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Autore: SusanTheGentle    09/10/2014    12 recensioni
" Trascorso un breve sonno, eternamente, resteremo svegli " (Jhonn Donne)
***
Un finale alternativo del libro "La Sedia d'Argento"
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caspian, Susan Pevensie
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era partito per raggiungere la Fine del Mondo, Re Caspian X, per poter parlare con Aslan un’ultima volta, per chiedergli, in un estremo, disperato tentativo, di fagli riavere il suo unico ed amatissimo figlio: Rilian.
Il tormento degli anni in cui non seppe nulla di lui, credendolo morto, svanì come acqua nel deserto nel momento in cui il giovane uomo si inginocchiò accanto al suo letto di morte, prendendogli la mano, versando lacrime e chiamandolo ‘padre’.
Erano due gocce d’acqua.
Aslan concesse loro ancora qualche tempo, poco, ma abbastanza per permettere a Caspian di ascoltare la voce di suo figlio, di sapere ciò che gli accadde; il tempo per benedirlo e raccomandargli il regno; il tempo necessario per dirgli che gli voleva bene.
Rilian rimase al capezzale del Re finché egli non esalò l’ultimo respiro. Il giovane lo udì pronunciare un nome di donna.
Non era Lilliandil.
Ormai incosciente di ciò che lo circondava, vecchio e stanco, dolorante nel corpo e nell’anima, le ultime parole di Caspian X il Liberatore non furono rivolte alla defunta moglie, né a Narnia né a Rilian.
I suoi ultimi istanti di vita, furono per lei: Susan.
Caspian aveva sempre saputo di non poterla rivedere mai più. Tuttavia, in lui ardeva persistente il desiderio di rincontrarla. Anche adesso. Anche per poco.
Provò rimpianto per non avere più il tempo di aspettarla, quando aveva giurato di farlo all’infinito.
L’ultima possibilità stava svanendo con lui, come la speranza.
Abbandonando la vita terrena, lasciava indietro ogni possibilità di ritrovare la sua Dolce Regina che, se mai fosse tornata, non lo avrebbe trovato ad attenderla a braccia aperte.
Perché Susan viveva. Viveva ancora. E lui stava morendo.
In fondo, però, Caspian lo era già da tanto tempo...
Era morto un lontano, lontanissimo giorno di molti anni addietro, nel momento in cui l’aveva guardata attraversare quell’albero, conscio che non avrebbe più udito la sua voce, non avrebbe mai più potuto posare la sua bocca su quella di lei; non l’avrebbe più tenuta tra le braccia, non avrebbe più visto i suoi occhi.
La sua era stata una fine lenta e indolore, dopo che il cuore si era spezzato e lui aveva iniziato a spegnersi, giorno dopo giorno.
Susan era nel suo mondo adesso, lontano. Lontano da lui.
Chissà quanto tempo era trascorso sulla Terra… Forse lo aveva scordato.
Anche Caspian, per un certo periodo, aveva provato a dimenticarla, ma inutilmente.
Non c’era stato nulla tra loro se non un bacio, eppure, Susan era entrata a prepotenza dentro il suo cuore e non lo aveva più lasciato.
Avrebbe potuto esserci di più, molto di più, se glielo avessero permesso, ma non era stato concesso loro abbastanza tempo.
Entrambi lo sapevano: sapevano di non poter rimanere insieme, per questo motivo lui non le aveva mai detto che l’amava, sebbene fosse sempre stato più che certo che Susan provasse le stesse cose, comprendendo a sua volta di essere ricambiata. Ciononostante, nemmeno lei si era mai esposta.
Anni dopo, Caspian aveva sposato la Stella Azzurra sperando di trovare in lei qualcosa della Regina Dolce. Forse negli occhi, nei modi gentili.
Ma non era servito a nulla rinnegare i suoi sentimenti, illudendosi, convincendosi di essere finalmente felice.
Soffrì per la morte della sua consorte, ma non come aveva sofferto dopo aver perduto il suo grande ed unico amore.
Aveva amato Lilliandil, ma non come aveva amato Susan.
E non c’era ragione perché non potesse seguitare ad amarla in silenzio, nel segreto.
Soprattutto, non aveva mai voluto smettere di farlo.
Difficile, forse impossibile, mettere a tacere un sentimento tanto forte e intenso come quello che aveva provato, e ancora provava, per la Regina Dolce.
La morte non era la fine di tutto, Caspian lo sapeva: lo aspettavano le Terre di Aslan, la Vera Narnia, il vero mondo.
E d’un tratto, fu consapevolezza: un giorno, l’avrebbe rivista.
Sulle sue labbra, il nome di Susan fu poco più che un sussurro, quasi una preghiera che diventò un gemito di agonia, di memorie e illusione.
Caspian protese le braccia verso una figura evocata dalle ombre della stanza. Il ricordo di lei gli strappò un sorriso sul pallido e stanco volto, mentre chiudeva le palpebre e dava l’addio alla Narnia terrena.
Quando i suoi occhi incontrarono il buio, il dolore svanì assieme alle lacrime, che Rilian asciugò dall’ormai immobile volto di suo padre.
E il pensiero di Susan accompagnò Caspian anche nella morte.
Una morte dolce, come lo era stata lei.
 
 
***
 
 
Il Fiume della Vita scorreva pacifico dentro i suoi argini, limpido e fresco. Laggiù, sulla ghiaia dorata del suo greto, Re Caspian X dormiva profondamente il sonno della morte.
Eustace non poté trattenere le lacrime e lo stesso Jill. Anche se non l’aveva mai incontrato, la ragazza sentiva che doveva essere stato un uomo buono e gentile.
Anche Aslan pianse.
«Figlio di Adamo» disse il Leone a Eustace, «prendimi un ramoscello da quel rovo laggiù»
Il ragazzo eseguì e tornò da lui.
«Ora, lascia che la spina penetri nella mia pelle» ordinò il Grande Leone, sollevando la zampa destra.
Eustace lo fece: punse il polpastrello e ne uscì una grossa goccia di sangue, che cadde dentro il fiume.
Lo stupore dei due ragazzi fu nulla alla felicità che provarono nel vedere il corpo di Caspian cambiare, ringiovanire e, infine, aprire gli occhi e sollevarsi in piedi.
Il Re di Narnia uscì dal corso d’acqua e salì sulla riva, gli abiti perfettamente asciutti. Non era più un vecchio, ma un uomo sui trent’anni, alto e bello, con i capelli castani, lisci, ricadenti sulle larghe spalle, gli occhi neri e un accenno di barba sul viso che, da bianca, era ritornata scura come era sempre stata.
La prima cosa che fece, fu di inchinarsi davanti ad Aslan e poi abbracciarlo come un buon amico. Lo stesso fece con Eustace, meravigliandosi di rivederlo e ascoltando la sua storia: l’avventura trascorsa a Narnia insieme a Jill per salvare il principe Rilian.
«Vi sono immensamente grato per tutto quello che avete fatto» disse Caspian dopo molto tempo.
«Purtroppo, ora dobbiamo tornare nel nostro mondo» disse la ragazza, alla quale sarebbe piaciuto conversare più a lungo con quell’uomo.
«Sì, capisco» fece Caspian, scambiandosi uno sguardo con il Leone. «Ti prego, Aslan, posso accompagnarli?»
«Certamente» rispose Lui. «Potrai vedere la Terra per poche ore di quel mondo. Ti saranno sufficienti per sistemare ogni cosa, laggiù»
Caspian annuì, seguendo gli amici dentro un boschetto.
Presto, un passaggio si sarebbe aperto tra quegli alberi per permettere Eustace e Jill di tornare a casa.
Lo stesso passaggio si sarebbe aperto per lui, per portarlo nel luogo dove viveva lei.
Il gruppetto avanzò fino a raggiungere un punto in cui la vegetazione era molto fitta. Poco dopo, il silenzio che albergava sulla montagna di Aslan venne pian piano smorzato da alcune voci.
«Ehi, quella è la nostra scuola!» disse Jill.
L’edificio era apparso dal nulla: davanti a loro c’era una porta sorretta da un arco di pietra, la stessa che la ragazza e Eustace avevano oltrepassato per entrare a Narnia. Le voci che avevano udito erano quelle della banda dei bulli.
«Andate, non abbiate paura» disse Aslan, sorridendo ai ragazzi terrestri.
Eustace e Jill salutarono Caspian. Poi, prendendosi per mano, lasciarono il prato e la montagna, discendendo il pedio che li avrebbe condotti entro i confini del parco della scuola.
I bulli, vedendoli comparire da chissà dove, assunsero un’aria minacciosa, facendosi loro incontro.
Eustace e Jill continuarono ad avanzare senza timore, mentre quegli altri si arrestavano e sbarravano gli occhi in un’espressione di terrore puro.
I due amici si voltarono e caprino perché erano così spaventati: Caspian e Aslan, in cima alla collina, li fissavano l’uno con la scintillante spada sguainata, l’altro con le fauci semi aperte, pronto a lanciare un ruggito.
Poco dopo, quando la voce del Leone invase l’aria circostante, facendo tremare persino la terra, i bulli gridarono terrorizzati e scapparono a gambe levate.
Eustace e Jill si voltarono un ultima volta, sorridendo e ringraziando gli amici con lo sguardo. Infine, sgattaiolarono dentro la scuola e Caspian non li vide più.
La porta si richiuse.
«Ora è il tuo tempo» disse Aslan al Re. «Lo vuoi davvero? Anche se ormai non puoi più soffrire, rivederla potrebbe ferirti ugualmente»
Caspian lo guardò. «E’ quello che ho desiderato per tutta la vita»
Aslan annuì. «Ora che ti sei levato alla tua nuova esistenza, figlio, nulla di quel che puoi desiderare è sbagliato. Và»
Il Leone soffiò sulla porta, la quale si riaprì silenziosa sul mondo terrestre.
La scuola di Eustace e Jill era scomparsa. Al suo posto, Caspian vide il giardino di una grande casa di campagna.
Aslan lo lasciò solo, incamminandosi di nuovo verso la montagna.
 
 
***
 
 
Si svegliò una mattina dove tutto era strano, con la stranissima sensazione che stesse per accadere qualcosa.
Forse aveva fatto un brutto sogno.
Da molte notti, strane immagini turbavano il suo sonno: un uomo sconosciuto la chiamava, ma lei fuggiva da quella voce, impaurita, non perché lui volesse farle del male, ma perché lei non voleva sapere né vedere né ascoltare ciò che gli stava accadendo, o che era già accaduto. Si rifiutava di accettarlo.
L’uomo aveva un aspetto famigliare, solo che non riusciva a capire chi fosse.
Susan non ricordava quasi nulla di quei sogni. Ad accompagnarla, durante il giorno, nessuna immagine, solo un senso di ansia e immensa tristezza. Ma per che cosa, poi? Per chi?
Erano solo sogni, non doveva pensarci troppo.
Anche il tempo faceva i capricci quel giorno: un momento prima sembrava volesse piovere, quello dopo c’era il sole. Susan sperò che qualcuno, lassù, le mandasse un po’ di fortuna. Non avrebbe voluto la pioggia in un giorno importante come quello: il giorno della laurea di Peter.
Lucy e Edmund avevano avuto l’idea di organizzare una festa per il fratello maggiore nella grande casa del professor Digory Kirke.
Ovviamente, Peter non sapeva nulla. Mamma e papà lo avrebbero portato da Digory con una scusa.
Non c’era posto migliore: a quella casa erano legati tanti ricordi della loro infanzia. A Peter avrebbe senz’altro fatto piacere.
Tutte le estati, lui, Edmund e Lucy, si recavano alla villa del professore. Insieme a Digory e alla zia Polly, passavano giornate intere a leggere racconti fantastici e avventurosi, a sognare su varie piccole sciocchezze che facevano sorridere Susan.
Lei non era mai presente a quegli incontri.
La piccola Susan Pevensie, tutta libri di fiabe e case per le bambole, si era trasformata in una giovane donna ambiziosa e indipendente, che vestiva all’ultima moda, con i capelli sempre freschi di parrucchiere, il trucco impeccabile, un lavoro importante presso una famosa rivista di moda.
Ciononostante, la ragazza non aveva mai perso la gentilezza che l’aveva sempre contraddistinta, quella dolcezza che scioglieva anche il più burbero degli uomini.
In quella speciale occasione, però, non avrebbe potuto mancare per niente al mondo.
Così eccola là, affacciata al balcone della sua stanza (la stessa che lei e Lucy avevano occupato la prima volta che erano state ospiti a casa di Digory). Alzò gli occhi al cielo di maggio, strizzandoli all’improvvisa e intensa luce del sole, che faceva capolino tra le nuvole grigiastre dalle forme bizzarre. Di tanto in tanto si alzava un po’ di vento.
Poi, una nube coprì di nuovo il sole, muovendosi lentamente, sfilacciandosi, unendosi a un’altra. Creò un corpo, quattro possenti zampe, una lunga coda e una criniera ondeggiante.
Un leone.
Il cuore della ragazza iniziò a battere forte, di emozione e di paura.
Tra le fronde degli alberi, il vento fischiò e sembrò che la voce di qualcuno la chiamasse.
«Sue, dove sei?»
Sobbalzò, voltandosi rapida.
Ma era solo Lucy.
«Eccomi, Lu, scusami, ero sul balcone»
Lucy trattenne il fiato. «Oh, Susan, come sei bella!»
«Grazie»
Susan indossava un abito dorato, impreziosito da tanti piccoli ricami lucenti. I capelli sciolti erano fermati a un lato del capo da un fermaglio di perle.
«Ho un abito anche per te, sai?»
«Non dovevi. Io ho già un vestito» arrossì Lucy, felice ed emozionata quando la sorella maggiore l’aiutò ad indossare un vestito rosa di pura seta, raccogliendole i capelli.
«Mi sento tanto una principessa. O una regina» commentò la più giovane, ammirandosi nello specchio.
Susan sorrise con tenerezza. «Non cambierai proprio mai»
Lucy le lanciò un’occhiata un poco malinconica. «Davvero non ti ricordi?»
«Cosa?»
«Narnia. Eravamo Regine, noi due»
«Non abbiamo tempo per questi discorsi, adesso»
«Allora Edmund aveva ragione…»
Susan fece un verso d’impazienza. «Lucy, certo che mi ricordo!»
Sul volto della più giovane ricomparve il sorriso. «Davvero?»
«Ricordo le avventure, le corse per questa casa e per il grande giardino che immaginavamo fosse una foresta incantata. Ricordo l’armadio guardaroba, dove credevamo ci fosse il passaggio per quell’altro mondo. E mi ricordo anche quella statua di pietra a forma di leone, fuori, vicino al cancello, che fingevamo ci parlasse»
Il sorriso di Lucy scomparve gradualmente.
«No…» disse. «No, non era così. Non erano giochi, né tantomeno un’invenzione! Il guardaroba era davvero il passaggio per…»
«Oh, Lu, ti prego! Se inizi a parlare di nuovo di Narnia, del fauno e della strega, ti giuro che me ne torno a casa!»
 
 
Alla festa, quella sera, erano presenti tutti gli amici e i parenti più cari: oltre al professor Kirke e alla famiglia Pevensie al completo, c’erano anche i nonni, gli zii Harold e Alberta con il cugino Eustace. Infine, non potevano mancare Polly Plummer e la signora Macready, la governante del professore.
Fu una serata meravigliosa: cenarono nella sala da pranzo al pian terreno, la quale dava sul giardino. Le grandi portefinestre della veranda furono lasciate aperte per lasciare entrare la brezza della tiepida sera primaverile.
Incredibile, pensò Susan, come Eustace fosse cambiato, crescendo. Ricordava bene il modo in cui litigava sempre con lei e gli altri, mentre ora sembrava persino essere amico di Edmund. Lui, Lucy e il cugino erano attualmente impegnati in una fittissima conversazione, dove Eustace gesticolava animatamente.
Molto più tardi, quand’era ormai trascorsa la mezzanotte, gli Scrubb se ne andarono e i signori Pevensie si offrirono di riaccompagnare Polly a casa sua. I quattro fratelli, invece, rimasero a dormire a casa di Digory.
Le ragazze aiutarono la signora Macready a rassettare.
«Riportiamo tutti i vasi di fiori nella serra, tranne quelli grandi» disse la governante. «Poi potete andare a dormire»
«Vai pure avanti, Lucy, finisco io» le disse Susan, quando la sorella sbadigliò sonoramente.
La serra era un locale molto grande, colmo della fragranza di mille fiori di specie diverse. Se ne sarebbero potuti vedere anche i colori se non fosse stato così buio.
Susan avanzò di un paio di passi, posando su un tavolo lì vicino il vaso che portava tra le mani. Cercò l’interruttore sulla destra, ma non lo trovò.
D’un tratto, si sentì ansiosa senza capirne il motivo.
Emise un mezzo grido quando, a un colpo di vento, una delle finestre sbatté sui cardini e una civetta emise il suo richiamo. Rabbrividì, un po’ per l’aria fredda e un po’ perché, nelle ombre della sera, le foglie ondeggianti delle piante della serra assomigliavano a strani spettri: facce che ridevano, i rami simili a mani scheletriche che volevano afferrarla.
Finalmente, trovò l’interruttore e accese la luce, tirando un sospiro. Riprese in mano il vaso, mettendolo al suo posto.
Improvvisamente, i rumori della casa si spensero. Fu come se qualcuno le avesse ricoperto le orecchie con dell’ovatta.
Ma udì chiaro e forte un altro rumore alle proprie spalle. Un brontolio che aumentò gradualmente e divenne simile al rombo del tuono o, forse, al ruggito di qualche bestia feroce.
Susan si girò, impaurita, affrettandosi a cercare un secondo interruttore. Era quasi certa ce ne fosse un altro, lì, da qualche parte…
E mentre lo cercava, nella penombra, attraverso i tralicci di edera che ricoprivano la parete di fondo, vide una luce filtrare sotto quella che…ma sì, era proprio una porta! Una vecchia porta di legno nascosta dai rampicanti.
Non ricordava vi fosse...
Spinta dalla curiosità, si avvicinò maggiormente, allungando una mano per scostare i tralicci, liberando quel passaggio a lei ignoto.
Lucy aveva parlato spesso di porte per altri mondi, come quell’armadio che…
Non essere sciocca! E’ una cosa impossibile.
Comunque fosse, non avrebbe potuto scoprire dove conduceva: la porta era chiusa da un pesante lucchetto di ferro. Malgrado ciò, Susan provò a controllare se fosse effettivamente bloccato.
Al primo tocco delle sue dita, il lucchetto scattò e cadde a terra ai suoi piedi.
La ragazza abbassò lo sguardo, aggrottando la fronte.
Si era aperto. Quasi per...magia.
E poi, una voce la chiamò.
«Susy…»
Susan era immobile, gli occhi spalancati ancora rivolti a terra.
Non aveva il coraggio di guardare.
Il cuore prese a battere così violentemente che poté persino sentirlo picchiare contro il petto. Il sangue le fluì nelle vene, arrivando al cervello, riportando in superficie memorie sepolte da tanto, troppo tempo.
Susy…
Solo lui la chiamava così…
Alzò il capo con uno scatto e il respiro le morì in gola.
Davanti a lei, illuminato dalla gloriosa luce del sole che spandeva i suoi raggi dorati su un’immensa valle verdeggiante, c’era un uomo dai capelli scuri, lunghi fino alle spalle, il viso coperto da uno stato di barba.
Lui le sorrise e tese una mano verso di lei.
«Susan?»
«Io ti conosco» mormorò confusa. Non era una domanda.
Chi era? Chi era quell’uomo che la guardava, che le sorrideva? Era sua la voce che le aveva fatto impazzire la mente e il cuore? A chi appartenevano quegli occhi d’onice, così intensi e dolci? Occhi che parevano leggerle dentro cose che vivevano in lei, ma di cui non era a conoscenza.
Susan si specchiò in essi per un momento infinito, cercando invano di ricordare.
Nei bei lineamenti di lui, riconobbe quelli di qualcuno che aveva incontrato in un sogno, o forse nella realtà. In un’altra realtà: un’esistenza a lei negata ma così disperatamente desiderata.
«Sono io, Susan»
Lei fece un passo indietro, impaurita da quello che stava vedendo, credendo d’impazzire.
Perché lo riconosceva, adesso.
Aveva cancellato ogni traccia di lui dalla mente, ma non era riuscita a fare lo stesso con il cuore.
Si portò le mani alle labbra per reprimere un singhiozzo, scuotendo impercettibilmente il capo.
Non poteva essere reale, non lo era mai stato. Non poteva essere…
«Caspian…»
Un sorriso puro e sincero, bello come neanche il fulgore delle stelle avrebbe potuto essere, attraversò il nobile viso di lui.
«Sì, sono io. Non aver paura, ti prego»
Caspian non aveva mai saputo cosa ne fosse stato di lei in tutto quel tempo, ma adesso sì. Ora capiva il turbamento di Susan, il perché fosse così impaurita: aveva dimenticato tutto, anche lui.
Ciononostante, il Re non provò rancore alcuno. Non importava. Niente contava più se non il poterla vedere, udire di nuovo la sua voce, parlarle.
Con lentezza le si avvicinò, tendendole ancora la mano.
Lei abbassò la propria e afferrò quella di lui, stringendola piano.
Bastò quel contato e, in un attimo, la donna che colmava i suoi vuoti dentro un abito da sera, tra feste e divertimenti, ritornò fanciulla; la fanciulla che avrebbe ancora voluto essere ma che qualcuno le aveva detto di lasciar andare, per crescere.
Susan aveva obbedito.
Aveva fatto male, terribilmente, ed ora sentiva che se non avesse liberato un pò di quel dolore ne sarebbe potuta morire.
C’era solo un modo per riuscirci.
Si gettò tra le braccia di Caspian e lo strinse forte, per sentirlo. Sentire che era lui. Che era veramente lui.
Il Re la circondò in un abbraccio saldo, impazzendo al contatto con il corpo di lei, ascoltando la voce di Susan invocare il suo nome tra le lacrime, incessantemente, come una preghiera.
«Caspian…Caspian…»
«Sono qui, mio amore» sussurrò lui, affondando il volto tra i suoi capelli.
La ragazza fece un profondo respiro, mentre le labbra si stendevano in un sorriso. Mai avrebbe creduto di poter udire quella parola pronunciata da lui, per lei: amore.
Furono istanti infiniti. Non seppero per quanto tempo rimasero uniti, senza dire niente, bisognosi di quella vicinanza e di nient’altro.
Poi, Caspian la scostò un poco da sé, prendendole il viso tra le mani.
Era stupenda come niente avrebbe potuto esserlo. Nemmeno nei suoi sogni gli era mai apparsa così meravigliosa.
«Che cosa sta succedendo?» domandò Susan, osservando per un istante il paesaggio al di là della porta. «Che posto è questo?»
«Se te lo dicessi, potrei spaventarti»
«Perché?» mormorò lei, smarrita. «Non so più cosa è reale e cosa non lo è. Ti prego, ho bisogno che tu me lo dica. Sto sognando, vero?»
«No, non stai sognando» le disse lui, accarezzandole il viso, saggiandone con lo sguardo ogni singolo particolare.
Gli occhi di lei erano limpidi laghi del nord, le sue labbra petali di rosa, i suoi capelli seta pura. Passò le dita sulle sue guance, dove leggere lentiggini dimostravano quanto fosse delicata la sua pelle, bianca come raggi di luna.
«Dio, come sei bella…»
Lei sorrise tra le lacrime, sfiorandogli a sua volta i capelli, il viso, le labbra.
«Ho così tante cose da dirti, Susan» Caspian le afferrò la mano e le baciò le dita una ad una. «Sono successe tante cose che tu non puoi sapere, e forse non voglio che tu le sappia. Desideravo solo vederti un’ultima volta»
Lei provò un senso di ansia crescente. «Non capisco. Cosa significa?»
Caspian si fece serio, ma la sua voce era tranquilla. «Il mio tempo a Narnia è concluso. Aslan mi ha concesso di continuare a vivere per poco tempo in questo mondo, prima di raggiungere il Suo regno»
Ascoltando quelle parole, improvvisamente, Susan comprese.
«Va tutto bene, sta tranquilla. Non piangere» mormorò lui, sentendola tremare, asciugando le lacrime che cadevano sul viso di lei.
Susan si aggrappò a lui, disperatamente. «Mi dispiace! Avrei voluto…avrei tanto voluto…»
Caspian le posò un dito sulle labbra. «Lo so. Anch’io. Ma non c’è nulla di cui tu ti debba scusare. Nulla. Non ti porto rancore, sappilo. Stai solo vivendo la tua vita, com’è giusto che tu faccia. Anch’io ho vissuto la mia. Tutto ciò che rimpiango, è non averti mai detto cosa provavo per te»
Il Re si fece molto serio, lo sguardo era caldo.
Lei lo fissava, il cuore in gola, in attesa di udire le sole parole che aveva sempre sognato sentirgli dire.
«Ti amo, Susan. Ti ho sempre amata, con tutto il cuore, e non ho mai smesso di farlo»
Lei chiuse gli occhi, liberando nuove lacrime, di dolore e di felicità.
«Guardami» la pregò.
Susan riaprì gli occhi e si specchiò in quelli di Caspian, perdendosi nell’adorazione di quel nero splendente d’ amore.
«Ti amo» ripeté lui.
«Anch’io»
Il Re infilò una mano tra i capelli di lei. Con l’altro braccio la strinse in vita e, con una leggera pressione della mano, l’avvicinò di più a sé costringendola dolcemente a mettersi in punta di piedi. Erano così vicini da sentire il profumo del respiro dell’altro.
«Possiamo farlo?» chiese Susan, speranzosa, mentre Caspian si chinava sul suo viso.
Lui abbozzò un sorriso. «Io devo. Devo estinguere un debito: un bacio»
Anche lei sorrise.
E poi, quando chiuse gli occhi, Caspian fece lo stesso e sfiorò la sua bocca con la propria.
Rimasero uniti per pochi secondi che parvero secoli, come la prima e unica volta in cui si erano baciati. Fu come essere ancora là, nel piazzale del castello di Telmar. Per un momento, sembrò possibile tornare indietro nel tempo, giurarsi amore eterno con quel bacio, davanti a tutta Narnia; poter rimanere insieme per la vita intera.
Poi, lui si allontanò lentamente. Annegò nel mare azzurro degli occhi di Susan, che con lo sguardo chiedeva di più.
Si abbandonarono quasi subito a un nuovo bacio, più intenso, più vero.
Caspian le schiuse le labbra e lei lo lasciò fare.
Susan non desiderava altro in quel momento. Voleva solo sentire quelle labbra sulle proprie, il loro calore, il loro sapore, e ricambiare tutto ciò come non aveva mai fatto. Gli circondò il collo con le braccia, le dita tra i suoi capelli, stringendolo a sé, lasciandosi stingere ancora di più, tanto da non avere più fiato.
Ansimarono entrambi quando, infine, dovettero respirare.
«Rimani ancora, non andare via» lo implorò Susan, rannicchiandosi contro di lui.
Caspian le accarezzò i capelli. «Resterò con te finché non spunterà di nuovo il sole»
Susan si accorse solo in quel momento che anche nel luogo da cui era arrivato Caspian era scesa l’oscurità. La luce del giorno aveva ceduto il posto alle stelle e alla luna. La valle e le montagne brillavano d’argento.
«Resterò tutta la notte, se tu lo vorrai» disse lui in un sussurro.
Lei percepì un brivido attraversarle le vene. Gli passò le mani sul petto, percependo i muscoli forti sotto gli abiti…e il cuore.
Il cuore batteva ancora.
La mano di Susan si fermò in quel punto e Caspian la strinse.
«Vorrei poter tornare indietro»
«Ma non possiamo» disse lei, accarezzandogli il viso ruvido. «Non pensiamo al passato. Viviamo il presente. Io lo voglio. Voglio stare con te»
«Susan…»
Caspian si chinò ancora su di lei e la ragazza alzò di più il viso.
Le labbra s’incontrarono a metà strada.
Continuarono a baciarsi e scambiarsi sguardi, ancora e ancora, lui quasi per chiederle il permesso di fare qualcosa che li avrebbe portati troppo oltre.
Fu un atto di crudeltà e amore puro l’uno verso l’altro, ma fu inevitabile.
Inevitabile che le loro mani si sfiorassero per poi intrecciarsi, che gli occhi si incontrassero per dirsi ciò che desideravano senza dover parlare.
Inevitabile l’attimo in cui Susan lo prese per mano e lo trascinò fino alla sua camera, mentre sul suo volto si accendeva l’imbarazzo.
Inevitabile per lui sfiorare quelle guance per tranquillizzarla, per farle capire che era solo amore e niente altro.
L’uno davanti all’altra, si ammirarono, incantati. Caspian le accarezzò le braccia nude, e poi il ventre, le spalle, il seno, pronto ad abbandonarsi insieme a lei a quel sentimento rimasto intrappolato nei sogni troppo a lungo.
Susan invocò il suo nome, tra baci e carezze, implorandolo di non lasciarla andare mai. Voleva che Caspian continuasse a stringerla come faceva ora, per tutta la vita. O almeno, per tutto il tempo che era stato loro miracolosamente concesso.
I loro sguardi si fusero, mai sazi di cercarsi, mentre divenivano un solo essere, una sola mente, un solo cuore, una sola anima.
Caspian pianse con lei in quell’unione perfetta, sussurrandole sulle labbra parole d’amore. Toccava il corpo di Susan, la cingeva con le braccia forti, l’accendeva di passione con la sua bocca bramosa, con i suoi baci morbidi e ardenti, continuando ad accarezzarla ovunque, mentre la prendeva e la portava dove mai era stata.
Lei si aggrappò alle sue spalle, travolta da sensazioni indescrivibili, sapendo solo in quell’istante che avrebbe potuto dimenticare ogni cosa ma non quella notte.
Senza fiato, rimasero abbracciati, a lungo, immobili, e non smisero mai di guardarsi.
Caspian interruppe quel contatto per primo, alzando il volto per baciarle la fronte.
«Ti amo»
«Ti amo»
Lui l’attirò a sé, facendole posare il capo sul suo petto.
Il silenzio li avvolgeva, la notte splendeva in entrambi i loro mondi. Il tempo era fermo.
«Non voglio dormire» disse lei dopo un lungo silenzio.
Caspian le strinse piano i capelli nel pugno. «Non posso andarmene finché sei sveglia»
Lei sollevò la testa, impaurita. «Hai detto che saresti rimasto tutta la notte. L’alba è ancora lontana»
Lui le posò una mano sotto il mento, baciandola piano. «Non me ne vado. Non ancora»
«Parliamo» disse Susan d’un tratto, lasciandolo stupito. «Raccontami di Narnia»
Caspian sorrise, stringendola di nuovo.
E rimasero così, parlando a lungo, coccolandosi e amandosi ancora come se avessero avuto l’eternità davanti a loro.
«Un giorno l’avremo» disse Caspian a bassa voce, nel buio.
Lei lo ascoltava, sfiorandogli il petto con tocchi leggeri.
Infine, Susan si addormentò, vinta dalla stanchezza.
Lui rimase a guardarla, ad ascoltarne il respiro lieve e regolare, ad ammirare l’amore. Perché lei era quello per lui: l’amore.
E poi, un fascio di luce entrò dalla finestra, riflettendosi sul corpo della ragazza avvolto dalle candide coperte di cotone. Un dolce calore le sfiorò le guance.
Susan dischiuse le palpebre e non fu certa di essere sveglia.
La stanza era invasa da un pulviscolo dorato che danzava attorno a lei e Caspian, chino sul suo viso.
«Non andare»
«Susy…». Lui la sollevò e la stinse a sé.
«Ti amo, Caspian. Non andare, ti prego!»
«Aslan mi sta chiamando»
Lei affondò il viso nei suoi abiti. «Non è giusto! Abbiamo avuto troppo poco tempo!»
«Avremo l’eternità». Caspian le prese il viso tra le mani, catturando il suo sguardo per l’ennesima volta. «Vivi la tua vita per me, Susan. Non ti arrendere davanti a niente. Sii forte, e credi. Veglierò sempre su di te»
Lei inspirò forte, le labbra le tremarono. «Sì. Ti prometto che sarò forte. Ti prometto che proteggerò il nostro amore, per sempre».
Lui passò il dorso della mano sul suo viso, tracciandone il profilo. «Apri il tuo cuore ai sogni, dolce Susan, non permettere a nessuno di portarteli via. Io sarò là, qualche volta»
Lei fece un sorriso stentato. «Ti aspetterò. Non ti dirò addio»
«Non devi mai dire addio» Caspian posò la fronte a quella di lei, chiudendo gli occhi. «Ti ho aspettata per tutta la vita. Ti aspetterò oltre la vita»
La baciò un’ultima volta, abbracciandola finché poté sentirla accanto a sé.
La luce del sole si fece più intensa, e se Susan avesse avuto gli occhi aperti non sarebbe riuscita a continuare a guardare in viso Caspian.
La luce inondò la stanza in un’esplosione dorata, illuminando le loro figure strette l’una all’altra come fossero un solo essere. Quel nuovo giorno sembrò voler suggellare quel loro amore eterno che sarebbe sopravvissuto ad ogni cosa, anche alla morte.
Una lacrima brillò come un diamante sul viso di lei.
Ed infine, Susan si svegliò davvero.
Era sola nel chiarore del mattino, ma il calore del corpo di lui ancora l’avvolgeva.
Afferrò il cuscino su cui Caspian aveva posato il capo quella notte, lo strinse, inspirando il suo odore.
Non riuscì a non farsi sopraffare di nuovo dalle lacrime. Tuttavia, non era mai stata così felice.
Ora sapeva che si sarebbero rivisti e sarebbero rimasti insieme per sempre.
Realmente per sempre.
Lo avrebbe sognato, spesso, vivendo la sua vita per lui, trovando la forza, proprio come gli aveva promesso.
Avrebbe ritrovato la vera sé stessa, ricongiungendosi con Aslan, ringraziandolo per quel miracolo.
Avrebbe ricominciato a sorridere, a sognare, sperare e credere.
Soprattutto a credere.
«Susan, ti senti bene?» le chiese Lucy poche ore dopo, sedendo accanto a lei sul prato.
«Sì, tutto bene»
«Sembri diversa, oggi»
Susan non rispose. Invece, chiuse il libro che portava sulle ginocchia e domandò:  «Mi devi dire qualcosa?».
«Sì, in effetti. Vedi, ieri sera Eustace ha raccontato a me e Edmund alcune cose che…riguardano Narnia».
Lucy si morse un labbro, aspettando che l’altra protestasse.
Ma Susan non lo fece, rimanendo in attesa che la sorella continuasse.
«Volevamo raccontare tutto al più presto anche a te e Peter, appena dopo la festa, ma tu eri già andata a dormire. Così abbiamo aspettato questa mattina ma…forse tu non vuoi…»
Susan sorrise appena. «So già tutto, Lucy»
«Lo sai?» chiese quest’ultima, alquanto stupita. «E come fai a…»
«Anch’io ho qualcosa da raccontarvi»
E mentre si alzavano per tornare in casa, Susan sollevò il viso verso il cielo, dove una singola, enorme nuvola bianca dalla forma di un leone correva incontro al sole, dove c’erano le Terre di Aslan.
Caspian era là che l’aspettava.
Un giorno, anche lei sarebbe stata libera di correre così, tra le sue braccia, per non lasciarlo mai più. Quando, finalmente, avrebbero iniziato a vivere davvero, insieme.
Non era stato un addio.
Non c’era bisogno di dire addio.

 
 
 
Cari lettori, chi di voi mi segue su facebook, sapeva già che questa OS era in cantiere da un po’ e avrà detto ‘era ora’ nel vederla postata. Lo so, ci ho messo parecchio, ma non mi convincevano alcuni punti e sapete che se una cosa non mi soddisfa in pieno, non la pubblico.
Questa one-shot non ha nulla a che vedere con le altre mie storie su Narnia, ma è un finale alternativo del libro La Sedia d’Argento. Mi sono attenuta alla storia originale per quanto riguarda le sorti di Susan, che ha lasciato Narnia e non vi farà mai ritorno. Ma…come sapete ormai tutti, non posso vivere senza i miei Suspian insieme! Per cui eccoci qui, con la speranza che un giorno si rincontreranno nelle Terre di Aslan e staranno insieme per l’eternità!!! *.*
Aspetto commenti, sia positivi che negativi (si sa mai) e se volete chiedermi qualcosa, mi trovate sia sulla mia nuova pagina facebookdove parlo esclusivamente delle mie storie su Narnia; oppure QUI, come al solito.
Grazie a tutti voi che leggerete!!!
Un bacio, Susan♥

 
   
 
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