Libri > Percy Jackson
Ricorda la storia  |      
Autore: Water_wolf    08/10/2014    4 recensioni
{ Talia/Luke | Percy/Annabeth | Chris/Clarisse | Prima Classificata al Contest “Keep Calm & Give Taluke A Second Chance” indetto da Lucinda Taylor sul Forum di EFP }
E se Luke avesse solo distrutto Crono, preservando il suo corpo, seppur molto debole?
Cosa sarebbe successo, se si fossero incontrati così, senza casini divini e problemi allegati? Si sarebbero salutati, senza presentazioni, come se si conoscessero da millenni?
A Luke piace pensare di sì. Talia aveva un orecchio musicale, e il suo cuore cantava quanto era vicino a lei. Avrebbe riconosciuto la melodia.
♣♣♣
«Non ho finito» la ferma. «Vedi, dal giorno in cui tu hai dato la vita per la salvezza mia e di Annabeth, sono venuto al pino e ti ho parlato. Un’ora, due, a volte tre. Quando me ne stavo seduto alle radici dell’albero, era come se tu fossi ancora lì con me. Aspettavo e speravo, come Hachiko. Quindi, quando ho detto che mi sono abituato alla tua scomparsa, intendevo che avevo preso l’abitudine di venire qui, al tuo pino, e di parlarti. Perché per te aspetterei in eterno, Talia, e morirei nell’attesa, esattamente come Hachiko.»
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Luke Castellan, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Autore [nickname su EFP e sul Forum]: Water_wolf (sia EFP sia forum)
Titolo: Goodbye to the rain
What If...? scelto: n°17
Rating: Giallo
Genere: Sentimentale, Introspettivo
Note/Avvertimenti: /
Prompt (se presente): /
Note dell’autore: Questo porterà via un po’ di tempo – come al solito – e vi consiglio di ritornare alle NdA dopo la lettura. Potrebbero contenere spoilers riguardanti la trama! Sooo, here we go^^
  • La storia è suddivisa in un “prima/presente” – il giorno in cui Luke avrebbe dovuto morire – e un “dopo” – ovvero i giorni seguenti questo avvenimento.
  • Sono terrorizzata all’idea che i pg siano OOC. Terrorizzata. È che di Luke non si sa poi molto, rispetto agli altri, ed è così complesso che ho paura di aver combinato un casino. Idem per Talia. Ciò è dovuto soprattutto a 1) la mia mente che mi impedisce di credere che i due siano rimasti gli stessi, dopo tutti gli anni trascorsi e gli avvenimenti accaduti, e 2) la mia demenza avanzata.
  • La morte di Crono e la non-morte di Luke provocano un effetto a catena inarrestabile e, benché il tema del contest sia la Thaluke, non potevo ignorare la sua relazione con Annabeth, o con Percy, e tutti i suoi fratelli etc. Credo che la fic sarebbe risultata irrealistica se non avessi trattato anche di loro e avrebbe perso parte della sua potenza.
  • La salute di Luke. Nel modo in cui la vedo io, è molto rilevate. Luke era uno spadaccino formidabile, era bello da far sbavare e tutti lo guardavano con una sorta di ammirazione. Ora, è deperito, non più così sexy e non riesce a tenere in mano una spada. Questo di sicuro modifica l’anima di una persona. E quindi dovevo darle ampio spazio, descrizioni fisiche e piccole parentesi introspettive, e ho deciso di farlo senza ammorbidire la situazione, perché decisamente non è nel mio stile – una malattia come quella di Luke ti debilita, e non aveva senso nasconderla.
  • Alcuni headcanon: la relazione padre/figlio tra Chirone e Luke, il modo di Luke di riferirsi ad Annabeth come “alla sua sorellina”, l’amicizia Percy/Luke – perché questi due sarebbero potuto diventare amici, se non dovessero uccidersi a vicenda –, la visione tragica della coppia, Clarisse che è l’ultima a fidarsi di Luke, l’ossessione di Percy per il cibo blu.
  • Crono e Luke. Luke e Crono. Per me, scegliere di appoggiare Crono è stato lo sbaglio, ma l’ideale di Luke è ammirevole. Per cui, la relazione tra i due è un po’ controversa: da una parte, il ragazzo insiste nel dire che non è lui, ma, dall’altra, il fatto che qualcuno continui a ricordare le azioni spregevoli che ha compiuto lo aiuta a tenere a mente il passato, ciò che è stato, e lo utilizza come spunto per migliorare.
  • Sì, ho dato una seconda chance alla Thaluke. No, per me non avrebbe funzionato. Talia è una Cacciatrice, crede nei suoi ideali e non tradirebbe Artemide; è più il tipo di persona che sopprime i propri sentimenti, invece che farsi guidare da loro. E Luke, alla fine, capisce che non c’è futuro per loro. Continueranno ad amarsi nel profondo, ed è questo l’importante.
  • Perché andarsene? Mi sembrava l’unica opzione plausibile. C’è troppo passato, troppo dolore, al CHB. Gli era stata affidata l’impresa perché non c’era altro da fare, e lui se ne va perché non c’è altro da fare. Deve dire addio alla pioggia, a tutto ciò che è stato e non può più essere, per vivere meglio. Goodbye to the rain, goodbye to the pain (?)
  • I nomi che compaiono e non riconoscete sono messi un po’ a casaccio, per riempire la Casa di Ermes di persone, ma non hanno alcuna rilevanza.
  • Ormai tutti sanno di Nico e dalla sua crush, no? Questo spoiler ha fatto il giro del mondo, tant’è che non lo è più.
  • So che le vacanze estive sono terminate e le arpie sarebbero dovute arrivare, alla fine dell’estate, ma, be’, mi sono presa la briga di farle ritardare un po’, ecco. Non potevo spopolare il campo, quindi… misure drastiche (?) Vi prego di perdonarmi, se la cosa vi ha dato fastidio.
  • Questa one-shot è lunghissima – la più lunga che abbia mai scritto – e mi cago in mano al pensiero degli errori che posso essermi lasciata dietro.
  • Ultimo appunto, giuro. So che vi state crocefiggendo – ma, ehi, io l’avevo detto di leggere prima la fic! Anche se sono conscia che non vincerò, voglio dire: echissenefrega. Non avrei mai avuto la solerzia di finire questa ff, se non sotto scadenza, e sono grata dell’opportunità che mi è stata data. Una Thaluke – e un Luke – ci doveva proprio stare, sul mio profilo ^^ Enjoy! ♥
 
 

Goodbye to the rain


 
Voci.
Parole che cerca di riordinare in frasi dal senso compiuto.
Gli fa male il petto.
Forse qualcuno si è seduto sopra di lui, o è sdraiato prono, come gli suggerisce il formicolio che gli percorre la guancia destra.
Urla.
Di gioia? Può darsi.
Una mano lo tocca vicino alla spalla; non riesce a capire dove di preciso.
Probabilmente geme, perché sente un’esclamazione strozzata seguita da un “Apollo!” pieno d’urgenza.
Concitazione.
«Respira?»
È una ragazza.
«Sì.» Sospiro di sollievo misto ad ansia.
Qualcuno – probabilmente la ragazza di prima – scoppia a piangere rumorosamente.
«Vieni qui, Annabeth…»
Fruscio di vestiti.
«Respira.» Un singhiozzo.
«Lo so.»
Si domanda se lo sta facendo davvero; si sente i polmoni sottovuoto.
Passi più pesanti, ben distanziati.
«Oh! Mi è venuta l’ispirazione perfetta per comporre un haiku relativo a questo momento.» È un giovane uomo radioso tra tutto quel dolore e quella sofferenza.
«Apollo.» Più che una voce femminile è il ringhio di una pantera.
«Padre! Artemide mi spaventa quando mi guarda così trucemente. Sembra che mi voglia uccidere.»
Un sospiro pesante che trasuda esasperazione. «Apollo, figlio mio, ti prego. Cura quel ragazzo e falla finita. È già stata una giornata abbastanza pesante, non credi anche tu?»
«E non salvano le chiappe agli Dèi ogni anno.» Il brontolio appartiene al ragazzo che ha pronunciato il nome “Annabeth.”
«Pfff. Come vuoi, padre.»
Mani che lo toccano, che lo sollevano.
«Andrà tutto bene, Luke.» La voce è vicina al suo orecchio. «Ci sono io, Annabeth. Sto qui con te, con la mia famiglia. Sempre.»
Annabeth? Luke? L’unico nome che ricorda con chiarezza appartiene a uno sguardo blu elettrico, ed è Talia.
 
UN GIORNO DOPO
 
Il primo che viene a trovarlo è Chirone.
È sulla sedia a rotelle, al cui interno è nascosta la parte equina, e ci impiega più tempo di quanto dovrebbe a raggiungere la sua branda.
È ferito, realizza Luke. Poi si ricorda: Io l’ho ferito. Ce l’ha ancora nelle orecchie, il rumore cacofonico dell’edificio che collassa su se stesso e crolla addosso al centauro.
«Mi dispiace.» È la prima cosa che dice, nonostante il pomo d’Adamo gli raschi la gola irritata. «Tanto.»
La grossa e calda mano di Chirone gli tocca il braccio gelido, iniziando una sorta di processo di scongelamento dell’arto.
«Ah, Luke.» Sospira pesantemente. Non lo vede – esporre gli occhi alla luce gli provoca troppo dolore –, ma sente che gli ultimi cinque anni gli sono pesati parecchio. «Sono io quello che si dispiace. Mi ha ferito Crono, non tu, figliolo. E sono sempre io colui che non è stato abbastanza arguto da capire che stavi covando qualcosa, che stavi soffrendo. Avremmo potuto parlarne. Avrei ascoltato ogni tua singola parola.» Si interrompe e respira rumorosamente, quel tipo di suono che accompagna il pianto. «Avrei dovuto fare questo e tanto altro, invece che starmene a fissare il vuoto oltre il caminetto della Casa Grande.» Deve fare un’altra pausa, prima di continuare. «Quindi, figliolo, non puoi immaginare quanto mi dispiaccia non essere riuscito ad essere il secondo padre di cui avevi bisogno.»
Piange, e Luke lo lascia disperarsi al suo capezzale senza emettere un suono.
 
DUE GIORNI DOPO
 
La seconda che gli fa visita è Annabeth.
Ora – dopo che Apollo l’ha curato e che assume dosi di ambrosia giornalmente per riprendersi del tutto dal soggiorno di Crono nel suo corpo e nella sua mente – ricorda chi è. La sua sorellina – la sua meravigliosa sorellina – non aspetta neanche un secondo più del necessario a venire a trovarlo.
Annabeth varca titubante la soglia, fissa i suoi occhi grigi su Luke, come chiedendo il permesso; permesso che viene subito accordato. Allora, la figlia di Atena gli corre incontro, si catapulta sul suo letto e gli getta le braccia al collo. Si abbracciano distesi, una sull’altro, prima di dirsi alcunché. Rimangono lì per minuti interi, minuti in cui Luke ignora stoicamente il dolore e si concentra unicamente sul profumo che emanano i capelli di Annabeth, sulla sua pelle liscia e abbronzata, su quanto è cresciuta in tutti quegli anni lontano da lui. Forse è colpa di Crono, ma non era mai riuscito a notare quei piccoli cambiamenti prima d’ora.
Lentamente, la ragazza scioglie l’abbraccio e si sistema sul bordo del materasso. «Come stai?» gli domanda, lasciandosi sfuggire una punta d’apprensione nel tono di voce.
«Sono stato meglio» risponde lui, sollevandosi sui gomiti. «Ma è il giusto prezzo da pagare per la continuazione inaspettata di una vita, credo.»
Annabeth apre la bocca per dire qualcosa, poi la richiude. Dopotutto, cosa dovrebbe dire? Che era scontato che vivesse o qualche altra menzogna di sorta?
«So che è venuto Chirone.» La sua sorellina cambia argomento, vagamente a disagio. «Ti ha raccontato tutto?»
Luke ripensa alle scuse del centauro, al suo pianto. A se stesso che non può neanche guardarlo.
«No.» Si prende il tempo che gli serve per respirare, aspettandosi brutte notizie. «Cosa dovrei sapere?»
Annabeth esita un attimo; Luke riesce a immaginarla torturarsi l’interno della guancia. Quando parla, però, non tentenna neppure una volta.
«Quando ti sei pugnalato, hai ferito sia Crono sia te stesso. Lui è morto immediatamente, e ti ha prosciugato di quasi tutta la forza vitale, lasciandoti in condizioni pietose. Se Apollo non fosse intervenuto all’istante, avresti seguito il Signore dei Titani. Però sei andato così vicino alla morte che il tuo corpo non è più come prima. Sei estremamente vulnerabile, ora. Devi stare attento.»
Luke si lascia ricadere sul materasso. Non dubita della verità nelle parole di Annabeth, anche perché si sente già esausto senza aver fatto nulla.
«Quanto attento?» domanda.
«Molto attento.» La ragazza si sforza di sorridergli, gli prende la mano tra le sue e inizia ad accarezzargliene il dorso. «Ma adesso non pensarci. Finalmente sei qui, con me. Siamo di nuovo una famiglia.»
Luke nota l’inizio di alcune lacrime agli angoli degli occhi di Annabeth. Le sorride anche lui, mostrandole solo ciò che vuole che lei veda: la sua gioia nell’averla accanto.
Non accenna, però, al fatto che manchi Talia all’appello. Non le fa notare che la famiglia non è ancora al completo.
 
TRE GIORNI DOPO
 
Il terzo giorno, arriva il turno di Percy.
Sono entrambi in imbarazzo, entrambi per lo stesso motivo: l’ultima volta che si sono incontrati hanno tentato di uccidersi a vicenda. Be’, in teoria, riflette Luke, abbiamo passato la maggior parte della nostra conoscenza cercando il modo migliore per eliminarci l’un l’altro. È strano vederlo varcare la soglia – la testa bassa, i capelli neri e cespugliosi che gli coprono metà del viso – e avvicinarsi a lui. Non dovrebbe, ma Luke è all’erta. Cerca qualcosa con cui difendersi, anche se, probabilmente, non è neppure abbastanza in forze per brandire delle bacchette cinesi.
Percy dichiara in un borbottio che l’ha costretto Annabeth a venire. Aggiunge che ora è la sua ragazza. Luke replica che Annabeth, per lui, è come una sorella minore. Il figlio di Poseidone annuisce, gli dice che lo sa, che anche la sua Sapientona pensa a lui come un fratello.
Cala un silenzio scomodo.
Lo rompe di nuovo Percy, rivelandogli quanto sia difficile separare Luke Castellan da Crono, ma che è disposto a perdonarlo. «Solo se sei cambiato» precisa.
Luke annuisce, grave. Poi, di botto, gli dice: «Grazie.»
Percy lo guarda come se due pegasi si fossero messi a ballare la tarantella sopra la sua testa. «Eh?» fa, dando alla domanda la parvenza di un belato.
«Grazie» ripete il figlio di Ermes. «Per aver chiesto agli Dèi di riconoscere tutti i loro figli. Era anche il mio intento, dopotutto, e tu l’hai ritenuto comunque abbastanza giusto da sottoporlo al giudizio divino.»
«Te l’ha detto Annabeth?» domanda.
«Sì.»
Percy ridacchia. «Quella ragazza è un demonio.»
Luke sorride, una risatina si fa persino strada tra le sue labbra. Dura poco, però, perché termina in un attacco di tosse. Il figlio di Poseidone lo guarda allarmato, ma il biondo lo scaccia con una mano. Non vuole l’aiuto di Percy Jackson, ce la può fare, non è nulla. Quando l’eccesso termina, Luke inspira ed espira fino a calmarsi.
«Tutto okay?» indaga l’altro semidio, titubante.
«Tutto okay» conferma Luke. «Allora…Adesso hai una ragazza.»
Il mezzosangue sposta il peso da una gamba all’altra. «A quanto pare…»
«Be’» Luke riacquista un po’ di vigore. «Falla soffrire, e io farò soffrire te.»
Percy fischia, ma non è realmente spaventato dalla minaccia; sorride con quel suo sorriso da piantagrane. «Non credo che si proporrà l’occasione» ribatte, «perché Annabeth sarebbe capacissima di prendermi a calci nel sedere senza l’aiuto di nessuno.»
«Oh.» Luke gli restituisce il sorriso complice. «Non ne dubito. Non ne dubito affatto.»
 
QUATTRO GIORNI DOPO
 
Quattro giorni dopo il salvataggio dell’Olimpo, i semidei che vanno a trovarlo aumentano di numero.
I gemelli Stoll cercano di tirargli su il morale, e Luke si mostra più divertito di quello che è. Altri suoi fratelli e sorelle gli fanno visita, gli dicono che “lo perdonano per ciò che ha fatto, perché tutti possono commettere degli errori nella propria vita.” Il figlio di Ermes non fa notare loro che non tutto quello che ha fatto dovrebbe essere considerato uno sbaglio, e che, se non fosse stata per la minaccia di Crono, gli Dèi minori non verrebbero ancora rispettati come si deve. Tiene la bocca chiusa.
È quasi felice che Clarisse – accompagnata da Chris Rodriguez – venga da lui solo per dichiarargli apertamente che “anche se tutti questi stupidi ti credono un pentito, io so che non è così, Castellan. E non sono disposta a sorriderti e fare la carina. Per colpa tua è morta la mia migliore amica, che hai fatto soffrire come un cane perché le avevi ucciso il fidanzato.”
Chris non dice nulla, ma non c’è niente da aggiungere. Luke è vagamente a conoscenza del suo trascorso burrascoso nel Labirinto di Dedalo, ed è sinceramente contento che non sia impazzito irreparabilmente.
Ed in egual misura è felice che Clarisse gli abbia sbraitato in faccia. Almeno non è si è fatta problemi a renderlo partecipe di ciò che pensa realmente.
Stranamente – o forse no – l’incontro gli lascia una sensazione di benessere estesa a tutto il plesso solare.
 
CINQUE GIORNI DOPO
 
Passa quasi una settimana, prima che arrivi la persona che vuole davvero incontrare.
Talia viene di notte, scivola silenziosa al suo fianco e lo fa quasi morire d’infarto quando lo sveglia, poggiandogli una mano sulla spalla e una sulla bocca per non farlo gridare. Ridacchia del terrore che gli scorge negli occhi, e pure dell’istantanea rabbia che segue.
«Cos’è, fa parte dell’apprendistato da Cacciatrice far venire colpi del genere alla gente?» le domanda, dopo che lei gli ha tolto la mano da sopra la bocca.
«No» lo corregge, «fa parte di quello da serial killer.»
«Vuoi diventare una serial killer?» Un guizzo illumina gli occhi di Luke. «Non è esattamente l’annuncio che ci si aspetta da una sedicenne riguardo alla propria carriera lavorativa.»
Talia emette un “mmmm” di sufficienza che assomiglia al rombo di una motosega. «Luke, non fare il noioso» lo apostrofa. Un secondo dopo ritorna seria. «Che ne dici di salire in soffitta? O sei diventato troppo vecchio per certe cose?»
«Sono diventato troppo malato per certe cose» puntualizza.
Gli occhi della Cacciatrice si rabbuiano. «Non dirlo.»
«Cosa? La verità?» incalza Luke. «Dovresti conoscere anche tu le condizioni della mia nuova vita.»
«Sei cambiato.»
«Non ho più quattordici anni, Talia.»
«Non voglio che tu ne abbia ancora quattordici. Dico semplicemente che sei cambiato.»
«Certo che sono cambiato!» All’improvviso, Luke viene invaso dalla rabbia. «Ero sul punto di consegnare l’Olimpo al Signore dei Titani, e tu dici sei cambiato. Ma quale grande constatazione, signorina Grace. Vuole che batta le mani?»
La sua uscita fa allontanare Talia da lui. «Non capisci» lo accusa. «Io…» Prende una ciocca di capelli tra le dita e incomincia torturarla, finché il capello non si stacca e non le rimane più niente tra le mani. «Non sarei dovuta venire, lo sapevo. Sono stata una stupida a pensare che… » Non completa la frase, si volta ed esce dalla stanza senza più proferire una parola, nemmeno di saluto.
Luke si sente sprofondare nel materasso. Chiude gli occhi e sospira pesantemente. Ho mandato tutto a puttane. Come sempre.
Prova a riaddormentarsi, ma la frase lasciata a metà da Talia lo tormenta. Sono stata una stupida a pensare che… A pensare che cosa, Talia? Perché non sei riuscita a dirmelo? Il figlio di Ermes si arrovella su quelle due domande per un tempo che gli pare infinito. Un’ora prima del sorgere del Sole, la stanchezza lo trascina nel mondo dei sogni.
 
SETTE GIORNI DOPO
 
Luke si è accorto che le sue mani sono sempre fredde. È inutile che le seppellisca sotto la coperta, o che le sfreghi, rimangono ugualmente gelide. Se percorre con le dita il polso e l’avambraccio, però, sente la pelle emanare calore.
Si è accorto che la soffice peluria che gli ricopriva le braccia è ancora più bionda di prima, così tanto che quasi non si vede. È come se indossasse gli ultimi raggi del sole, quando non sono completamente dorati, ma di un colore tra il trasparente e il grigio.
In generale, tutto in lui sembra più grigio. Lo sa perché ha chiesto ad Annabeth di portargli uno specchio, il giorno precedente, per capire cosa avesse visto Talia. Una cicatrice più marcata, come se non segnasse la carne, bensì le ossa, e una faccia slavata, incolore.
Si figura loro due a New York, ai lati opposti di Time Square verso l’ora del tramonto, quando le vetrate dei piani più alti dei grattacieli riflettono il rosa-violetto della sera e i pannelli pubblicitari diventano man mano più sfavillanti. Immagina di notare il guizzo dei suoi occhi tra le persone e di voltarsi a guardarla, cercandola tra la folla. Sogna di come Talia si sarebbe fermata, avrebbe fatto quel suo mezzo sorriso e l’avrebbe aspettato fregandosene di bloccare la gente e delle imprecazioni dei lavoratori di fretta.
Cosa sarebbe successo, se si fossero incontrati così, senza casini divini e problemi allegati? Si sarebbero salutati, senza presentazioni, come se si conoscessero da millenni?
A Luke piace pensare di sì. Talia aveva un orecchio musicale, e il suo cuore cantava quanto era vicino a lei. Avrebbe riconosciuto la melodia.
 
OTTO GIORNI DOPO
 
Passano otto giorni, prima che Luke decida che è arrivato il momento di alzarsi.
Non lo fa solo perché è stufo marcio di pisciare in un pitale e di non fare nulla dalla mattina alla sera, escluso prendere un cubetto di ambrosia tre volte al giorno. Non si sente neanche malato, o debole. Dormire spesso è un effetto collaterale dell’annoiarsi, non della stanchezza fisica o mentale.
Così, quando Annabeth viene a trovarlo accompagnata da Percy, le chiede subito di riferire il suo piano a Chirone. Legge nei suoi occhi il panico, ed è solo grazie a Percy se non perde la testa.
Il figlio di Poseidone gli strizza l’occhio, prima di uscire dalla porta e andare da Chirone. Luke se lo immagina al suo posto, bloccato in un letto, e gli sorride, grato. Forse, se sorvolano sui loro trascorsi burrascosi, potrebbero diventare amici.
È così che il centauro finisce per dare istruzioni ai due semidei per aiutarlo ad alzarsi, sospirando più del solito. Con Percy a sinistra e Annabeth a destra, Luke butta giù le gambe dalla branda, si aggrappa alle loro mani e si issa in piedi.
Chiude gli occhi e, per un momento, gli sembra di ritornare alla vita.
Poi, la sua felicità e il suo fisico collassano. Da quando le ossa fanno così male? E perché il suo stomaco sembra esistere solo per procurargli dolore? Può vivere senza entrambi i reni? Perché proprio non riesce a credere che gli faccia bene tenerseli dentro, se protestano con fitte così acute.
Gli sale la nausea e desidera vomitare. Ma chiude la bocca, ricaccia indietro la bile, inghiotte e aspetta che tutto quell’orrore passi.
Muovere i primi passi fa male. Cammina a piedi nudi, più lento di un vecchio rachitico, cercando di respirare. Deve reimparare ogni gesto, come un bambino. È così dannatamente goffo. Così ridicolo.
Se pensava di avere ancora un po’ di dignità, adesso può dirle addio. Non guarda né Percy né Annabeth; e come potrebbe? Come si riesce a cercare contatto visivo con delle persone che ti tratteranno con pietà, come se non fossi più solo un amico malato, ma unicamente un malato?
La vita che ha inspirato con così tanta gioia quando si è alzato, adesso ristagna nei suoi polmoni.
 
NOVE GIORNI DOPO
 
Si fa la doccia dopo secoli. Nessuno gli ha detto che puzzava, mentre era a letto, però era ovvio che fosse così.
È bello sentire l’acqua avvolgerlo, le gocce che gli picchiettano le spalle, il calore che si trasmette da esse fin dentro la sua carne. È bello, potersi insaponare il corpo e usare lo shampoo per capelli. È bello sentire, e basta.
Ci resta per mezz’ora, tant’è che i polpastrelli gli si raggrinziscono. Quando esce, si avvolge un asciugamano attorno alla vita e ne usa un altro per tamponarsi la faccia, le braccia, il petto. Prima di vestirsi – finalmente vestiti veri, non una camicia da ospedale –, studia il proprio riflesso allo specchio.
Sembra diventato più alto, o forse è solo l’effetto della sua magrezza. Le spalle e la clavicola sporgono troppo, mentre i talloni danno l’impressione di bucare quasi la pelle e toccare direttamente le piastrelle. Gli zigomi sono più appuntiti, così come la mascella. Le gambe sono due stecchini, due zampe da pollo, in confronto al passato.
Luke sospira pesantemente. Si infila i boxer, i jeans, la maglietta. Appare più pieno. Si pizzica le guance, come gli hanno insegnato le figlie di Afrodite con cui ha occasionalmente flirtato, in modo da risultare più colorato, meno malaticcio.
Le cose possono migliorare.
 
DIECI GIORNI DOPO
 
Ci va appena può.
L’albero di Talia è sempre stato il posto migliore per riflettere e per stare in pace con se stesso. Solo che, questa volta, qualcuno lo sta aspettando. Luke butta le stampelle a terra, prima di lasciarsi ricadere vicino a Talia. Indossa la tenuta argentea delle Cacciatrici e una maglietta dei Green Day, quella con la mano che strizza una granata a forma di cuore.
«Chi ti ha detto che sarei venuto qui?» le domanda.
«Nessuno» risponde Talia. «Lo sapevo e basta.»
Silenzio. C’è sempre stato troppo silenzio tra i due, troppe parole che non erano capaci di pronunciare.
«Allora, com’è camminare con le stampelle?» butta lì la figlia di Zeus.
Luke scrolla le spalle. «Ti ci abitui. Come a tutto.»
«Davvero?» ribatte, con più durezza di quella necessaria.
«Sì. Per forza.»
«Non credo.»
«Stiamo ancora parlando delle stampelle?»
«E chi cazzo ha mai parlato delle stampelle?»
«Di immortales» invoca Luke. «Vuoi rimproverarmi di essermi abituato alla tua scomparsa?»
«’Fanculo» impreca Talia. «Certo che sì. Eravamo praticamente innamorati, Luke. E non puoi venirmi a dire che diventa normale che il tuo amore diventi un pino.»
Luke fa un respiro profondo. Poi un altro. Riprendersi dallo shock provocato da quelle parole – Eravamo praticamente innamorati, Luke – è quasi impossibile, perché girano e girano e girano nella sua testa e non si fermano. Vorrebbe essere capace di essere coraggioso come Talia, di dichiararle i propri sentimenti.
«Vuoi ascoltare una storia, Talia?» domanda.
«Ho l’impressione che me la racconteresti ugualmente» borbotta lei. «Sì. Spara.»
«Hai presente quel film, Hachiko
«No» risponde Talia. «Ero un cazzo di albero. Mi sono persa un bel po’ di anni, non ho certo avuto tempo di guardare uno stupido film.» Impreca spesso quando è nervosa, ancora di più di quando era piccola.
«Be’» riprende il figlio di Ermes, «c’è questo cane, Hachiko, che viene raccolto dalla strada da un uomo. Finisce che la famiglia si innamora di Hachiko, e anche Hachiko ama i suoi padroni. Ogni volta che il signore va al lavoro, prendendo il treno, lui lo segue e si mette ad aspettarlo su un praticello, comodamente seduto. Solo che poi il proprietario muore. Il cane non supera la cosa, e ogni mattina va alla stazione dei treni, continua a sperare che l’uomo ritorni dal lavoro e venga da lui. Muore così, aspettando seduto la persona che ama di più al mondo. Ora, c’è pure una statua commemorativa per Hachiko.»
«Che film deprimente» commenta Talia, mezzo ghignando.
Luke alza una mano. «Non ho finito» la ferma. «Vedi, dal giorno in cui tu hai dato la vita per la salvezza mia e di Annabeth, sono venuto al pino e ti ho parlato. Un’ora, due, a volte tre. Quando me ne stavo seduto alle radici dell’albero, era come se tu fossi ancora lì con me. Aspettavo e speravo, come Hachiko. Quindi, quando ho detto che mi sono abituato alla tua scomparsa, intendevo che avevo preso l’abitudine di venire qui, al tuo pino, e di parlarti. Perché per te aspetterei in eterno, Talia, e morirei nell’attesa, esattamente come Hachiko.»
Talia non respira per un minuto intero. Poi è costretta a prendere una boccata d’aria. Si agita sul posto.
«Non possiamo» dice infine.
Luke sa di cosa sta parlando. «Non c’è bisogno di baciarci, o di fare l’amore, per stare insieme. Esiste anche l’amore delle anime.»
La figlia di Zeus scuote la testa. Ha le lacrime agli occhi, ma controlla ancora la sua voce. «No, Luke. No. La regola per le Cacciatrici è di rimanere vergini, è vero, però questo sarebbe barare. E non credo che Artemide approverebbe.»
«Ti importa del suo consenso?» domanda il biondo, incredulo.
«Sì» ribatte Talia, accalorandosi. «Lei è la mia signora. Mi ha reso quello che sono. Non voglio tradirla.»
A Luke viene voglia di ridere istericamente.
«Okay» dice. «Okay.» 
Un’altra persona, in quel momento, avrebbe detto “mi dispiace”, ma non Talia, lei non è un tipo da “mi dispiace”.
«Vuoi almeno pensarci?»
La Cacciatrice si sofferma a rifletterci sopra. «Sì. Va bene» annuisce.
Si alza e se ne va. Quando è abbastanza lontana, Luke colpisce il terreno con un pugno e si arrabbia quando la forza che è riuscito a usare non è la stessa che ha pensato di utilizzare. Però le nocche gli fanno male comunque, e questo è un bene.
È stato coraggioso, le ha confessato il suo amore, eppure… A volte, il coraggio non basta, riflette Luke.
E gli viene un po’ da piangere.
 
UNDICI GIORNI DOPO
 
«Ehi, Annabeth.»
La sua sorellina si volta, gli sorride e lo abbraccia. «Ciao, Luke.»
«Volevo chiederti se avessi visto Talia in giro» le rivela. «Ieri era qui, ma l’ho scorta solo di sfuggita» mente.
«Mi dispiace» dice Annabeth, buttando indietro i capelli con un gesto scocciato della mano. «È partita ‘sta mattina all’alba, assieme alle altre Cacciatrici. Artemide aveva una missione per loro.»
«Capisco.» Luke controlla a stento il tono di voce.
La figlia di Atena si guarda alle spalle con una certa impazienza. «Scusami» continua. «Devo incontrare Percy al laghetto delle canoe. Non è per te, Luke, è che…»
«È tutto okay» la interrompe lui. «Va’ dal tuo fidanzato.»
Annabeth gli rivolge un sorriso un po’ colpevole, prima di scappare via.
 
TREDICI GIORNI DOPO
 
La Casa di Ermes si è trasformata in un putiferio. Musica esce a tutto volume dalle casse, mentre i semidei ballano a ritmo sfrenato. Alcuni sono davvero pessimi, goffi e scoordinati, ma si divertono e a nessuno importa.
Luke ha in mano un bicchiere di carta pieno fino all’orlo di Coca-Cola e si sta schiacciando contro le pareti per evitare che un ballerino lo urti per sbaglio, facendo finire la bevanda sul pavimento. Sa che, probabilmente, nessuno avrà voglia di ripulire la macchia e ci sarà puzza per settimane.
Riesce a sgusciare via dalla pista improvvisata e a sedersi all’angolo di un letto, per il resto interamente occupato. Sospira, pensando che i suoi fratelli sono proprio dei pazzi, ad organizzare una festa in onore della sua guarigione.
«Non sono tecnicamente guarito» ha obiettato dopo essere stato assalito da un’orda di ragazzi che gridavano “auguri!”.
«Non hai più le stampelle, amico» ha ribattuto Travis.
«Appunto» si è accodato Connor. «Chissene se ti imbottisci ancora di ambrosia.»
«Connor!» Courtney, una tredicenne alta un metro e qualche spanna, si è alzata in punta di piedi e ha dato uno scappellotto al maggiore. «Non è carino quello che hai detto. Suona come se fosse un drogato.»
«Ahia!» ha esclamato questo, portandosi fuori dalla portata di Courtney con un balzo.
Luke ha riso, sdrammatizzando la situazione. «Va tutto bene» ha detto poi. «Sono stufo di essere trattato con le pinze.»
Courteny è arrossita un po’, prima di sparire tra la folla.
«Una partita, Luke?»
La testa di Travis Stoll spunta da sopra la sua spalla, e il biondo realizza che sta aggrappato al letto a castello solo con i piedi.
«A cosa?» si informa.
Travis sogghigna. «Blackjack
«Ci sto.» Adesso, anche lui sorride.
Non riesce a capire se suo fratello scenda o cada, ma, ad ogni modo, tocca il pavimento con il capo senza riportare danni gravi e, radunati abbastanza giocatori, inizia a mischiare le carte. Luke prende un sorso della sua Coca-Cola, però storce subito il naso.
«Uh, questo sapore non è normale!» esclama.
Travis gli fa l’occhiolino. «Miscela speciale.»
«Davvero?» Luke inarca un sopracciglio. «Sarebbe Coca-Cola allungata con la… birra
«Buona, eh?»
Il biondo prende in considerazione l’idea di mentire, dandogli ragione. La scarta subito. «Per gli Dèi, fa schifo! Sa di gasolio. »
Tutti scoppiano a ridere, persino lo stesso Travis. Luke comincia a credere che, dopotutto, una festa non sia poi un’idea così malvagia.
 
«No! Devi toccare il pavimento davanti a te due volte, non fare un passo completo!»
«Okay, okay. Guarda che non è mica così semplice!»
Luke distoglie lo sguardo dalla scena – Emma che cerca di insegnare come ballare sopra Cotton Eye Joe[1] a Kristin – per ritornare a concentrarsi sulla sua mano di Blackjack. Non ha avuto fortuna, le carte degli altri giocatori hanno punteggi decisamente più alti delle sue. Dovrà sborsare qualche dracma, se la sorte non gira a suo favore al più presto. Il ragazzo accanto a lui passa, e così fa anche lui.
Sono tutti più disinvolti, e Travis, in veste di banco, ha bevuto un po’ troppa Coca-Cola alla birra, e nessuno si sconvolge o si irrigidisce quando fa: «Be’, è proprio una gran cosa che Crono sia stato distrutto di nuovo. Pensavo di non poter più sperimentare i miei cocktail.»
«Meglio se non ci provi comunque, fratello» ride qualcuno, trascinandosi dietro una risata generale.
Ma Luke è all’erta, come sempre quando si parla di Crono.
«Già. Insomma, diventare il corpo del Signore dei Titani non è stata una grande idea, bello» commenta Connor.
«Pensare che fosse migliore degli Dèi è stato folle e basta. Okay, i nostri genitori non sono dei santi, ma, paragonati a Crono, sono innocenti come dei bambini» aggiunge una ragazza mora, di cui Luke non conosce il nome.
«Però lui si è sacrificato, alla fine.»
«Avrebbe dovuto farlo prima.»
«Perché, adesso tu l’avresti fatto? Guarda che sbagliano tutti, pure tu.»
«Non possiamo dimenticare che ha ucciso i suoi stessi amici!»
«Era Crono che lo controllava.»
«Appunto, non poteva riconoscerli. Smettetela.»
Altre voci, opinioni varie, commenti negativi o consolatori, parole che perdonano, che condannano.
Luke non ne può più. Si alza in piedi di scatto, facendo rovesciare le carte a terra. Tutti ammutoliscono di colpo.
«Non parlate di me come se non fossi qui.» Sembra che ruggisca. «Per favore. So cosa avete passato, quanto avete sofferto a causa mia e di Crono. Non vi chiedo di fare finta di nulla o altro, non dovete fingere.»
Inizia a farsi strada verso la porta.
«Ricordate, però, che non ho raccontato a nessuno la disperazione provocata dalla consapevolezza che avevo compiuto una pessima scelta, condannando l’Olimpo e l’intera umanità. Ma sono ancora convinto che quella sbagliata fosse la strada intrapresa, non la direzione.»
Quando esce, chiude la porta, sigillando dentro lo sgomento da lui provocato.
 
QUINDICI GIORNI DOPO
 
«Annabeth! Annabeth, apri! Apri questa stramaledetta porta, Annabeth Chase!»
Dall’interno della Cabina di Atena proviene un gran trambusto, prima che la bionda esca sulla soglia, scontrandosi con Talia, che ha ancora il pugno alzato, pronto ad abbattersi di nuovo  sulla sua porta. Nell’altra mano, stringe un contenitore di plastica, probabilmente, al suo interno, c’è il DVD di un film.
«Talia!» esclama, affannata. «Cosa ci fai qui? Non dovevi essere in missione?»
«Abbiamo finito in poco tempo, non era nulla di speciale» spiega in fretta la figlia di Zeus. «Ma ho noleggiato questo film e devo assolutamente vederlo.»
Annabeth getta un’altra occhiata alla cassetta, senza riuscire a decifrare il nome del lungometraggio, poi ne lancia una a Talia. Sembra essere arrivata da poco; deve essersi precipitata da lei non appena ha messo piede al Campo. Non le dice che quella richiesta suona un po’ assurda, né che ha un’aria strana, nonostante noti ogni particolare fuori posto nella sua amica; se Talia vuole parlare, le parlerà al momento che ritiene giusto.
«Okay. Entra» la invita, facendosi da parte. «Stavo giusto usando il pc di Dedalo, possiamo guardarlo utilizzando quello.»
«C’è qualcun altro, dentro?» domanda la Cacciatrice.
«Mmmh, sì. Sì, non ero sola» risponde Annabeth. «Perché?»
«Volevo un po’ di tranquillità, e i tuoi fratelli-barra-sorelle potrebbero darci fastidio.»
«La Casa di Zeus è sempre libera» osserva la bionda. «Anche se la statua di tuo padre è un tantino inquietante.»
«Non sarei capace di guardare un film insieme a quella» mormora Talia, scrutando il cielo con aria nervosa. «Pensavo di andare alla Casa Grande. A Chirone non dispiace, vero?»
«Possiamo usare la stanza delle riunioni dei capigruppo» propone Annabeth.
«Perfetto.» Talia le sorride.
«Prendo il portatile e sono pronta.»
 
Si sistemano sul divanetto – sembra così largo, quando non ci si sta seduti in cinque – e posizionano il computer su una sedia, in modo che sia giusto davanti a loro. Fuori splende il Sole, e quasi tutti i semidei si stanno allenando o godendo la bella giornata.
«Come mai Hachiko?» chiede Annabeth, inserendo il disco nell’apposito spazio. «Non è né la biografia di un cantante rock né un film horror. Parla di un semplice cane.»
«Me l’ha consigliato la mia luogotenente, Karen. Prima che diventasse una di noi, l’ha visto e me l’ha consigliato» risponde Talia. «Tu non l’hai già guardato, vero?»
«No.» Annabeth sorride. «L’unico film che sono riuscita a vedere con Percy è stato Alla ricerca di Nemo, fai un po’ tu.»
La figlia di Zeus scoppia a ridere. «Testa d’Alghe» commenta in un sospiro divertito, lasciandosi sprofondare nel divano.
Quando il film inizia, le due si fanno silenziose e attente. Nonostante non siano in un vero cinema – per fortuna, perché un mostro avrebbe potuto attaccarle e, alla fine, il cinema sarebbe potuto saltare in aria –, l’atmosfera che riescono a creare le scene è perfetta. È impossibile trattenersi dal fare commenti teneri sul musetto di Hachiko, o sui suoi grandi occhioni marroni pieni della saggezza eterna tipica dei cani.
«Sembra Percy che ti implora di stare con lui» commenta Talia, sussurrando.
Annabeth ridacchia. «Sembra Percy che si inginocchia davanti a Sally chiedendole più muffin blu.»
«Uh? L’ha davvero fatto?»
«No, ma sono sicura che succederà, prima o poi.»
«Chiamami quando sarà il momento, dovrò assolutamente filmarlo.»
Quando il padrone muore e Hachiko si dispera, incominciano a cadere le prime lacrime. La scena in cui si rintana sotto un treno merci, d’inverno, tra la neve, colpisce Talia al cuore. Chissà se anche Luke l’ha aspettata così, persino quando stava male o quando tutto sembrava collassare.
Arrivate ai titoli di coda, Annabeth si affretta a estrarre il DVD e riporlo nell’apposito contenitore.
«Stupido cane di uno stupido film» commenta Talia, asciugandosi a forza le lacrime.
«Concordo» aggiunge la bionda.
«Insomma, i produttori dovevano essere proprio così drammatici? Perché dovevano essere tanto crudeli con noi?»  inveisce la figlia di Zeus.
«Quasi quasi preferivo Nemo» bofonchia la bionda, ma nessuna delle due è in vena di ridere.
Rimangono in silenzio per un po’ – da fuori provengono risate e grida, ma nessuno entra nella Casa Grande –, finché Annabeth non rompe il ghiaccio. «Talia» la chiama, «stai bene?»
«No che non sto bene. Questo film mi ha appena ucciso» replica lei, secca.
«Non intendevo questo.»
«E cosa?» domanda Talia.
«In generale. Mi sei sembrata strana. È successo qualcosa? Vuoi parlarmene?»
Talia pensa a Luke, alla sua proposta, alle notti insonni e a cosa accadrebbe, se rivelasse ad Annabeth che, quando parlava di loro tre come famiglia, si vedeva al fianco di Luke come moglie. Chiude gli occhi.
No, non può raccontarglielo. Rovinerebbe tutto. Annabeth è intelligente, certo, ma non può comprendere appieno la loro relazione, ne rimarrebbe scioccata. Sospira. No, è stata una sciocca anche solo a pensarci per più di un secondo.
«No, non è successo nulla. Va tutto alla grande. Non ti preoccupare.»
 
SEDICI GIORNI DOPO
 
Quando si sveglia, Luke trova un biglietto infilato nelle sue scarpe. È un semplice ritaglio da un foglio a righe, con sopra scarabocchiate alcune parole con una penna nera. Ci impiega qualche secondo, prima di riuscire a decifrare la scrittura.

 
“Visto Hachiko.
E… merda.
T.”

 
DICIASSETTE GIORNI DOPO
 
Luke lega stretto il foglietto a uno dei rami più bassi del pino con un cordino rosso, di quelli che si usano per impacchettare i regali. Ha scritto sul retro del pezzetto di carta che gli ha mandato Talia la sua risposta al messaggio.
 
“Parliamone.
Domani notte  al laghetto delle canoe.
L.”

 
È certo che Talia lo troverà.
 
DICIOTTO GIORNI DOPO
 
Luke non si accorge della sua presenza finché Talia non gli tocca la spalla con una mano. Evidentemente, persino il suo udito è peggiorato.
«Sei venuta» esordisce.
La sua bocca rimane leggermente aperta. Si tocca il petto, come volendo accertarsi che il cuore non gli scappi sotto il naso per unirsi a quello della figlia di Zeus, ma questo è rimasto al suo posto.
Talia fa schioccare la lingua contro il palato. «Non essere stupido. Ovvio che sono venuta.»
«Forse era meglio iniziare la conversazione con un “ciao”.»
Per la prima volta, riesce a strapparle una risata sincera. «Okay. Possiamo ricominciare» dice, mentre gli angoli della bocca si allargano. «Ciao, Luke.»
Il figlio di Ermes le sorride, nonostante non sia sicuro che lei lo veda, dato che è buio. «Ciao, Talia.»
«Facciamo un giro con la canoa?»
«Certo.»
 
Luke non è mai stato un tipo da canoa – preferiva decapitare manichini con la spada –, ma deve ammettere che solcare la calma superficie del lago, di notte, con le stelle che rifulgono sopra la sua testa, e il dolce sciabordio dell’acqua come unico rumore di sottofondo, è davvero fantastico.
Smettono di pagaiare quando giungono al centro del lago. Talia si sistema meglio, muovendosi un po’ e involontariamente toccandogli il ginocchio con il suo.
«Allora…» Luke si schiarisce la gola.
«Hachiko.» Talia annuisce un paio di volte.
«Già.»
«Volevi farmi soffrire, eh?» lo stuzzica la Cacciatrice.
Luke ridacchia. «Ti è piaciuto, almeno?»
«Sì. E…» fa una pausa, umettandosi le labbra, «mi ha fatto pensare, hmm, a quello che devi aver passato. Deve essere stato terribile. Forse più per te che per me, visto che io non ho sentito assolutamente nulla, mentre ero un albero.»
«Hai ripensato alla proposta che ti ho fatto?» domanda Luke, senza riuscire a contenersi.
«Sì.»
Il suo cuore perde un battito e, per una volta, il biondo pensa che rischierebbe davvero di morire. «Accetterai?»
Talia lo guarda fisso negli occhi, e Luke pensa “dirà di sì, per forza. Nessuno ti guarda così, quando con una sola parola può distruggerti.
«No.»
Non ha sentito bene. Ovviamente. L’udito gli gioca brutti scherzi, come poco prima.
«Cosa?» chiede, quasi gentilmente.
Talia sospira, passandosi nervosamente una mano tra i capelli. «No.»
Adesso gli fischiano le orecchie. Questa volta ha sentito. Benissimo, anche. La gola gli si chiude. Le mani gli tremano. Non ha più uno stomaco, né un fegato, né i polmoni, o un pancreas. Ha solo il cuore. E gli fa male.
«Perché?» sussurra. La sua voce assomiglia a un singhiozzo.
«Perché tu mi hai aspettato, Luke, per tantissimo tempo, più di quello che avrei mai potuto sperare. E, per questo, te ne sono infinitamente grata. Ma, nel frattempo, sei diventato un altro. Hai scelto Crono. Per un certo periodo di tempo, sei diventato lui. Hai quasi distrutto l’Olimpo. E…»
«NON SONO LUI!» grida Luke, agitandosi tanto da far traballare la canoa.
«Luke. Luke. Per favore, calmati.»
«Non sono lui!» ripete invece il figlio di Ermes. «Perché nessuno capisce? Perché nemmeno tu? Posso essere stato Crono, il Signore dei Titani può avermi controllato, e insieme possiamo aver quasi debellato l’intera umanità, ma ora e adesso non. Sono. Lui
È destabilizzante scoprire quanta rabbia è capace di contenere il corpo umano.
«Non riesco comunque a dimenticare ciò che hai fatto!» Anche Talia sta gridando.
«Allora non farlo! Perdonare vuol dire amare, e tu perdonami
«Non ne sono capace!» urla Talia. «Non ne sono capace, Luke» ripete, sussurrando talmente piano che è difficile per lui sentire la sua voce.
«Io ci sono riuscito. Io ti ho perdonato per essere entrata a far parte delle Cacciatrici. Non posso biasimarti: la guerra era già iniziata, e solo Annabeth credeva che potessi ritornare ad essere me stesso.»
«Cosa stai dicendo?» La figlia di Zeus alza di nuovo il tono. «Ho deciso di servire Artemide soprattutto per te, perché sapevo che non sarei mai riuscita ad amare nessun altro tranne che te, che ormai eri perduto, e tu hai perdonato me? Mi viene da ridere.»
Luke si sporge all’improvviso verso di lei, facendo inclinare la canoa. «Allora, non puoi incolparmi per non averti aspettato abbastanza, perché nemmeno tu l’hai fatto.»
«Sta’ indietro. Vuoi che Artemide si materializzi qui all’improvviso e ti trafigga?» La sua voce trasuda sarcasmo.
«Non sparare cazzate» ringhia il biondo, artigliando i bordi dell’imbarcazione.
«Lontano, Luke. Lontano» ribadisce Talia. Luke può percepire la volontà della ragazza di deglutire. «Dico sul serio, per quanto riguarda Artemide.»
«Tanto non te ne importerebbe nulla, se mi uccidesse.»
«Staccati, cazzo! Come te lo devo dire?» grida la figlia di Zeus, spingendolo via con le mani.
La canoa traballa pericolosamente, e Luke non è abbastanza forte per rimanere saldo. Ricade al suo posto, e il repentino spostamento di peso fa ribaltare l’imbarcazione.
Luke si sente affogare. L’acqua gli spalanca la bocca e gli si infila nei polmoni. Prova a nuotare, ma non sa dove siano il sopra e il sotto. Si dibatte inutilmente, sprecando tutto il poco fiato che ha.
Talia riemerge in fretta, respira a grosse boccate l’aria. Si guarda freneticamente attorno, ma non scorge Luke da nessuna parte. Torna di sotto, apre gli occhi, però non riesce a distinguere nulla. Spalanca la bocca e strilla: «Luke!», pur sapendo che è inutile. È costretta a riprendere fiato, però non smette di chiamarlo.
Ma Luke non lo sa, non la sente.
È diventato tutt’uno con l’acqua. Non gli dà più fastidio non riuscire a inalare aria.
Non sente niente. Né dolore, né felicità.
È in pace.
 
DICIANNOVE GIORNI DOPO
 
«Ti hanno salvato le Naiadi, sai? Hanno sempre avuto una cotta per te, dopotutto. Sei stato fortunato. Chirone è decisamente arrabbiato con Talia. Come se non bastasse, anche Artemide ha dovuto dire la sua, l’ha portata con sé e ora sono da qualche parte in Minnesota. Non ho capito tutto ciò che è successo – Talia era troppo scioccata per parlare, farfugliava frasi sconnesse. Quando ti sveglierai, mi racconterai. Non ti preoccupare, Chirone dice che già domani ti sentirai meglio. Ti lascio qui una fetta di torta – l’ha fatta Sally, la madre di Percy, ed è buonissima, te lo assicuro – e una lettera da parte di Talia, che mi ha infilato nella tasca dei jeans prima di essere deportata. È importante che la legga solo tu, mi ha detto, così non posso farti un riassunto, purtroppo. Quando stai meglio, vienimi a trovare. Sono accadute tante cose e, secondo me, c’è bisogno di una bella chiacchierata in famiglia, non trovi anche tu?»
 
VENTI GIORNI DOPO
 
“Luke,
Abbiamo combinato un gran bel casino. Artemide si è incazzata, perciò dovrò stare in Minnesota finché non le passa.
Questa volta, non aspettarmi.
Talia.”
 
VENTUNO GIORNI DOPO
 
Luke ci prova davvero, a non aspettarla. Ma si scopre incapace di pensare ad altro che a lei – a quanto profonde sono le ferite che gli ha provocato, a quanto sollievo proverebbe a stringerla tra le sue braccia –, e non fa che continuare a tormentarsi.
Riempie le sue giornate immaginando come sarebbe stato tutto più semplice, se non avessero compiuto le stesse scelte, e a come non sarebbero le persone che sono adesso, se avessero preso strade diverse.
 
 
VENTICINQUE GIORNI DOPO
 
L’idea viene a Percy, in realtà. Luke è stufo di non fare nulla – riprendersi dall’uscita in canoa ha richiesto una certa dose di energia e di ambrosia, è vero, ma ora si sente meglio – e aspetta che qualcuno lo coinvolga nelle sue attività, strappandolo dalla noia e dall’attesa interminabile. In vita sua, non ricorda un momento in cui è stato così dipendente dagli altri.
Una sera, appena dopo aver cenato, Percy gli ha confidato che non si sente più molto sicuro delle sue abilità con la spada e, ogni tanto, la sua voce gli ripete i suoi vecchi insegnamenti nella testa.
«È successo anche durante la Battaglia di Manhattan, sai?» gli ha detto, rivolgendogli un sorriso un po’ colpevole. «Era un tantino inquietante, quando combattevo proprio contro di te.»
Luke si è limitato a ridere, sperando che si passasse presto a un altro argomento.
«Sarebbe forte, se mi insegnassi ancora qualche mossa» ha continuato il figlio di Poseidone. «Essere invulnerabile non giustifica essere un cattivo spadaccino.»
A Luke sono brillati gli occhi. «Dici sul serio?»
Percy si è stretto nelle spalle. «Se te la senti…»
«Sì» ha risposto di getto. «Sono in perfetta forma. Possiamo iniziare già da domani.»
Il moro ha ghignato. «Se la metti in questo modo, dovrò informare gli altri.»
Luke si è fermato, smettendo di camminare. «Gli altri?» ha ripetuto, alzando un sopracciglio.
Percy gli ha rivolto un altro dei suoi tipici sorrisi da piantagrane, prima di rispondere: «Be’, mica sono l’unico che si ricorda quanto sei abile nell’affettare m... i mostri.»
Luke ha fatto un finto sbuffo esasperato e si è riavviato i capelli. «Potevi dirmelo subito, che ti serviva una balia con delle qualifiche, Jackson.»
Il figlio di Poseidone ha riso. «Allora, affare fatto, Castellan?» gli ha chiesto poi, porgendogli la mano.
«Affare fatto» ha deciso il biondo, stringendogliela.
Ed è così che è finito a sbraitare a una dozzina di semidei ogni giorno, prendendo il posto di maestro di scherma. Non cammina spesso tra le file, né riesce mostrare tutte le mosse che vorrebbe, ma si sente rinvigorito.
Non usa più Vipera. La lama dal doppio filo, che può ferire sia i mortali che i mostri, appartiene al passato; è una spada fatta per uccidere, adatta a un carnefice, e non a un insegnante.
Percy è lo studente modello. Apprende in fretta, è instancabile e determinato. Arriva per primo agli allenamenti ed è l’ultimo ad andarsene. Stanno quasi diventando amici, se il prendersi in giro e scambiarsi ghigni si può considerare l’inizio di un’amicizia.
La loro relazione si fonda su continui “non sei stanco, Jackson?” e “almeno quanto te, Castellan, che te ne stai seduto tutto il giorno!”
È vero che Luke si stanca in fretta, se sta molto tempo in piedi, e per questo si siede per la maggior parte degli allenamenti. Ma Percy non lo fa pesare.
Annabeth si preoccupa per la sua salute, però Luke la tranquillizza ogni volta; dopotutto, lo vede anche lei che avere qualcosa da fare lo fa sentire meglio. Quando si allena anche la sua sorellina, è una piacere notare che preferisce sempre il pugnale che le ha regalato.
L’unica che lo ignora è Clarisse, che sembra soffrire per ogni parola che Luke pronuncia od ogni movimento che compie. In un certo senso, questo lo rassicura: è come se qualcuno continuasse a ricordare ciò che è stato e, in questo modo, potesse impedire un’altra venuta di Crono.
La memoria, conclude Luke, è importante.
 
TRENTA GIORNI DOPO
 
«Mi sono stufata di vederti lì seduto, bella statuina Castellan. Che ne dici di una sfida? Giusto per movimentare un po’ la mattinata.»
Clarisse è arrivata alla solita ora, accompagnata da Chris, come sempre, ma, al posto di allenarsi con lui con la lancia, si è rivolta a lui e lo ha sfidato. Senza un minimo di tatto. Come se fosse una persona normale. Come se non fosse malato.
Annabeth gli ordina di non farlo, Percy glielo sconsiglia vivamente, Chris cerca di convincere Clarisse a rinunciare, ma nessuno può fermare i due mezzosangue. Hanno deciso.
Luke sceglie la spada che ha usato negli ultimi giorni e che ha preso il posto di Vipera, un’arma ordinaria, non bilanciata perfettamente per lui, ma quasi. La prima volta che l’ha soppesata, gli è sembrata fin troppo pesante. Col tempo, si è accorto che è lui a non essere abbastanza forte per nessuna spada.
Nel cuore, sa che non sconfiggerà mai Clarisse. È troppo debole, in confronto alla sua avversaria. Ma non gli importa. Tutto ciò che conta è che venga trattato come un comune mortale, senza un riguardo speciale perché il suo corpo non è in grado di sopportare gli sforzi.
Quado fronteggia la figlia di Ares, spada in pugno e piedi in posizione, è di nuovo il vecchio Luke. Calcola le offensive con cui Clarisse può iniziare lo scontro e, di riflesso, come può difendersi al meglio.
Il cuore che gli batte nelle orecchie, il respiro lievemente accelerato, il palato che si secca pian piano, sono sensazioni che conosce bene e ha imparato ad amare.
Il primo affondo non lo para nemmeno. Scarta di lato, pronto a colpire il fianco scoperto, ma Clarisse è svelta a voltarsi e ingaggiare uno scontro di forza tra l’asta della lancia e la spada. La pressione esercitata è talmente tanta che l’arma della sua avversaria potrebbe spezzarsi, eppure Luke non ci spera.
Si libera da quella costrizione, fa scivolare la lancia sul piatto della lama, evitando di parare direttamente, e prova ferirla alla pancia. La punta della sua spada riesce solo a sfiorare il tessuto della maglietta arancione, prima che l’attacco venga respinto prontamente.
Luke è solo vagamente stanco; l’adrenalina che pompa nel sangue lo mantiene vigile e in piedi. Confrontarsi con Clarisse, che non gli risparmia nulla, è un vero piacere. Riderebbe, se ne avesse il tempo. Combattere con la figlia di Ares, però, richiede la sua completa attenzione. Un passo falso, e il divertimento finisce.
Girano per la lizza, si stuzzicano, diventano più incauti, riescono a raggiungere più spesso la maglietta dell’avversario.
Luke non ha idea del tempo che si trascorso, quando il sudore gli cola lungo la fronte, gocciolando e finendogli negli occhi. Se si passa una mano sul viso, rimarrebbe scoperto; se non lo fa, non riuscirà più a vedere chiaramente. Preferisce la cecità.
Chiude gli occhi, entra in uno stato di trance e riprende lo scontro. È ancora un guerriero formidabile, dopotutto.
Poi, sente un dolore acuto pervadergli il plesso solare. Spalanca gli occhi di riflesso, guardandosi il petto, aspettandosi di trovarsi una ferita. Invece, è solo il suo corpo a opporsi a quella tortura estenuante.
Si accorge troppo tardi del calcio che gli fa cadere la spada di mano e della lancia che lo colpisce in fronte.
Viene sbalzato a terra, dove rimane, senza fiato.
Si porta una mano alla fronte, sentendo qualcosa di liquido colargli sulla guancia. Gli riesce difficile mettere a fuoco e capire che sta sanguinando. Muove le dita imbrattate di rosso, senza riuscire a capire se siano cinque o sette.
Un’ombra lo sovrasta.
«Allora, già finito?» incalza Clarisse. «Non ce la fai più, Castellan?»
«Smettila, Clarisse!» grida Annabeth, che accorre da dietro. «Non puoi pretendere che continui la sfida nelle sue condizioni!»
La figlia di Ares grugnisce. «Ah, davvero?» domanda, ostentando un tono annoiato. «È un semidio come tutti noi. E cosa facciamo noi, dalla mattina alla sera? Combattiamo. Quanti amici, quante sorelle, quanti fratelli sono morti durante questi anni? Quante volte, nonostante fossimo feriti e volessimo che tutto finisse presto, ci siamo rialzati e abbiamo continuato le nostre battaglie? Se non sei capace di rimetterti in piedi e di combattere sei morto, nella vita e nella guerra.»
Luke sa che Annabeth sta stringendo i pugni fino a far sbiancare le nocche. Sa anche che non riuscirà a rialzarsi, ma questo non gli impedisce di biasciare: «Voglio… continuare» e di sollevarsi sui gomiti, ignorando stoicamente il dolore.
Gli si rivolta lo stomaco, la bile gli brucia la gola e le ginocchia gli tremano, eppure recupera la spada e si rimette in piedi. La punta dell’arma tocca il terreno, e Luke non è abbastanza in forze per sollevarla, per quanto Clarisse gli urli di mettersi in posizione.
Annabeth viene allontanata da Percy, ma rimangono entrambi piuttosto vicini.
Con le braccia che gli tremano per lo sforzo, alza la spada. Clarisse gli sorride, o così gli pare. Quando le loro due armi si scontrano, cerca di mantenere la posizione. Grida, non sa nemmeno lui perché. È la luce che brilla negli occhi della figlia di Ares, quel barlume di sfida e compiacimento, che lo fa andare avanti. Non vuole perdere, se prima non ha lottato fino alla fine.
Poi, gli sfugge la presa sull’elsa, inciampa nei suoi stessi piedi e cade di schianto con la schiena.
Gli sfugge un rantolo di dolore. Gli fa male tutto il corpo, come non faceva da giorni. I capelli di Annabeth gli sfiorando subito il viso, solleticandogli il collo. Prova a sorridere, ma non sa quanto sia ben riuscito il suo tentativo.
«Ambrosia!» ordina Annabeth, risoluta. «Mi serve dell’ambrosia!»
Con sorpresa, sente la voce di Clarisse all’orecchio – Ora siamo pari. Bella prova, Castellan –, prima che sua sorella la scacci in modo poco carino.
Gli appoggiano un boccale alle labbra. Inghiotte acqua mista ad ambrosia, sentendosi immediatamente rigenerato.
Prima che prenda fuoco.
I peli delle sue braccia sono i primi a bruciare, ma subito anche la pelle del petto prende a scottare, finché la maglietta che indossa non mostra i primi segni di ustione. Persino le sue mani, di solito gelide, stanno bollendo. Annabeth si scosta da lui con un urlo, quando si scotta il palmo, toccandogli la spalla.
Luke intuisce vagamente il perché di quella situazione: il suo corpo ha assunto troppa ambrosia, e ora diventerà cenere. È uno dei primi avvertimenti di Chirone: stai attento alle dosi, se non vuoi finire carbonizzato.
Non riesce a respirare, fa troppo caldo. La sua pelle si sta disfacendo. Prova rotolarsi per terra, per spegnere l’incendio, ma finisce per inghiottire qualcosa dal sapore disgustoso. Tossisce o grida, non è in grado di distinguerlo.
Il suo ultimo pensiero razionale è Sto per morire per overdose di ambrosia.
Poi, un’onda d’acqua lo investe. All’inizio non respira, ma si accorge subito che il fuoco è stato spento. Sputacchia acqua e scrolla la testa, cercando di mettere ordine nel suo campo visivo, che continua ad oscillare a destra e a sinistra, come una barca in balia del mare.
Annabeth è subito vicino a lui, a reggergli la testa sulle ginocchia e a sussurrargli frasi rassicuranti. Ma è quasi più contento quando Percy gli batte una mano sulla spalla e lo informa: «Ho prosciugato il laghetto delle canoe. Adesso mi devi due favori, il primo perché ti ho salvato le chiappe, il secondo perché non ho la più pallida idea di come calmerò le Naiadi, visto che ora mi vogliono uccidere.»
 
TRENTUNO GIORNI DOPO
 
In realtà, Percy non ha esattamente prosciugato il lago. Come dice lui, ha solo preso in prestito gran parte dell’acqua che lo formava. Per le ninfe, però, non fa molta differenza. Perciò, entrambi hanno dovuto giurare solennemente di non avvicinarsi alle loro case per le prossime settimane e di regalare a ognuna di loro un bacio – questa parte non l’hanno racconta ad Annabeth, né hanno intenzione di farlo.
 
TRENTATRE' GIORNI DOPO
 
Luke non sa bene quale medicinale gli abbia somministrato Chirone, ma è stupito quando, dopo appena tre giorni, le scottature sono già state sostituite da un nuovo strato di pelle rosea. È troppo esausto per indagare più a fondo, dopo il trasferimento alla Casa di Ermes. Fa appena in tempo a sdraiarsi sul letto, che cade addormentato.
 
TRENTAQUATTRO GIORNI DOPO
 
Chirone vuole parargli.
Luke immagina di cosa si possa trattare – la sfida con Clarisse, Talia, la sua salute, eccetera. Arriva alla Casa Grande in stampelle, saluta Seymour con un cenno del capo, e trova il centauro seduto alla scrivania del Signor D. Chissà come se la sta passando il Signor D., riflette distrattamente.
Chirone lo invita ad accomodarsi sulla sedia all’altro capo del tavolo. Tamburella con le dita sul bordo legnoso, segno che è nervoso. Luke lo conosce da così tanto tempo che può leggergli ogni emozione in volto. Ora, ci vede ansia, un po’ di paura, apprensione e un pizzico di risentimento.
«Come va, Luke?» domanda, mantenendo un tono leggero da conversazione.
«Bene, considerate le circostanze» risponde lui, usando la stessa tonalità.
In realtà, gli fanno male tutte le ossa e ha un inizio di mal di testa, ma queste informazioni farebbero preoccupare inutilmente il centauro.
«Ti… ti ricordi della nostra conversazione, appena salvato l’Olimpo?» Questa domanda è una di quelle che lo tormenta.
Luke sente una stretta al cuore. «Sì. Mi ricordo» dice, scandendo bene le parole. «Perché?»
«Ho intuito che ti sta succedendo qualcosa, figliolo, e vorrei parlarne con te, perché…»
«Temi che trovi qualche altro Signore dei Titani da risvegliare?» scatta Luke. «È questo di cui vuoi parlarmi?»
«No» risponde immediatamente Chirone. «Volevo ricordarti che puoi confidarti con me, se vuoi.»
Luke sospira, rilassandosi sulla sedia. «Lo so.»
«Mh.» Le dita del centauro smettono di muoversi sopra la scrivania per un attimo, poi riprendono. «Mi renderesti molto felice se lo facessi, Luke. Davvero. È come se, dentro di te, coltivassi un desiderio di autodistruzione.»
«Non voglio annientarmi, Chirone» lo blocca il figlio di Ermes. «È solo… complicato
Il centauro annuisce più volte. «Immagino per via di Talia e di ciò che è successo quella notte, al laghetto delle canoe.»
«Come ho già spiegato» dice Luke, cercando di non far suonare così freddo il suo tono, «è complicato.»
Chirone unisce la mani. «Sei qui per confidarti con me, figliolo.»
«È che non mi ricordo cos’è successo.»
Mentire gli viene facile. Non può raccontare al centauro ciò che è successo, dei sentimenti che prova, di Talia e della sua eterna attesa. Lo capirebbe, lo comprenderebbe, ma non potrebbe fare nulla se non allertarsi e consigliargli di allontanarsi dalla figlia di Zeus, per evitare l’ira di Artemide.
Chirone si fa attento. «Non ti ricordi ciò che è accaduto prima?» chiede.
«No.» Luke scuote la testa. «Stavamo parlando, ma non mi viene in mente di che argomento. Poi sono caduto in acqua, però non so altro.» Sospira. «Mi dispiace. Sento che tutto ciò è importante, eppure non riesco ad aiutarti.»
È un così bravo bugiardo che Chirone mormora qualche frase rassicurante, carezzandogli le mani in un gesto da vero padre. Luke vorrebbe deglutire, ma sa che si tradirebbe.
«E Clarisse? Perché hai accettato di scontrarti con lei?» domanda, passando a un altro argomento. «Pensi che dovrei parlare anche con lei?»
«Non devi punirla» dice Luke. «Lei è l’unica che si è degnata di trattarmi come se fossi normale e non un malato terminale, o un vecchietto affetto dall’artrite. Sono stufo della compassione che vedo in tutti i vostri occhi» sibila.
Gli occhi del centauro si allargano. «Io… noi non ti stiamo trattando come un malato terminale, Luke. Siamo solo preoccupati per la tua salute.»
«Be’» sbotta il figlio di Ermes, «smettete di preoccuparvi.»
«E se ti succedesse qualcosa di imprevisto?»
«Arriva sempre un imprevisto, e non possiamo essere pronti a fronteggiarlo, anche se crediamo così.» Sorride. «Dopotutto, anche il semplice fatto che sopravvivessi non era contemplato, giusto?»
«Luke, figliolo…»
Luke recupera in fretta le stampelle e si alza, cercando di non far rovesciare la sedia. «Scusami, Chirone, ma ho un allenamento.»
Esce dalla Casa Grande e l’aria fresca del mattino gli pizzica gli occhi. Ha un nodo alla gola e respirare a grandi boccate non serve a nulla a scioglierlo. Non ricorda se è così ci si sente, quando ci viene da piangere.
 
«Luke.»
Una mano sulla spalla lo fa voltare.
«Annabeth» la saluta, sorpreso. «Mi avevi detto che saresti stata occupata con le pulizie della Cabina.»
«Ho mentito» ammette, scrollando le spalle. «In realtà, ho parlato con Chirone.»
Luke si irrigidisce all’istante. «Te l’ha detto» commenta, diretto e lapidario.
La figlia di Atena si gratta la radice del naso e sposta il peso da una gamba all’altra. «Perché non mi hai mai parlato di come ti sentivi?» domanda, però, senza esitare.
«Non era rilevante.» Il biondo fa un gesto vago con la mano, muovendo anche la stampella.
«Non era rilevante?» Sembra che Annabeth stia sezionando la sua frase. «Lo era, invece. Ti avrei fatto sentire più a tuo agio, mi sarei mostrata meno preoccupata che tu ti facessi male in modi impensabili, come coi bambini.» Si interrompe per un respiro tremante. «Ti avrei dato sostegno, come una vera famiglia.»
Luke sente qualcosa depositarsi sul fondo dello stomaco e trascinarlo a terra. «Annabeth…» mormora, poggiandole una mano sulla spalla. «Io… noi siamo una famiglia. Sempre. Non hai fatto nulla di male.»
«No» dice lei, sarcastica, sottraendosi al contatto fisico. «Ti ho solo fatto sentire, parole testuali, come un malato terminale.»
Il figlio di Ermes si zittisce. «Mi dispiace» mormora, dopo un po’.
Annabeth annuisce, come se sapesse ogni cosa. «È per questo che tu e Percy avete legato, giusto? Perché non ti guarda con compassione?»
«Sì» è costretto ad ammettere Luke. «È come se fossi un suo pari, un amico qualunque, qualcuno che può ancora batterlo con la spada. Mi fa sentire più normale.»
«Io non voglio solo farti sentire normale. Voglio farti stare bene» borbotta la figlia di Atena.
«Tu mi fai stare bene» replica il biondo. «Solo, in un modo diverso.»
«E va bene lo stesso?» Gli occhi di Annabeth sono ben aperti e lo fissano con intensità, conferendole un’aria leggermente sperduta e totalmente in attesa sul filo del rasoio.
Luke le regala uno dei suoi sorrisi migliori. «Tu vai sempre bene, sorellina. Qualunque cosa tu faccia.»
 
TRENTOTTO GIORNI DOPO
 
Luke non usa più le stampelle ed è di nuovo in forma – nei limiti in cui può esserlo. Si è costruito una sorta di routine, si è ricavato uno spazio tra i suoi fratelli e sorelle ed è felice.
Ma, prima di addormentarsi, viene assalito dall’angoscia. Non è tanto per Talia; a quel tipo di tormento ci ha fatto l’abitudine. È un sentimento che riguarda più lui stesso. Si sente come Nico, che non è in grado di stare al Campo Mezzosangue più di un giorno, e non perché è innamorato di Percy. È come se tutto ciò che ha ottenuto lì non avesse la minima importanza. In qualche modo, non appartiene più al Campo.
E sente il bisogno di andarsene.
 
QUARANTA GIORNI DOPO
 
L’arrivo di Talia e delle Cacciatrici è accolto con un certo entusiasmo da tutti, ma Luke sa che, dietro la cordialità di Chirone, si nasconde il sospetto che stia per accadere qualcosa di importante. Intercetta più d’un occhiata diretta a lui o alla figlia di Zeus, e ogni volta cerca di apparire il più naturale possibile.
Quando cala la sera e arriva l’ora di cena, Talia si posiziona dietro di lui nella fila per bruciare le offerte agli Dèi.
«Ore undici. Spiaggia» gli sussurra.
Luke sorride e fa un cenno a nessuno in particolare, prima di bisbigliare: «Okay.»
Sono diventati piuttosto bravi a incontrarsi e a comunicare in segreto, e Chirone questo non lo sospetta.
 
Luke sgattaiola fuori dalla Casa Undici con l’abilità tipica dei ladri e, per una delle poche volte nella sua vita, è felice di essere figlio di Ermes. A quell’ora, il Campo è deserto, e camminare da solo tra tutte le Cabine silenziose fa un certo effetto. Alle undici precise, è alla spiaggia. Talia è già arrivata e lo sta aspettando.
«Togliti le scarpe» gli dice a mo’ di saluto, e solo allora Luke nota che è a piedi nudi.
«Come vuoi» ribatte, mesto, eseguendo l’ordine.
Dopodiché, la Cacciatrice gli fa un cenno e lo conduce sulla battigia, dove si ferma e si fa bagnare i piedi dalla risacca. L’acqua è ancora piuttosto calda e Luke si abitua subito alla temperatura. Le stelle brillano nel cielo assieme alla Luna, ma l’oceano è scuro, come se non risentisse degli effetti della luce.
Rimangono in silenzio, ascoltando unicamente il rumore del mare. Poi, Talia inizia a canticchiare sottovoce. Luke riconosce la canzone e si unisce a lei. Incoraggiata, la figlia di Zeus decide di cantare ad alta voce, mandando all’aria ogni precauzione presa.
«Beacuse the night belongs to lovers» recita. «Because the night belongs to lust, because the night belongs to lovers, because the night belongs to us…[2]»  Si interrompe, si gira verso di lui e gli sorride. «È anche per questo che mi piace di più incontrarti di notte.»
Luke si gratta la nuca. «Ti trovo bene» butta lì, senza sapere cosa aggiungere; c’è troppo da dire e non riesce a concentrarsi.
«Anch’io» replica Talia.
«Mh.»
La ragazza sbuffa sonoramente. «Forse varrebbe la pena di ricominciare daccapo, non credi?» propone.
«Una seconda chance, intendi?» chiede conferma Luke, sorridendole.
«Sì.» Talia annuisce, ridendo piano. «Per me, ci stiamo abituando un po’ troppo, a queste seconde possibilità» commenta.
«Shhh» la ferma il figlio di Ermes. «Ricominciamo e basta.» Si ricompone, cancellando dalla memoria gli ultimi minuti. «Ciao, Talia.»
La Cacciatrice gli sorride. «Ciao, Luke» sussurra. «Come stai?»
«Bene. E tu? Com’era il Minnesota?»
«Desolato e sperduto. Ma io sto bene.» Una breve pausa. «Sono contenta che tu non sia, ehm…»
«Morto a causa tua?» suggerisce Luke, in un tono leggero che li fa ridere entrambi.
«Esatto» conferma la figlia di Zeus. «Noto anche hai avuto modo di riflettere su ciò che ci siamo detti al laghetto delle canoe. O, almeno, così mi sembra.»
Luke asserisce più volte. Talia si mordicchia l’interno della guancia e si scrocchia le dita delle mani.
Poi, il biondo trova la forza di domandare: «Tu mi ami, vero?»
La figlia di Zeus lascia ricadere le braccia lungo i fianchi. «Sì» mormora in risposta.
Luke guarda il cielo e la costellazione della Cacciatrice, in onore di Zoe Nightshade, sembra ammiccargli. Sospira e si passa le mani sudaticce sui jeans. Deglutisce, facendo viaggiare su e giù il pomo d’Adamo. Le dita dei piedi gli sono diventate insensibili.
«Io ti amo con tutto il mio essere, Talia Grace» dice, aggiustando la voce tremolante. «Ti amano i miei occhi e ti amano le mie labbra, ti ama la mia bocca e ti amano le mie orecchie. Ti ama la mia pancia. E ti amano i miei polmoni e la mia pelle. Ti ama il mio cuore e ti ama la mia mente. Ogni fibra del mio corpo brama di baciare il tuo e di unirsi alla tua anima. Ma noi siamo come il cielo e la terra, Talia: destinati a sfiorarsi per l’eternità, senza mai avere la possibilità di toccarsi davvero.» Luke si accorge di stare piangendo solo quando domanda: «Capisci?»
La figlia di Zeus annuisce e tira su col naso. «Sì» dice con una voce che non è la sua. Si sfrega via le lacrime che le si sono formate all’angolo degli occhi, poi scoppia in una risata sgangherata e tremante. «Non so nemmeno perché sto piangendo e mi sento molto stupida per questo.»
Luke si produce in una risata simile, un po’ più gorgogliante. «Se lo facciamo in due sembra meno strano, non credi?»
«Non ne ho la più pallida idea» replica Talia. «Dèi, mandatemi un fazzoletto!» grida verso la stellata, senza ricevere risposta.
«Devi inginocchiarti e implorare il dio della carta igienica» la prende in giro il figlio di Ermes.
Talia gli tira un pugno sulla spalla. «Sta’ zitto» lo rimbecca, nonostante stia sorridendo.
Luke ghigna. «Guarda, se vuoi posso inginocchiarmi anch’io con te.»
«Fottiti, Luke» replica la Cacciatrice.
Il biondo si scansa prontamente, evitando la gomita diretta a lui. «Uuuh» la schermisce. «Non riesci nemmeno a colpire un vecchio malato, luogotenente di Artemide?»
Talia si volta verso di lui e incrocia le braccia sotto il seno. «Scommettiamo che ti faccio fare un altro bagnetto notturno?» lo provoca.
Il sorriso di Luke si allarga, quando la stuzzica: «Tenta pure, donnah
 
Va a finire che se lo fanno entrambi, il bagno notturno. Quando sono stanchi – e congelati – si siedono sulla spiaggia e cercando di asciugarsi con la sabbia, che, però, è più fredda dell’acqua.
Benché scossi dai tremori, non si azzardano ad abbracciarsi o stare più vicini. Solo pochi centimetri separano le loro mani, ma non le uniscono.
«Sai» esordisce Luke. «Credo che lascerò il Campo.»
Talia sgrana gli occhi. «Cosa?» esclama. «Perché?»
Il figlio di Ermes si stringe nelle spalle. «Non è più il posto adatto a me. Non è che non sia felice – ma, d’altra parte, non lo sono completamente. Sento il bisogno di andarmene e basta» spiega.
«E cos’hai intenzione di fare, dopo?» domanda la Cacciatrice.
«Non lo so» risponde lui. «Forse farò un salto a salutare mia madre. Il punto non è dove andrò, bensì andarmene
«Ritornerai qui, qualche volta?» chiede ancora Talia. «Oppure scomparirai nel nulla? Ci rincontreremo?»
Luke scava con le dita nella sabbia. «Non sarà l’ultima volta che ci parliamo» promette Luke. «Fidati di me.»
«Già lo faccio» borbotta la figlia di Zeus.
«E tu?» cambia argomento. «Nessun progetto futuro?»
«Andare avanti» risponde Talia, semplicemente. «Ho tutta l’eternità da vivere e non ho fretta.»
Lasciano cadere la conversazione. Nella mente di Luke si fanno vividi, all’improvviso, dei versi: because tonight there are two lovers/ if we believe in the night we trust/ because tonight there are two lovers...

QUARANTADUE GIORNI DOPO

Alla fine, parte.
Chirone gli ha dato il permesso – non che potesse trattenerlo, ad ogni modo – e ne ha già parlato con Annabeth – che non gli ha evitato difficili discussioni – e con chiunque altro considera importante. Quella mattina, sono in molti a salutarlo, sulla collina del Campo Mezzosangue.
Percy gli batte una mano sulla spalla e spara una battuta idiota, i fratelli Stoll gli sorridono e tentano di fregargli il portafoglio, ma vengono beccati, e Annabeth lo stringe a sé come se ne andasse della sua stessa vita.
«Abbi cura di te, Luke» gli sussurra con le lacrime agli occhi. «Ti voglio bene, fratellone.»
«Anche io, sorellina. Anche io» mormora lui di rimando.
Il centauro è commosso, ma cerca di non darlo troppo a vedere. «Il Campo ti accoglierà sempre, figliolo» gli ricorda.
Luke si sistema lo zaino sulle spalle e controlla la spada, allacciata al suo fianco, prima di salutare tutti e avviarsi giù dalla collina.
Con Talia non ha scambiato effusioni. Ma, quando raggiunge la fine del colle, si gira e le sorride.
 
[1] Cotton eye Joe, Rednex
[2] Because the night, Patti Smith
  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Percy Jackson / Vai alla pagina dell'autore: Water_wolf