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Autore: Inessa    04/10/2014    11 recensioni
[Sterek][Human!AU]
“Tu ti alzi, vai dal tipo e gli chiedi se vuole pomiciare per ammazzare l’attesa,” Scott scosse la testa, “Non ce li vale cinquanta dollari questa cosa. Posso darti cinquanta dollari, forse, se ci pomici davvero.”
Stiles gli lanciò un’occhiata a metà tra il tradito e l’ammirato, a cui l’altro rispose con un falso sorriso innocente.
“Andata,” disse con sicurezza e incrociò le braccia al petto, ostentando fiducia in sé. In realtà bluffava, il tizio era così hot che non c’era speranza che volesse pomiciare con uno come lui, ma si stava annoiando a morte. E quello batteva dieci a uno l’alternativa, che era guardare le puntate della terza serie di Sherlock che aveva trasferito sul tablet.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Scott McCall, Stiles Stilinski
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Note: Niente di che, è una storia scema che mi è venuta in mente durante una delle mie luuuuuunghe attese in aeroporto. È self-indulgent all'ennesima potenza, è snog-without-plot e ho dato un po' sfogo alla mia imbecillità, giusto perché mi andava.
La dedico a Fall11, perché lei mi dedica storie bellissime e io invece so scrivere solo queste scemate, ma se aspetto di scrivere io una cosa decente stiamo freschi xD





Delayed







Gli aeroporti, a modo loro, era un luogo spiccatamente romantico, nella più ampia accezione del termine. Per Stiles erano punti di partenza, ma anche di arrivo, andata e ritorno. Per Scott, a giudicare dai lunghi baci che si scambiava con Allison ogni volta che lei lo accompagnava o andava a prenderlo in aeroporto, erano più luoghi di unione e separazione. Come gli Uffici di Stato Civile, ma questo a Scott era meglio non farlo notare.

Poi c’erano i momenti in cui Stiles vedeva gli aeroporti come delle grosse gabbie scintillanti con le pareti di vetro, negozi di profumi costosi strailluminati, turisti russi e bar in cui un micropanino con prosciutto costava sette dollari. Il problema era che, quando l’aeroporto significava unione, Scott insisteva perché vi si appostassero almeno tre ore prima della partenza prevista, perché doveva tornare a Beacon County e non voleva rischiare in nessun modo di perdere l’aereo a causa di traffico, ruote dello shuttle che si bucavano, inondazioni, tempeste di sabbia, invasioni di cavallette, varie ed eventuali altre piaghe d’Egitto.

Quando l’aeroporto significava separazione , invece, era Stiles a doverlo tirare per le orecchie perché non aveva soldi da sprecare per comprare nuovi biglietti nel caso avessero perso il volo. Quella sera, dopo aver perso un’ora all’esterno del terminal delle partenze, fatto il check-in, imbarcato il bagaglio in stiva, superato i controlli di sicurezza, guardato il negozio di profumi ed aver fatto impazzire i commessi senza poi acquistare nulla, aver fatto diversi giri in scala mobile, aver chiesto al cassiere del bar se i panini da dieci dollari fossero imbottiti con prosciutto di unicorno, aver raggiunto il gate ancora vuoto in maniera deprimente, aver scoperto che il loro volo sarebbe partito con un ritardo di almeno quarantacinque minuti, Stiles era devastantemente, deprimentemente, irreparabilmente annoiato. Ma, per sua fortuna, proprio quando era annoiato, se doveva essere onesto con il mondo, riusciva a farsi venire le idee più geniali.

“Ti do dieci dollari, se lo fai,” disse Scott con nonchalance, senza nemmeno sollevare gli occhi dal display del cellulare, con cui stava messaggiando furiosamente con Allison.

La faccia di Stiles si contorse in un’esagerata espressione di indignazione, che andò totalmente sprecata, visto che l’altro non lo stava guardando, “Dieci dollari?” domandò, lasciandosi andare all’indietro fino a poggiare la schiena contro il sedile di plastica della sala d’attesa.

“Andiamo, amico, ti sto dicendo che sono disposto a mettere in gioco la mia dignità,” e, a quanto pareva, tirare in ballo quella era abbastanza per far degnare Scott di sollevare la testa verso di lui. E sollevare un sopracciglio con fare dubbioso.

Stiles roteò gli occhi, “Senza contare la mia incolumità , visto che il tipo sembra avere certi muscoli ,” constatò, facendo di nuovo una radiografia con gli occhi al ragazzo seduto nella fila di fronte alla loro. Capelli neri e folti, barba curata, bicipiti e tricipiti e… insomma, aveva reso l’idea. Se il tipo avesse deciso che Stiles era molesto e avesse voluto tirargli un destro, non c’erano dubbi su chi avrebbe avuto la peggio. Tra l’altro, doveva anche essere uno intellettuale, perché non aveva alzato gli occhi dal libro che stava leggendo nemmeno per un secondo da quando Stiles lo aveva notato ed aveva iniziato a (stalkerarlo? Sbavargli addosso?) osservarlo. Certo, per quel che ne sapeva magari aveva in mano Cinquanta sfumature , ma lo aveva letto anche Stiles, per curiosità scientifica, quindi non era uno che giudicava dalle letture che si facevano al gate di un aeroporto, in attesa di un volo in ritardo. E poi il tipo era vestito in modo elegantemente casual. Indossava dei jeans neri molto stretti e una camicia bianca ben stirata, ma i primi due bottoni erano slacciati, niente cravatta. Sulla valigetta accanto a lui c’era una giacca piegata con cura. Sembrava quasi altolocato , ma accessibile. E fottutamente commestibile. E aveva una posa così stoica che anche se fosse stato assorto nella lettura de I tre porcellini sarebbe apparso comunque greve e impegnato.

“Dài, amico, cinquanta dollari?” chiese speranzoso, tornando a concentrarsi sulla conversazione con Scott senza distogliere gli occhi dai pettorali che si intravedevano da sotto la camicia del tipo.

“Non ce li ho cinquanta dollari, Stiles,” gli rispose Scott allargando le braccia con tanta enfasi da rischiare di farsi volare il cellulare dalle mani, “Ho speso tutto quello che avevo per comprare questo biglietto aereo, lo sai.”

Stiles sbuffò, perché odiava quando Scott faceva la persona sensata. Stavano tornando a casa dal college per le vacanze invernali e avevano scelto una sfigatissima compagnia low cost perché entrambi erano al verde un giorno sì e l’altro pure. Immaginava che il ritardo fosse incluso nel pacchetto low cost , o almeno questo era quello che la signora di mezza età accanto a lui continuava a dire a intervalli regolari, aggiungendo alla fine un Giuro che è l’ultima volta che viaggio con questa compagnia, con me hanno chiuso . Insomma, quello che avevano risparmiato in biglietti aereo, se non fossero stati attenti, lo avrebbero sperperato in pacchi giganti di Toblerone al duty free.

“Avaaaanti,” si lamentò, passando ad quel po’ di peluria che si intravedeva dalla camicia sbottonata del tizio sexy. Si domandò come sarebbe stato morderlo sotto la clavicola.

“Hai un lavoro, Scotty,” insisté, giusto perché si annoiava, “Me li darai quando Deaton ti pagherà.”

“Tu ti alzi, vai dal tipo e gli chiedi se vuole pomiciare per ammazzare l’attesa,” Scott scosse la testa, “Non ce li vale cinquanta dollari questa cosa. Posso darti cinquanta dollari, forse, se ci pomici davvero.”

Stiles gli lanciò un’occhiata a metà tra il tradito e l’ammirato, a cui l’altro rispose con un falso sorriso innocente.

“Andata,” disse con sicurezza e incrociò le braccia al petto, ostentando fiducia in sé. In realtà bluffava, il tizio era così hot che non c’era speranza che volesse pomiciare con uno come lui, ma si stava annoiando a morte . E quello batteva dieci a uno l’alternativa, che era guardare le puntate della terza serie di Sherlock che aveva trasferito sul tablet.

Scott, che in quella frazione di secondo si era di nuovo distratto mettendosi a chattare con Allison, sollevò di scatto la testa. “Eh? Accetti? Non è che è come in quella barzelletta in cui c’è uno che scommette con un altro di toccare le tette a una ragazza, poi va dalla ragazza e scommette che le tocca le tette senza usare le mani e-”

“Scott, giuro solennemente che non chiederò al tipo di toccargli le tette per truccare la scommessa,” rispose Stiles mettendosi una mano sul cuore. Entrambi scoppiarono a ridere.

“E va bene,” assentì Scott, “Ma hai accettato troppo facilmente, avrei dovuto chiederti anche quel cuscino da viaggio cretino di Batman che hai al collo.”

“Ehi!” esclamò Stiles, accarezzando il cuscino in questione e mormorandogli parole di consolazione per l’offesa che aveva appena subito.

“So che non dovrei dirtelo, perché quel coso aumenta esponenzialmente le mie percentuali di vittoria, ma, prima di avvicinarti al tipo, levatelo.”


Derek stava leggendo di Nastas’ja Filippovna che minacciava di buttare nel fuoco centomila rubli, quando qualcuno si fermò davanti a lui e si schiarì la gola, salutando con un rumoroso “Ehi!”. Registrò a malapena la presenza della persona in questione e voltò pagina, tenendo gli occhi incollati al romanzo. Le probabilità che una faccia conosciuta lo beccasse proprio in quel momento in aeroporto erano pari a zero, quindi di certo il tipo non si stava rivolgendo a lui. Alla sua destra era seduta una coppia di anziani molto eleganti, lei con i capelli corti e una collana di perle, lui in giacca e cravatta e ventiquattrore, mentre alla sua sinistra c’era una ragazza con i capelli ricci che si alternava tra messaggiare con il cellulare, navigare su internet sul suo tablet e leggere una rivista di geopolitica. Era sicuro che tutti e tre avessero sollevato lo sguardo, stupiti, verso lo sconosciuto che si era appena avvicinato, ma nessuno di loro poi gli aveva rivolto la parola.

“Ehm, ehi?” domandò di nuovo la stessa voce, stavolta con meno sicurezza, e Derek sollevò infine lo sguardo verso la persona che aveva parlato. Rimase interdetto per un attimo, riconoscendo il ragazzo che aveva davanti. Era il ragazzo carino e minorenne che aveva visto prima alle partenze, quello che aveva fatto il check-in automatico prima di lui insieme ad un altro con la mandibola un po’ storta. Sollevò un sopracciglio con una domanda implicita, perché, per quanto carino, quel ragazzino era per lui uno sconosciuto. Ed era minorenne.

“Parli con me?” gli chiese guardandosi a destra e sinistra in modo un po’ stupido.

Il ragazzino allargò le braccia e roteò gli occhi, il che era abbastanza offensivo, visto che non si conoscevano e quindi la sua domanda era legittima. Se avesse voluto chiedere un’informazione avrebbe potuto rivolgersi anche alla coppia o alla ragazza col cellulare.

“Sì, ehm,” mormorò lo sconosciuto, di colpo molto meno spazientito. Derek sollevò di nuovo un sopracciglio, con fare ironico, invitandolo con un movimento della testa a continuare. Il ragazzino arrossì e Derek si schiaffò mentalmente le mani sul viso, perché non c’era verso che avesse appena pensato che fosse adorabile.

“Ecco, per colpa del mio amico Scott,” indicò un punto vago alle sue spalle col pollice e Derek riuscì a scorgere quello con la mascella storta, “Sono diverse ore che gironzolo per l’aeroporto e mi sto annoiando a morte.”

Derek sbuffò. “E questo sarebbe affar mio, perché…” lasciò la domanda in sospeso.

“Ecco, volevo chiederti,” il tipo si leccò le labbra, “Sei sexy, vuoi pomiciare?”

La testa della ragazza seduta accanto a lui schizzò in alto in maniera così veloce che di sicuro doveva aver avuto per un attimo le vertigini. La signora elegante seduta dall’altra parte, invece, inspirò con un verso scandalizzato e si portò la mano alla bocca. Derek scrutò il ragazzino tentando di mantenere uno sguardo impassibile, perché non amava essere preso per il culo. Ma poi vide che in effetti il tipo si stava stropicciando le mani con fare nervoso, con un sorriso tremolante sul viso, come se avesse fatto una bravata ostentando una falsa sicurezza in sé e adesso si sentisse imbarazzato a morte. Maledizione, quel poppante faceva sul serio. Derek sospirò con un’espressione che diceva chiaramente Perché a me? E poi, seriamente, chi diceva pomiciare nella vita reale?

Quanti anni hai ?” gli domandò esasperato, chiudendo il libro e infilandoci in mezzo un dito per non perdere il segno. Gli occhi del ragazzino scattarono sulla copertina, e poi mormorò, “Uh, non le Cinquanta sfumature, quindi.”

Derek aggrottò la fronte e gli schioccò le dita davanti alla faccia per farlo concentrare di nuovo sulla questione che avevano tra le mani.

“Oh, ho diciannove anni!” rispose lui riscuotendosi, con tanto di movimento della testa a destra e sinistra. Cos’era, un cartone animato?

“Certo,” sbuffò Derek ironico. Intanto la coppia alla sua sinistra si era alzata e si era allontanata, con la donna che borbottava parecchio indignata.

“Ehi, è vero!” ribatté il ragazzino, muovendo le braccia e voltandosi verso il suo amico. “Scott, quanti anni ho?” urlò facendo girare parecchie teste. Quel ragazzino era una minaccia ambulante.

“Ne hai quattro, amico,” rispose Scott, nascondendosi il viso tra le mani per l’imbarazzo e Derek provò un della gran comprensione per lui. Il ragazzino emise un lamento.

“Ignora Scott, è che odia perdere,” spiegò, e Derek a quell’informazione fece un sorrisetto ironico. Prima di ribattere, però, lanciò un’occhiata omicida alla ragazza accanto a lui, che aveva abbandonato da un pezzo tablet, cellulare e geopolitica per seguire senza vergogna la loro conversazione. Lei arrossì e abbassò la testa, ma continuò impunemente a guardarli con la coda degli occhi.

“Quanto gli hai strappato?” chiese Derek al ragazzino, e l’espressione da colto in flagrante che quello gli rivolse gli fece capire di aver fatto centro.

“Uhm, cinquanta dollari,” mormorò in risposta.

“Cinquanta dollari solo per venire qui a chiedermi di… pomiciare?” gli sembravano un po’ troppi per due che viaggiavano low cost.

“Solo se pomiciamo davvero,” spiegò allora il tipo riprendendo a stropicciarsi le mani.

“Sicuro di avere diciannove anni?” domandò ancora, perché, anche se adesso che lo vedeva da vicino non gli sembrava più tanto minorenne, preferiva non cacciarsi nei guai, se poteva evitarlo. E poi non voleva credere davvero che uno che aveva finito le scuole superiori potesse usare con tanta naturalezza il termine pomiciare.

“Amico, torniamo dal college per le vacanze invernali!”

Okay, quindi il ‘ragazzino carino e minorenne’ era appena diventato un ‘ragazzo carino’ e basta. Derek si prese qualche altro minuto per analizzare la situazione. Sarebbe stato un po’ come avere una storia di una notte, solo che erano ancora in fascia protetta, lui non era ubriaco e non si trovava nel cesso di un bar o nell’appartamento sporco di studenti universitari.

“D’accordo,” disse allora sospirando, e dovette sopprimere un sorriso ironico, perché voleva proprio vedere se il ragazzino sarebbe arrivato fino in fondo. Si aspettava un po’ che facesse marcia indietro.

“Cosa? Davvero?” chiese l’altro stupito, come se temesse che da un momento all’altro Derek scoppiasse a ridere e gli dicesse di continuare a sognare.

“Sì, ma non qui, c’è troppa gente,” gli rispose Derek guardandosi intorno.

“Oh, fico! Certo, troppa gente!” anche il ragazzo iniziò a scrutare la sala d’attesa a destra e sinistra. “Uhm, però ci sono i gate qui dietro del tutto vuoti, li abbiamo visti prima mentre passeggiavamo.”

“Hai proprio bisogno di quei cinquanta dollari, mh?” domandò Derek, alzandosi ed afferrando la sua borsa, pronto a seguire l’altro. Per appartarsi in un gate vuoto. Oddio, la sua vita.

“Nah,” lo liquidò lui, e poi lo inchiodò con un sorriso furbetto, mostrandosi all’improvviso di nuovo sicuro di sé. “Penso solo che tu sia proprio fico.”

I gate erano ancora vuoti come li avevano visti Stiles e Scott poco prima. Dopotutto, il loro era uno degli ultimi voli della giornata e anche i bar che vendevano caffè a peso d’oro stavano iniziando a chiudere. Lui e il tipo sexy si sedettero su due poltroncine, in un angolo, e Stiles sperò che non ci fossero telecamere a puntarli o, in ogni caso, di non ritrovarsi arrestato per oltraggio al pudore per essersi appartato con un tipo hot. Chi lo avrebbe spiegato, poi, a suo padre?

Si voltò verso il tipo, che lo guardò inclinando leggermente la testa, quasi curioso. "Allora?" gli domandò, incrociando le braccia al petto con aria di sfida, "Non hai una scommessa da vincere?"

Stiles deglutì, perché quel tizio gli stava chiedendo di baciarlo e lui iniziava a sentire l'imbarazzo strisciargli nelle vene. Non che non avesse avuto le sue occasioni di pomiciare con sconosciuti alle feste al college. Gli era successo un sacco di volte e non c'era stato nessun imbarazzo, il che probabilmente era dovuto alla presenza di alcol, la cui mancanza in quel momento si faceva parecchio sentire. Quando Heather gli si era lanciata addosso il giorno del suo primo compleanno al college, dopo che lui aveva trangugiato già tre o quattro intrugli preparati da quel Boyd, era stato fantastico, e del tutto privo di tensioni.

Aveva pure pomiciato su un divano con Danny, la prima sera che si erano rivisti da quando lui aveva cambiato scuola. Era stato piacevole rivederlo al college, e avevano riso ricordandosi di quella volta in cui Danny si era offerto di fargli perdere la verginità. Quindi, forse Danny non era uno sconosciuto e dopo avevano fatto anche qualcos'altro ; e forse non era proprio successo un sacco di voltedipomiciare senza impegno con persone con cui non stava... ma quando mai gli sarebbe ricapitato di poter avere tra le braccia uno con quel livello di sex appeal? Ecco, lo stava oggettificando un sacco e adesso si sentiva in colpa.

"Sei rumoroso anche quando pensi," lo informò Mr Oggettificato, roteando gli occhi. Poi lo fisso e si inclinò leggermente verso di lui. Stiles lo imitò d’istinto, e non era affatto pronto a trovarselo dentro il suo spazio vitale. Non riusciva nemmeno a guardarlo bene in faccia senza che gli si incrociassero gli occhi, cosa che lo faceva sentire molto stupido.

“Vuoi fare marcia indietro?” gli domandò il tipo, in maniera così delicata che, nonostante la vicinanza, Stiles a stento sentì il suo fiato all’angolo della bocca.

“Assolutamente no,” rispose, facendo una smorfia al sentire il suono stridulo della sua stessa voce. Che gli prendeva? Era così nervoso da rasentare il patetico. Quando il tipo si chinò ancora di più verso di lui, chiuse gli occhi d’istinto, come se anziché essere sul punto di essere baciato da un ragazzo parecchio affascinante a cui lui stesso aveva fatto la proposta, stesse per ricevere una secchiata d’acqua ghiacciata dritta in faccia.

Il bacio non fu esattamente come avrebbe sperato. Lui era rimasto immobile e aveva anche smesso di respirare, e anche il tizio era dritto e rigido (e no, non in quel senso); era tutto molto goffo e poco confortevole. Realizzò che non si stavano nemmeno toccando, a parte l’ovvio contatto tra le loro labbra, quindi decise di rischiare ed allungò una mano ( sudaticcia, notò con orrore), per circondare uno dei bicipiti del tizio da sopra la stoffa della maglietta.

Dio, non sapeva nemmeno come si chiamasse, continuava a chiamarlo tipo sexy o tizio dentro la sua testa. E il tizio sembrò cogliere parzialmente i suoi segnali, perché anche lui provò a toccarlo, mettendogli una mano su un fianco, ma erano tutti e due così sgraziati da essere dolorosi. Dolorosamente imbranati.

Dopo essersi staccato con un lievissimo schiocco di labbra, Stiles tirò un sospiro, ed aprì prima un occhio, poi un altro, perché non era molto sicuro di voler sapere che faccia avesse fatto il tizio di fronte al bacio più impacciato nella storia dei baci.

Il tizio sembrava più che altro confuso, il che era negativo perché non era quella la reazione auspicata, ma non sembrava nemmeno sul punto di alzarsi e andarsene via indignato per poi sconsigliare a tutto il mondo di provare a baciare Stiles.

“Uhm, è stato imbarazzante,” farfugliò, proprio mentre il tipo diceva, “Dici che basta per vincere i tuoi cinquanta dollari?”

Si guardarono negli occhi, interdetti per essersi appena insultati a vicenda, seppure in modo inconscio, e quello in qualche modo sembrò allentare la tensione, perché entrambi scoppiarono a ridere. Stiles si passò una mano sulla faccia, tentando di riacquistare un po’ di serietà.

“Oh, Scott se lo farà bastare,” disse. “Possiamo non tornare subito di là, però?” domandò, e il tizio annuì.

“Sì, mi sentirei come se avessi fatto una sveltina in un bagno pubblico,” rispose l’altro e sorrise. E… wow. Era abbagliante. Era come uscire di casa dopo aver tenuto le tapparelle abbassate e scoprire che invece fuori c’era il sole. Il tizio sorrideva con l’intera faccia, e aveva i denti anteriori un po’ larghi, il che non sarebbe dovuto affatto essere così perfetto. Stiles sentì la sua stessa bocca allargarsi di riflesso in un sorriso troppo grande per essere affascinante.

“Uhm, potremmo parlare,” propose, e l’altro abbassò la testa in segno di assenso. “Per esempio, come ti chiami?” chiese ridacchiando.

“Sono Derek,” rispose l’altro, “Abbiamo sbagliato proprio tutto, eh?” domandò poi sorridendogli di nuovo, e, sì, Stiles poteva decisamente abituarcisi. “Tu invece sei?”

“Oh, Stiles,” disse, porgendogli una mano. Ed era mai possibile che il tipo, Derek, avesse una stretta di mano sensuale? Dopo il bacio imbarazzantissimo che si erano scambiati?

Stiles,” disse Derek ad alta voce, sollevando un sopracciglio, cosa che sembrava piacergli particolarmente, perché lo faceva spesso. Aveva delle sopracciglia molto espressive. E a Stiles piacque un sacco il modo in cui il suo nome suonava su quelle labbra.

“Sì, è per autodifesa, perché il mio vero nome è… lasciamo perdere,” concluse ridacchiando e grattandosi la nuca. “Allora, Derek, cosa fai nella vita?” gli chiese, perché adesso che aveva sentito quanto calda potesse essere quella voce non voleva più continuare senza.

A quanto pareva, Derek stava scrivendo una tesi di dottorato, qualcosa di relativo alle letterature comparate e ai lupi mannari che Stiles non aveva afferrato benissimo, ma che suonava incredibilmente fico. Amava la ricerca ma un po’ meno l’insegnamento, perché, per quanto lui ce la mettesse tutta, gli studenti delle triennali erano sempre incapaci di scrivere un paper. Aiutava anche sua sorella a mandare avanti l’azienda di famiglia, perché quel tipo di lavoro pagava molto di più della borsa di dottorato e delle pubblicazioni.

Derek parlava spagnolo ad aveva viaggiato parecchio in Sud America, ma anche in Europa. Conosceva anche il francese, ma lo detestava. Derek sembrava rigido e distaccato, ma quando parlava dei suoi studi sembrava illuminarsi e Stiles lo ascoltava con tutto il corpo rivolto verso di lui, le gambe accavallate sulla sedia, le braccia incrociate sullo schienale e la testa poggiata su una spalla. Lo colpì, caldo e confortevole, il desiderio di farsi cullare dalla voce di Derek che parlava di sé, mentre lui se ne stava sdraiato accanto a lui, su un letto. In quella stessa posizione, con le braccia sotto il cuscino. Magari con una maglietta di Derek addosso, accucciato nel suo odore e nelle sue lenzuola. Magari dopo aver fatto l’amore. Gli venne il dubbio di aver sorriso come un ebete per tutto il tempo.

Ad un certo punto Derek si fermò con un sospiro, e Stiles dovette farsi forza per non pregarlo di non smettere mai di parlare con lui. Ma poi Derek lo imitò, si inclinò sulla spalliera della sedia, in posizione speculare alla sua e incrociò le braccia sullo schienale per poi poggiarvi sopra la testa. Ed era proprio come essere sdraiati insieme, nonostante la sua schiena stesse un po’ protestando. Se solo avesse potuto allungare la mano e toccare Derek sarebbe stato perfetto. Tuttavia non lo fece, perché non voleva spezzare la situazione confortevole che si era venuta a creare.

“Adesso tocca a te,” sussurrò Derek, e Stiles gli raccontò di Scott, di suo padre che faceva lo sceriffo in un piccolo paese a Beacon County e di Melissa che lavorava come infermiera. Gli disse della facoltà di ingegneria elettronica, della squadra di lacrosse e di quanto gli piacesse la sua vita al college, nonostante la nostalgia di casa.

“Passerai anche tu il Natale con i tuoi genitori?” chiese, notando che, ad esclusione di una sorella, Derek non aveva praticamente fatto il nome di amici o parenti e fidanzate o fidanzati.

“Siamo solo io e mia sorella,” rispose Derek dopo qualche secondo di silenzio, e Stiles notò che il suo sguardo si era fatto distante e contemplativo. Il primo impulso fu quello di scusarsi, perché senza volerlo gli aveva fatto una domanda personale e, a quanto pareva, anche abbastanza dolorosa. Ma poi non lo fece, non commentò in alcun modo.

“Anche noi,” mormorò, tracciando con gli occhi il viso di Derek, dalla bocca agli zigomi alle iridi incredibili. “Cioè, siamo solo io e mio padre. Solo noi due.”

Rimasero per qualche secondo in un confortevole silenzio, a studiarsi a vicenda e, quando sentirono una voce femminile annunciare che era iniziato l’imbarco del loro volo, Stiles avrebbe dato qualsiasi cosa per non doversi alzare, per non dover fare esplodere quella bolla di curiosa intimità in cui si erano ritrovati dopo un bacio disastroso.

Il primo a muoversi, prevedibilmente, fu Derek e, nel farlo, gli diede un colpetto sulla coscia, vicino al ginocchio, per incoraggiarlo ad alzarsi.

“Telefono a mia sorella e poi ti raggiungo, okay?” gli disse Derek estraendo il cellulare dalla tasca e Stiles sentì una piacevole sensazione di calore nel sapere che Derek voleva raggiungerlo. Forse in qualche modo aveva scampato il pericolo di sentirlo fare un annuncio al microfono per comunicare a tutto l’aeroporto che Stiles era un imbranato. Forse sarebbero riusciti a parlarsi almeno un’altra volta. Dopotutto c’era un volo di tre ore ad attenderli.

“Ci rivedremo sull’aeromobile, credo, l’imbarco sarà tramite finger, dovrebbe essere una cosa veloce,” aggiunse poi Derek sorridendogli lievemente e portandosi il telefono all’orecchio.

Chi usava mai la parola ‘aeromobile’? E cos’era il finger, visto che, a meno che non si fosse perso qualche passaggio, non stavano parlando di pratiche sessuali? Si domandò Stiles mentre annuiva e, dopo essersi stiracchiato i muscoli, si accinse a raggiungere Scott.

Scott lo accolse schiaffandosi una mano sulla fronte. “Perché dovevo perdere proprio io la scommessa più impossibile del mondo?” domandò, guardandolo da dietro le dita ancora incollate sulla faccia.

“Uh?” domandò Stiles in maniera molto sveglia, mentre si avvicinava per prendere il cuscino di Batman e il trolley.

“Hai quel sorriso,” rispose Scott facendo un vago gesto della mano in direzione della testa di Stiles, mentre lui rovistava dentro la valigetta del pc in cerca della carta d’imbarco.

“Che sorriso?” gli chiese alzando lo sguardo e constatando che, effettivamente, sì, stava sorridendo. E lo stava facendo ancora di più adesso che Scott glielo aveva fatto notare.

“Oddio, è peggio del sorriso da ho limonato duro con Lydia Martin!”

“Io non ho mai limonato con Lydia Martin! Né tanto meno duro,” gli fece notare ridacchiando.

“Appunto per quello è peggio, perché questo a quanto pare è successo davvero.”

Stiles non gli rispose, perché qualsiasi sorriso ebete di sicuro aveva stampato in faccia, non era stato di certo per merito dell’unico mezzo bacio che si era scambiato con Derek. Ma questo non era necessario dirlo a Scott. Almeno non subito. Qualunque fosse il motivo, che male poteva esserci nell’essere un pochino infatuato di uno sconosciuto, tanto da essere involontariamente raggiante?

“Oddio, smettila, sei inquietante,” gli ordinò Scott e, voltandogli le spalle, se ne andò verso il gate.


Quando Derek finalmente salì a bordo dell’aeromobile, l’imbarco era quasi al completo. O così lo informò Erica, l’assistente responsabile di cabina, accogliendolo con il suo solito sorriso malizioso. Derek sapeva bene che Erica sfoggiava quel sorriso con tutti, anche senza motivo, insieme ad una camicetta che, ne era sicuro, non era quella che le era stata data in dotazione dalla compagnia aera. E, se lo era, era stata modificata e sbottonata.

Camicetta, Erica,” la ammonì tra i denti.

Lei, abbassò lo sguardo ed allargò la bocca in un’espressione di sorpresa che non avrebbe ingannato nessuno. “Oh, deve essermisi slacciata mentre mettevo un trolley nella cappelliera,” disse senza nemmeno tentare di fingersi dispiaciuta. Quantomeno, però, si abbottonò.

Involontariamente,” aggiunse, poi.

“Oh, ne sono sicuro,” rispose Derek ironico.

“Andiamo, lo so che sono la tua preferita,” gli ribatté lei dandogli un colpetto sulla spalla, ma Derek la ignorò e, fingendosi esasperato, le sventolò la carta d’imbarco davanti al naso, dicendo che andava a sedersi.

“32F,” notò lei, inclinando la testa per leggere il numero del posto a sedere, “Uff, stavolta sei in fondo, dovrò lanciarti i miei sguardi sexy da lontano.”

Derek ridacchiò scuotendo la testa, ed andò a cercare il proprio posto.

Quando arrivò alla sua fila, Derek rimase stupito nel vedere da chi erano già occupati i posti accanto al corridoio.

Stiles, seduto sul lato più esterno, stava trafficando il suo tablet, schiacciando in maniera compulsiva qualcosa sul touch screen. Aveva una cuffia in un orecchio ed una che gli penzolava sul petto e attorno al collo indossava un cuscino da viaggio con… era Batman quello?

Ignaro della sua presenza, lo vide girarsi ad un certo punto verso Scott, e dire del tutto dal nulla, forse seguendo una conversazione che aveva avuto luogo nella sua testa: “Non sto stalkerando Derek! Non sto volutamente non guardando ogni persona che sale in aereo!”

Derek sorrise, perché era ridicolo e tenero allo stesso tempo. Scott invece lo stava guardando con la faccia di uno che, nonostante sia familiare con certe stranezze, sa che non ci si abituerà mai del tutto. Poi, nel sollevare gli occhi al cielo, si accorse di Derek.

“Stiles, c’è il tuo amico,” sibilò Scott e Derek pensò che, se aveva pensato di essere discreto , allora quei due si meritavano l’un l’altro. Erano un’accoppiata perfetta. Livelli di perfezione alla Mignolo col prof.

“Ti ho detto che non lo sto stalkerando,” gli rispose Stiles nel suo mondo, senza sollevare gli occhi dallo schermo.

Stiles,” lo chiamò di nuovo Scott.

“Scott, guarda,” Stiles alzò la testa e indicò se stesso e il tablet, “Sto guardando Sherlock, sono del tutto distaccato e non sto pensando a… oh, ciao Derek,” esclamò Stiles con eccessivo entusiasmo, accorgendosi improvvisamente di lui e facendo un movimento inconsulto che gli fece scivolare il tablet dalle mani per la sorpresa. Derek tentò di mantenere un’espressione seria, ma le labbra gli si incurvarono un po’ spontaneamente, a metà tra il divertito e lo stranamente affascinato.

Stiles,” rispose mo’ di saluto, sollevando il mento verso Stiles.

“È bello rivederti,” disse Stiles ondeggiando la mano. “E, uhm,” sembrò cercare disperatamente qualcosa da dire mentre la voce di Erica annunciava che l’imbarco era stato completato e i passeggeri erano invitati a prendere posto. Stiles girò gli occhi, distraendosi un attimo, per ascoltarla, e sembrò realizzare di avere pochi secondi per poter dire qualcosa, a giudicare da come stava farfugliando.

“Amico,” intervenne allora Scott, dandogli una gomitata. “Alzati!”

Stiles gli lanciò un’occhiataccia.

“Credo voglia sedersi!” gli disse Scott tra i denti, e fece per alzarsi, mentre Derek si costringeva a non scoppiare a ridere. “Adesso Stiles ti fa passare, amico,” affermò poi rivolto direttamente a lui e Stiles avvampò. A chiazze. Derek era fottuto.

“Oh, sicuro!” esclamò Stiles alzandosi così di scatto che gli cadde il cuscino di Barman dal collo. “Scusa, è che…” borbottò raccogliendolo e poi dando a Derek, che ormai stava apertamente ghignando, lo spazio per infilarsi nel suo sedile.

Anche Scott si era alzato e Derek gli si era presentò, stringendogli la mano. Quando infine si sedette, poté quasi vedere il momento in cui il cervello di Stiles unì tutti i puntini e lui capì che, in base ai posti che erano stati loro assegnati, Scott sarebbe rimasto seduto in mezzo tra loro due. Allora lanciò un’occhiata supplichevole a Scott, che lo invitò esasperato a sedersi al suo posto, facendo un gesto con la mano.

Sentì Stiles elogiare vagamente le grandi qualità da migliore amico possedute da Scott.

“Che coincidenza, eh?” gli chiese Stiles mentre si lasciava cadere sul sedile, cercando di non impigliarsi con le cuffie. Si mise di nuovo il cuscino attorno al collo e sì, era proprio Batman.

“Ho fatto il check-in subito dopo di voi,” gli spiegò Derek semplicemente, e Stiles boccheggiò stupito, dando segno di non essersene accorto.

E, sì, Derek lo aveva visto prima che lui comparisse dal nulla e gli chiedesse di pomiciare . Derek lo aveva notato, il che spiegava un po’ perché avesse accettato la sua proposta, subito dopo essersi accertato che non fosse un marmocchio. A giudicare dal sorriso impacciato che gli comparì sulle labbra e dal modo in cui abbassò lo sguardo, Stiles doveva essersene reso conto.

Forse ci aveva visto giusto, allora, quando aveva pensato che Stiles fosse un po’ impacciato nei rapporti intimi , forse anche poco sicuro di sé. La cosa gli dispiaceva, perché Stiles non aveva motivo di essere insicuro, ma significava anche che si poteva rimediare al bacio disastroso di prima. E Dio, se Derek non aveva voglia di provarci.




Prima che raggiungessero la fase di crociera, Stiles e Scott avevano condiviso i loro Toblerone con Derek, gli avevano raccontato delle loro avventure per trasferirsi al college e avevano battibeccato su chi fosse il responsabile tra loro due se avevano ricevuto un richiamo dal dormitorio per essere troppo rumorosi di notte. Poi Scott aveva iniziato a sbadigliare e tutti e tre erano rimasti in silenzio per qualche secondo. Ad un certo punto Stiles realizzò che la sua mano non era più dove l’aveva lasciata, sul bracciolo del sedile, ma in qualche modo si era spostata sul ginocchio di Derek. Quando se ne rese conto, la guardò per qualche secondo, interdetto, come se questa avesse agito di volontà propria, e poté giurare di sentirsi gli occhi di Derek addosso. Alzò la testa e constatò che aveva ragione. Derek gli sorrise, sussurrandogli un Nessun problema, muovendo appena le labbra. Stiles si sentì improvvisamente più audace e, incoraggiato da quell’atteggiamento, senza staccare le dita dalla stoffa dei jeans, le fece strisciare verso l’alto.

“Okay, gente, sapete una cosa?” chiese Scott, interrompendo il momento di intensità tra lui e Derek. “Questo a te non serve,” proseguì Scott quando entrambi si voltarono verso di lui, e con un gesto da Arsenio Lupin agganciò la mano al retro del cuscino di Batman che Stiles aveva ancora al collo, lo strattonò e glielo sfilò, facendolo muovere prima in avanti e poi indietro. Stiles emise un verso, mentre sbatteva contro la testiera.

Scott indossò il cuscino, tirò indietro il sedile, si mise la giacca al contrario, a mo’ di coperta e, contorcendosi in una posizione che Stiles non riusciva a capire come l’altro potesse trovare comoda, diede la schiena a lui e Derek.

“Io mi metto a dormire, voi ragazzi fate le vostre cose,” mormorò Scott con il tono di uno che ha appena chiuso una discussione e non vuole più sentir parola, prima di tirarsi la giacca fin sotto il mento ed accoccolarsi ancora di più su se stesso, in posizione fetale.

Stiles rimase a fissare la sua schiena per qualche secondo, con la bocca leggermente aperta per lo shock. Lui non voleva escludere Scott e farlo sentire il terzo incomodo. Si girò verso Derek, con la mano ancora sulla sua coscia e la faccia confusa.

“Mi sento mortalmente in colpa,” gli disse e, proprio mentre Derek apriva la bocca per rispondere qualcosa, le luci in cabina vennero abbassate. Stiles alzò gli occhi verso l’alto, d’istinto, e Derek si lasciò cadere indietro, poi si adagiò sul poggiatesta e guardò Stiles dal basso. Gli mise una mano contro il petto e fece una leggera pressione, per far poggiare anche a lui le spalle allo schienale.

“A quanto pare sia Scott che il personale di volo vogliono darci un po’ di privacy,” sussurrò Derek, avvicinando la fronte a quella di Stiles. E Stiles, che non era nessuno per dire di no ad un invito del genere, fece lo stesso. La federa del sedile contro la sua guancia gli faceva un po’ il solletico, ma lui quasi non ci fece caso, mentre, quasi impercettibilmente, lui e Derek si facevano sempre più vicini, come di comune accordo. Vide gli occhi di Derek saettare verso le sue labbra, poi di nuovo verso i suoi occhi e, anche nel buio della cabina, Stiles fu attraversato dalla realizzazione folle che il colore delle sue iridi ricordava quello della Nebulosa del Granchio.

Dio , Stiles era stupido. Stiles era su un aereo, vicinissimo ad un uomo bello da mozzare il fiato, che sembrava avere tutte le intenzioni di dargli una seconda possibilità, e lui andava fare un paragone smielato e scontato tra il colore dei suoi occhi e i resti di una supernova.

Quando sembrava che la distanza tra le loro bocche stesse finalmente, finalmente per essere annullata, Derek cambiò improvvisamente traiettoria e si sporse un po’ più verso di lui, avvicinando le labbra al suo orecchio. Stiles si ritrovò di colpo molto vicino all’avvallamento tra le clavicole di Derek, ed inspirò il suo profumo, chiudendo gli occhi.

“Sei sexy,” sussurrò Derek sfiorando la pelle sensibile del lobo, “Vuoi pomiciare?”

Stiles scoppiò a ridere, perché lui era stupido , ma Derek era ancora, ancora più stupido.

“Gesù, sei un imbecille!” lo informò, mentre Derek gli strofinava il naso contro la guancia. Poi gli sfiorò l’angolo della bocca con le labbra, e poi ancora il mento, gli ricoprì la mandibola di piccoli baci, fino ad arrivare di nuovo al lobo del suo orecchio. Ed era così sensuale che Stiles si ritrovo all’improvviso a dover prendere respiri sempre più profondi. Derek gli accarezzò con la lingua la cavità sotto la mandibola e poi vi strofinò il mento coperto dalla barba, facendogli pizzicare piacevolmente la pelle. Stiles gli affondò le mani tra i capelli, per tenerlo stretto a sé. Il gesto sembrò incoraggiare Derek, che allacciò le labbra su un punto del collo, dove Stiles si sentiva scorrere il sangue in modo violento, e cominciò a succhiare. Stiles trattenne a stento un gemito, la temperatura sembrava essersi alzata di un milione di gradi, e lui prese a baciare la fronte di Derek, la sua tempia e qualsiasi punto del suo viso riuscisse a raggiungere. Gli infilò una mano nel collo aperto della camicia, accarezzandogli la pelle leggermente sudata del petto, poi delle spalle. Riuscì ad insinuargli le dita sulla schiena, e le premette tra le scapole, sentendo i muscoli di Derek che si contorcevano sotto il suo palmo. Se si sporgeva, riusciva a vedere i contorni di un tatuaggio, ma non riusciva a capire cosa raffigurasse.

Era sicuro che ormai stessero facendo almeno un minimo di versi osceni, ma nessuno sembrò accorgersene. Per fortuna, sembravano tutti essersi addormentati e Stiles ringraziò il cielo, perché non aveva nessuna intenzione di fermarsi. Derek gli leccò un altro punto del collo che aveva succhiato con dedizione fino a quel momento, e Stiles immaginava che, una volta sceso da quella scatola volante, avrebbe sfoggiato chissà che succhiotti e bruciature da barba. La classificò come un’altra cosa che non gli importava, perché Derek scelse quel momento per attirarlo per la nuca e incollare le sue labbra a quelle aperte di Stiles. Lui lo ricambiò stringendogli il labbro superiore tra i denti e morderlo, con un po’ più di pressione del necessario, ma ormai era del tutto andato. Gli lenì la pelle con piccoli tocchi della lingua, a mo’ di scusa, e Derek sembrò apprezzare particolarmente, a giudicare da come prese a divorargli la bocca solo un istante dopo.

Qualcuno tossicchiò per attirare l’attenzione, alle sue spalle, mormorando, “Gentiluomini?”

Stiles si staccò di scatto da Derek, che continuò a tenergli le mani sulle spalle per non farlo allontanare troppo. Era l’hostess bellissima e terrificante che li aveva accolti sull’aereo e Stiles, che si sentiva già bollente, arrossì ancora di più per l’imbarazzo.

“Sparisci, Erica,” sibilò Derek con decisione, guardando in direzione della ragazza, proprio mentre Stiles biascicava delle scuse insensate.

“Ci tengo al decoro di questo aereo,” sussurrò l’hostess di rimando, ma Derek le lanciò un’occhiata talmente tagliente che Stiles, se non fosse stato ad un passo dal farsi mettere le mani nelle mutande da lui, avrebbe avuto paura di Derek.

“E io che ti avevo portato questa,” disse poi lei mostrando un fagotto grigio. Derek sporse una mano, afferrandolo prontamente quando lei lo lanciò, e Stiles vide che era una coperta.

“Grazie, adesso sparisci,” le ordinò Derek di nuovo, stavolta con tono meno minaccioso e più divertito. Stiles lo guardò stranito.

“La conosci?”

“Da quando ha iniziato a lavorare per questa compagnia,” rispose Derek, mentre spiegava la coperta e la distendeva addosso ad entrambi. Stiles avrebbe voluto inclinare i sedili, ma si ricordò di Scott sdraiato accanto a loro, e preferì mantenere quel minimo di distacco.

Derek fu di nuovo sulla sua bocca un attimo dopo, ma stavolta con più delicatezza. Lo baciò a labbra chiuse, ripetute volte, e Stiles lo ricambiò con entusiasmo. Per fortuna il loro primo tentativo fallito, al gate, era già dimenticato.

Gli venne la curiosità di aprire gli occhi proprio nel momento in cui Derek schiudeva la bocca. Con sua sorpresa, si rispecchiò dritto negli occhi aperti di Derek, che iniziò a tracciargli il labbro superiore con la punta della lingua. Rimasero a fissarsi, per quanto possibile, mentre si baciavano, e Stiles lo trovò immensamente erotico, sensuale e tenero allo stesso tempo.

Grazie all’apparente protezione offerta dalla coperta, iniziarono anche ad esplorarsi con le mani, Stiles gli sfiorò il petto con i polpastrelli, e Derek gli infilò una mano sotto la maglietta, per accarezzargli lo stomaco. Poi si allontanò con un gesto frustrato e Stiles rise, quando realizzò che lo aveva fatto per sollevare il bracciolo del sedile. Approfittò della nuova libertà di movimento per sollevare le gambe e poggiarle, distese, su quelle di Derek, che gli tracciò con il palmo aperto l’intera lunghezza, dalla caviglia al bacino.

Fu allora il turno di Stiles di abbassarsi sul collo di Derek, ansioso di lasciare anche lui almeno un segno che ricordasse a Derek quello che avevano fatto nei giorni a seguire. Ma il verso gutturale che fece Derek in risposta lo avrebbe sognato lui per giorni a seguire. Sentendosi ancora una volta particolarmente audace, fece scivolare una mano verso il basso ventre di Derek e gli sfilò la camicia dai jeans. Gli accarezzò l’addome, ed ebbe la conferma che Derek aveva dei muscoli fermi e ben delineati. Salì a baciargli di nuovo le labbra, mentre faceva scivolare le punte del mignolo e dell’anulare oltre la cintura, verso il suo inguine. Poteva sentire che era duro e moriva dalla voglia di toccarlo, quindi fece un verso scocciato quando Derek gli bloccò il polso e prese un lungo respiro contro le sue labbra.

“Per quanto mi piaccia quello che stai facendo,” gli sussurrò con voce strozzata, senza staccarsi, “Se continui non sarò in grado di mantenere questo,” indicò lo spazio tra loro due, sotto la coperta, “Ai livelli di decenza necessari.”

Stiles gli diede un lungo bacio languido e poi nascose la testa contro il suo petto, e annuì, cercando di darsi un contegno.

“Ti voglio,” gli sussurrò contro la pelle della gola, e Derek rabbrividì.

“Anche io”, rispose Derek, “Da morire, ma…”

“Ma forse è meglio se guardiamo Sherlock,” disse Stiles, sbuffando una risata ed allontanandosi da lui per guardarlo in viso. Dio, Derek aveva le labbra gonfie e lucide, la camicia con più bottoni aperti di quanto Stiles ricordasse (eppure doveva essere stata opera sua) e i capelli in disordine. Sollevò una mano per appiattirglieli un po’ sulla testa e Derek, con un sorriso, fece lo stesso con i suoi.

“Vada per Sherlock,” acconsentì Derek ed abbassò la coperta per far prendere ad entrambi un po’ d’aria. Stiles notò che non la scostò del tutto, ma la lasciò adagiata sulle loro gambe - forse per nascondere il loro imbarazzante stato - anche quando Stiles abbassò le gambe, districandosi da quelle di Derek, per prendere il suo tablet.

Lo accese, si mise una cuffia e ne diede una a Derek.

“Lo hai mai visto o devo spiegarti un po’? È già la terza serie,” domandò, guardando il profilo di Derek; e pensò che del maledetto Sherlock non gliene fregava un cazzo, perché voleva continuare a toccare e baciare Derek fino all’atterraggio e anche dopo.

“No, lo conosco, puoi avviarlo,” gli rispose Derek rilassando le spalle per guardare il video. Stiles decise di azzardare e poggiargli la testa su una spalla e la fronte contro il lato del collo, e Derek lo accolse strofinandogli semplicemente il mento contro i capelli.

Non erano arrivati nemmeno a metà della puntata, quando Derek si girò verso di lui e cominciò a strofinargli le labbra contro la mandibola.

“Ehi, pensavo avessimo stabilito che dovevamo mantenerci decenti,” gli disse Stiles, contorcendosi, ma anche lui si girò per incontrare le sue labbra.

“Non ci riesco,” mormorò Derek.

“Ti perderai la risoluzione del mistero,” insisté Stiles, attento a non farsi cadere il tablet dalle mani.

“Tanto abbiamo iniziato la discesa, tra poco dovrai spegnere quel coso.”


Modestie a parte, Scott si riteneva un santo ed anche un bravo migliore amico. Lui voleva bene a Stiles, anche se Stiles era stupido. O almeno, gli voleva bene per circa 350 giorni l’anno, 355, se l’anno era particolarmente fortunato e Stiles si comportava bene. Da quando però erano tornati dal college per le vacanze, Stiles era riuscito a giocarsi l’affetto di Scott per un’intera settimana di fila.

Quando quella notte in aereo le luci in cabina si erano accese e Scott si era svegliato, aveva trovato Stiles e Derek intenti a guardare Sherlock sul tablet di Stiles. Senza bisogno di scomodare Sherlock, sarebbe bastato il Dr Watson per dedurre che non stavano affatto prestando attenzione, dato che nessuno dei due indossava le cuffie, che penzolavano tristemente sul pavimento dell’aereo. E poi entrambi erano troppo arruffati e Scott era certo che, quando si era girato per addormentarsi, Derek avesse la camicia ben stirata ed infilata nei jeans. Per non parlare dei succhiotti. Checché ne dicesse Stiles, Scott era un ottimo osservatore.

Quando poi erano saliti sull’interpista (lui lo aveva sempre chiamato autobus, ma a quanto diceva Derek il termine corretto era quello) per arrivare dall’aereo al terminal e Derek aveva stretto la mano di Stiles, Scott si era girato dall’altra parte, ma aveva potuto fingere di non notarlo solo fino a un certo punto, perché nessuno dei due aveva mollato la presa finché non era arrivato il bagaglio di Derek. Poi, mentre aspettavano al nastro che consegnassero gli altri, il cellulare di Derek era squillato e lui aveva tentato per un pezzo di convincere chiunque ci fosse dall’altra parte che era impegnato, in quel momento. Alla fine aveva ceduto, abbaiando un “Arrivo!”, e aveva salutato Stiles e Scott dicendo che si sarebbero visti fuori. Non era successo.

“Amico, domani gli telefoni,” aveva detto Scott a Stiles dandogli una pacca d’incoraggiamento sulla spalla, ma dalla faccia che gli aveva rivolto l’altro, aveva capito che non si erano nemmeno scambiati i numeri di telefono.

“Stai scherzando?” gli aveva chiesto, piuttosto interdetto. “Che diavolo avete fatto durante tutto il volo?”

Stiles, ancora senza proferire parola, lo aveva guardato malissimo e, okay, lui poteva capire gli ormoni, ma non si erano scollati nemmeno dieci secondi per scambiarsi i numeri di telefono? Come aveva detto, Stiles era stupido, e lui gli voleva bene per solo 350 giorni l’anno.

Scott era un amico comprensivo. Lui alle storie d’amore scritte nelle stelle ci credeva, perché lui si era innamorato di Allison dalla prima volta che lei gli aveva sorriso, dopo che lui gli aveva allungato una penna al liceo. E dopo quattro anni si amavano proprio come il primo giorno. (Si sentiva in diritto di essere smielato, anche se poteva sentire le battute sarcastiche di Stiles in proposito. E, be’, il suo Stiles interiore avrebbe dovuto farsene una ragione, perché quello che teneva il broncio ininterrottamente da una settimana per aver perso di vista uno sconosciuto con cui aveva pomiciato in aeroporto mica era Scott.)

Se c’era qualcuno per cui Scott era seriamente dispiaciuto, invece, era lo sceriffo, che era andato a prenderli in aeroporto e, vedendo Stiles che si guardava intorno spaesato, con una sciarpa stretta attorno al collo (benedetta ingenuità! se solo avesse saputo cosa nascondeva quella roba!) e il viso arrossato, aveva chiesto se si fosse preso qualcosa. Poi in macchina aveva tentato di rallegrarlo, raccontando che aveva incontrato, mentre li aspettava, la proprietaria della Wolf HaleLines, la compagnia aerea con cui avevano viaggiato, tale Laura Hale. A quanto pareva, suo fratello, di cui lo sceriffo non ricordava il nome, ma che era certo iniziasse con la R, aveva viaggiato sul loro stesso volo.

“Ti ricordi di loro, Stiles? Vivevano a Beacon Hills, poi quasi tutta la loro famiglia è morta in un incendio, sono sopravvissuti solo Laura e il fratello.”

Stiles aveva scosso la testa, disinteressato, mormorando che non se li ricordava.

“Pensavo di chiedere a tua madre di invitarli al cenone della Vigilia, Scott,” aveva detto lo sceriffo guardandolo dallo specchietto retrovisore, quando aveva capito che da Stiles non avrebbe avuto nessuna soddisfazione. “Sono dei bravi ragazzi, gli Hale erano una buona famiglia. Il fratello me lo ricordo un po’ scontroso, ma saranno sette anni che non lo vedo.”

“Uh, sicuro,” aveva risposto Scott. “Più siamo meglio è, no?”

Ripensando a quella conversazione, qualche giorno dopo nella mente di Scott si era accesa una lampadina. Aveva già ammesso che lui, piuttosto che ai livelli di Sherlock era a quelli del Dr Watson ma, mentre guardava su Google News una foto di Laura Hale accanto a suo fratello, pensò che un piccolo premio se lo meritava pure lui. Quello nella fotografia, nonostante l’assenza di barba e la faccia piuttosto giovane, era senza ombra di dubbio il Derek di Stiles.

“Derek, sceriffo Stilinski,” mormorò tra sé e sé. “La R c’è, ma non è all’inizio.”

Che poi avesse deciso di non dirlo a Stiles, era un altro paio di maniche. Non voleva essere sadico (non tanto, almeno), ma non sarebbe stato il miglior regalo di Natale se Stiles si fosse ritrovato Derek alla porta? Scott era un romantico nell'animo, non poteva farci niente.

E poi c’era il fatto che Stiles si era convinto di essere stato scaricato volontariamente da Derek. Quindi c'era la possibilità che avrebbe fatto di tutto per sabotare la cena con i fratelli Hale, cosa che andava del tutto evitata, perché Scott lo aveva visto come si guardavano quei due, e non c’era verso che Derek non fosse interessato. Scott era il migliore dei migliori amici.

Quando la sera della vigilia suonò il campanello in casa McCall, sua madre ed Allison stavano rispettivamente controllando le patate in forno e condendo un’insalata, mentre Scott e Stiles finivano di apparecchiare la tavola in soggiorno. Lo sceriffo, invece, era al piano di sopra e si stava togliendo la divisa. Scott spinse Stiles a rispondere alla porta, fingendo di avere qualcosa da fare in cucina. Ma Stiles era tornato dall’ingresso con ancora quell’aria da mal d’amore, seguito da una bella ragazza sulla trentina con i capelli castani e una bottiglia di vino e un vassoio di pasticcini in mano. Be’, Scott la adorava già.

“Ciao,” la salutò allegramente. “Sono Scott,” si presentò, e le strinse la mano, “Lei è Allison”, disse mettendo una mano alla base della schiena della sua ragazza, “E suppongo tu abbia già conosciuto Stiles.”

Stiles,” ripeté Laura voltandosi di scatto verso di lui, che ancora ciondolava sull’uscio della porta del soggiorno. Scott le fece cenno di no con la testa e Laura gli rivolse un sorrisetto complice.

“Oh,” fece lei, battendosi una mano sulla fronte, “Certo, il figlio dello sceriffo!”

Allison, che aveva assistito al loro scambio, chiese se si conoscessero già, e lui le sussurrò che le avrebbe spiegato presto.

“Mio fratello arriverà tra poco,” spiegò Laura, studiando Stiles. “Spero tanto che sia di buon umore, oggi. Non è mai stato un tipo molto di compagnia, ma da quando è tornato da New York è più musone del solito.”

Lo stupido Sherlock poteva leccargli il culo, Scott era un genio della deduzione.

Il campanello di casa McCall suonò di nuovo, e Stiles alzò gli occhi al cielo scocciato, perché all’improvviso tutti avevano da fare in cucina e doveva andare lui a rispondere. Di nuovo. Già gli era bastato dover aprire a Laura Hale, doversi presentare e doversi fingere interessato. Quando Scott periodicamente si mollava con Allison, lui si dimostrava comprensivo; perché Scott non poteva fare lo stesso e concedergli la sua settimana di giramento di coglioni?

Stiles si avvicinò alla porta d’ingresso, trascinando piano i piedi, tanto che il campanello suonò ancora una volta.

“Arrivo, arrivo,” sbuffò, e aprì la porta con innecessaria violenza. Quando vide la persona che c’era dall’altra parte, spalancò gli occhi e si domandò se non fosse finalmente impazzito, perché quella barba, quei capelli e quegli occhi da fottuta supernova esplosa lo tormentavano da una settimana. Indossava un cappotto nero ed era elegante e bellissimo.

Stiles?” domandò Derek, pietrificato sul posto, evidentemente sconvolto quanto lui.

Derek,” rispose lui in maniera molto sensata, senza riuscire a muoversi.

Fu Derek, dopo qualche secondo, a fare un passo verso di lui. “Oddio, perdonami, quella sera mi hanno chiamato dagli uffici, non ho potuto dire di no, e quando sono tornato non vi ho più visti,” gli spiegò d’un fiato, mentre Stiles metteva insieme tutti i pezzi.

“Wolf HaleLines,” mormorò, “Il dottorato sui lupi mannari… è una cosa di famiglia?” gli chiese sapendo di non essere del tutto coerente.

“Una cosa simile,” rispose Derek ridendo ed avvicinandoglisi un altro po’. “Ho cercato il tuo nome nella lista dei passeggeri, ma ovviamente Stiles non è il tuo vero nome, e non sapevo il tuo cognome.”

Stiles si schiaffò una mano sulla faccia, perché lui aveva cercato più banalmente su Facebook, ma neanche lui conosceva il cognome di Derek e nessuna foto profilo sembrava corrispondere.

“Io ti ho cercato su Facebook,” ammise.

“Non ho Facebook,” spiegò Derek, e Stiles rise, poiché quello spiegava il perché del suo buco nell’acqua. Quindi Derek non lo aveva volutamente mollato inventandosi una telefonata di lavoro. Ma Stiles era giustificato per averlo sospettato, visto che erano atterrati a notte fonda e lui non aveva idea che Derek fosse il fottuto coproprietario della compagnia aerea con cui avevano viaggiato. Allora, con uno slancio in avanti, gli si buttò dritto fra le braccia e gli strofinò il naso contro il collo, perché aveva penato per un’intera settimana e quindi se lo meritava.

Derek lo strinse a sé; profumava di buono e, nonostante facesse freddo e il cappotto di Derek fosse ricoperto di fiocchi di neve, era caldo e confortevole proprio come Stiles se lo ricordava. Doveva essere una specie di miracolo di Natale.

Derek lo allontanò con una leggera pressione sul petto e gli prese il mento con una mano, per tenerlo fermo mentre si sporgeva fino a sfiorare le labbra di Stiles con le sue, “E allora,” esordì, respirando contro la sua bocca. Poi rimase in silenzio per qualche secondo, e Stiles avrebbe voluto ucciderlo, perché lo stava torturando.

“Sei sexy… vuoi pomiciare?” chiese Derek sorridendo ironico, sembrando molto soddisfatto dalla sua stessa imbecillità.

“Oddio,” rispose Stiles dopo avergli schioccato un bacio veloce e poi essersi allontanato da lui per ridere a sua volta. “Quanti anni hai?” gli domandò.

Be’, erano in due a poter giocare a questo gioco, pensò attirandolo a sé definitivamente per baciarlo di nuovo, stavolta sul serio nonostante nessuno dei due riuscisse a smettere di ridere. Una cosa era certa, erano una perfetta accoppiata di deficienti.

Fine.

   
 
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