dovuto prendere parte a una riunione con tutti i capi delle forze armate. Sbuffando appena eviti i sassi e le radici, vorticando agile sulle punte e saltando di zolla in zolla.
Un angelo che balla all’Inferno.
 
 
 
La notte è finalmente scesa. In lontananza si odono i canti stonati dei soldati ormai ubriachi che festeggiano i pochi metri di trincea guadagnati e le colonne di fumo di perdono nel cielo nero e privo di stelle. Le lande di fuoco si estendono a perdita d’occhio, arrossate come un gigante addormentatosi al sole e la terra cremisi è mossa dal bollente vento che crea mulinelli di sabbia.
I vulcani di tanto in tanto sbuffano vapore e cenere lavica creando una sinfonia di boati sordi in sottofondo. Seduto su uno sperone di roccia sul precipizio del campo, combatti contro le vertigini che ti fanno girare la testa e di tanto in tanto dei brividi ti fanno drizzare i peli sulla nuca.
Nonostante faccia caldo tremi lo stesso.
C’è un solo nome in testa a te.
Shenyur.
Quel demone per il quale credi di esserti preso una patetica cotta adolescenziale. Eppure è proprio a causa sua che ti trovi lì giù. Dieci anni fa, accecato com’eri dalla tua ingenuità, credesti che ti sarebbe bastato mettere piede all’Inferno per stravolgere una società malata solo con la tua grazia angelica. Credevi di andare da lui e confessargli che lui era peggiore di un attacco di panico o di un’emicrania per te. All’epoca non conoscevi nemmeno la parola Amore.
E a rifletterci bene neanche adesso sai cosa significhi. Ora conosci il sesso, lo stupro, la violenza, le percosse, la vendetta, ma nessuno di questi somiglia all’Amore. Quel sentimento che ti fa paura. Ti scuote per intero lasciandoti senza fiato. Tante volte tanti demoni hanno spacciato la cattiveria per amore, la passione carnale per unione di due anime.
Tanti dannati hanno affermato di amarti. Troppi perché tu li possa contare. Ma la verità è che ora l’amore ti ripugna. Il solo pensiero di risentire quelle due parole dalle labbra di qualcuno di stringe le viscere. Non vorresti provare quel sentimento infimo dentro di te. Ti strapperesti il cuore pur di non farlo battere all’impazzata appena senti solo l’odore di Shenyur.
Non vuoi più amare.
Non vuoi più innamorarti.
Non vuoi più rimanere illuso.
Non vuoi più essere toccato.
La tua è una storia comune.
Un Angelo caduto e violentato.
Il solito cliché, nulla di nuovo. Eppure c’è qualcosa in te. Quello sguardo fiero che tuttora s’infiamma di orgoglio. Il coraggio di svegliarsi tutte le mattine e guardarsi allo specchio, senza avere la voglia di impugnare un coltello e farla finita. O di gettarsi da un balcone.
 
“Ciao.”
Sussulti violentemente. Shenyur si erge con le ali spalancate accanto a te, in tutta la sua potenza. Un cacciatore. Un guerriero. Gli sorridi e saluti gentilmente. Questo c’è ora tra voi. Gentilezza, sottile affetto e semplice simpatia.
E pensare che un tempo eravate amici. Se tu fossi rimasto in Paradiso avresti conservato i bellissimi ricordi dei vostri giorni sulla Terra. Le mattine spese sui tavoli in accademia e i pomeriggi in cui provavi ogni dolce esistente. Eri goloso fino all’esasperazione. Vaneggi mentre i tuoi occhi si soffermano sulla figura del demone.
I suoi occhi fissano l’orizzonte e le grandi ali si muovono impercettibilmente, come a captare eventuali pericoli. Quanto ti piacerebbe averne un paio. Quando esternasti questo desiderio a Shenyur lui ti prese in braccio e ti fece solcare i cieli di Rothenburgh sfrecciando tra le nuvole. Stretto al suo petto, ti sembrò di essere in Paradiso.
Altro che Michele e gli Angeli.
La tua gioia era tra le braccia di un demone. Eppure ora hai quasi paura di parlargli, le mani che prima ti stringevano forte ora ti sono estranee. La voce che ti ha consolato nelle notti temporalesche ora ti atterrisce. Temi cosa possa dirti ora. Che cosa possa pensare di te, angelo insudiciato da un amore sbagliato. Ti senti lurido. Vorresti gettarti nella soda caustica e consumare tutto lo strato di carne che ti ricopre. Vorresti tornare a essere un Angelo innocente e puro. Vorresti non esserti mai innamorato. Vorresti non amarlo.
“Dobbiamo parlare”.
No. Decisamente no. Ti rialzi scuotendoti di dosso la polvere. Tentennando gli rispondi: “ Devo andare. Scusami.” E t’incammini. Non riesci a muovere nemmeno un passo che le sue braccia ti circondano. Il petto forte si alza e si abbassa ritmicamente contro la tua schiena e i vostri respiri si sincronizzato, i vostri cuori battono in armonia mentre ti si appanna la vista. Stai bene. Per una volta ti sembra di essere al sicuro eppure… “Shenyur, lasciami.”
Stringi le spalle per invitarlo a scostarsi. Lui ti guarda. Confuso, perplesso. I suoi occhi vagano sul tuo volto, cercando si trovarvi la ragione di tanta freddezza.
Ti prende una mano e dice: “ Non ti lascio, io devo dirti una cosa. E’ troppo tempo che aspetto Luryel, non posso sopportare più di restare sveglio la notte, di essere continuamente in ansia. E’ tutto a causa tua. Io ti…” Ti scansi violentemente. Incespichi nei tuoi passi e ti tappi le orecchie. Non vuoi che te lo dica. Non vuoi sentirti dire che ti ama. Non ce la faresti. No. Troppi orrendi ricordi sono collegati a quelle parole.
Guardandolo rispondi: “Non dirlo. Non voglio sentirlo.” Ti afferra un braccio. Non è furioso. E’… triste. Gli occhi sembrano lucidi. Com’è bello. Vorresti abbracciarlo ora. Farti stringere da lui.
Diventare il suo compagno, abbandonare le armi e dargli un erede. Vorresti essere felice. Eppure sai di non meritarlo. La stretta sul polso non è forte, ma fa lo stesso male.
È come una ferita fresca cosparsa di sale. Le sue dita ti supplicano di non abbandonarlo. Ti sta tenendo aggrappato a sé in’ultima disperata speranza. Nessuno di voi ha mai smesso di sperare che un giorno sarebbe arrivato anche il vostro finale felice. Ma l’Inferno vi ha avvisati. “Abbandonate ogni speranza voi che entrate”
I suoi occhi nero pece sono fermi nei tuoi, piantanti come onici appuntite ti scrutano e ti scivolano dentro. Lui scuote la testa e ti attira a sé. Ti prende delicatamente il mento tra le dita e ti alza il volto. Gli arrivi a malapena alla base del collo. La sua voce è ridotta a un soffio dal dolore che gli stringe i polmoni.
Lo senti.
Puoi percepire la sua sofferenza. “Perché? Perché mi respingi?” Distogli lo sguardo. Non hai una risposta precisa. La tua parte razionale t’intima di non dargli ascolto, di fuggire.
Lui ti farà del male.
Lui è un demone.
Un diavolo esattamente come quelli che ti hanno stuprato anni fa. Il tuo cuore invece ti suggerisce che quello è l’Amore della tua vita. Quello è il tuo compagno. “Lasciami.” Scuoti il polso e ti liberi dalla sua presa. “Permettimi almeno di finire il discorso Luryel.” Lo fissi. Le labbra tirate, le palpebre si alzano e si abbassano in continuazione mentre nervoso ti torturi le mani. Muovendo un passo in avanti, gli rispondi: “ E ora cosa vorresti dirmi? Magari che mi ami, che tu m’insegnerai cosa vuol dire l’amore e che avremo un futuro felice? Guardami Shenyur. Tanti prima di te si sono offerti di donarmi il loro cuore e vuoi sapere cosa hanno fatto invece?”
Alzi il polso mostrando l’incisione a fuoco. “Sono stato marchiato e trattato al pari di un animale.” L’uroboro verde fissa Shenyur quasi a volergli suggerire che è meglio lasciarti stare. Tu sei morto dentro e nemmeno lui potrà riportarti in vita. Lo vedi chinare il capo e strofinarsi gli occhi.
La sua voce ti giunge lontana, sormontata da echi di risentimento: “Ti ho mai fatto del male? Ho avuto più volte la possibilità di ferirti, di prenderti con la forza, di farti tutto ciò che volevo eppure io sono andato contro la mia natura pur di portarti rispetto. E sai perché? Ti amo. Pensi che per me sia stato facile ammettere una cosa del genere?”
Ti mordi la lingua mentre le lacrime ti pizzicano gli occhi, pregando di poter finalmente rotolare giù. Ti avvicini lentamente. Ti senti un verme. Un viscido essere strisciante. “Mi spiace, ma io non posso essere ciò di cui tu hai bisogno. Io non so nemmeno più chi sono…” Lui ti stringe, ti abbraccia. Il suo odore si fonde al tuo, inebriandoti fino a farti offuscare i sensi. Le sue braccia forti ti circondano la vita mentre affonda il volto nell’incavo della tua spalla. Istintivamente gli carezzi la schiena strusciando il volto contro i suoi capelli.
Quando si rialza porta una mano dietro il tuo collo.
Le sue labbra sono a un soffio dalle tue.
Si muovono appena in una preghiera: “ Lasciati baciare almeno una volta, ti prego.”
E poi accadde.
In un solo slancio ti alzi sulle punte e gli allacci le braccia dietro al collo, poggiando finalmente le tue labbra sulle sue. La sua lingua le stuzzica e senza pensarci raccogli l’invito e gli permetti di mostrarti tutto il suo amore. Le sue mani forti ti afferrano delicatamente il volto, mentre ti lappa il palato. Eccolo lì. Il più grande peccato di sempre.
Eccolo lì l’amore che tanto rifuggivi.
Le forze ti abbandonano lentamente, le ginocchia si piegano e ti senti venire meno. Eppure ne vuoi di più. Vuoi tutto quello che lui può darti. Vuoi consumarti. Vuoi che ti ferisca, che ti faccia sentire vivo. I polmoni bruciano per il bisogno d’ossigeno eppure non ti stacchi da lui. Non ci riesci. Ti senti vuoto nel preciso istante in cui le vostre bocche si separano. Quando lo guardi, vedi il puro fiume del desiderio scorrere dentro di lui.
Ti basterebbe una sola parola.
Shenyur non si fa pregare e in un battito di ciglia ti ritrovi a terra, con la sua bocca appiccicata al tuo collo, intenta a mordicchiare succhiare e lappare. E hai paura. Seppure il tuo corpo voglia restare premuto contro la fredda terra in eterno sotto le sue carezze, la tua mente urla. Immagini sfuocate ti annebbiano la vista e tremi. Scossoni ti percuotono da capo a piedi e d’improvviso lo sbalzi via e scappi. Corri via inciampando e recuperando per miracolo l’equilibrio. Non ti volti indietro. Non ce la faresti a guardarlo negli occhi ora che ha capito perché hai paura.
Vorresti solo che qualcuno mettesse fine alla tua patetica esistenza, una volta per tutte.
 
 
L’ultima immagine che vedi è l’Amore della tua vita che scappa via terrorizzato. Avresti voglia di prenderti a pugni perché sei stato capace di rovinare tutto in dieci miseri secondi. I più belli della tua vita. Quelle labbra così morbide premute contro le tue, il fisico esile in contrasto con i tuoi muscoli. Scuoti il capo e ti lasci cadere a terra con gli occhi fissi nel punto in cui lui è scomparso correndo. Vorresti raggiungerlo ma peggioreresti solo le cose.
E’ finita.
Dentro di te senti che nulla sarà mai come prima perché ormai l’hai perso definitivamente.
Complimenti Shenyur.
Tiri un pugno a terra, ferendoti le dita che bruciano a contatto con la sabbia. D’improvviso c’è qualcosa che ti fa più male della tua mano. Un vuoto improvviso ti attanaglia i polmoni e ti stritola la trachea. Luryel. Ti alzi e mentre pensi a ciò che devi fare un boato tremendo scuote la terra. Barcolli inebetito al solo pensiero che lui possa essere ferito… o peggio ancora… no. Non può essere. Devi fare qualcosa. Spieghi le ali e preghi un Dio in cui la tua natura t’impone di non credere, anche se sai che il Dio lì su, quello che un tempo era stato il creatore di tuo padre Lucifero non ti ascolterebbe anzi sarebbe capace di uccidere Luryel solo per farti un dispetto. Supplichi ogni entità che ti viene in mente. Per una volta in vita tua hai bisogno di affidarti a qualcuno per sperare che l’Amore della tua vita sia vivo.
 
Ti prego, salvalo!
 
 
 
 
L’accampamento è distrutto. Le fiamme bruciano. I soldati muoiono. Luryel non c’è. Ti soffermi su questo pensiero, incredulo. E’ sicuramente un brutto sogno. Ti aggiri funesto tra i resti in fiamme, sorpassando moribondi ed evitando cadaveri. Lo chiami. Urli il suo nome e ti giri intorno. Dovevi fermarlo. E’ solo colpa tua. Se tu lo avessi trattenuto si sarebbe salvato. Continui a correre, il cuore ti batte a mille, la mente ti si offusca e giri a vuoto fino a quando una mano forte non ti afferra per un braccio e ti ferma.
“Shenyur, non è qui.”
Tuo padre ti fissa negli occhi, la coda che sferza l’aria e lo sguardo severo. Sospirando continua: “Non è più qui. Feraji e Vafarel sono stati uccisi e i due principi catturati. Mi spiace.” Il tuo cuore perde un battito. Non può essere. No. Tiri via il braccio dalla mano di Lucifero che ti guarda comprensivo per la prima volta in tutta la tua vita. “Devo fare qualcosa. Devo cercarlo.”
Lui scuote il capo e ti afferra per le spalle. Ha paura che possa succederti qualcosa di male.
Lo vedi avvicinarsi a te.
Ti abbraccia.
Per la prima volta in duecento anni lui ti sta tenendo stretto a sé.
Mentre ti accarezza i capelli, sussurra: “Faremo il possibile. Te lo prometto.”
 
 
 
 
-< Era passato un altro anno. 
12 mesi lontano dal paradiso.
52 settimane senza i tuoi gemelli.
365 giorni da quando avevi per l’ultima volta visto la Luce del Padre.
8670 ore di marcia, combattimenti, violenza.
525600 minuti di pianti.
31536000 secondi di Inferno.
Segnare ogni istante della propria vita poteva essere maniacale, ma diventava prezioso quando la consapevolezza dell’effimerità della esistenza metteva a dura prova la sanità mentale. Luryel teneva il conto dei giorni che passavano segnandoli sul muro col suo pugnale. L’unica arma a cui aveva diritto per provare a sopravvivere era uno strumento simile ad un coltellaccio da cucina col manico in legno tarlato e la lama arrugginita e spuntata. Gli adolescenti tenuti prigionieri lì sotto morivano e arrivavano come le pulci. Il giorno prima c’eri, quello dopo no.
Luryel era sopravvissuto sette anni in quello stato. Restando sveglio la notte per difendere il cibo e la vita e imparando a combattere per evitare di perire.
E ora era un soldato. Il numero 1370.
Il freddo invernale gli sferzava il volto entrando nella caverna dove si era riparato. Il corno suonò tre volte in segno dell’adunata generale. C’era qualche grande evento in vista. Senza curarsi del suo aspetto selvaggio si spostò solo i ricci dalla fronte, il necessario per poter vedere dove metteva i piedi e nascose la faretra, le frecce e un vecchio libro sotto un macigno.
Quel tomo era il suo piccolo tesoro. Ne riceveva uno al mese da un vecchio maestro che girovagava per quei boschi. Il vecchio era ormai cieco e Luryel gli procurava scorte di cibo in cambio di lezioni sulla storia e sulla letteratura. Parlava correttamente cinque lingue. L’enochiano, il greco, il latino, il sanscrito e il demoniaco. Scendendo lungo il precipizio scosceso si ritrovò nella grande arena. Una struttura infossata, circondata da una fila di montagne dove erano stati scavati degli spalti.
Lì, ogni giorno, si tenevano gli incontri tra lottatori, scontri all’ultimo sangue. Due guardie impettite gli si avvicinarono e una delle due gli afferrò il polso e lesse il numero per poi commentare: “ Sei ancora vivo? Dannazione…” Liberatosi dalla presa, si andò a schierare con gli altri. Il loro precettore era un demone panciuto e pelato.
Era difficile pensare che un tempo fosse stato un soldato considerato che ora camminava solo su una portantina in oro e seta. I ricami pesanti pendevano dalla struttura in oro massiccio e le monete appese tintinnavano, uno spettacolo in contrasto con i visi magri e sporchi delle reclute. Alle spalle del demone ne comparvero altri due. Quello a destra portava le insegne regali della città di Adentinarx, Luryel le aveva viste su un libro.
Era alto almeno due metri, muscoloso ma senza eccessi, i capelli lunghi neri erano raccolti in una coda che ricadeva pesante sulle spalle e gli occhi rossi scrutavano tutto l’ambiente circostante con sospetto. Indossava un abito da soldato con un mantello rosso lungo fino a terra e rivestimenti in argento e oro rosso sulla corazza.
Quello a sinistra, il suo compagno, aveva degli occhi grandi e leggermente affusolati neri come la notte e i capelli, altrettanto scuri, erano raccolti in un’elaborata acconciatura. Si fermarono avanti a loro e li guardarono con interesse.
Prima ancora che il precettore potesse parlare, il demone dagli occhi rossi lo bloccò dicendo: “Non mi serve che mi elenchiate le loro peculiarità fisiche. Voglio solo sentire una cosa: il dies irae.”
Luryel sgranò gli occhi.
Era un’antichissima sequenza in lingua latina sul giorno del giudizio. Nessuno dei suoi compagni fiatò poiché nessuno di loro ne conosceva l’esistenza. Ma lui si. L’aveva studiata eppure non riusciva a parlare.
Quando il demone chinò il capo e fece per andarsene Luryel capì che quella era la sua unica possibilità di uscire da quel campo di morte. Si fece avanti e con tutto il fiato che aveva in corpo pronunziò: “ Dies irae, dies illa, solvet saeclum in favilla: teste David cum Sybilla.” L’altro si fermò e guardandolo disse: “Continua.”
Luryel inspirò a fondo e recitò: “Quantus tremor est futurus, Quando judex est venturus, Cuncta stricte discussurus.” 
Era pronto a continuare, ma fu fermato dalle parole del demone: “ Come ti chiami, ragazzo?” Il suo nome. Temeva di averlo dimenticato. Incerto balbettò: “ Luryel…” L’altro rispose: “ Io mi chiamo Feraji.”
E poi girandosi bisbigliò qualcosa al precettore e rivolto di nuovo a lui fece segno di seguirlo.
Montò a cavallo, aggrappato alla schiena del demone che lo aveva salvato e si diresse verso l’orizzonte pronto a diventare Principe di una città.
Alzando gli occhi al Cielo sussurrò appena: “E’ questo che tu vuoi per me?”

 
 
 
 
Sei caduto dolce angelo.
Hai scelto di riposarti tra spade e cadaveri.
Hai incrociato le morte sulla labbra del Demone che amavi.
E hai teso la mano verso l’ignoto, stringendolo a te.
 
 
Guardavi il mondo con i tuoi innocenti occhi rossi screziati di viola. All’ombra di un salice ti scostavi distrattamente i ricci neri dalla fronte e ammiravi i tuoi gemelli librarsi nell’aria con le loro candide ali.
E tu ruotavi le spalle, sperando di unirti un giorno a loro. Ti sentivi sbagliato, piccolo Luryel. Una macchia nera in un Paradiso di oro fuso. Il più bello tra gli Angeli non era che il più imperfetto tra loro. Ricordi i tuoi gemelli, luryel? Ricordi Eliam che ti obbligava a seguire le orazioni e le estenuanti ore di lezione di Gabriele?
E ti torna alla mente la risata timida e genuina di tuo fratello Yemil quando riceveva un elogio da Raffaele per la sua mitezza? No… ormai l’unica cosa che riesci a figurarti è una caduta. Sei stato tu a spingerti nel baratro. Uriele, tuo padre, ti avrebbe perdonato per il peccato commesso. Avrebbe chiuso un occhio sulle tue imperfezioni se tu avessi accettato di redimerti e supplicare per una vita migliore. Ma tu eri orgoglioso.
Fiero di non avere le ali.
Fiero di essere diverso.
Sprezzante di aver ai loro occhi peccato.
Tu non capivi niente all’epoca.
Eri incosciente quando, urlando contro tutti e tutto, ti lasciasti alle spalle il Paradiso. Volevi vivere. Volevi riscattarti. Non avevi calcolato che il mondo poteva essere crudele con un cucciolo d’Angelo. Eri innamorato dell’idea di amare, di quel dolce sapore proibito, di quel calore che provavi nei momenti di adorazione.
Tuo malgrado, non sapevi che per chi lascia il Paradiso c’è solo l’Inferno. Il girone più basso. La cucina degli Inferi. E tu sei caduto proprio lì. Non sapevi cosa ti avrebbero fatto, Luryel. Tuo padre aveva ragione, non c’era posto per te tra gli Angeli. Eri destinato a rovinarti con le tue stesse mani. Hai smesso di amare dopo che loro si erano divertiti su di te.
Hai smesso di volerti riscattare quando hai capito che una volta che tocchi il fondo, puoi solo precipitare più in basso. Reclini il capo, urtando dolorosamente contro la parete umida della cella dove sei rinchiuso. Le catene gelate strette ai polsi t’impediscono di riscaldarti. Sono larghe, in contrasto con le tue braccia sottili e fragili e pesano, come la condanna a morte che grava sulla tua testa. Il rumore metallico che accompagna ogni tuo movimento è l’unica sensazione che ti fa sentire ancora vivo.
Sei salito sul gradino più alto dell’Inferno.
Sei arrivato a diventare Principe di una città.
Con dignità alzi il capo al richiamo di una guardia. I loro insulti non ti sfiorano e pianti orgoglioso i tuoi occhi nei loro. E’ stato proprio quell’orgoglio a salvarti più di una volta. Ricordi quando ferito e tremante continuavi a lottare? Faraii ti notò. Vide un Angelo che non si era arreso, un guerriero senz’ali che volava più in alto degli altri. Fu proprio il tuo comportamento a fare breccia nel cuore di un Demone senza eredi e fu la tua perseveranza a farti diventare un soldato, un principe e un figlio modello.
Bhè… un figlio modello solo per Faraii.
Se il tuo vero padre ti vedesse ora, gli si drizzerebbero le piume dalla vergogna e i suoi capelli ramati diverrebbero bianchi dallo sdegno. Mentre sei perso nei tuoi pensieri non ti accorgi che ti stanno comunicando la tua condanna a morte. La voce della guardia legge l’editto reale con tono soddisfatto, quasi bramasse di vedere il tuo cadavere penzolare da una forca. Sarai decapitato domattina alle dieci, quando la luce di Algol sarà a tre quarti nel cielo.
Zoray è già morto.
Il tuo fratellastro, il tuo migliore amico, è stato impiccato all’alba e ora il suo corpo dondola scompostamente al vento.
Prima di morire ti ha chiesto se esisteva il paradiso per i demoni. E tu gli hai mentito. Gli hai dato l’ultima speranza di felicità, assicurandogli che Lui avrebbe avuto pietà della sua anima. Una lacrima ti scava il volto, terminando la sua fulminea corsa sul tuo labbro seghettato. Brucia. Arde come le fiamme che hanno avvolto Adentinarx durante l’ultima guerra. La città che avevi giurato di difendere ora giace in pasto al tempo e agli sciacalli.
I corpi dei suoi abitanti riversi per le strade sono nutrimento degli avvoltoi.
Chiudi gli occhi e preghi, supplichi affinché quelle anime possano trovare pace. Halleluja mio Signore. Un Angelo che piange per dei Demoni. Sorridi appena pensando alla faccia di tuo padre quando rivedrà la tua anima al momento del giudizio. La porta della tua cella si apre quando le stelle di fuoco iniziano a brillare nel cielo. Un demone interamente coperto da una cappa di grezza stoffa nera entra strascicando i piedi e si siede accanto a te.
Le ultime volontà di un condannato. Il tuo ultimo desiderio.
Le tue ultime parole.
Riesci appena a scorgere due occhi neri da sotto il cappuccio.
Alzi il capo e ti fermi.
Non hai niente da dire. Niente da desiderare. La tua famiglia è stata distrutta, la tua vita sta per essere spezzata. La voce del demone ti sconvolge: “Puoi pregare anche per lui se vuoi.” Spalancando gli occhi freni in un singhiozzo. Lui. Colui che ti ha portato a cadere. Non deve soffrire, non per causa tua.
Chinando il capo supplichi: “Fa’ che si dimentichi di me, dopo la mia morte voglio sparire dalla sua mente.” L’altro gli posò una mano sul capo e rispose: “ Non posso cancellare l’amore.”
E uscì.
 
Finalmente è giunta la tua fine. Eppure la cosa più strana di tutte è che è stato il tuo Dio a tenerti vivo fino a quel momento. E’ l’unica soluzione possibile dato che troppe volte hai avuto salva la vita per fortuna.
Forse aveva progettato per te una morte spettacolare. Qualcosa di meraviglioso, un po’ come la danza dei Cherubini la prima notte dell’anno. Sorridi sghembo, con i muscoli del volto che urlano pietà. Vorresti alzarti ma decidi di preservare un po’ di forze per quello che hai in mente di fare. Non morirai per mano dei bifolchi.
Non morirai per un capriccio di Belial.
Sai che è stato lui a catturarti, sai che lui ha ucciso la tua famiglia ma sai che non gli darai mai la soddisfazione di uccidere te. Esattamente come prevedevi le porte della tua cella si aprono. Il figlio di Belzebù non è cambiato di una virgola. Stesse spalle ampie e portamento altero e selvaggio di quando ti ha violentato dieci anni fa. Ricordi perfettamente quegli occhi neri iniettati di sangue e quelle labbra tese in una striscia bianca.
Lui ti si avvicina e s’inchina di fronte a te dicendo: “ Guardate il mio piccolo Angelo… ammettilo, è meglio stare con me che morire.” Inclini il capo e rispondi a tono: “ Dicono che Azrael non sia niente male.” Lui ti afferra il mento con le dita si avvicina al tuo volto e ti sussurra all’orecchio: “ Sai, è questo che mi piace di te. Non sai quanto vorrei farti urlare fino a perdere la voce!”
E ti lecca una porzione di pelle. Schifato, gli colpisci l’interno del gomito con la mano destra e lo fai incespicare. Spingendo sui talloni gli assesti una ginocchiata allo stomaco e lo spingi di lato. Gli sali a cavalcioni sul torace e gli sussurri languido: “ Credimi, so già chi avrà questo privilegio.” Due guardie si precipitano dentro e ti strattonano via, non prima che tu abbia sputato addosso a Belial un grumo di sangue e saliva. Adirato e offeso lo senti urlare: “ Portatelo via e affilate l’ascia, voglio poter prendere a calci la sua testa entro la prossima mezz’ora!” Per tutta risposta, ridi. Finalmente.
Li segui camminando a testa alta.
Lo sguardo vacuo sembra fermarsi su ogni mattone delle umidi pareti. Immaginare la propria morte e agognarla nei momenti difficili è appagante quando sai che sopravvivrai, ma quando sei consapevole che stai andando verso il patibolo l’ansia ti assale. Il respiro si fa corto e la vista si appanna. Le gambe incespicano e la salivazione si azzera. Ti verrebbe voglia di pregare per la tua anima, ma sai che sarebbe stupido. Non implori pietà per la tua salvezza, non piangi, non urli. Aspetti silenzioso e ti porti avanti continuando quella marcia forzata. Ti sembra di rivivere le ore di cammino legato con gli altri schiavi. Chissà se i tuoi gemelli percepiranno la tua morte. Forse ti hanno dimenticato.
L’uscita del tunnel si avvicina e la paura aumenta. E’ come un fottuto attacco di panico. Uno di quelli che non passano nemmeno se ti metti la testa tra le ginocchia e respiri in un sacchetto. Eppure una parte di te è… felice. Vorresti ridere in faccia ai tuoi aguzzini solo per farli innervosire. Per dirgli: “Ehi tu! Anche se mi tagli la testa non mi inchinerò mai a te!” Eppure morirai in ginocchio. Piegato a terra tra le urla allegre di tutti i demoni. Stranamente inizi a pregare. Sono delle parole sconnesse che credevi di aver dimenticato eppure ti risalgono lungo la gola.

Padre mio, abbi misericordia dell’anima del mio fratellastro.
 
 
Un’altra serie di passi strascinati. Dalla fine del tunnel si vede una luce accecante e le grida ti pugnalano dritto al petto.
 
 
Padre mio, abbi misericordia per l’anima dei miei genitori.

Un’ondata calda t’investe.
Algol è alto nel cielo e illumina prepotentemente tutti i presenti. Centinaia, migliaia di soldati. Demoni accorsi a vedere la tua morte. Guardi di fronte a te, lì sulla collina e vedi un corpo penzolante. Il cadavere di Zoray sembra danzare nel vento, sbattendo ogni tanto contro i pilastri di legno.
Con le lacrime agli occhi riporti lo sguardo sulla folla e lì lo vedi.
Ritto tra tutti, in prima fila col cappuccio tirato sul capo.
Shenyur ti fissa con il volto rigato da solchi profondi e gli occhi cerchiati da occhiaie.
 
 
Padre mio, che sei nei cieli, abbandona l’anima mia ma promettimi che ti prenderai cura del mio unico grande Amore.
 
 
Sei trasportato con la forza al centro del palco in legno dove un boia è già pronto con l’arma in pugno.
Chiudi gli occhi.
Respiri lentamente.
A bocca chiusa inizi a canticchiare, focalizzi i tuoi ricordi ai bei tempi del Paradiso e accumuli la tua anima al centro del petto. Senti le forze materiali spostarsi e abbandonare le zone periferiche del tuo corpo.
Le mani si raffreddano e le gambe cedono. Eppure quando vedi uno scintillio partire dal mantello di Shenyur ti fiondi su di lui. Le guardie, colte alla sprovvista, non riescono a fermarti. Il tuo corpo impatta violentemente contro quello del demone e le tue labbra cadono pesanti sulle sue.
Lui ti stringe, pronto a portarti via di lì, ma prima che si possa muovere ti stacchi e sussurri: “ Ti amo.”
Dopodiché urli.
Urli e prendi fuoco.
Hai usato la tua anima e i tuoi poteri di Serafino per bruciare da solo.
Sei una supernova e senti la carne sciogliersi e le ossa sgretolarsi.
E’ la fine.
Tra le fiamme vedi Shenyur urlare e provare a raggiungerti, ma tu alzi gli occhi al cielo, in finale segno di resa.
 
 
 
 
Ed è una voce a portarti definitivamente via di lì. Poche parole che ti strappano alla crudeltà dell’Inferno e alla tortura che ti eri imposto: “ Figlio mio. Torna a me.”
 
 
 
  
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