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Autore: millyray    09/10/2014    1 recensioni
Per chi odia le morti ingiuste anche se eroiche dove a sopravvivere sono i malvagi, perché le eccezioni esistono, esistono sempre. Per chi ama il trionfo degli amori, gli amori veri, quelli un po' platonici e un po' terreni, a volte anche scontati. Per chi odia i misteri e i segreti che si celano dietro gli occhi di qualcuno, ma ama l'aria tormentata che essi hanno.
Be', credo che siate nel posto giusto.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO DICIASSETTE - NUBI ALIENE, CORSE E CALCI

Penso che tra me e te
meglio un pugno che un addio,
come sai non ti ho mai detto una parola in più
(Infinitamente, E. Ramazzotti)

Ianto si svegliò lentamente notando subito lo spazio del letto vuoto accanto al suo. Jack doveva essere andato al lavoro già da un po’ e non lo aveva nemmeno svegliato. No, la cosa strana era che lui non si fosse svegliato, considerando il sonno leggero che lo contraddistingueva.
Si girò a pancia all’aria scontrandosi con quella specie di palla rotonda e dura che lo faceva pesare il doppio del normale e che cominciava davvero a piacergli sempre meno; tuttavia vi pose lo stesso una mano sopra, accarezzandola teneramente. In fondo c’era il loro bambino lì dentro e lui non vedeva l’ora che uscisse fuori. Ma avrebbe dovuto pazientare ancora per un paio di mesi.

Posò i piedi per terra e a fatica si alzò dal letto, sempre tenendo una mano sul pancione e l’altra dietro la schiena. Diamine, era difficile essere incinti! Come facevano le donne a voler partorire anche più di un bambino? Dopo quello, lui non aveva alcuna intenzione di farne un altro e semmai avessero deciso di dare un fratellino o una sorellina al nascituro, sarebbe toccato a Jack.
Ma che stava dicendo? Già sarebbe stato faticoso con un bambino solo, figurarsi con due. Lui non aveva ancora alcuna idea di che razza di padre sarebbe stato, non aveva nemmeno idea se sapesse come si cambiano i pannolini. Certo, sapeva che l’avrebbe amato, quel bambino, e che avrebbe cercato di renderlo felice, ma un conto era avere dei buoni propositi, un altro era saperli mettere in pratica.

Troppe paranoie, Ianto, vai a fare colazione.

 

“Dov’è andato?”

“Da quella parte!”

“Andiamo!”

Jack, Gwen e Owen stavano correndo a perdifiato in un parcheggio sotterraneo all’inseguimento di un uomo posseduto da una strana creatura aliena informe che somigliava a una scura nube fatta di gas.
Il Capitano estrasse la pistola quando se lo ritrovò a un paio di metri di distanza, con l’intenzione di ferirlo a una gamba per rallentarlo, quando a un tratto vide il tizio crollare in ginocchio, inarcare la schiena e spalancare la bocca verso il soffitto mentre la nube aliena abbandonava il suo corpo e si disperdeva attraverso le pareti. L’uomo poi cadde a terra svenuto.

“Che diavolo è successo?” chiese Gwen, sopraggiunta in quel momento assieme a Owen.

“Owen, controlla il tizio e assicurati che stia bene”, ordinò Jack per poi premere un pulsante sull’auricolare che teneva all’orecchio. “Tosh, mi sai dire dov’è andato?”

Si udì un concitato ticchettio di tasti prima che la voce della ragazza rispondesse all’orecchio di Jack. “In superficie. Esattamente sopra di voi”.

“Andiamo, Gwen”.

L’ex poliziotta alzò gli occhi al cielo stanca per la corsa, ma seguì il cappotto svolazzante del Capitano senza protestare.
Arrivati in superfice, i due si guardarono attorno. “Non lo vedo, Tosh”.

“E’ nel vicolo alla vostra destra”.

Jack si voltò nella direzione indicatagli e vide una donna bionda che fissava la strada in maniera strana. Capì subito che questa volta l’alieno si era impossessato di lei. Quando si voltò verso i due membri del Torchwood, emise uno strano stridio con la bocca e cominciò a correre.

“Ma possibile che tutti gli alieni debbano sempre correre?”

“Ringraziami quando Rhys apprezzerà le tue gambe toniche”.

 

Ianto avrebbe desiderato fortemente trovarsi al lavoro in quel momento ma Jack gli aveva categoricamente vietato di farlo, sebbene il gallese gli avesse assicurato che se ne sarebbe rimasto buono buono nella base senza dare la caccia ad alcun alieno e senza mettere nei guai sé stesso o il bambino. Non che poi al bambino potesse succedere qualcosa, ma il Capitano stranamente era diventato iperprotettivo e qualsiasi cosa gli dicesse non lo faceva cambiare idea. Lo voleva far soffrire, era questo il suo piano malefico. Perché Ianto odiava stare a casa, non riusciva mai a trovare niente che lo intrattenesse abbastanza. E uscire a fare la spesa o una passeggiata al parco non era un’idea saggia perché la gente lo avrebbe guardato strano.

Così si sedette sul divano con un pacco di biscotti e prese il telefono, cercando il numero di sua sorella nella rubrica.

“Pronto?”

“Rhiannon?”

“Ianto? Oh mio Dio! La seconda chiamata in una settimana! Che ne hai fatto di mio fratello?”

Ianto piegò le labbra in una smorfia infastidita. “Spiritosa. Mi stavo solo annoiando”.

“Jack ti ha lasciato di nuovo a casa”.

“Sì e lo odio per questo”.

“E io invece penso che abbia fatto bene. Il tuo non è uno dei lavori più sicuri”.

Il ragazzo sospirò e si stese sul divano. “Sì, ma che cosa faccio io chiuso in casa?”

“Leggi un libro, guardi la tv, fai il bucato, ti rilassi”.

“La tv è noiosa, il bucato l’ho fatto ieri, ho finito i libri da leggere e credo di essere già abbastanza rilassato”. Dopo aver finito di parlare, in tono piuttosto scocciato, sentì la sorella ridere dall’altra parte della linea.

“Fratellino, verrei volentieri a tenerti compagnia ma Misha è a casa con la febbre”.

“Davvero? Oh, spero non stia troppo male”.

“Ma figurati! E’ contenta di poter rimanere a casa da scuola”.

Toccò a Ianto ridacchiare questa volta. “Come la capisco”.

“Oh, già. Anche tu eri sempre contento quando non dovevi andare a scuola”.

“Sì, ma solo finché c’era la mamma”.

Rhiannon improvvisamente si zittì, conscia di aver tirato fuori un argomento piuttosto spinoso. Era meglio virare su un’altra strada al più presto.

“Allora, avete già scelto il nome?”

 

Jack e Gwen si arrestarono appena in tempo prima di andare a sbattere contro il muro di un vicolo cieco. La donna che avevano inseguito per tutto quel tempo li aveva superati di un bel po’ e tentare di raggiungerla era ormai inutile.
Restarono entrambi piegati in due, le mani poggiate sulle ginocchia, cercando di recuperare fiato.

“Ragazzi, l’ho persa. I computer non la segnano più”, sentirono dire Tosh dall’auricolare.     

“L’abbiamo persa anche noi”, la informò Jack mentre di sottecchi guardava Gwen per vedere se stava bene.

“Che facciamo, Jack?”

“Torniamo alla base e ci riorganizziamo”. Il Capitano si sistemò il collare del cappotto e girò sui tacchi per tornare sulla strada dalla quale erano arrivati. “Owen?” chiamò.

“Sì, Jack?”

“Come sta l’uomo?”

“Un po’ confuso. Ho chiamato un’ambulanza perché lo vengano a prendere”.

“Si ricorda qualcosa?”

“No, nulla”.

“Bene, ti veniamo a prendere”.

Jack e Gwen arrivarono al Suv e vi salirono sopra; il Capitano mise in moto e cominciò a guidare verso il parcheggio in cui avevano lasciato Owen. Poi virarono verso la baia.

 

Ianto alla fine si era deciso ad andare alla base lo stesso, giusto per fare un saluto e vedere come se la stavano cavando i suoi colleghi senza di lui e il suo caffè.
Quando varcò la soglia trovò solo Toshiko seduta davanti al computer con una mappa satellitare aperta sullo schermo.

“Ciao, Tosh”.

“Ianto!” esclamò la ragazza voltandosi verso di lui sorpresa. “Pensavo che oggi non venissi”.

“Ho cambiato idea”. Il ragazzo si appoggiò alla scrivania e si grattò la pancia, quando in quel momento vide sopraggiungere Jack dagli archivi. Questi lo guardò con un’occhiata storta. “Tu che ci fai qui? Non ti avevo detto di restare a casa?”

“Sì, me lo avevi detto, ma fortunatamente godo ancora del libero arbitrio”.

Il Capitano stava per aggiungere altro ma venne improvvisamente interrotto da Gwen. “Ianto! Grazie a Dio sei arrivato! Ho veramente bisogno di una buona e forte dose di caffeina”.

Il ragazzo le sorrise e annuì. “Caffeina in arrivo”. E, dando un ultimo sguardo a Jack, come per intimargli di non dire niente, si diresse verso la macchina del caffè.

“A proposito, Ianto, come stai?” gli chiese Tosh.

“Come una balena spiaggiata. Non faccio che alzarmi la notte per svuotare la vescica che sembra essere diventata più piccola di una nocciolina”.

“Tu non hai niente da lamentarti”, si intromise Jack a quel punto, fermo sulle scale che conducevano al suo ufficio. “Non sei tu quello che è costretto ad andare al supermercato alle ore più improponibili per comprarti caramelle e barattoli di Nutella”.  

“Caramelle e barattoli di Nutella?” ripeté Gwen, spostando lo sguardo da Jack a Ianto e cercando di non scoppiare a ridere loro in faccia.

“Pensa che la settimana scorsa mi ha chiesto di andare a prendergli un’anguria. E siamo in pieno inverno”.

Ianto piegò in fuori il labbro inferiore in un broncio che lo fece apparire ancora più adorabile e disse: “Non lamentarti con me. Lamentati con tuo figlio”.

“Oddio, sembrate una vecchia coppia sposata”, fece notar loro Gwen. Il gallese si voltò a guardarla con aria di sfida. “Gwen, ci vuoi anche della cicuta nel tuo caffè?”

“Oh, no grazie, va benissimo così”. La ragazza si precipitò verso l’amico per prendersi la sua tazza di caffè e, non appena lo ebbe tra le mani, ne bevve un sorso leccandosi i baffi. Era decisamente quello che le serviva dopo quella corsa sfrenata.
Ianto nel frattempo iniziò a prepararlo anche per sé.

“Ma perché non volete sapere il sesso del vostro bambino?”

“Perché vogliamo che sia una sorpresa”.

“Io morirei dalla voglia di saperlo”.

“Basta con le chiacchiere!” li interruppe Jack con voce di comando. “Abbiamo del lavoro da fare”.

“Agli ordini, capo!” esclamò Gwen scherzosa e si diresse verso la sala riunioni. Prima di seguirla, però, il Capitano raggiunse il compagno e gli mostrò un sorrisetto furbesco. “Questa la prendo io”, disse, prendendogli la tazza di caffè dalle mani.

Ianto rimase di stucco mentre lo guardava allontanarsi col suo caffè. “E che dovrei bere io?”

“Che ne dici di una tazza di tè?”

“Tè?!” Il ragazzo assunse un’espressione schifata. “Non sono un fottuto inglese”.

“Oh, no. Sei un gallese. Un gallese molto, molto sexy”.

Il ragazzo sospirò rassegnato; c’erano momenti in cui davvero non sapeva se prendere Jack a schiaffi oppure sbatterlo contro un muro e baciarlo come se non ci fosse un domani. Solo lui gli faceva quell’effetto.

 

Ianto non si era nemmeno accorto di essersi addormentato. Ricordava di essersi steso sul divano della base e di aver chiuso gli occhi per qualche secondo, poi il sonno doveva essere venuto da sé. Fantastico, proprio fantastico.
Ma si accorse solo in un secondo momento che c’era qualcosa a pesargli addosso, qualcosa di confortevolmente caldo e… con un odore molto familiare e molto delizioso. Quei feromoni del cinquantunesimo secolo erano inconfondibili. Jack lo aveva coperto con il suo cappotto e a un tale pensiero gli venne da arrossire. Ancora non riusciva a capacitarsi di quanto Jack fosse diventato così… amorevole? Dolce? Delicato?
Mah…

Vagò con lo sguardo in giro per la stanza, notando solo Owen che girava attorno a una donna bionda stesa e ammanettata sul tavolo delle biopsie, benché sembrasse essere in un coma profondo, e si alzò reggendo il cappotto in mano.
Piano, entrò nell’ufficio di Jack. Il Capitano stava in piedi dietro la scrivania e si slacciava la camicia bianca al cui centro faceva bella mostra una grossa macchia rossa.

Sangue, pensò Ianto che non ci mise a fare due più due.

“Jack!”

L’uomo alzò lo sguardo sul giovane e gli sorrise. “Ti sei svegliato”.

“Che diamine hai fatto?” ringhiò il gallese, una strana sensazione di paura e preoccupazione che si agitava dentro di lui.

“Non so di che stai parlando”.

Ianto gli indicò con gli occhi la macchia sulla camicia incrociando le braccia. “Ti sei fatto sparare. Di nuovo”.

“Non mi sono fatto sparare. Mi hanno sparato”.

“E sei morto”.

Jack fece il giro della scrivania per avvicinarsi al compagno la cui agitazione gli sembrava del tutto inutile. “E sono tornato. Di che ti preoccupi?” Lanciò la camicia sporca su una sedia vuota.

“Di che mi preoccupo?” Sembrava proprio che il ragazzo avesse voglia di litigare, o quantomeno di affrontare una discussione piuttosto importante, il che tra loro non era mai capitato. Be’, non prima del bambino. “Jack, sei troppo avventato e la facilità con cui lasci che ti sparino mi fa pensare che non ti importi. Dai per scontato che tornerai, ma se un giorno… se un giorno questo meccanismo o qualsiasi cosa sia si bloccasse? Se tu non tornassi più”.

Jack poggiò le mani sui fianchi di Ianto e lo attirò a sé, lasciando che la sua pancia gonfia si appoggiasse alla sua, piatta, liscia e nuda.

“Io non potrei farcela senza di te. Non adesso, non con… il bambino”.

Il Capitano gli mostrò un sorriso dolce e gli fece appoggiare la testa sulla sua spalla, cullandolo come un bambino. “Io non ho intenzione di andare da nessuna parte”, gli sussurrò. “Resterò qui con te e il bambino. Non potrei mai lasciarvi”.

“Sì, ma…”.

“Niente ma. Smettila di preoccuparti per me”. Fece allontanare Ianto da sé per potersi inginocchiare ed essere all’altezza del pancione. “Piuttosto, cerca di sbrigarti a farlo uscire”.

Il ragazzo si accarezzò la pancia attraverso la maglietta più grande di due taglie, uno dei pochi indumenti che riusciva ancora a indossare. “Lasciagli il suo tempo”.

“Non vedo l’ora di vederlo”.

“O di vederla. Potrebbe essere una femmina”.

“E’ lo stesso”.

I due restarono a guardarsi per un po’ senza dirsi nulla, godendosi il momento d’intimità, finché Ianto non emise un gemito spalancando la bocca in un’espressione di dolore.

“Che c’è?” chiese Jack preoccupato. Era troppo chiedere che qualche stranezza non rovinasse quel momento?

“Credo… credo che mi abbia appena dato un calcio”.

“Davvero?”

“Sì”.

Il Capitano poggiò un orecchio sul pancione del compagno e si mise in ascolto, sperando con tutto il cuore che si facesse risentire. E le sue preghiere vennero esaudite perché il bambino diede un altro calcio, come se avesse percepito che i genitori stavano parlando di lui e volesse far presente la sua presenza e che la cosa gli faceva piacere.

“L’hai sentito?”

“Oh sì”.

Jack posò un morbido bacio sulla pancia di Ianto pensando che tutto ciò gli piaceva un sacco. Non pensava che si sarebbe di nuovo sentito così un giorno, non dopo la nascita di Alice o il matrimonio con sua madre, eppure eccolo lì… quasi commosso perché stava per avere un altro bambino. Sperava solo di non combinare un totale casino anche con questo.

La porta dell’ufficio si spalancò e la testa di Owen fece capolino. “Scusate se interrompo questo intimo quadretto famigliare ma devo parlarti della donna posseduta”.

“Dimmi, Owen”, fece Jack rialzandosi e assumendo di nuovo la sua aria professionale, come se nulla nel frattempo fosse successo.

“La creatura si mescola con il sangue delle vittime, per questo le fa comportare in maniera aggressiva e violenta. Ma temo che la donna non riuscirà a sopportarlo ancora a lungo. Non possiamo salvarli entrambi; o uccidiamo lei o la creatura”.

Jack rimase in silenzio per qualche istante, lo sguardo pensieroso. “Hai ancora l’antidoto che usiamo contro le infezioni aliene?”

“Sì”.

“Bene, prova a iniettarglielo e vediamo se funziona”.

“Ci avevo pensato anche io”.

 

La giornata si concluse tranquillamente, per essere stata una giornata alla Torchwood. L’antidoto aveva funzionato sulla donna, la creatura era stata sconfitta e lei retconizzata e rimandata a casa. Null’altro era successo.
A dire il vero, tutti i giorni di quell’ultimo periodo erano stati piuttosto tranquilli - non avevano dovuto affrontare alieni particolarmente pericolosi o mortali - il che non prometteva mai nulla di buono. Di solito la calma precede una tempesta.
Ma a nessuno di loro andava di pensarla in questo modo, non volevano essere pessimisti, così semplicemente cercavano di godersela e di approfittare di ogni momento libero. Non sempre le cose dovevano andare male.

Dopo aver mandato gli altri tre a casa, Jack e Ianto si stavano dirigendo per ultimi verso l’auto di quest’ultimo, discutendo su quello che avrebbero mangiato per cena. Il ragazzo stava per entrare in macchina, sul lato del passeggero, quando vide gli occhi del Capitano fissi su qualcosa in lontananza. Si voltò in quella direzione, notando una cabina blu della polizia vicino all’angolo della strada.
Da dove poteva essere spuntata, si chiese. Non c’era stata prima.

“Che cos’è?”

“E’ il Tardis”, gli rispose Jack senza smettere di fissare quell’oggetto. “La cabina del Dottore”.

“Dottore?” fece Ianto leggermente confuso. Ma non gli ci volle molto per capire. “Intendi il tuo Dottore?”

Finalmente il Capitano spostò lo sguardo sul gallese, ma lo guardò in maniera strana, come se stesse cercando di comunicargli qualcosa attraverso gli occhi.
Ianto sembrò intuirlo perché lo guardò anche lui e infine sospirò. “D’accordo. Immagino sia una cosa tra voi due”.

Jack gli sorrise, contento che lo avesse capito. “Ti prometto che tornerò presto”.

“Me lo auguro”.

“Tornerò ancora prima che tu te ne accorga”.

“Intanto preparo la cena”.

Il Capitano gli lanciò le chiavi, gli diede un veloce bacio sulle labbra e corse in direzione della cabina.
Ianto entrò in auto e mise in moto. Sperava davvero che Jack tornasse presto perché non gli andava di cenare da solo.

 

 

MILLY’S SPACE

È vergognoso che io mi presenti solo ora, lo so. Di quanto sono in ritardo? Non lo voglio neanche sapere.
E’ che ho appena iniziato l’università in una nuova città e, tra le mille cose da fare e la poca ispirazione, ho messo in pausa tutte le mie fic.
Ma eccomi di nuovo qui.
Posso dire che questo è un capitolo di passaggio e che dopo di questo ci sarà una specie di seconda parte, benché sia una fic unica. Ma non importa, lo vedrete e spero di non metterci troppo.

Comunque, sapete, stavo guardando uno dei tanti panel di John Barrowman (tra l’altro ho comprato il suo nuovo cd e vi consiglio di fare altrettanto perché è meraviglioso) e non avevo idea che volesse avere dei bambini. Wow!
Che c’entra questo con la storia? Assolutamente nulla ^^ ma è tardi e sto straparlando. Meglio che vi lasci.

Notte e a tutti,

Milly.

P.S. siete ancora in tempo per dirmi se pensate che sia un maschio o una femmina ^^

P.P.S. non ho voglia di rileggere il capitolo perciò se ci sono errori abominevoli ditemelo.

LORI LIESMITH: cara, scusami veramente tanto per questa attesa. Non so cosa dire per farmi perdonare. Spero almeno che il capitolo ti sia piaciuto e mi raccomando, non urlacchiare che se no dopo i tuoi genitori pensano che tu sia pazza e danno la colpa a me ^^ un bacio, M.

  
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