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Autore: MaxT    12/10/2008    12 recensioni
Ritrovando un suo vecchio diario, Will ricorda una pagina dolorosa del suo passato.
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Wilhelmina (Will) Vandom
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il viso di mia madre si storce dubbioso davanti al responso ambiguo del termometro. “Trentasette e uno. Potresti anche andare a scuola, Will”.
Ma dov’è quella mamma premurosa e protettiva di una volta? Quando si parla di responsabilità, mi tratta sempre più come un’adulta. Quando si parla delle mie libertà, invece, devo sempre lottare con le unghie e con i denti.
“Mamma, non è giornata”, dico con viso sofferente, avvolgendomi di più nelle mie calde coperte. “E i tremiti alle ginocchia?”. Le scuoto leggermente. “E il cerchio alla testa?”. Calo le palpebre a mezz’asta sugli occhi sofferenti, mentre mi premo una tempia.
Mi guarda scettica. Adocchia il libro di fisica abbandonato aperto sul pavimento, ai piedi del letto, e lo solleva con due dita per un angolo della copertina, come un pesce morto e marcio.”E questo?”, chiede, inquisitoria.
Mi prendo la testa fra le mani. “Se mi interrogasse in fisica, il massimo che saprei dirgli è il peso specifico del piombo fuso che mi sento in testa! Si sta un attimo, a rovinarsi la media del quadrimestre!”.
Il suo sorriso è sempre più scettico. “Eccolo, il virus!”.
Mi sprofondo nelle coperte. “Proprio non mi sento di uscire. E se prendo vento, la febbre…”.
Lei guarda, fuori dalla finestra, le cime immobili degli alberi. “Non c’è vento, oggi. Riprova domani!”.
Come può essere così insensibile? “Ma se tu dovessi andare a scuola in bicicletta, come faccio io, non prenderesti sottogamba un trentasette e uno!”.
Mia mamma si arrende. “E va bene, Will”, esala.  “Resta pure a casa!”.
“Grazie, mamma”, rispondo gioiosa, poi riguadagno il mio contegno malaticcio.
Lei osserva il libro di fisica, appoggiato a terra ai suoi piedi. Il suo sguardo si volge verso la scrivania, ingombra di quaderni e cornicette di foto, per poi muoversi sulle mensole popolate di rane di peluche, ed infine spazia sul pavimento cosparso di vestiti e calzini.
Ho già capito che questo riposo avrà il suo prezzo.
“Will, questa camera è un disastro. Questa mattina troverai il tempo per riordinarla che ti è mancato negli ultimi quindici giorni”.
“Ci proverò”, rispondo, mentre tutti i miei sintomi si riacutizzano.
“Volere è potere, Will. Non sei più una bambina!”.
Ecco. Cosa vi avevo detto?

Una mezz’ora dopo, quando il soffitto della mia camera non ha ormai più misteri per me, mi tiro a sedere sul letto: sarà il caso di cominciare l’opera.
In dieci minuti, calzini e indumenti hanno trovato la loro sepoltura nella cesta della biancheria, le rane di peluche sono di vedetta ai loro posti usuali, e sono pronta per affrontare la parte più impegnativa: carte e libri.
Finora la soluzione al disordine della scrivania ha avuto una cristallina semplicità: spostare le carte dai ripiani ai cassetti.
Purtroppo, già da qualche tempo ho dovuto constatare che la cassettiera tracima.
Mi immagino già: “Mamma, non ho potuto riordinare il tavolo perché non c’era più posto nei cassetti”. E lei: “Will, speravo che fosse finita l’età in cui si cercano scuse per ogni cosa, e che fosse iniziata quella in cui si trovano le soluzioni alle piccole difficoltà”.
Meglio risparmiarsela. Dovrò riordinare i cassetti, separando il grano dall’olio… dal loglio… da quella roba lì, insomma.
Cassetto uno. Sotto uno strato di fotocopie di scuola e tre notes esauriti, ci sono alcune lettere della Federazione di Nuoto. Sorrido, riconoscendo una missiva di congratulazioni per una medaglia d’oro. E’ quella che fa bella mostra di sé sul muro, accanto alla foto ricordo che riguardo ogni sera.
Alle lettere fa seguito un altro strato di notes esauriti e stropicciati, intervallati da cartoline e bigliettini lasciati tra le copertine come fossili di ere geologiche ormai dimenticate.
Li sfoglio. Appunti di scuola…Via! Ah, no, qui c’è un numero telefonico di paternità incognita… qui un disegnino con dedica dell’amica Hay Lin… Mi sa che è meglio tenerli tutti.

E questo… un diario! Il mio ultimo diario, rosa e bianco, con l’adesivo di un ranocchio che impreziosisce la copertina!
Lo sfoglio, mentre il cuore comincia a battermi più velocemente. Non lo aprivo da tre anni. Anzi, ad essere sincera, non l’ho più riaperto dopo avere scritto l’ultima pagina.
Forse dovrò affrontare quel passato. Forse dovrei cominciare a farlo adesso.
Non ci sono segreti terribili in questo quaderno. Queste pagine sono state scritte da una ragazzina di dodici anni quando era ancora felice. Quello che pesa è ciò che è successo dopo scritta l’ultima.
Con coraggio, lo apro a caso, mentre qualcosa mi brucia dentro, e ne scorro velocemente dei passi.
Per un attimo, mi viene da sorridere con tenerezza quando leggo il racconto di un pomeriggio felice di tre anni fa, passato giocando a monopoli a casa della mia amica Lara. C’erano anche Jenny e Louise. Anzi, più che sorridere, mi viene da piangere, poiché, in seguito, i nomi di queste ragazze hanno voluto dire tutt’altro, per me.
Le cose erano partite così bene, quando iniziai la prima media a Fadden Hills…
Sfoglio qualche altra pagina.
Ecco, qui parla della professoressa Pibbleton. La nostra giovane prof di letteratura. Racconta di una volta che mi prese in disparte a parlare, come se fossimo amiche. Mi sentii grande. Lei mi piacque subito, ed io piacqui a lei.
No, ora non posso affermare con sicurezza di esserle piaciuta. Allora sentivo che era così, ma solo di recente ho saputo che le ero stata raccomandata da Kadma, la ex-guardiana che vegliava su di me. Quando quella vecchia odiosa me l’ha detto, ha rovinato il ricordo di una delle poche persone su cui ho contato fino alla fine della mia vita a Fadden Hills. Prima avevo sempre creduto che la Pibbleton mi avesse scelta per qualche affinità.
Giro qualche altra pagina.
Qui racconta di una domenica pomeriggio con mia mamma. Mio padre non c’era. Mancava spesso da casa.
“Tuo papà lavora tanto”, mi diceva sempre lei, abbracciandomi e carezzandomi, “per guadagnare abbastanza da comprarci una casa da sogno”.
Parlavamo spesso di questa casa e delle ore felici che avremmo passato tutti e tre assieme, alla fine di quello sforzo.
Quella domenica pomeriggio mi ero procurata l’ennesima rivista di architettura, con foto e prospetti di case dei migliori architetti. Le guardavamo, distese sul lettone, e io dicevo cose come: “Ecco, il pavimento della cucina potrebbe essere come questo”,  o “Le finestre a giorno così ci darebbero tanta luce…”.
Buttai giù qualche schizzo un po’ tremulo su un blocco a quadretti. Lei li osservò con un sorriso un po’ amaro, e mi accarezzò senza guardarmi negli occhi.
Non era la prima volta che notavo questo, ma allora non sapevo spiegarmelo. Avevamo passato tante sere, tante domeniche da sole, e questo argomento era uno dei nostri preferiti. Però, pian piano, avevo cominciato a sentire come se ci fossero incrinature nella voce di mia mamma. Mi guardava poco negli occhi e mi accarezzava troppo, come se avessi bisogno di essere consolata. Come se non credesse in ciò che raccontava.

Questa è l’ultima pagina del diario. Quella domenica notte cominciai a capire.
Mi svegliai sentendo mio padre che rientrava. Non mi riaddormentai subito: mi aspettavo che entrasse quatto quatto, mi desse un bacino sulla fronte e mi rassettasse delicatamente le lenzuola.
Invece sentii che lui e mamma discutevano. Non riuscii a distinguere le parole, solo i toni. Lei era astiosa, irata. Lui cercava di essere conciliante.
Da quella volta, feci più fatica a prendere sonno, così mi accorsi che discussero in quel modo anche altre volte.
Una notte, mi sembrò che mia madre fosse molto arrabbiata. Ebbi paura che lo avrebbe scacciato di casa. Quando non ne potei più, piombai nella loro camera, piangendo e gridando ‘Basta!’.
Lui sembrava calmo, e la rimproverò. ‘Susan, lo vedi che così fai piangere Will?’.
Lei lo squadrò torva, senza più rispondere.
Quello sguardo d’odio per lui mi restò impresso, e fu il primo vero sfregio sul mondo della mia infanzia. Allora mi risentii con mia mamma. Ho impiegato anni per capire quanto quell’odio fosse meritato.
Non li sentii più litigare, la sera, né la mattina: si rispondevano educati e glaciali, e qualche volta mia madre si girava per celarmi l’astio per lui che aveva negli occhi.
Dopo quella notte, lei non provò più a consolarmi con i suoi racconti. Pian piano, capii che la casa nuova e la famiglia felice stavano seguendo le altre favole della mia infanzia verso il loro limbo.

Andò avanti così per mesi, fino all’epilogo. Quella sera li sentii litigare furiosamente. Corsi alla loro camera, ed ascoltai da oltre la porta chiusa, senza il coraggio di entrare, né di fuggire via. Mia madre lo stava accusando di avere venduto la casa dei genitori di lei. Di avere falsificato firme e documenti, corrompendo un notaio.
Mio padre replicava gelido alle sue accuse, sempre con le stesse parole: la vendita è stata regolare. Alla fine, quando lei gli chiese cosa avesse fatto del ricavato, lui rispose che lo aveva impiegato anche per la loro figlia. Non avrebbe mica voluto, lei, che qualcuno potesse nuocere alla piccola Will?
Non capii la risposta di mia madre. La sibilò lentamente, ma credo che ogni singola parola pesasse come un macigno. Dopo, ci fu solo un lungo silenzio.
Mio padre uscì dalla camera. Si fermò. Mi guardò, sorpreso. Capì che avevo sentito tutto. Ad occhi bassi, mi fece un’ultima carezza sui capelli, poi prese la porta e sparì.
Mia madre mi venne incontro. Mi abbracciò convulsamente, senza parlare. Dormimmo strette l’una all’altra, un sonno popolato da incubi, senza dire una parola fino al mattino.

Il periodo che seguì fu difficilissimo, per me. Mi appoggiai alle mie compagne di classe. All’inizio cercarono di consolarmi, a modo loro. Mi invitavano a ogni festa, cena, gita di gruppo… ma non era questo che mi serviva. Provai ad inserirmi, ma era uno sforzo. Mi sembravano così lontane quando pensavano a divertirsi e farmi divertire… Dopo un po’, mettevo il muso, o prendevo in disparte una di loro e mi sfogavo per tutto il resto della serata.
A scuola, la prof Pibbleton fu meravigliosa, o almeno la sentii così. Sopportò per mezze ore i miei sfoghi. Tornò a spiegarmi diverse parti delle lezioni che non riuscivo più a seguire bene, e più di una volta chiuse gli occhi quando mi presentai impreparata. Anche altri insegnanti furono indulgenti con me, in quel periodo. Col senno di poi, si rivelò un errore.

Come tutte le cose, anche la scuola finì, quell’anno. La prima media.
All’inizio delle vacanze cercai un po’ le mie compagne. Loro, per contro, non mi cercarono mai di loro iniziativa. Chi in vacanza, chi con altri impegni, ci vedemmo pochissimo, e quasi sempre per caso.
Mio padre non tornò mai di persona, però telefonò più di una volta, chiedendo anche di me. Fu quasi sempre mia madre ad intercettare le telefonate ed a negarmi, e presto fece dirottare tutte le chiamate in arrivo sul suo cellulare.
Quantomeno, io avevo la conferma che il mio papà mi voleva ancora bene e, per quanto pesanti fossero le sue colpe, ciò mi consolò un po’.
Fu un’estate pesante e solitaria, ma alla fine la ferita si stava rimarginando. Ero riuscita un po’ a farmi una ragione della separazione dei miei genitori..

All’inizio della seconda media, volevo ricominciare a vivere. Il  primo giorno di scuola, quando vidi da lontano le mie compagne, ero felice, e corsi loro incontro. Volevo parlare di vacanze, di mille sciocchezze… ma dopo le prime parole, rimasi agghiacciata.
Non solo quell’atteggiamento sfuggente dell’estate prima si era accentuato fino ad essere dolorosamente evidente, ma lessi nitidamente i loro pensieri, come se ciascuna di loro parlasse tra sé. Parole di imbarazzo, insofferenza, quasi di rancore.
Fu orribile. Questo colpo mi arrivò inaspettato, senza niente che me lo lasciasse presagire.
Quella volta piansi, urlai, senza che le altre capissero il perché. Si disse che ero scoppiata, ed era vero. Ma non per la separazione dei miei, come pensavano tutti.
Anche se non mi capitò più di percepire i pensieri, il resto dell’anno scolastico fu un lento incubo. Le mie vecchie amiche, imbarazzate, mi evitavano apertamente.
Su insistenza della Pibbleton, fui visitata da una psicologa.
Era un essere ipocrita e presuntuoso. Si presentò con parole suadenti e comprensive, ma mirava solo a classificarmi nei suoi schemi precostituiti.
All’inizio mi fidai di lei, le dissi tutto. Fui così sciocca da raccontarle persino di aver sentito i pensieri delle mie compagne.
Lei mi fece parlare a lungo, annuendo e facendo domande pertinenti, come se mi credesse.
Poi, un giorno, trovai tra le carte di mia madre una sua relazione scritta in linguaggio criptico. Rileggendola molte volte, capii solo che mi considerava una mezza pazza depressa e allucinata. Non volli più rivederla, naturalmente.
Comunque, mi prescrisse delle pilloline. Prozac. Masticai amaro, ma devo ammettere che mi aiutarono a sopportare l‘isolamento nei nove mesi di scuola successivi.

A distanza di tempo, pensare alle mie vecchie amiche mi fa ancora male. I loro visi, li ricordavo sempre come erano quel giorno di settembre, con un sorrisino falso che spariva non appena credevano che non le guardassi più, ed i loro pensieri come pugni in faccia a tradimento.
Questo diario, per un attimo, me le ha fatte rivedere com’erano prima di quell’incubo.
Era meschina, Lara? Lo erano Louise, Jenny e le altre? L’ho pensato tante volte, in passato.
Eppure ora, tentando di essere onesta, non posso crederlo. All’inizio hanno tentato di aiutarmi, anche se in modo sbagliato.
E io, cos’avrei fatto al posto loro? Non so rispondermi.
Di certo, non sospettavo che i miei sfoghi potessero pesare loro tanto, o che l’indulgenza di alcuni insegnanti potesse tirarmi addosso un tale risentimento.
O sono io che non l’ho voluto capire subito? Ero giovane e ingenua.  Come si idealizza l’amore, io idealizzavo anche l’amicizia. Mi sembrava scontato che delle vere amiche dovessero ascoltare con benevolenza le mie tristezze sempre diverse e sempre uguali.
Io avrei fatto così per una vera amica, mi dicevo.
Pensavo che si fosse amici per sempre.
Per sempre, mai… forse queste due parole sono gli ingredienti ricorrenti di troppi dolci avvelenati: illusioni, miti, frasi altisonanti e melodrammatiche che separano il nostro mondo ideale da quello vero. Forse crescendo si capisce dove finiscono i bei miti, e cosa ci si può davvero aspettare dagli altri.

Arrivai ad Heatherfield ad anno scolastico iniziato, dopo un’altra estate passata a chiedermi cos’avevo di sbagliato io, e cosa il mondo.
Mi ero portata dietro tutti i miei fantasmi da Fadden Hills. Solitudine, isolamento, sfiducia in me e negli altri.
Forse anche qui mi sarei trovata nello stesso modo. La realtà spesso risponde alle nostre attese, soprattutto a quelle peggiori.
Qualcosa decise diversamente. Due giorni dopo il mio arrivo, la saggia Yan Lin cambiò la mia vita e quelle di altre quattro compagne appena conosciute, affidandoci una missione mai immaginata, e mettendoci davanti ad un talismano che avevamo creduto solo un sogno.
Perché sono stata io la predestinata ad unire le Guardiane della Muraglia? Perché il Cuore di Kandrakar è stato affidato ad una ragazzina fragile come me? Tuttora non lo so.
E’ un paradosso: ho quattro care amiche con le quali condivido una vita segreta, ma loro non sanno nulla di questo mio passato, e forse non lo sapranno mai. Non rischierò di risvegliare questi fantasmi con un racconto.

Apro la mano. Il Cuore di Kandrakar risponde alla mia evocazione, e si libra sfolgorante sul mio palmo, inondandomi di luce rosata.
Grazie, Cuore. Tu mi hai cambiato la vita. Hai fatto di me una persona nuova. Mi hai costretta a mettere in disparte le mie miserie, e tirare fuori il meglio che avevo in me.
Mi hai unita a quattro amiche meravigliose con uno scopo comune, un segreto comune, una storia comune che sono riusciti ad avere la meglio sui nostri egoismi, le nostre tristezze, i nostri dubbi.
E grazie anche a te, vecchio diario, riemerso dal passato a ricordarmi di giorni felici che erano stati dimenticati; tornato a insegnarmi che il buio, così come ha avuto un inizio, può avere anche una fine.
 
 
 

Note dell’autore

Ho scritto questo racconto per il concorso di “I diari degli eroi”, con tema principale Segreti e confessioni, e tema secondario il diario.
Non mi dilungherò a spiegare l’ ovvia attinenza del racconto con il tema del diario; per quanto riguarda il segreto, nel racconto ne entrano almeno tre:
• uno è la vita segreta delle Guardiane della Muraglia, segreto condiviso tra le cinque WITCH e quasi nessun altro;
• l’altro, il vero oggetto del racconto, è la storia triste che, pur essendo di dominio pubblico per la madre di Will e per tutti quelli che la hanno conosciuta prima del trasferimento ad Heatherfield, Will ha rimosso, e mai confidato alle nuove amiche per paura di poter nuovamente apparire vittimista;
• il terzo segreto, incautamente confidato alla psicologa, è stato l’aver percepito i pensieri delle amiche.

Per chi conosce la saga di W.I.T.C.H., questo racconto si rifà soprattutto ad una breve storia pubblicata sullo  Speciale Un anno prima, in cui Will appare inaspettatamente ed inspiegabilmente emarginata dalle amiche di Fadden Hills,
I nomi della professoressa Pibbleton, di Lara, Louise e Jenny sono stati estrapolati dallo speciale già citato.
E’ interessante notare che solo in quello speciale Will dà prova di poter leggere i pensieri, potere che non viene mai più ripreso in alcun altro numero, come se l’orribile delusione di scoprirsi emarginata glielo avesse bloccato.
Secondariamente, questo racconto si rifà alla minisaga del deludente ritorno di suo padre nei numeri 24, 25 e 26.
Ci sono anche riferimenti all’ incontro con Kadma nel n.19, e soprattutto al leggendario n.1, in cui i pensieri e la mimica di Will appena arrivata a Heatherfield dimostrano il suo carattere ed i suoi atteggiamenti introversi e  sfiduciati,  prima della rivelazione di Yan Lin e della consegna del Cuore di Kandrakar.

Ho estrapolato la parte centrale del racconto da un capitolo non ancora pubblicato della mia long-fiction  Profezie dove, in un contesto del tutto diverso, Will racconta a Cornelia questa storia; la parte iniziale e finale, invece, sono state costruite ad hoc per inserire il tema del diario, del segreto e un finale adatto ad una storia autoconclusiva.

Una mia considerazione che ho preferito non inserire nel racconto per non appesantirlo: Will smise di scrivere il diario per non essere costretta ad ammettere con sé stessa, per iscritto, ciò che aveva già intuito, cioè che la sua famiglia si stava sfaldando.
Questo fu un errore: il diario le avrebbe potuto fornire uno sfogo alternativo per non pesare troppo sulle amiche, ed avrebbe potuto aiutarla a rendersi consapevole per tempo di certi suoi atteggiamenti e dei loro possibili effetti sulle altre persone.

Ringrazio di cuore Rowena e CDM per le loro correzioni e per i loro suggerimenti, anche se non sono stato in grado di applicarli per intero.

Un doveroso disclaimer: la serie W.I.T.C.H. ed i personaggi sono proprietà della Disney, qui usati senza scopo di lucro e senza intenzione di violare alcun copyright. La presente storia, invece, è di proprietà del'autore MaxT, che se ne assume in pieno la responsabilità.
 
 

  
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