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Autore: Aesingr    02/10/2014    2 recensioni
Spyro e Cinerea hanno combattuto e sconfitto il perfido Malefor, drago viola dai poteri immensi. l'hanno sempre considerato un nemico vile e spietato, insensibile di fronte al dolore che stava causando.
Si sa, l'oscurità può sorgere anche dalla luce. A volte l’amicizia, l’amore ed ogni altro sentimento positivo possono mutare in artigli roventi, con cui è facile dilaniare la carne e le ossa per giungere al cuore.
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ROTTURA



Dorim se ne stava immobile ad osservare il fluire del corso d’acqua che si muoveva di fronte a lui, indifferente a quello che il suo sguardo incontrava. Era imperdonabile non riuscire ad apprezzare la meraviglia di quell'oasi, e Zell glielo fece notare con la sua solita giovialità. Gli comparve di soppiatto alle spalle, come il fulmine che si scatena senza preavviso.
“Bu!”
Con un balzo gli piombò addosso e lo spinse a terra. Infastidito dalle -inutili perdite di tempo- del drago del fulmine, Dorim lo spinse via grugnendo.
“La prossima volta ti faccio finire nel fiume”
Zell, conscio del temperamento ribelle e scorbutico di Dorim, si limitò a sorridere e a fingere un’espressione spaventata.
“Nooo l’acqua del fiume no ti prego no, ho paura!”
Dorim sospirò, poi un ghigno pericolosamente perfido gli increspò le labbra.
“Zell, che ne dici di superare la tua paura dell’acqua?”
Il giovane drago giallo dorato sollevò le ali e le portò sul muso a difesa.
“Mai!”
“Ma il ghiaccio ti piace, o no?”
Zell scoprì di nuovo il volto e fissò incuriosito l’altro.
“Che vuoi fare?”
“Una bella gara di scivoli sul fiume, ovviamente dopo che lo avrò congelato”
“Ma…” esitò Zell.
“Che c’è? Non ti fidi?”
“In effetti no, ma pensavo più che altro che non sei in grado di congelare un intero fiume”
Dorim divaricò le ali e sollevò il capo in segno di superiorità.
“Mi sottovaluti?”
“No, tu ti sopravvaluti” Rispose  Zell con estrema semplicità, insinuandosi tra i vicoli del fragile autocontrollo di Dorim.
Il giovane drago azzurro si voltò verso le acque del fiume, realizzando che effettivamente trasformare l’intero corso in ghiaccio era impossibile. Terrador, cogliendolo in difficoltà, gli si avvicinò con un’espressione derisoria e vide in quel momento la possibilità di rinfacciargli la sua spavalderia.
“Che c’è piccolo drago di ghiaccio, non riesci neanche a usare il tuo elemento? Dai! Non hai appena detto di poter congelare il fiume?”
Dorim non gli restituì nessuna attenzione, si concentrò piuttosto sul suo potere, cercando di far fluire più energia possibile all’interno dei polmoni per convogliarla in un getto di portata di gran lunga superiore a quella a cui era abituato.
Terrador, per fornire il tocco di classe, sollevò il livello del suolo nel letto del fiume, oltrepassando la superficie dell’acqua e sbarrandone l’impeto. Quella sorta di diga naturale non avrebbe retto per molto, quindi Dorim si vide costretto ad approfittarne immediatamente e scagliò l’energia accumulata sulla metà immobile del fiume, che venne coperta  da un lineare tratto di strato ghiacciato.
“Con il mio aiuto è stato facile a quanto vedo”
Il drago dalle squame azzurre e argentee decise di utilizzare come arma più letale una rinnovata gentilezza e una preoccupante indifferenza alle provocazioni.
“Dai vieni a divertirti invece di vantarti” Disse al drago della terra, che ruzzolò vergognosamente e con troppa facilità nella perfidia del compagno.
Osservò Zell avvicinarsi alla banda di ghiaccio che ora solcava il verde della valle e slittarvi sopra con le zampe, esultando allegro come il più giocherellone dei cuccioli. Si lasciò influenzare dalla sua spensieratezza e lo seguì, ignaro del maligno sorriso di Dorim alle sue spalle, che attendeva l’istante giusto per attuare il suo piano.
Finse di raggiungerli per unirsi a loro, ma si bloccò con gli artigli a contatto con la solida superficie del ghiaccio e attraverso essi trasmise la sua energia esattamente sotto le zampe di Terrador e Zell, dove il ghiaccio si crepò istantaneamente. Sprofondarono entrambi nell’acqua gelida, colti del tutto alla sprovvista.
Convinto che sarebbero facilmente riusciti a tornare all’esterno per iniziare una furiosa azzuffata, Dorim tolse le zampe dal ghiaccio e le fratture si rimarginarono, seppellendoli sotto il robusto strato trasparente. Ridacchiando si allontanò a rapide falcate, aspettandosi una reazione violenta. Non che avrebbe mai concesso loro un segno di vigliaccheria o debolezza sia chiaro; la sua fuga sarebbe servita solo a -garantire la loro incolumità- avrebbe raccontato.
Terrador, nonostante la resistenza esercitata dall’acqua, con uno schiocco di coda riuscì a fratturare il ghiaccio quanto bastava per ampliare la fenditura con la forza delle zampe e portare la testa in superficie. Consapevole del terrore che impediva a Zell di affrontare l’acqua si immerse di nuovo, notando che l’amico si stava agitando a pochi metri da lui cercando di rompere il ghiaccio in preda al panico.
Vedendolo in difficoltà e incapace di ragionare, lo raggiunse e lo afferrò per la coda per  trascinarlo all’esterno, mentre ancora si dimenava furiosamente in cerca di salvezza.
Quando entrambi si trovarono distesi sull’erba, zuppi d’acqua gelata, Zell smise di agitarsi e lanciò un’occhiataccia nei dintorni in cerca del suo prossimo pranzo: un buon piatto di squame di Dorim.
“Quell…”
“Dai lascia stare, sai che è sempre così” lo anticipò Terrador, cercando di sedare i suoi istinti assassini.
“Ma io… lo squarto!”
Intanto che Zell si era gettato alla ricerca del suo avversario all’interno della ragnatela di fronde che si intrecciavano nella valle sotto a un cielo d'ambra, Malefor e Solaris si erano seduti con il dorso poggiato ad un grosso masso nel bel mezzo della quiete di Avalar. Le loro ombre si proiettavano sul fresco verde dell’erba ad incorniciarne i contorni.
Il drago viola puntò il culmine acuminato della coda al suolo, affondandola a qualche centimetro sotto la superficie.
“E quindi siete cresciuti nel tempio” constatò curioso.
“Si. Dobbiamo essere addestrati per diventare futuri guardiani o essere affidati a uno dei tanti ruoli che il mondo ci propone” spiegò Solaris, come di fronte ad un cucciolo appena nato.
“E quale sarà il tuo posto Solaris?”
Lei lo fissò da prima intensamente, poi con un’espressione intenerita.
“Non avrebbe senso saperlo adesso”
Malefor si sforzò nell'abbozzare un altro sorriso.
“Giusto”
Il giovane drago alzò il musetto verso le nubi che rivestivano l’orizzonte, fiutando qualcosa di strano attraverso l’infinito.
“E tu? Quale sarà il tuo destino?” Chiese Solaris,.
Fece quella domanda forse con troppa leggerezza, ignorando l’ingenuità del drago viola. Malefor impiegò qualche secondo per distogliere l’attenzione da quello che aveva captato e incamerare la domanda.
Socchiuse gli occhi, passando la lingua tra le piccole zanne e espirò uno sbuffo d’aria calda che salì verso l’alto.
“Lo scoprirò”
“Certo. E questo credo sia il nostro punto di partenza. Questa splendida valle, questa energia sarà l’origine della nostra forza. l’Aedo sicuramente ha scelto di mandarci qui per un motivo preciso” Rispose, mentre Glaider le si avvicinava sbucando da dietro il masso a cui erano poggiati.
Entrambi si voltarono verso di lui, il quale si portò tra i due e si sedette in modo da distanziarli, con fare apertamente geloso che fece sorridere Solaris.
“Sono felice di avervi incontrati" dichiarò Malefor. "Purtroppo non posso fuggire per sempre dal mio passato"
"Non conosco il tuo passato" rispose decisa Solaris. "ma ci sono due scelte che puoi compiere in risposta ad ogni passato. O prendi ciò che di questo è servito a formarti o ti lasci alle spalle gli errori e le tristezze”
Malefor si alzò sulle zampe, distendendo le ali violacee verso l’esterno. Rispose con una calma stoica, innaturale.
“O entrambe, ma non prima di aver fatto ciò che è giusto fare”
Non diede loro tempo per chiedere spiegazioni. Piegò gli arti posteriori e li sfruttò per darsi una poderosa spinta e librarsi in aria. Salì verso il rosso scarlatto dei suoi ricordi, sospeso in cielo ad osservarli.
Maestro e allievo si incontrarono di nuovo. Il ritmico e rapido battito d’ali del cucciolo contrastava con quello profondo di Flarendor, tranquillo e pacifico esteriormente, un inferno nelle viscere. Lo stesso inferno che aveva spesso scatenato contro Malefor, che adesso lo stava raggiungendo con l'espressione di chi è consapevole, deciso una volta per tutte a fronteggiare il fuoco che non poteva ferire le sue squame ma aveva saputo ardere gli anfratti più reconditi della sua anima.
“Cosa stai facendo, Malefor?”
Flarendor compì un gesto quasi impulsivo e spalancò gli artigli di una zampa anteriore, che richiuse un attimo dopo stringendo il vuoto.
“Come hai fatto a trovarmi”
Flarendor mostrò i denti, soffiando fumo dalle narici. La sua coda fendeva l’aria, mentre i muscoli di tutto il corpo lavoravano spasmodicamente per mantenere il controllo.
“Ti ho chiesto che cosa stai facendo. Cosa ci fai qui insieme a quei draghi”
Malefor batté le ali più rapidamente e scivolò fluido alla sua destra, con corna e artigli pronti ad accoglierlo in caso si fosse comportato come sapeva avrebbe fatto.
“Faccio quello che non ho fatto per tutti questi anni. Tu puoi tornare nella tua grotta"
Tutti i nervi del drago del fuoco si tesero oltre il limite consentito e le sue pupille si tinsero di quell’inferno.
“D’accordo piccolo draghetto impertinente. Me ne tornerò a casa, ma tu mi seguirai. Sono stato chiaro?”
Malefor sollevò il capo, rendendosi conto che aveva il pieno controllo della situazione, mentre il suo maestro era prossimo a bacillare.
“Chiaro come i bagliori di quel fuoco con cui mi hai torturato e con cui hai forgiato queste squame” Rincarò la pressione esercitata sul maestro avvicinando il muso al suo. “E con cui mi hai condannato alla solitudine”
“Malefor…” ringhiò Flarendor.
“Si maestro?”
“Non sfidare la mia pazienza”
“Cosa dovrei temere?” chiese fiero il drago viola.
“Te stesso”
Una vena di perfidia spuntò sul muso di Flarendor quando vide Malefor sgranare impercettibilmente gli occhi, ma  Il cucciolo estrasse la lama della ferita in maniera rapida e indolore per poi conficcarla dritta nel petto del maestro.
“Preferisco affrontare me stesso come drago libero che come tua arma”
Fu la scintilla che fece divampare l’incendio. Flarendor si scagliò con violenza contro il suo allievo, snudando le zanne e puntandolo alla gola. Con una cabrata istantanea Malefor si alzò di quota e si mosse in modo che il suo avversario seguisse i suoi movimenti e si concentrasse unicamente su di lui.
Sfrecciò in picchiata verso le montagne che si gettavano sulla valle, sostenendo il contatto mentale con tutto ciò che lo circondava; non poteva lasciarsi cogliere di sorpresa.
“Se non potrai essere mio non sarai di nessun altro, drago viola!”
Malefor lo ignorò, sperando solo che i suoi nuovi compagni non decidessero di seguirlo o magari non si fossero neanche resi conto dell’accaduto. Non poté però preoccuparsene a lungo; Flarendor era saturo di un'energia insolita che lo stava allarmando e di cui non riusciva a carpire la fonte. Cercò di tenersi a debita distanza finché non fu abbastanza lontano, ma qualcos’altro aveva catturato l’attenzione dei suoi sensi. Due creature in cielo si stavano avvicinando. Non era il momento per fare nuove conoscienze, doveva concentrarsi su Flarendor.
 Nonostante il suo maestro fosse sempre vissuto solo e certo non avesse alleati, Malefor non voleva rischiare di trovarsi di fronte a troppi avversari. Quel giorno sarebbe sorto il suo lato più oscuro e chiunque si fosse trovato davanti intenzionato a fermarlo non avrebbe vissuto la nuova alba.
Tra una virata ed un’altra, maestro e allievo iniziarono a tracciare una spirale d’energia che li seguiva in un turbinoso vorticare di volute concentriche. Stranamente Malefor si sentiva a disagio. C’era qualcosa nell'aria che non aveva mai percepito prima, un potere ancora più terrificante di Flarendor stesso.
Una folata d’energia violacea si propagò attorno al corpo del drago del fuoco, che scomparve nel nulla come per capriccio divino. Si materializzò a meno di un metro dal dorso del drago viola, che alzò lo sguardo incredulo, del tutto colto alla sprovvista.
Un fendente dei suoi artigli e l’ala sinistra di Malefor si ritrovò squarciata da un solco vermiglio da cui zampillò un fiotto di sangue. Il giovane drago spalancò le fauci istintivamente, ma nessun guaito di dolore ne uscì; segno di ciò che era diventato, della resistenza acquisita nel tempo.
Lanciò un’occhiata al mondo sotto di se dove un monotono ammasso di rocce copriva il terreno e assaggiò il soffice alito di vento che gli abbracciava le membra, mentre planava  leggiadro al suolo nonostante la ferita. Il dolore non lo turbava, anche se valutò rapidamente di non poter più volare a gran velocità. La sua mente registrava ogni sensazione come un insieme di impulsi che il suo corpo avrebbe dovuto elaborare per reagire alla battaglia. Recuperò quota senza perdere stabilità, concentrandosi anche sulla più piccola articolazione del corpo.
Adesso Flarendor si trovava di fronte a lui con un ringhio di sfida stampato sul muso. Non era il solito Flarendor, nelle sue vene scorrevano sangue corrotto ed energia oscura.
“Cosa ti è successo maestro. Anche l'ultimo barlume di purezza in te è scomparso?”
Le fauci del drago di fuoco vomitarono una fiammata purpurea intenta a divorare Malefor, che guizzò di lato seguito da scariche elettriche per poi lanciarsi verso il suo fianco scoperto. Sferrò una raffica di artigliate e ferì ripetutamente il manto di squame che proteggeva il costato di Flarendor.
Evitò appena in tempo la frustata di coda che un attimo dopo gli sfiorò il collo, scendendo di pochi metri per sfruttare l’occasione a suo vantaggio. Una fitta di dolore gli stilettò l’ala ferita quando mise tutte le sue forze in uno scatto diretto al ventre del drago, su cui abbatté tutta la forza delle sue corna.
Sentì il corpo di Flarendor schizzare verso l’alto all’impatto. Vi si aggrappò con gli artigli e morse con violenza, sentendo il sangue in bocca. Appena fu in grado di mantenersi in aria ad altezza e velocità costanti si staccò e puntò gli occhi al suo operato, rimanendone al contempo compiaciuto e disgustato.
Nell’unica regione dell’addome vestita di squame friabili di Flarendor era comparso un foro sanguinante, da cui sgorgava un fiumiciattolo vermiglio. Notò tuttavia che nonostante le profonde ferite che solcavano il corpo del suo maestro, questo non pareva ne affaticato ne in difficoltà.
Quello che successe in seguito a nessun drago era mai stato concesso di assistere. L’ex guardiano del fuoco venne circondato da un’aura di quell’ignota energia di cui Malefor aveva da subito captato e temuto la presenza. Bagliori violacei si accesero in prossimità degli squarci sulla pelle di Flarendor e andarono a rimarginare le ferite, conferendo al drago ancora più potenza.
“Allora è questo che mi nascondevi” Sussurrò il giovane drago viola, affatto preoccupato dalla piega che la situazione stava prendendo.
Non riuscì a rendersi conto del pericolo. Flarendor in un lampo gli fu addosso, le zampe protese per trafiggerlo. Per puro riflesso di reazione evitò la prima zampata, ma quando provò a reagire quattro artigli lo afferrarono per la testa e lo bloccarono a mezz’aria. Tentò in ogni modo di divincolarsi, non riuscendo però a sgusciare via dalla presa. Non desisté neanche quando il drago se lo portò di fronte alle fauci, come a volerlo sbranare.
“Non fai più il gradasso ora, stupido drago viola?”
Malefor divaricò la bocca e sputò una sfera d’energia naturale che assunse un colore verde splendente appena entrò a contatto con l’aria. Il colpo si schiantò sul muso di Flarendor, il quale sogghignò soddisfatto della forza acquisita.
“Mi fai il solletico”
Malefor cercò di sfruttare anche l’elemento del ghiaccio, ma la morsa si serrò ancora di più sulla sua testa e uno degli artigli iniziò a puntellargli il cranio.
“Se dovessi trafiggerti proprio qui, chi sa cosa uscirebbe. Sicuramente molta purezza. Vero piccolo draghetto? In te non c’è spazio per l’oscurità"
Malefor non si mostrò debole né spaventato neanche in quel momento.
“No, non c’è. Come per te non ci sarà futuro. Non avrai mai quello che cerchi”
“Tu dici?”
La pressione aumentò ancora, a tal punto che Malefor sentì le proprie ossa scricchiolare in una sinfonia di dolore.
“Stai per distruggere quello che hai creato maestro? Come pensi di poter sopravvivere tu, che attingi a una forza non tua? Questo perché sei debole e non sono sufficienti le tue sole energie per far fronte alla vita. Sei solo e hai bisogno del potere di un cristallo per sovrastare chi...
Un pugno tremendo gli colpì il muso, facendogli perdere per un istante il contatto con la realtà. Sagome grigiastre e appannate gli annebbiarono la vista, fin quando non si sentì precipitare a picco attraverso l’aria. Le scariche lancinanti che gli massacravano la testa non gli impedirono di rendersi conto che stava scendendo in caduta libera immerso nella semi incoscienza, dritto verso una morte certa.
 A quella velocità, nonostante la robustezza delle sue squame forgiate nel fuoco, non sarebbe chiaramente sopravvissuto. Un accenno di razionalità gli suggerì di spiegare le ali e provare a rallentare la discesa, ma i muscoli rispondevano come se fossero scoordinati dal cervello e ogni impulso che veniva trasmesso alle fibre del corpo veniva deviato dal dolore.
Ancora le immagini erano confuse e indistinte, ma sentì il bisogno di chiudere gli occhi. Non per paura, ma per andarsene come era giunto, fra le tenebre. Il terreno era vicino. Prima che avesse modo di rivangare ogni ricordo trascorso, qualcosa di caldo e delicato  lo avvolse. Si sentì adagiare al suolo come nell’abbraccio di una madre che si scioglie per far distendere il proprio cucciolo.
Stava per scivolare in un vuoto sonno senza sogni, quando sentì pronunciare il suo nome. Qualcuno lo stava chiamando; gli parlava con delicatezza, come se anche il tono troppo alto della voce potesse infrangere il sottile guscio dell’uovo viola.
“Malefor...”
A chi apparteneva il caldo suono di quella voce?
Attorno a lui non esisteva niente, solo una morbida sostanza dentro cui il suo corpo stava formandosi.
“Malefor”
Poteva percepire il calore infondersi attraverso gli strati del guscio che lo proteggeva, poteva assimilare quel tepore trasmessogli dall’esterno come raggi solari incuneati in un confortevole rifugio. Poi improvvisamente la voce si affievolì, fino a scomparire. Il calore venne sostituito da una stretta gelida, che emanava solo buio e vuoto.
Lo schizzo di luce si spense e con un brivido affondò nell’oblio.
 
  
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