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Autore: ellephedre    16/10/2008    53 recensioni
Ambientato subito dopo la fine di Sailor Moon Stars, la quinta serie.
Al termine della battaglia non è stato tutto così semplice. Eppure, dopo la fine del dolore può esserci gioia, perché c'è vita. Per Usagi, per Mamoru. E per tutti gli altri.
Genere: Commedia, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mamoru/Marzio, Usagi/Bunny | Coppie: Mamoru/Usagi
Note: Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quinta serie, Dopo la fine
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Oltre le stelle Saga' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Oltre le stelle

Autore: ellephedre

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.

Terza parte - Amarsi

Ed erano andati.
Per un lungo momento, Usagi si sentì invadere da una profonda sensazione di malinconia: l'arrivederci poteva essere un addio.
Seiya, Yaten, Taiki, Kakyuu... se è addio, siate per sempre felici.
Lasciò perdere la tristezza: certo che lo sarebbero stati, si disse. C'era pace per tutti ora. Anche sulla Terra.
Voltò la testa di lato. «Ragazze, vi va di incontrarci domani pomeriggio?»
Minako si illuminò. «Per un po' di all-girls time?»
Eh? «Ehm, se ho capito bene quello che hai detto, sì. Rei, possiamo stare da te?»
«Sicuro. Che ne dite delle tre?»
Usagi annuì e così fecero le altre.
Le sue care amiche. Compagne di battaglie, sorelle nell'anima.
Aveva bisogno di passare del tempo anche con loro.

Si salutarono all'uscita della scuola.
Con un ultimo sguardo, Usagi le osservò voltare l'angolo oltre il muro di cinta dell'istituto.
Come aveva potuto non confidarsi con loro? Aveva sbagliato. Era stato un errore tremendo non fidarsi delle sue amiche. Avevo mentito anche a se stessa, rifiutandosi in prima persona di vedere la realtà. Non ne aveva parlato con nessuno per non rendere l'abbandono fittizio di Mamoru più reale e doloroso. Aveva lasciato passare i giorni nella speranza che una chiamata di lui risolvesse tutto, senza costringerla mai ad ammettere che era stata... dimenticata, lasciata.
Quanto era stata stupida.
Stupida, amiche, tremendamente sciocca. Riuscirete a perdonarmi?
Loro l'avevano sempre perdonata, forse anche quando non avrebbero dovuto; si comportavano sempre così con lei. Era care e ottime amiche, le migliori che una scioccherella come lei potesse mai sperare di avere.
Proprio perciò, si disse, doveva rivelare loro tutto, ogni sua più piccola motivazione. Non doveva mai permettere che immaginassero che non aveva avuto fiducia nella loro capacità di aiutarla. Non dovevano assolutamente credere che le avesse lasciate volontariamente da parte.
Annuì tra sé, decisa.
Scorse un'occhiata silenziosa di Mamoru, che camminava accanto a lei; non le chiese nulla, la lasciò ai suoi pensieri.
Era troppo buono anche lui. Da quando era tornato, sorridere era diventato di nuovo meravigliosamente semplice. «Mamo-chan?
»
«Hm?»
«Spiega un po' cos'ha detto Minako. Cos'era quello strano suono davanti a girls e time? Ah, ragazze e tempo, giusto?»
Lui annuì. «Ha detto 'all'. Significa 'tutto' ma in questo caso anche 'solo'. Una buona traduzione dell'espressione usata da Minako sarebbe 'tempo per sole ragazze'.»
«Ma è la stessa parola che significa due cose diverse!» Non trattenne il sospiro di rassegnazione. «Ecco perchè non imparerò mai l'inglese.»
«Non è vero.» Si sentì prendere la mano. «Anche il giapponese è una lingua difficile, eppure la conosci bene. Si tratta solo di afferrare la mentalità dietro un idioma, impararne le regole ed i vocaboli. Se vuoi, ti darò delle lezioni intensive per aiutarti.»
Lezioni? Oh, era sempre il solito. «Mi metti in difficoltà se metti insieme una delle cose che amo di più, passare del tempo con te, con una delle cose che odio di più, studiare. Non puoi pretendere che scelga.» In parte era uno scherzo, ma non del tutto.
Lui tirò fuori un sorriso e le chiavi dell'auto. Le avvicinò alla portiera. «Hai lasciato qualcosa nel mio appartamento, giusto? Se vuoi, andiamo a prenderlo e poi ti porto a casa.» Rifletté. «O puoi lasciarlo da me e magari venire a recuperarlo domani.»
Usagi si morse le labbra. Già. «Ecco, veramente...» Si fece coraggio. «Nello zaino che ho lasciato nel tuo appartamento c'è un pigiama. Stamattina...» Eliminò il sorriso nervoso. «Beh, ho pensato che per un po' non volevo starti lontana. Alla mamma ho detto che sono in gita con le ragazze, quindi... non ci sono problemi. Se per te va bene.»
Gli andava bene, capì subito. Anzi, era raro vedere una simile luce nel viso del suo Mamo-chan: lui non riuscì proprio a nasconderla.
«Ma certo. Allora torniamo a casa mia a cenare.»
Usagi annuì soddisfatta e salì nella macchina appena aperta.
Mamoru accese l'auto e partì, tranquillo e sereno. Non avrebbe mai potuto proporre per primo quella soluzione e che l'avesse fatto Usagi era stato insperato e liberatorio. Continuava a sentire il bisogno di averla accanto a tal punto che avrebbe finito col presentarsi a casa di lei il giorno seguente, probabilmente non più tardi del primo raggio di sole. Per fortuna, non doveva più preoccuparsi di imbarazzarsi in quel modo. Usagi avrebbe dormito nel suo appartamento ed era tutto sistemato.
Costringere gli angoli della bocca a non andare ancora più in alto gli risultò molto difficile: il pensiero di poter riposare assieme a lei, di poterla vedere prima di addormentarsi, semplicemente girandosi nel letto, era-
No. «Il divano...» Deglutì. «E' un divano letto. Posso dormire io lì, come preferisci.»
Usagi annuì debolmente. Giusto, pensò. Il letto.
Quella stessa mattina aveva avuto un solo pensiero in merito: non lo aveva giudicato un problema. Avrebbe dormito nello stesso letto di lui, ovviamente.
Non voleva più sognare la sua morte senza poter constatare subito che era stato solo un orribile incubo. Prima di addormentarsi voleva poter udire il suo respiro lento nel buio della stanza e la prima cosa in cui voleva perdersi, la mattina, erano i sui occhi blu, che le erano mancati per troppo tempo.
Era un'immagine talmente bella che dormire insieme, per un momento, continuò a sembrarle solo un'ottima idea.
Ma non lo era più, non del tutto.
Quella mattina...
Ricordò il loro primo bacio, pieno di... passione, non sapeva come altro definirla. E non si era mai manifestata così, tra loro. Lei stessa aveva desiderato quel bacio come poco altro in vita sua; aveva voluto il corpo di lui stretto al suo, sopra il suo, contro il suo. E quando i loro bacini si erano strofinati... Il fiato le mancava ancora.
Inutile girarci attorno, no?
Sesso.
O, nel loro caso, fare l'amore.
Ma, meccanicamente, sempre sesso.
Lei non ci aveva mai pensato in maniera... concreta. Le poche volte che aveva tentato di immaginarlo era arrossita come una bambina, persino di notte e nell'oscurità della sua camera, completamente da sola. Aveva preferito tornare a concentrarsi sul pensiero dei baci, ché quelli da soli bastavano a farle battere il cuore nel petto quanto desiderava.
Ma ora... ora era successo tutto e allo stesso tempo niente, però come avrebbe potuto tornare a pensarla come prima?
Il loro rapporto aveva fatto un grosso balzo in avanti, forse troppo rapidamente per un passo simile, e ora lei aveva un'idea di cosa avrebbe provato. Soprattutto, aveva un'idea di cosa si provasse a desiderare di fare qualcosa di simile.
Una parte di lei, folle e audace, già bramava l'esperienza, ma un'altra parte di lei, quella che continuava a prevalere, non si sentiva ancora pronta.
E Mamoru? Lui non aveva mai spinto in quel senso, non le aveva mai fatto sentire alcuna pressione, nonostante fosse più grande e forse per lui...
Si ricordò improvvisamente di qualcosa di molto importante.
Guardò rapidamente fuori dalla finestra, identificando i propri dintorni. «Mamo-chan, ti dispiace lasciarmi qui?»
Stupito, lui iniziò a rallentare. «Perché?»
Non appena la macchina si accostò al marciapiede, Usagi uscì. «Devo comprare una cosa.» Prese dal sedile la propria borsa. «Non aspettarmi, ormai siamo quasi arrivati a casa tua. Faccio quel che devo e poi arrivo.» Chiuse la portiera.
La sorpresa di lui non era scomparsa: la guardava incerto da dietro il finestrino aperto.
«Avanti, vai!»
Mamoru si ritrovò a premere sull'acceleratore, tornando in strada.
Davanti al semaforo rosso alla fine della via, si fermò.
Cosa diavolo le era preso?

Usagi si diresse di corsa verso la pasticceria che aveva visitato quella stessa mattina.
Era il tre agosto... il compleanno di Mamoru!
Si era dimenticata del suo compleanno!
Erano giorni che ci stava pensando, sperando magari che lui si facesse sentire per quella data, desiderando con tutto il cuore che il calendario segnasse i fatidici tre e otto insieme. E quel giorno era arrivato senza che lei nemmeno se ne accorgesse.
Neanche lui lo ricordava, ne era sicura.
Non era tipo da aspettarsi feste, regali o anche solo auguri, ma era comunque certa che non ricordasse. E come poteva, d'altronde?
Lei trovò la pasticceria aperta, fortunatamente un negozio ad orario prolungato.
Diede fondo ai suoi risparmi e comprò la torta più bella tra quelle esposte in vetrina. Portarla a casa fu una vera soddisfazione.
Casa.
Casa era la casa dei suoi genitori, la casa dove si trovava la sua stanza, la casa che aveva ospitato la cameretta di Chibiusa.
Eppure, ora le sembrava casa anche l'appartamento del ragazzo che amava.
Sapeva di avere solo sedici anni, sedici anni che nei momenti più difficili le erano sembrati trenta. Cento, persino.
E Mamoru ne aveva solo diciannove, compiuti quello stesso giorno.
Eppure, immaginò ugualmente che la sua casa fosse anche quella di lui, di poter tornare ogni giorno nel suo appartamento e vivere e dormire lì, stando con la persona che amava sopra ogni altra cosa.
E... non le sembrò più un concetto assurdo e impossibile, ma un sogno dal sapore concreto.
Sì, era quasi pronta a vedere quel progetto diventare realtà.
Si fermò un attimo sui propri passi, spaventata dall'idea... di non esserne spaventata. Durò qualche secondo, perché la sua mente, o forse il suo cuore, scalpitavano per viaggiare in quella direzione almeno col pensiero e lei non era in grado di fermare né l'uno né l'altra.
Vivere insieme.
Le si accese un sorriso che non volle interrompere.
Vivere insieme.
Forse quando avrebbe compiuto diciotto anni, pensò. Forse potevano sposarsi subito dopo.
Alzò la mano per guardare l'anello che portava al dito.
Magari anche Mamoru lo avrebbe voluto.
Fino a quel momento lei aveva desiderato immensamente di poterlo sposare un giorno futuro, ma in maniera idealizzata, sognatrice. Ora invece lo voleva davvero.
Tempo, si ricordò. C'era da ancora aspettare. Per adesso, si disse, potevano iniziare a trascorrere ancora più giorni e sere assieme, magari.
Rise tra sé e sé, sentendosi riempire di un amore dolce e insistente.
Sì, più tempo assieme, perché non voleva mai più stargli lontana.
Riprese a camminare.

Quando entrò nell'appartamento di lui e tolse le scarpe sull'ingresso, Usagi si sentì chiamare dalla stanza da letto. Impaziente, corse a cercarlo e lo trovò intento a cambiare le lenzuola del letto, la valigia sfatta e ormai mezza vuota.
«Mamoru, vieni di là un attimo. Ho comprato una cosa.»
Lui si lasciò trascinare per una mano e, una volta in salotto, riconobbe subito il contenuto della confezione sul bancone.
«Una torta? Oggi hai proprio assaltato la pasticceria.»
Era tremendo! «Ah bene, se la pensi così...» Fece per allontanarsi, ma lui la trattenne per la mano che ancora si stavano stringendo.
Usagi gli sorrise, ma si staccò ugualmente. «Mamo-chan, guarda...» Aprì la confezione e tirò fuori da una busta un paio di candele. Le appoggiò sulla torta.
I piccoli fusti di cera azzurra avevano forma di numero: uno e nove.
Solo allora Mamoru capì.
Usagi scorse la sorpresa che si era aspettata e, subito dopo, anche l'espressione che le fece comprendere che lui si era ricordato il motivo per cui il suo compleanno era arrivato così presto.
Morto per tre mesi.
Non erano bei pensieri.
Lo abbracciò con forza. «Buon compleanno Mamo-chan.»
«Era questo che ti eri ricordata in macchina... » Il mento di lui si appoggiò sulla sua testa.
Staccandosi, Usagi prese a trafficare col fornello della cucina fino a che non ebbe acceso una delle due candele. Usò la fiammella viva per accendere anche l'altra.
Dopo che le ebbe sistemate entrambe sulla torta, sollevò il dolce per la base in plastica, tenendolo bene in alto e rivolto verso di lui.
Tossicchiò. «Allora... Taanti auguurii a tee» intonò. Cercò di evitare le stonature, ma le uscirono lo stesso. Lasciò perdere l'intonazione e si limitò a cantare, proprio come aveva fatto l'anno precedente.
Mamoru osservò la luce delle candele risplenderle negli occhi blu.
Casa.

Preparono la cena, mangiarono, rassettarono, tolsero un po' di polvere dall'appartamento e parlarono un po' di tutto.
Usagi gli raccontò qualche episodio dei tre mesi passati, evitando accuratamente ogni riferimento alle battaglie combattute. Aveva pensato che fosse ora di darsi un po' di tregua e smettere di pensarci, almeno per un po'.
Insieme rammentarono anche qualche momento del tempo passato con Chibiusa.
L'atmosfera era piacevole, ma diversa da quella che c'era stata tra loro durante la giornata.
La notte si avvicinava, lo percepivano entrambi.
Usagi lo sapeva semplicemente perché si sentiva a sua volta a disagio all'idea che mancasse sempre meno all'ora di andare a dormire.
Certo, avevano deciso di dormire separatamente, ma erano da soli, ed era... notte. Non avevano mai trascorso la notte da soli nell'appartamento di lui.
Appena tre mesi prima non sarebbe stato un problema, ma ora lo amava disperatamente e sentiva che, se lo avesse baciato di nuovo, come voleva tanto fare, magari dopo avrebbe trovato tanto più comodo sdraiarsi e poi avrebbe trovato così bello sentirlo sdraiato su di sé, la sua bocca sulla propria e poi-
Non c'era niente che potesse impedire un poi.
Ed era meraviglioso.
E troppo.
Entrambe le cose non erano mai state così vere.
Sospirò, fisicamente stanca.
Tutto quello che era accaduto il giorno prima faceva ancora sentire i suoi effetti; durante la giornata la spossatezza le aveva solo concesso una breve pausa.
Sbadigliò sonoramente.
Mamoru fece per sorridere, ma la bocca gli si allargò in uno sbadiglio rotondo.
Risero insieme.
«Vado a prendere altre lenzuola» disse lui.
Usagi annuì e si diresse verso lo zaino che aveva portato. Lo prese e lo portò con sé in bagno. Lì, osservò la vasca bianca, pulita e si morse le labbra.
Era sempre così piacevole dormire dopo una bella doccia...
Mamoru aveva tirato fuori molti asciugamani nuovi, perciò c'era tutto l'occorrente per una doccia rapida. Il lavaggio dei capelli era da escludere: per quelli le ci voleva sempre almeno mezz'ora buona. Li annodò sopra la testa, in modo da non farseli ricadere addosso, e poco dopo sentì la rilassante carezza dell'acqua sul corpo.
Quando, molti minuti dopo, tornò in salotto, con indosso una maglietta rosa e i pantaloncini gialli del pigiama, il divano era già stato rivoltato e preparato come letto.
Mamoru rientrò dalla sua stanza. Lanciando una rapida occhiata nella sua direzione, produsse un sorriso divertito.
Usagi aggrottò la fronte. «Cosa c'è?»
«È solo che... ora ho un altro motivo per chiamarti Testolina Buffa.»
Cavolo, si ricordò lei. I codini erano ancora annodati. «Uffa. L'ho fatto solo per evitare che i capelli si bagnassero.»
«Lo so, ho sentito scorrere l'acqua. Però sei sempre una Testolina Buffa.»
Oh, era peggio che tremendo! «Possibile che continui ancora a volermi prendere in giro?»
Poche parole in cui Mamoru percepì un'innegabile punta di fastidio. Ne rimase momentaneamente sorpreso ma l'espressione di lei non cambiò.
Mamoru si rese conto che non era più tempo di scherzare. «Scusami.» La sfiorò su un gomito. «Non voglio farti del male, è solo che quando ti prendo in giro fai una faccia...» Si fermò, non riuscendo a spiegarsi. O meglio, sapendo fin troppo bene come spiegarsi.
Si sarebbe arrabbiata ancora di più? si chiese.
«Che faccia?» insistette lei.
«Adorabile.» Forse era la parola più giusta.
«Adorabile? Come un cagnolino?»
«No, come...» Ma non c'era un termine di paragone, Usagi somigliava ad Usagi.
Eppure, da come lo stava guardando lei, era chiaro che la spiegazione non era sufficiente.
«Adorabile perché... più viva, Usa. Quando ti punzecchio è come se per un momento... ti accendessi. E credo di accendermi un po' anche io.» Sì, era più o meno così.
Usagi sospirò: Mamoru era un genio a farle dimenticare qualunque risentimento. «Uffa, potevi dire qualcosa di meno carino o intelligente.» Intenerita, gli prese una mano. «E poi ci sono modi più piacevoli per accenderci, no?»
Gli occhi di lui si aprirono appena. E, lentamente, si fecero più scuri, fissandosi intensamente su di lei.
... modi piacevoli per accendersi.
Le esplosero le guance. Oh!
Divenne acutamente consapevole del crescente calore che sentiva in corpo, più forte proprio nella mano con cui lo stava toccando.
La staccò di colpo.
Lui fece per riprenderla, ma la guardò in faccia e sembrò colpito. Interruppe il movimento.
Usagi si voltò e trovò il divano davanti alle proprie ginocchia. Vi inciampò contro.
«Ehi, stai-»
«Sì!» scattò a sedersi lei. «Sìsì, va tutto bene.» Si allontanò impercettibilmente dalla mano che lui aveva teso per aiutarla. Come una scema, scoppiò a ridere. «Che disastro che sono!»
Lui la imitò malissimo. Non si stava affatto divertendo, era... ferito. Le segnalò con lo sguardo la camera da letto. «Sono... di là.»
Mortificata, Usagi rimase ad osservare le proprie ginocchia.
Scema, scema, scema.
Sollevò gli occhi solo quando Mamoru uscì dalla sua stanza, i vestiti in mano.
Prima di dirigersi in bagno, lui le rivolse un rapido sorriso, un'espressione che lei conosceva molto bene.
Nel corridoio risuonò la chiusura di una porta.
Sospirando, Usagi si lasciò ricadere sul divano letto. Quanto, quanto poteva essere scema?
Non era stata sua intenzione tenerlo lontano, solo... aveva avuto bisogno di un attimo di tempo? Sì, ecco.
E no, non andava tutto bene, come aveva cercato di farle capire lui: respingerlo in un qualunque modo era sbagliato, sbagliatissimo.
Sospirò.
Nella stanza si diffuse un suono squillante.
Oh! Il sailorofono.
Corse in corridoio, verso il suo zaino. Si inginocchiò e aprì la tasca anteriore, fino a poter premere un bottone qualunque dell'apparecchio.
«Ciao Usagi.»
Usagi la riconobbe ancor prima di vederla. «Michiru!»
Michiru le sorrise nel solito modo splendido. Era chiaro che si trovava fuori: dietro di lei si stagliava il cielo notturno, quasi nero.
«Abbiamo chiamato per salutarti. Di' ciao, Haruka.»
Lo sbuffo fu trasmesso sotto forma di sospiro metallico. Sul piccolo schermo apparve ugualmente l'espressione della forza e della determinazione, Haruka Tenou in tutta la sua serena tenacia. Le incrociò lo sguardo con un occhiolino. «È stato un ottimo lavoro, Usagi, lo sai vero?»
Si riferiva ad ogni cosa.
Usagi annuì. «Anche il vostro. Lo sapete, vero?»
Il rigido smarrimento di Haruka quasi le spezzò il cuore, al pari del lieve tremolio nell'immagine, frutto dello sgomento di Michiru.
Ribadì con forza il concetto. «È così.» Sorrise, scuotendo piano la testa. E' proprio così. Avete fatto tutto il possibile.
Le palpebre di Haruka scesero sui suoi occhi stanchi. Piegò il capo in un lento inchino, un gesto di accettazione e gratitudine per il perdono ricevuto.
«Fatela vedere anche a me!»
Alla risata sommessa di Michiru seguì il viso di- «Ciao Usagi!»
«Ciao Hotaru!»
Che sorriso innocente, s'intenerì Usagi. Ora Hotaru era una bambina felice, come avrebbe sempre dovuto essere. Vederla così giovane le fece tanto ricordare Chibiusa. «Che farai ora?»
«Tornerò da papà. Io e te ci vedremo ancora, vero?»
Come poteva dubitarne? «Certo.»
Hotaru annuì e la salutò scuotendo allegramente la mano. La visuale si spostò verso l'alto.
L'aria grave e affettuosa di Setsuna era impareggiabile: ci riusciva solo lei.
«Setsuna.»
«Principessa.» Non le fu dato il tempo di protestare per il titolo. «Siamo fieri di te. Porgi i miei saluti anche al principe. Ci rivedremo.»
Concisa e di poche parole.
Usagi si lasciò sfuggire un sorriso. «Sì. Arrivederci Setsuna.»
Era ora per Sailor Pluto di tornare alla volta del tempo.
Sullo schermo tornò il viso di Michiru. «Usagi... io e Haruka andremo via per un po'. Torneremo a Tokyo fra qualche tempo. Ci faremo sentire.» Non disse altro, come se stesse cercando le parole adatte a giustificare la loro scelta.
Non le dovevano alcuna spiegazione. «Ehi, è bellissimo il cielo dietro di voi. Dove siete?»
Le rispose uno sguardo rilassato. «Sulla spiaggia. Sai, abbiamo visto delle stelle volare oggi.»
Stelle umane che tornavano a casa.
Sorrisero entrambe.
«E tu? Neanche tu sei a casa.» La voce di Michiru assunse un tono malizioso. «Abbiamo sentito le altre guerriere poco fa e sono tutte a dormire da Rei. Tu non sei da Rei.»
Usagi si sentì arrossire. «Hmm... no.»
Fuori dallo schermo, risuonò la breve risata di Haruka. «Salutaci Mamoru, Usagi. E mi raccomando, recupera il tempo perso.»
Michiru si unì all'allegria. Quindi guardò attraverso l'apparecchio e anche lei inchinò la testa. Rispetto e affetto. «Arrivederci.»
Lo schermo si spense.
Usagi fissò la parete bianca davanti a sé.
E così, capì, anche loro andavano. Separatamente, tornavano alle loro vite.
Non sarebbe stato come per lei con le ragazze, non sarebbero seguiti giorni di svago da passare assieme: Haruka e Michiru si riunivano con Setsuna ed Hotaru solo in previsione di una battaglia. Avevano vissuto assieme in quei mesi proprio a causa di Galaxia eppure la loro quotidianità non includeva le altre, tralasciando Haruka e Michiru. Forse c'entrava anche la differenza di età, ma era una cosa... triste.
Si sdraiò sul sottile materasso del divano, spostando le lenzuola in fondo al letto.
Contemplò il soffitto.
Forse in futuro le cose sarebbero cambiate.
Hotaru sarebbe cresciuta, Haruka e Michiru sarebbero tornate e Setsuna...
Doveva esserci un modo perché Setsuna potesse condurre una vita normale, no?
E poi... già, il futuro sarebbe stato comune, per tutte.
Non più guerriere che nascondevano la propria identità al mondo, ma persone che assumevano il ruolo che spettava loro fin dalla nascita.
Si girò di lato, affondando la guancia nel cuscino.
Principessa.
Regina.
Deglutì.
No, se ci pensava adesso, sarebbe stata travolta. Troppe implicazioni, troppe emozioni piacevoli e spiacevoli insieme.
Abbracciò il cuscino: aveva un buon odore di detersivo, di federa nuova e pulita.
... se fosse stato l'odore di Mamo-chan, sarebbe stato molto più buono.
Mamoru.
Oh, come aveva potuto trattarlo in quel modo?
Doveva rimediare. Appena fosse uscito dal bagno, gli sarebbe andata incontro dicendogli che era stata una stupida ad aver avuto paura di-
Nel corridoio, si aprì una porta.
Lui ricomparve sulla soglia del salotto, indosso una canottiera nera e dei pantaloncini corti.
Era vestito quasi come lei, ma lei era molto più... esile. Meno alta. Meno... grande e forte.
Le si seccò la gola. «Ah... Hanno chiamato Setsuna e le altre. Ci salutano.»
Incrociargli lo sguardo la aiutò a superare il nervosismo: quelli erano solo gli occhi sorpresi del suo Mamo-chan di sempre.
«Stanno bene?»
«Sì. Hotaru tornerà da suo padre, Setsuna alla volta del tempo e Haruka e Michiru... si riposeranno un po'.»
«Se lo meritano. Hanno tentato il tutto per tutto.»
Sapeva che sarebbe stato d'accordo con lei. «Si sentivano un po' in colpa, ma ho fatto capire a tutte e due che non dovevano.»
Lui annuì, sereno. «Hai fatto bene.» Adocchiò il divano su cui era seduta. «Dormi qui allora? Se vuoi, puoi prendere il mio letto.»
«No, non preoccuparti. Sto già comoda.» Tese le dita verso di lui.
Mamoru si avvicinò; lei gli prese una mano e se la portò alle labbra, per baciarne il palmo.
Sono una sciocca, ma ti voglio bene, Mamo-chan.
Forse poteva essere meno sciocca ancora e chiedergli di rimanere un po' lì con lei, ad abbracciarsi un pochin- Sbadigliò.
Lui rise sommessamente e si piegò in avanti. La sfiorò sulla guancia con un bacio tenero, piacevolissimo.
«Dobbiamo riposare. Buonanotte.»
... non andare. «'Notte.»
Prima di spegnere la luce, lui la salutò di nuovo con gli occhi.
Poi vi fu il buio e la sua figura che spariva oltre il corridoio, appena una porta più in là.
Usagi si ritrovò illuminata dalla luna, con una stanchezza che non sapeva come tramutare in sonno.

Le palpebre pesanti non riuscivano a rimanere chiuse.
Mamoru le lasciò scendere un'ultima volta prima di rassegnarsi a guardare di nuovo il soffitto.
... Avrebbe dovuto chiederle di dormire assieme a lui. Usagi avrebbe capito che da parte sua non c'erano secondi fini, che si trattava solo di starle accanto.
O forse no. Magari il disagio di lei sarebbe aumentato davanti ad una proposta come quella?
Sbuffò silenziosamente. Se non fosse stato per quella mattina, non gli sarebbe nemmeno mai venuto il dubbio. Se fosse potuto tornare indietro, avrebbe...
Fu onesto: non avrebbe cambiato nulla.
Ora sapeva con quale forza Usagi fosse capace di stringersi a lui, come fosse in grado di rispondere al bisogno che lei stessa gli suscitava.
Usagi gli aveva divorato la bocca, gli aveva messo le mani nei capelli, lo aveva stretto a sé come se non potesse fare a meno di sentirlo contro ogni parte di lei. Abbracciandolo, si era modellata contro di lui, lo aveva accolto tra i suoi fianchi. Aveva spinto il bacino verso l'alto, proprio mentre lui completava lo stesso movimento al contrario. Per un istante brevissimo, le era sfuggito dalla gola un sospiro così...
Si girò di fianco, improvvisamente scomodo.
Un sospiro capace di confonderlo, concluse, di rendere una cosa sola la Usagi di tante fantasie e la Usagi della realtà.
La Usagi dei sogni a cui si era avvicinato con inesorabile necessità - all'inizio quasi sentendosi in colpa - era una creatura timida, silenziosa, dai grandi occhi blu che rispecchiavano il suo stesso desiderio. Pronunciava due sole parole mentre si lasciava andare lentamente, abbandonandosi al tocco delle sue mani: il suo nome e... .
Non parlava molto. Sospirava. Si sforzava di tenere la bocca chiusa, gemeva pianissimo. Si muoveva contro di lui, si inarcava. Lo accoglieva dentro di sé con sorpresa ma senza esitazioni, imparando a riceverlo daccapo o traendone piacere continuo, come se fossero uniti da sempre.
La Usagi della realtà ancora arrossiva innocentemente quando terminavano un bacio più profondo degli altri. Gli si attaccava al gomito perché non riusciva a stargli lontana, avvicinava le labbra alle sue col sorriso dell'amore che non sarebbe mai stato placato, gli portava le braccia attorno al corpo, stringendolo forte e appoggiando la testa contro il suo petto, felice di trovarsi con lui.
Era innamorato di quella Usagi.
Di lei, della sua innocenza e anche del corpo che acquisiva una nuova curva con ogni mese che passava, che si faceva meno infantile sul viso, più morbido e bello sulle gambe agili, sulla vita sottile, sulla schiena liscia... e anche dove lui non la poteva toccare.
Le fantasie erano iniziate così, senza che nemmeno lo volesse.
Fantasie...
Silenziosamente, rise. Alla fine, fantasticava anche lui su loro due, proprio come faceva Usagi.
Non era un male. Le fantasie potevano sostituire la realtà, almeno per un po', e diventare un gioco che si poteva far avverare in due, come aveva fatto lui con Usagi durante quel pomeriggio. Era stato divertente e dolce poter esaudire una richiesta tanto romantica; ad Usagi era piaciuto molto.
... a lui sarebbe piaciuto molto di più poterla rendere partecipe della sua immaginazione, ma sapeva che ci sarebbe voluto ancora qualche anno. Nel frattempo, almeno, lei si sarebbe trovata più a suo agio con l'idea di scambiarsi baci un po' meno corti e meno casti; sarebbe venuta a casa sua più spesso e, di tanto in tanto, avrebbero potuto stare un po' sul divano ad... accarezzarsi. Un po'.
Le sarebbe piaciuto.
... forse per qualcosa di simile alle sue fantasie poteva volerci meno tempo: non anni, ma... mesi. Se lei fosse venuta a casa sua con una certa frequenza, forse persino settiman-
No.
No, era troppo presto.
L'idea la metteva a disagio: quando ci pensava, Usagi non riusciva nemmeno a guardarlo negli occhi, voleva allontanarsi da lui.
Quella mattina non era stata un errore, ma di sicuro un salto troppo grosso e rapido.
E quello stesso giorno avevano avuto anche necessità di parlare di cose che non si era mai detti con tanta chiarezza, di appianare un'incomprensione che non sarebbe mai dovuta sorgere tra loro.
Usagi gli aveva aperto da pochissimo quell'ultima parte di lei che lui avrebbe dovuto conoscere già da molto tempo e non era di certo pronta a concedergli altro.
Lui comunque non voleva una concessione. Voleva desiderio da parte di lei, una genuina volontà di scoprire tutto quel che potevano provare insieme.
Loro due insieme avrebbero potuto raggiungere un mondo ignoto, di sensazioni... favolose; non che quella fosse una parola adatta.
Per poterci entrare avrebbero dovuto volerlo tutti e due senza riserve. Quando Usagi non ne avesse avuto più neanche un minimo timore, lui non avrebbe dovuto condurla lì, ci sarebbero andati insieme o avrebbe cercato di portarcelo lei stessa, entuasiasta all'idea di offrirsi e offrire.
Fece scorrere la lingua sul palato, in circoli piccoli.
Usagi che sapeva offrire ogni sua emozione con tanta semplicità forse sarebbe stata diversa dalla Usagi timida che aveva immaginato lui.
Anzi, non forse, di sicuro. All'inizio magari no, ma dopo...
Tornare a sdraiarsi sulla schiena non gli ridiede nemmeno una piccola parte della comodità sparita.
Al dopo a cui stava pensando mancava ancora diverso tempo, avrebbe fatto meglio a tenerlo sempre a men-
«Mamo-chan?»
Balzò seduto sul letto.
Usagi era in piedi sulla porta.
Era il momento meno adatto di tutti per averla in camera sua. «Sì, hai... ti manca qualcosa di là?»
Lei non rispose, si avvicinò. «Per favore, posso...» Portava il cuscino sotto il braccio. «Posso dormire qui con te?»
Dormire con lui? Adesso?
Lei fece un altro passo in avanti. «Solo per... sentirti mentre dormi vicino a me.»
Prima anche lui aveva avuto lo stesso desiderio innocente, ma adesso...
Usagi si sedette sul bordo del letto e, per quel poco che la tenue luce notturna gli permise di vedere, lo guardò con occhi stanchi e supplichevoli. «Non ti darò fastidio. Per favore.»
Mamoru sospirò. Non riusciva mai a rifiutarle niente quando lei lo guardava così, quando usava quella voce.
Lui abbassò brevemente lo sguardo su di sé e si spostò verso la parte più lontana del letto. «Vieni.»
Più che vedere, sentì il sorriso sollevato di lei. Usagi si infilò sotto le lenzuola e sistemò la testa sul cuscino che si era portata.
Da parte sua, per evitare incidenti e imbarazzanti speculazioni, si mise a pancia in giù: per calmarsi avrebbe pensato alla fame nel mondo e non si sarebbe spostato di un solo millimetro.
Usagi si allungò a prendergli una mano tra le sue. La avvicinò al proprio viso.
Il calore del suo respiro sulla pelle divenne un meraviglioso tormento.
Poi... rimasero in silenzio.

Usagi era felice di essere venuta lì.
Dopo essere stata a rimuginare senza riuscire a prendere sonno, aveva concluso che sapere di comportarsi da sciocca e non fare niente era la cosa più sciocca in assoluto. Nell'altra stanza c'era Mamoru, si era detta, Mamoru che l'amava, che non avrebbe mai fatto niente che lei non avesse voluto e lei voleva disperatamente stargli vicino; dopo tutto quello che era accaduto negli ultimi mesi e solo la sera prima, ne aveva semplicemente diritto.
Ora che l'aveva accanto e vedeva il suo viso, con gli occhi chiusi, a malapena illuminato dal bagliore lunare e una mano nella sua, era... incredibilmente felice.
E incredibilmente, inaspettatamente, a disagio.
Aveva una consapevolezza che fino a quel momento le era sempre sfuggita: sentire Mamoru respirare accanto a sé, col corpo a neanche un metro dal suo, non era più solo fonte di una tranquilla gioia. Aveva imprato a volere qualcosa di più e allo stesso tempo... a non volerlo.
Era troppo, pensò. Se solo non ne avesse saputo mai niente! Desiderava solo che tutto tornasse come prima, quando quel problema non era mai esistito.
Eppure a parlare era la paura, non lei.
Paura... Non avrebbe mai potuto avere paura di Mamoru. Aveva paura di sensazioni che sembravano troppo adulte e che, chissà come, aveva già iniziato a desiderare.
Inutile cercare di nasconderselo: era a disagio per paura di un ignoto verso il quale però stava già tendendo.
Si concentrò sul calore della mano che stringeva e che non si era mossa da quando l'aveva messa tra le sue.
Osservò le dita lunghe, incrociate tra le sue e piegate come ad avvolgerle interamente la mano.
Con una tranquillità che prima le era mancata, gli contemplò il braccio, notando i muscoli rilassati che la maglietta aveva lasciato scoperti.
Forse lui era cambiato un poco da quando si erano conosciuti, ma aveva lo stesso aspetto da molti mesi, no? Lei non aveva mai pensato che la sua forza potesse essere minacciosa e non lo pensava nemmeno adesso, ma... Tornava a prima, ecco: aveva un lieve timore di quel che le piaceva troppo. Forse perché l'idea non era più vedere solamente, ma... toccare. Farsi toccare.
Si impose di continuare ad osservare. Salì fin su le spalle e scese lungo la schiena, piano, fino ad arrivare alle gambe che, distese, toccavano quasi la fine del letto.
... se avesse voluto abbracciarlo, lui l'avrebbe lasciata fare. E lui poteva essere tanto più grande di lei, ma le avrebbe permesso di fermarlo in qualunque gesto. Perché era Mamo-chan.
Tornò sul viso, quel bellissimo viso che le era sempre piaciuto, anche quando all'inizio lo aveva detestato per le prese in giro. Si fermò sulla bocca e ricordò di avergli stretto il labbro inferiore, umido, tra le proprie labbra; lui aveva fatto lo stesso mentre lei gli si premeva contro, schiacciandogli i seni contro il petto in un contatto delizioso che l'aveva fatta fremere. E quando lo aveva sentito spingere tra le sue gambe,
aveva provato una sensazione dolorosamente intensa, tremenda perché solo di piacere.
Emise un sospiro strozzato.
Mamoru doveva averci pensato anche lui.
Inoltre, anche se aveva smesso di rifletterci da quando aveva ricordato il suo compleanno, lui era appunto più grande ed era un maschio.
Non era tanto ingenua da non sapere quel che desideravano i maschi.
Forse, mentre lei sognava romanticherie su di lui, lui sognava che lei...
Travolta da un imbarazzo acutamente piacevole, gli lasciò la mano e si voltò dall'altra parte.

Mamoru era riuscito a calmarsi. Un po'.
Dormire invece gli era risultato impossibile.
Voleva farlo, aveva sonno, ma come poteva rilassarsi mentre lei lo toccava? Solo con una mano, certo, ma...
Quel problema non si era più posto quando Usagi lo aveva lasciato andare. A quel punto lui aveva cominciato a dispiacersi di non avere più le dite di lei tra le proprie. Liberazione e tortura, in entrambi i casi.
Aprì gli occhi.
Usagi gli dava la schiena.
... forse lei stava solo cercando una posizione più comoda.
I colori del suo pigiama erano così tipicamente... Usagi. Rosa tenue e giallo acceso. Colori infantili che non riuscivano a donarle quella stessa qualità.
Per non pensarci, si concentrò sulle lunghe code bionde di lei. Ricadevano sul materasso in tanti setosi fili d'oro.
Facendo attenzione a non farsi sentire, allungò una mano. Le trovò i capelli con due dita e iniziò a farne scorrere alcuni tra indice e polpastrello. Non si era avvicinato di molto a lei, eppure gli sembrava lo stesso di riuscire a percepire il calore del suo corpo, proprio come se la stesse sfiorando.
La maglietta non la copriva del tutto, lasciava visibile un lembo di pelle sulla schiena, sulla vita.
Se seguiva quella linea, lui poteva vederla mentre andava in alto, a disegnare i fianchi avvolti dai pantaloncini.
Se l'avesse toccata lì, forse lei avrebbe sospirato. Forse si sarebbe mossa appena, come a chiedergli di continuare. E se lui avesse proseguito-
Si voltò dall'altra parte e si impose, si impose di fissare la parete.

Usagi era stanca. Non solo fisicamente, ma stanca di sentirsi crescentemente frustrata.
Si sentiva pronta a scattare al minimo contatto e parti di lei erano diventate particolarmente sensibili al più piccolo movimento, a patto naturalmente che avvenisse dall'altra parte del letto. E succedeva solo perché aveva continuato a... pensarci.
Così tanto che aveva iniziato a chiedersi... cosa sarebbe successo se si fosse fatta abbracciare da Mamoru?
Sapeva che era sveglio, si era appena girato.
Cosa sarebbe successo se si fosse stretta a lui? Non c'era più la disperazione di quella mattina, non sarebbe stato più tutto così improvviso e... violento.
Forse sarebbe stato un crescendo più quieto. Forse poteva semplicemente assaporare ancora un po' di quelle sensazioni senza che la travolgessero.
E avrebbe potuto averlo vicino, baciarlo, guardarlo negli occhi.
Quei bisogni più teneri non erano mai lontani, perché lei lo amava e voleva con tutta se stessa poterlo stringere, perdersi in lui. Perché per tre mesi non c'era stato, aveva smesso di vivere e quel pensiero la colpì di nuovo come un macigno durissimo allo stomaco.
Si arrese. «Mamo-chan?» Si girò.
Lui non si spostò, continuò a stare rivolto al muro. «Sì?»
Lei gli si avvicinò, sentendosi prendere coraggio man mano che riduceva la distanza tra loro.
A pochi centimetri da lui, vinse il bisogno: lo strinse a sé, appoggiando tutto il corpo contro la sua schiena.
Mamoru si irrigidì.
Non le piacque. «Stringimi.» Gli accarezzò il braccio, respirandogli sul collo. Stringimi, abbracciami.
Come prima cosa, Mamoru cercò di controllare il respiro. Quindi, tentò di allontanarsi verso il bordo estremo del letto, ma la stretta attorno a lui si fece appena più salda, costringendolo con delicatezza a rimanere dov'era.
... non poteva restare così.
Si girò e le appoggiò una mano sulla spalla, a mantenere una precisa distanza di sicurezza. «Usagi...» Non sapeva nemmeno come cominciare.
Si sentì accarezzare una guancia. Dagli occhi di lei scese una lacrima.
«Sei qui, Mamo-chan... sei qui. Abbracciami.»
In lui la tensione sparì in un secondo, rimpiazzata solo dal desiderio di porre fine a tutto quel dolore.
Vinto, abbassò il braccio che li separava e la accolse contro il suo petto. Sentì la forza con cui lei cercava il suo abbraccio e la strinse ancora di più.
Usagi singhiozzò piano contro di lui, avvolgendogli la vita con una gamba, premendogli i seni morbidi contro il petto.
Rigido, prigioniero, Mamoru non capì se non doveva fare niente o.... Il respiro alla base del suo collo si spostò sempre più in alto, fino a toccargli le labbra.
Abbassò la testa e incontrò la bocca che cercava la sua. Dolce, umida, calda, arrendevole e bramosa.
La assaggiò come quella stessa mattina, ma senza fretta, prolungando ogni contatto, ogni sensazione.
Usagi si sentiva rilassata e fremente, eppure piangere sembra inevitabile. Si staccò per un istante. «Scusa per le lacrime» mormorò. «Scusa. Voglio smettere, ma-»
Lui le catturò di nuovo le labbra, impedendole di continuare.
Un braccio la strinse forte per la vita e una mano aperta le trovò la schiena. La accarezzò, consolando e accendendo.
Usagi si sentì abbandonare ogni timore.  Era questo che voleva: sentirlo contro di lei, sentire lui e nient'altro.
Si lasciò riempire dalle sensazioni e gli si strofinò contro, cercando di ammansire la piacevole vibrazione che ormai la percorreva per intero.
Mamoru si staccò per respirare a fondo. E si reimmerse.
Fece funzionare la testa solo quando impedì alla mano di andare dove non doveva: da qualche secondo non vagava più solo sulla schiena di lei, ma si era gradualmente spostata fino ai fianchi. La fermò lì, sulla vita di lei, dove prese a scendere e a salire, accarezzandole la pelle da sopra la stoffa leggera.
Usagi si sentì rabbrividire. Il tremore era totalizzante, fantastico, capace di farle dimenticare ogni cosa, compresa se stessa. La sensazione si acuiva quando la mano di lui saliva verso l'alto, quasi fin sotto il braccio, ogni volta sempre un poco di più. Era... meraviglioso farsi toccare da lui, farsi amare da lui. Le sembrava di sciogliersi.
Sul suo labbro inferiore arrivò una lunga scia umida, delicata e paziente.
Le sembrò di bruciare.
Si voltò di lato col torso, appena, facendogli incontrare la curva di un seno con le dita. Le scappò un sospiro strozzato.
Mamoru staccò la bocca da quella di lei. Nella penombra, rimase a fissare la propria mano e quello che stava toccando.
Usagi si sentì torturare dall'attesa: la mano di lui lì era così... così- Era come se, con ogni respiro, gli appartenesse sempre di più.
Gli circondò il polso con le dita e spinse, di pochissimo, verso l'alto. Incontrò resistenza.
«Usa, no... è...»
No? «Voglio solo... che mi accarezzi.» Perché no?
Mamoru prese una nuova e profonda boccata d'aria: accarezzarla a lui non sarebbe bastato, stava lì il problema. Se cominciava, poi avrebbe voluto persino-
Niente, comprese all'improvviso.
Non avrebbe potuto fare nulla. Non aveva niente in casa che permettesse loro di intraprendere con sicurezza un rapporto di quel tipo.
... e voleva toccarla anche lui. Non si sarebbe tolto i vestiti, non le avrebbe tolto i vestiti, non sarebbe successo nulla, l'avrebbe solo... accarezzata un po'.
Mantenendo i loro bacini a debita distanza, era l'unica condizione.
Si piegò all'indietro all'altezza delle anche e, ormai convinto, spostò delicatamente le dita sul seno di lei, gustando la morbidezza che sentiva anche sopra la sottile maglietta di cotone. Strinse appena con la mano: la scoprì morbida e soda, calda, molto meglio di qualunque cosa si fosse mai immaginato. Trattenendo un ansito, trovò con l'indice il punto più alto, turgido, e iniziò a stimolarlo piano, avanti e indietro.
Lei sembrò trattenere un gemito, ma il brivido la scosse ugualmente. La stretta sul suo polso prese forza.
Le piaceva.
Senza fermarsi, Mamoru avvicinò di nuovo la bocca alla sua.
Usagi sentì il respiro caldo tra le loro labbra, il seno ancora tormentato dalle dita che sembravano sapere esattamente come toccarla. Il piacevole dolore che aveva sentito prima, sullo stesso letto ma lontana da lui, veniva lenito e alimentato con ogni nuova carezza. E tutto sembrava accumularsi in unico punto, sotto il bacino: era un bisogno che chiedeva disperatamente di essere saziato e, senza avere idea di come fare, lei cercò per istinto un contatto, allungando una gamba e trovando quella di lui. La piegò fino a circondargli il fianco.
Staccandosi, lui spinse sul suo stomaco, allontanandola.
Ma... «Perché non vuoi?»
«Perché non voglio? Perché invece lo voglio e non credo che tu lo voglia.»
Eh? «È un gioco di parole? Ora?» Non nascose la frustrazione.
Mamoru sospirò e scosse la testa, frustrato anche lui e teso come non ricordava di essere mai stato. «No. No.» Lei... voleva. Voleva. Ma non quello che voleva lui, perciò... «Facciamo così.» Proviamo così.
La spinse un poco all'indietro con la mano, facendole capire che doveva sdraiarsi. Quando Usagi si rilassò, lui le si sistemò accanto. «Se faccio qualcosa che non vuoi... dillo. Mi fermerò subito.»
Non ricevette risposta.
Lo prese come un assenso, come il segno del desiderio che lei gli aveva dimostrato. Tornò ad assaggiare la morbidezza delle labbra umide sotto le sue e, con la mano, cercò la parte di lei che era ancora più impossibilmente morbida. Sfiorò il seno sinistro, quindi spostò le dita su quello che non aveva ancora toccato, ora il più vicino a lui.
Inarcandosi un poco, lei premette contro la sua mano.
Le piaceva.
Lui le passò le labbra sulle guance, sulla mascella, sull'orecchio. Scese sul collo, sulla pelle sottile dal sapore sconosciuto che non aveva mai baciato.
Caldo. E piacere. Usagi non ne aveva mai provato così tanto. Non aveva mai pensato che sensazioni tanto gradi potessero nascere da movimenti così semplici, leggeri. Sul seno, solo il pollice che andava avanti e indietro riusciva a-... Inarcò la schiena verso l'alto, andando a ricercare quell'ultimo tocco, quello con cui due dita avevano stretto-
Sul collo l'umido e il ruvido del rapido contatto con la lingua di lui minacciarono di uccidere ogni altro suo pensiero.
Sentì il sangue defluirle dalla testa, come per andare a concentrarsi altrove.
La mano di Mamoru si staccò dal suo petto un secondo dopo, andando proprio in quella direzione, scendendo a massaggiarle lo stomaco. Un movimento innocente, però... perché ora sentiva più caldo di prima?
Le dita di lui proseguirono lentamente verso il basso. I baci sul suo collo si fecero prima più lievi e poi si fermarono del tutto, come se fosse necessaria concentrazione per quanto stava per accadere.
Un istante dopo, una carezza poco sotto il suo ombelico le causò un'improvvisa tensione. Usagi attese di sentirla continuare, ma... lui si era fermato.
Era stata una stupida a pensare che Mamo-chan si sarebbe comportato diversamente: non aveva neanche avuto bisogno di avvertirlo a voce.
Girò la testa per baciarlo di nuovo, e, quando incontrò ancora una volta le labbra che riuscivano ad essere una cosa sola con le sue, alzò il braccio per circondargli il collo e sfiorargli i capelli.
Era un assenso, capì Mamoru. Staccò la bocca da quella di lei. Voleva dare senza costringersi ulteriormente a ricevere e non era più nella condizione di permettere che lei continuasse ad alimentare in lui la via del non ritorno. Fece scendere ulteriormente la mano sul suo ventre, trovando prima i pantaloncini e poi il punto in cui le gambe appena piegate si chiudevano.
Usagi sussultò appena.
I respiri lunghi e tremuli gli entrarono nelle orecchie.
Mamoru sapeva solo teoricamente cosa doveva fare e sperò che fosse sufficiente: con le sole dita, limitandosi ai polpastrelli, prese a massaggiare piano dove si era fermato, sopra i vestiti. Colse il rapido movimento della mano che andò a stringere le lenzuola e il gemito che si trasformò in sospiro spezzato.
Nella penombra che delineava linee scure e superfici chiare, osservò ipnotizzato l'ondeggiare dei fianchi sotto le sue dita, i movimenti lenti, quasi impercettibili e sempre più lievemente insistenti che lo costrinsero a concentrarsi per continuare a ricordarsi che doveva fare... piano. La stava già solo sfiorando, ma aveva letto che in quei momenti poteva avere una percezione distorta della forza richiesta, perciò... più piano del piano, si disse, mettendo a tacere il desiderio sempre più impellente di toccare in modo più deciso, più veloce. Piano, perché a lei piaceva già così e forse le sarebbe piaciuto solo così.
Staccò gli occhi dalla propria mano e le guardò il viso, non aspettandosi la testa inclinata di lato, le labbra aperte e tremanti, il volto trasformato da un'espressione di completo rapimento.
Tornò ad osservare le proprie dita solo quando le gambe di lei andarono a stringervisi attorno, come per tenergli la mano ferma proprio lì dove stava.
Parte del controllo iniziò a sfuggirgli.
Aveva creduto di poter placare in lei il bisogno che gli aveva dimostrato, non di vederla abbandonarsi a quel modo.
D'improvviso, un calore più forte gli toccò la punta di un dito: aveva premuto involontariamente con più forza contro di lei e quello era... era...
Per non perdere del tutto la ragione, smise di pensare e si concesse almeno con la bocca un assalto che non poteva far avvenire in altri modi. Eppure, anche con le labbra attaccate al collo di lei, ansimò ugualmente quando la sentì inarcarsi, allargare le gambe.
Le dita gli scesero da sole più in basso. Prese a stuzzicare quel nuovo punto, esercitando più pressione.
N
ell'inutile ricerca di un appiglio, Usagi spostò velocemente la mano sulle lenzuola.
Sìsì, pregò tra sé, proprio . Schiacciò le labbra tra loro, trattenendo suoni che l'avrebbero solo imbarazz- Oh, , lì.
Prima lui era stato solo vicino, ma non se ne era resa conto fino a quando non l'aveva sfiorata dove ogni carezza sembrava una fitta di piacere immenso. Lì dove ogni leggerissimo tocco portava sensazioni sempre più impossibilmente grandi, che prendevano possesso di tutto il suo corpo. Si sentì preda dei suoi stessi sensi, come se in quel momento esistesse solo per sentire la prossima carezza.
Strinse i denti.
Per l'altra.
Boccheggiò.
E per l'altra ancora.
Ondeggiò col bacino.
Stava... Oh sì, sempre più...
Le scappò un suono acuto. La morsa impossibilmente calda la colpì con forza tra le gambe, da dentro, iniziando a battere.
Ohh, batteva, contrazioni ritmiche che- Le dita di lui ne incontrarono una sulla cresta. «Ah!»
Mamoru sentì il grido che sapeva di richiamo, il pulsare insistente sotto il leggero movimento delle sue dita, i fianchi che iniziavano a muoversi con forza, reclamando sempre di più. Assaggiò con un morso il sapore amaro delle lenzuola, continuando il movimento della mano che non sarebbe stato comunque in grado di fermare, cercando di spegnere ogni altro bisogno.
Lei prese tutto quel che poteva dalle sue dita, tra sussulti continui e sospiri spezzati, agguantandogli il braccio. Infine, con lentezza quasi esasperante, si rilassò contro il materasso e contro di lui.
Mamoru spostò la mano sul suo stomaco e tentò disperatamente di calmarsi.
Usagi inspirò un'ultima volta prima di chiudere la bocca. Era stato... stravolgente, sconvolgente, assolutamente incredibile. Aveva tremato là sotto, in mezzo alle gambe; si erano contratti muscoli che non aveva saputo di avere. Muscoli interni, stimolati da carezze che l'avevano portata... in paradiso, non c'era altro modo di parlarne.
In quel momento si sentiva quasi priva di forze, immensamente rilassata. La sua mente iniziava a intorpidirsi.
Era la pace dei sensi più completa che avesse mai conosciuto.
Andò a ricercare il contatto col corpo accanto al suo, volendo stringersi a Mamoru in quel momento e durante il sonno che stava arrivando rapido.
Con le dita gli trovò il viso e lo voltò di lato per un ultimo bacio.
Lui si scostò bruscamente, portandosi dall'altra parte esatta del letto. Il movimento secco, così fuori luogo, le scrollò di dosso ogni torpore.
Mamoru iniziò a considerare seriamente l'idea di correre in bagno e di trovare sollievo lì.
Lo frenava solo il pensiero di avere Usagi nella stessa casa, a pochi passi da lui. Sembrava talmente poco... giusto, cedere in quel modo, con lei presente, per quanto non visto. Eppure calmarsi sembrava anche quella un'impresa fuori dalla sua portata. Dormire in quello stato poi sarebbe stato impossibile.
Doveva aspettare, sì. Aspettare fino a che non fosse stata la sua testa a tornare a prendere le decisioni.
Se non la smetteva di tornare con la mente alle immagini di poco prima, avrebbe finito con l'imbarazzare se stesso proprio su quel letto.
Usagi gli si attaccò alla schiena, stringendolo forte con un braccio. «Basta! Perchè devi sempre allontanarti da me?»
Mamoru riusciva ad immaginare, a vedere ogni singola e deliziosa curva premuta contro di lui. Poco dopo, anche la gamba che andò sopra la sua, come ad intrappolarlo.
Fece un solo respiro, poi si scostò da lei senza cura, scendendo dal letto e alzandosi. Si girò per guardarla in faccia, nella voce un'implorazione e una rabbia che quasi non riconobbe. «Tu non capisci!»
Colse la sorpresa negli occhi sgranati di lei, ma fu solo un attimo: Usagi si era già ripresa la propria indignazione. «Non ti spieghi, come faccio a capire?»
Spiegarsi? «Io... mi sento come ti saresti sentita tu se mi fossi fermato prima della fine.» Così avrebbe capito, no?
«Ma...» Silenzio. «Allora vuoi... finire anche tu?»
Finire? Finire di... Si sentì diventare più rigido che mai. Lei non sapeva neanche di cosa stava parlando! «Il problema è che voglio spogliarti e finire dentro di te.»
Gli occhi di Usagi si fecero rotondi, giganti.
Mamoru sbiancò.
Come aveva potuto dirle una cosa del genere?!
La guardò in faccia e si sentì in un istante il peggiore dei vermi. Aveva detto quelle cose ad Usagi, a lei e alle sue innocenti fantasie.
Non avrebbe dovuto permettere che arrivassero fino a quel punto, avrebbe dovuto capire che non sarebbe stato in grado di controllarsi. «No, scusami... no.» Cominciò a fare il giro del letto. «Vado di là, dormo in salotto.»
Uscì dalla stanza, lasciandola sola, seduta sul materasso.

... semplici parole potevano far male come colpi.
Usagi rimase imbambolata per diversi istanti.
Era stato davvero lui a parlare così? Mamo-chan?
Sì.
Aveva ancora in testa la disperazione della sua voce, le scuse mortificate e la rapida ritirata.
... era successo davvero.
Com'era stato possibile, come? Nemmeno qualche momento prima stavano...
Beh, stavano...
Okay, stavano facendo qualcosa di simile a quello che aveva detto lui.
Troppo simile.
Arrossendo, corrugò la fronte. Mamoru avrebbe potuto dirlo ugualmente in un modo più delicato, no?!
... ma aveva voluto dirlo con altre parole, non ci era riuscito. Ne era rimasto sconvolto anche lui.
Si lasciò cadere sul letto.
Se erano arrivati fino a tanto era stato solo perché lo aveva voluto lei.
Vero, quando aveva insistito perché lui la accarezzasse, non aveva chiesto... quello. Ma adesso non riusciva a credere di averne mai potuto fare a meno.
Era stato... Si morse le labbra, non trovando le parole adatte. Non c'erano, comprese. Era stato tutto ciò di cui aveva avuto bisogno, l'unica cosa che sarebbe mai servita a placare, a soddisfare quello che aveva sentito dentro.
Mamoru aveva cercato ripetutamente di non arrivare a quel punto, probabilmente per non farle pressioni. Prima evitando di dormire sullo stesso letto. Poi cercando di non abbracciarla. Provando a non toccarle il seno. Impedendo il contatto dei loro bacini. Infine, allontanandosi dopo averle fatto provare... un orgasmo.
Conosceva quelle parola. Si era sempre chiesta cosa fosse esattamente. Non aveva mai trovato il coraggio di discutere dei suoi dubbi con le sue amiche, ma aveva sempre saputo che voleva dire 'culmine del piacere'. E ora aveva capito bene cosa significasse arrivare al culmine del piacere, venirne letteralmente travolti.
Come aveva detto lui?
"Perché non voglio? Perché invece lo voglio e non credo che tu lo voglia."
Mamoru non la credeva pronta per quell'ultimo passo.
Lei non poteva dargli del tutto torto.
Lo ricordò come lo aveva visto poco prima, in piedi accanto al letto, teso... teso anche là sotto. Lo sguardo le era caduto lì poco dopo averlo sentito parlare e si era poi subito spostato sulla parete. Ripensando a quello che aveva visto, anche se nascosto dai vestiti, pensò che non poteva essere meccanicamente possibile. Lei là sotto non era così... insomma, non era abbastanza...
Eppure, funzionava in quel modo. Perché il loro caso avrebbe dovuto essere diverso?
Quello era... era solo una parte di lui, così come era una parte di lei la carne che aveva tra le... A disagio, chiuse le gambe, strofinandole tra loro.
Ma non era disagio, no? Era eccitazione, la stessa cosa che aveva provato prima. Il disagio cresceva fino a diventare una sensazione negativa come la paura o la vergogna. L'eccitazione invece andava a diventare qualcosa di molto diverso. Ora conosceva la differenza.
Strofinò ancora le gambe tra loro, involontariamente, ma questa volta notò qualcosa che aveva vagamente percepito anche molto prima: era... umida là sotto. In un modo particolare. Scivolosa.
Ma perché mai doveva...?
Prese consapevolezza, finalmente senza imbarazzo.
Oh. Certo che... era un meccanismo davvero perfetto.
Fissò il soffitto.
Perfetto come quello che Mamoru le aveva fatto provare prima. Una conclusione naturale e favolosa, propio come l'amore che lei provava nei suoi confronti, come quello con cui lui la ricambiava.
Tentò di immaginare concretamente come sarebbe potuto essere.
Il calore le salì al viso, ma non per una sensazione di disagio, quanto per un acuto senso di eccitazione.
Si voltò verso la porta.
Immaginò Mamoru nell'altra stanza, stanco, frustrato, pieno di sensi di colpa e... insoddisfatto.
E lei invece era lì, con un corpo letteralmente pronto ad accoglierlo. Ma, soprattutto, con una mente e un cuore pronti ad accoglierlo.
Quello che lui le aveva fatto prima non era stato meraviglioso solo per il piacere che le aveva fatto provare, ma anche per la consapevolezza che a toccarla così era stato lui, proprio lui che lei amava con tutta se stessa.
Voleva toccarlo anche lei, accarezzarlo, dargli piacere e provare piacere insieme, fino a riposare poi entrambi, stremati dall'atto d'amore che avrebbero condiviso. Non sarebbe stato solo sesso, qualcosa di puramente meccanico in sé. Sarebbe stato fare l'amore. Con la persona che amava.
E ora lei voleva farlo.
Moltissimo.
Iniziò ad alzarsi, lo sguardo concentrato sulla porta. Sarebbe andata da lui e loro due avrebbero... insieme avrebbero...
Si bloccò. No.
La invase un senso di potente frustrazione: non potevano fare niente! Non avevano niente per impedire che lei rimanesse incinta.
Chibiusa. Il suo pensiero corse a lei, alla loro futura figlia: era troppo presto per Chibiusa. Anche se quella bambina le mancava da morire, non era ancora pronta per diventare sua madre.
Si lasciò cadere sul letto, delusa e infelice.
Poi, in un istante, seppe.
Non perse un secondo e a passi decisi si diresse verso il salotto.

Mamoru si odiava.
Si detestava.
Si malediceva.
Aveva fatto ben più di quel che avrebbe dovuto fare, con Usagi. Lei gli aveva chiesto solo delle carezze, non di farle provare un dannato orgasmo.
Era così che lui aveva interpretato la richiesta, ma perché aveva avuto in testa solo quello e non era riuscito ad immaginare che ci potesse essere un'altra conclusione minimamente soddisfacente. Però... ricordò il modo in cui Usagi aveva voluto la sua mano su di lei, il modo in cui gli aveva avvolto la gamba attorno al fianco.
No, forse non si era del tutto sbagliato, ma ad Usagi sarebbe bastato molto meno di... Già, in genere era così per tutte. Lo aveva letto.
Certo, dopo le era piaciuto, ma non voleva dire che fosse stata pronta.
Se solo lui avesse avuto esperienza, forse sarebbe riuscito a capire se l'aveva spinta oltre i propri limiti o se aveva fatto solo quello che lei gli aveva chiesto.
Se avesse avuto esperienza, forse non sarebbe stato così maledettamente eccitato da buttarle in faccia un desiderio a cui non era preparata.
Se, se, se.
Erano ipotesi senza utilità o fondamento. Non si era mai avvicinato a nessuna come ad Usagi e non aveva mai desiderato farlo. Eppure, in quel momento gli sarebbe piaciuto immensamente sapere esattamente cosa fare e come comportarsi, proprio come in tutte le altre situazioni della sua vita. Per quanto uno potesse saperne sul funzionamento dell'atto, non esisteva un modo per prepararsi all'esperienza; lo aveva appena verificato.
La mattina seguente avrebbe dovuto affrontare Usagi.
Lo mortificava l'idea, ma doveva chiederle scusa, capire se l'aveva offesa, farle assolutamente comprendere che non si aspettava nulla da lei.
Ricordò lo sguardo che lei gli aveva rivolto quando gli aveva parlato dalla sua fantasia romantica, quella mattina.
Avrebbe perso momenti come quello, momenti in cui Usagi si era totalmente fidata di lui?
Oppure... la sola idea lo atterriva: da un momento all'altro lei sarebbe potuta entrare da quella porta, offrirgli di continuare, nella convinzione di dovergli qualcosa.
Era quasi come se lui le avesse detto che, siccome le aveva evitato una frustrazione non fermandosi, allora lei avrebbe pure potuto fargli lo stesso favore, no?
Favore.
Dannazione.
Se solo avesse potuto cancellare l'ultima mezz'ora, se solo si fosse accontentato di addormentarsi con lei tra le braccia... Accontentato? Usagi ora si sarebbe sentita a disagio anche solo se si fosse sdraiato accanto a lei.
Aveva rovinato tutto.
A passi decisi, Usagi entrò nel salotto.
Mamoru balzò seduto sul letto, non osando proferire parola ma temendo ogni suono che sarebbe uscito dalla bocca di lei.
La sentì mormorare il suo nome e poi se la ritrovò sul letto, che gli si avvicinava sempre di più.
La fermò senza esitazioni, entrambe le braccia sulle sue spalle. «Non mi devi niente.»
Lei si irrigidì. «Eh?»
«Non mi devi niente. Non avrei mai dovuto dirti quelle cose, non potrò mai scusarmi abbastanza.» Si interruppe abbastanza a lungo da studiare una reazione che non gli diede alcun indizio sui pensieri di lei. Decise che poteva solo continuare. «Io... mi vergogno di averti fatto credere che dovevi venire qui per... per qualcosa che ancora non fa parte di te. Io non voglio fare sesso con te, Usa, voglio fare l'amore con te e bisogni meschini non c'entrano con questo.»
Alle sue parole seguì il silenzio.
Usagi si allontanò di colpo, appoggiandosi all'indietro sulle ginocchia. «Quindi io sono qui per un bisogno meschino?»
«No!» Allora ogni parola che gli usciva dalla bocca era un'idiozia! «Il tuo è amore, io ti ho fatto sentire in colpa e per questo ora tu sei qui.»
Ancora una volta, tra loro regnò l'assoluto mutismo. Poi l'aria iniziò a caricarsi di energia.
«Tu mi avresti fatta sentire in colpa?» Le uscì una risata incredula, spezzata. «Mi fa ridere, no anzi, mi fa arrabbiare che tu creda di sapere sempre tutto. Sbagliando!»
Mamoru spalancò la bocca.
«Io sono venuta qui perché ti amo, perché sono eccitata e perché volevo fare l'amore con te. Non sono bisogni meschini e sì, fanno parte di me. Non sono qui per nessun'altra delle ragioni che ti sei immaginato.» Le uscì un ultimo sospiro di rabbia. «Devo spiegarti altro?»
Usagi si sentì vibrare. Non aveva mai aveva usato quel tono con lui, ma Mamoru aveva rovinato tutto.
Sì, era bello che si preoccupasse per lei, ma avrebbe dovuto ritenerla abbastanza matura da capire e decidere da sola.
E sì, le piaceva che lui non volesse farle la minima pressione, perché, se non fosse stata pronta, lo avrebbe gradito tantissimo.
Ed era tanto dolce quanto stupido quel bisogno di addossarsi tutta la colpa, come se lei non avesse avuto alcuna parte in ciò che era successo.
Sì, sì, sì, le piacevano un sacco di cose del suo discorso, ma non che si dicesse certo di sapere cosa pensava e provava lei. Non era una bambina e lui l'aveva appena trattata come se lo fosse.
Combattuta, riuscì solo a guardarlo piena di... Strinse i pugni: non sapeva nemmeno di cosa.
Si alzò e se ne tornò nell'altra camera.

Senza sapere cosa fare o pensare, Mamoru si limitò a trascinarsi nella propria stanza.
Trovò Usagi sdraiata su un fianco, le spalle rivolte a lui.
Fece il giro del letto. «Dalla bocca mi escono solo sciocchezze, vero?»
Gli rispose prima il silenzio. Poi, uno sbuffo. «Mi serviva sentirlo anni fa, non oggi.» Usagi gli diede nuovamente la schiena. «Tu stai ancora a pensare solo a te.»
Mamoru sospirò tra sé: aveva sbagliato di nuovo.
E forse avrebbe sbagliato ancora, ma non fare niente, comprese, sarebbe stata la soluzione peggiore in assoluto.
Si sedette sul materasso. E rimase a guardarla, la sua Usako che se ne stava rannicchiata e gli dava la schiena come quando si offendeva per cose molto meno serie. Usagi che era tanto cresciuta da non avere più timore di conoscere tutte le esperienze dell'amore, Usagi che cresceva in una sola notte, in pochi minuti, per lui.
Si allungò sul letto, raggiungendola.
«Ti amo, Usa.» Non diede peso al sospiro rassegnato di lei: la sua non era una tattica. La abbracciò da dietro, stringendosela contro il petto. «E ho capito. Ma per oggi... stiamo solo così.» Perché se lei era pronta davvero, allora a lui bastava stare solo così, per quella notte. Ad amarla in silenzio per il modo in cui cambiava per lui, in cui si era sempre adattata a lui in ogni cosa. Non si trattava di una tattica nemmeno da parte di lei: Usagi era semplicemente fatta per lui e per questo si incontravano in ogni modo, anche quando non lo volevano. Come sempre, fin dalle prime volte che si erano visti.
Sorrise e le affondò il naso nel collo, inspirando l'odore che era completamente ed unicamente di lei.
Usagi voltò piano la testa. E poi tutto il corpo, tra le sue braccia. «Io non voglio stare solo così.» Gli accarezzò la spalla con una mano e le labbra col respiro. «Ti amo tanto anche io, Mamo-chan. Troppo. Devo fare l'amore con te, lo voglio.» Lo baciò. Lo prese, devastando ogni sua barriera e facendolo suo.
In lui non sparirono proteste senza senso, prese semplicemente posto lo stesso sicuro desiderio di lei, quello che non aveva bisogno di motivi.
Se la strinse contro con tutta la forza che aveva, rendendosi proprietario infinitamente grato non della sua bocca o del suo corpo, ma di lei stessa. Di Usagi che era sua e solo sua, la cosa più bella, la migliore che gli fosse mai capitata.
Per un istante rapidissimo, lei si staccò con forza per respirare. Lui non riuscì quasi a carpire il movimento, perché quando se ne accorse Usagi era già tornata da lui.
Troppo forte, pensò, doveva abbracciarla un po' più piano.
Lei gli si strofinò contro, chiudendo il sospiro nelle bocche di entrambi.
Più piano, insistette con se stesso: lei non sarebbe andata da nessuna parte. E poi se spostava le mani poteva- Bastò il pensiero a convincerlo. Le infilò le dita sotto la maglietta rosa, sulla schiena. Senza forza ma con infinita concentrazione, le accarezzò per intero la spina dorsale, cogliendo ogni brivido come fosse il proprio.
I baci di lei si fecero più lenti anche loro, ansiosi di permetterle di cogliere meglio altre sensazioni, in attesa.
Con una delicatezza che smise subito di essere esitante, Usagi usò la mano per toccargli prima il braccio e poi la schiena, trovando lì spazio per la primissima parte dell'amore che provava.
Mamoru assaporò la carezza del palmo, la mente persa in quel tocco e in tutto ciò che sarebbe venuto, nei baci che le avrebbe dato, nella pelle sconosciuta che avrebbe assaggiato e stimolato fino al piacere massimo, nel corpo che lo avrebbe accolto, aprendosi e ricevendolo senza riserve o timori, prendendosi ogni singola parte di lui e-
Bloccò i movimenti, interrotto da una gravissima dimenticanza. «No
Si fermò anche lei, sorpresa. «Cosa?»
Disperato, lui la fissò nella penombra. «Non possiamo. Non abbiamo niente per...» Non potevano continuare!
La risatina tranquilla di Usagi lo destabilizzò.
«Non preoccuparti. Ci pensa il mio cristallo.»
Il suo- Cosa? «Il cristallo?» Ma che-? Comprese all'improvviso, ma no. «No, non può esserci il caso.»
«Non ci sarà nessun caso.»
Lei non aveva idea dei milioni di casi che potevano esserci, né di quanto gli dolesse fisicamente dover perorare quella causa. «Sarebbe ugualmente un grosso rischio, Usa, non-»
Lei lo interruppe con un dito sulla bocca. «Mamoru. Con quel cristallo, col mio potere, ho sconfitto l'origine di tutto il male, ho fatto perdere la memoria a migliaia di persone, ho ricostruito città ed edifici. Ricordi come ho saputo dove si trovava tua valigia? Ne avevo la certezza assoluta, giusto? Ecco, è la stessa certezza che ho avuto prima, quando mi sono ricordata che non avevamo... precauzioni da usare. Perciò non c'è nessun caso: sarà il mio cristallo a decidere quando arriverà Chibiusa, me lo ha... detto.»
Detto, pensò Mamoru, in quella maniera che era nota a entrambi solo da quando Galaxia era stata sconfitta. Il loro potere aveva iniziato a parlare e non c'era errore in quelle previsioni, si trattava di intime verità assolute.
Usagi gli accarezzò la guancia, attendendo una decisione di lui. Sapeva già quale sarebbe stata, ma l'urgenza di averlo vicino era talmente forte che ogni secondo in cui rimanevano lontani era insopportabile.
La bocca di Mamoru tornò sulla sua, strappandole un'esclamazione di completezza e sollievo. I loro baci in quel momento erano inebrianti, totalizzanti e intensi come non erano stati mai. Si sforzò di attutire minimamente la sensazione, perché era ora di smettere di ricevere solamente, doveva cominciare a dare.
Infilò la mano sotto la canottiera di lui, trovandogli lo stomaco dalla pelle ruvida, dura e tanto calda. Allargò le dita, accarezzando non lembi, ma intere superfici di carne. Le brevi interruzioni nel respiro di Mamoru le fecero scoprire la magia di ciò che gli provocava, gli effetti del più piccolo contatto. Continuò ad accarezzare, a disegnare ogni contorno che sentiva. Liberò la bocca dal loro bacio e la fece scendere sulla linea della sua clavicola, sfiorandola con le labbra, azzardando minuscoli tocchi umidi.
Lui si scostò di colpo. Con movimenti fluidi e frenetici si levò la canottiera nera, buttandola lontano.
Il gesto, la stessa vista, furono talmente sensuali - sessuali - da immobilizzarla.
Si ritrovò stretta contro il torso nudo che la stava facendo avvampare e avvampò ancora di più al contatto, ma in maniera così irremediabilmente piacevole che si rassegnò ad esplodere di rossori. Si abbandonò ad un nuovo bacio aperto, scoprendo la gioia crescente di sentirsi presa da lui, assediata.
Iniziò a respirare talmente forte da ansimare, ma cominciò ugualmente a ricevere in maniera attiva: bastava accarezzarlo, capì. A lui piaceva tanto. Poteva accarezzarlo sul petto, sulle braccia, ovunque.
Una mano si intromise sotto la sua maglietta, sul fianco. Risalì verso l'alto e verso il centro con una velocità appassionata che le mozzò il respiro, che anzi le fece esalare l'ultimo di quelli, al contatto diretto delle dita di lui sul seno.
Mamoru catturò il suo ultimo alito di vita tra le labbra aperte, riportandolo in lei col tocco leggero che lo portò a riprendere il bacio brevemente interrotto.
Usagi venne scossa da un unico e favoloso tremolio: si premette in avanti, schiacciando la bocca su quella di lui e il seno contro la mano che lo teneva a coppa.
Le dita di Mamoru la studiarono, tentarono. Giocarono.
L'oblio dei sensi iniziò a reclamarla, ma l'aria improvvisa sull'intero petto, brutale, la riportò alla realtà.
Corse a coprirsi i seni nudi con le braccia, come meglio poteva, e fermò la tentazione di riabbassare la maglietta solo all'ultimo momento. Rimase ferma.
«Scusa...» Fu un sussurro bassissimo che il suo animo udì fin nel profondo.
Usagi respirò e scosse piano la testa, spostandosi in avanti. Si appoggiò contro di lui, la maglietta ancora sollevata: si permise di abituarsi al contatto vivo e diretto tra i loro corpi che respiravano, che sentivano ogni cosa, che vibravano nell'accarezzarsi l'uno con l'altro.
Non gli chiese un nuovo bacio, lo prese lei. Niente scuse. E liberò le mani, portandogliele attorno al collo. Continua.
Tramise il messaggio anche con un bacio che iniziò a reclamare possesso, ma Mamoru si limitò a posarle le mani sulla schiena e lì le tenne.
Usagi fu costretta a staccarsi e, dopo aver inspirato, a levarsi la maglietta da sola, da sopra la testa. Quella le rimase impigliata nelle code, ma lei dovette finire di toglierla da sola.
Mamoru la stava guardando nella penombra, aiutato dalla debole luce che proveniva dalla finestra.
Usagi si scoprì a respirare sempre più forte. I movimenti veloci del petto, nati da un istintivo imbarazzo, attirarono l'attenzione di lui fino a incantarlo, immobilizzandolo. Eppure, ancora non la toccò, le mani tenute ferme quasi con sforzo.
Lui prendeva solo quello che voleva lei, comprese Usagi, perché la amava e la desiderava per quello stesso amore.
Colmò lei la distanza tra loro, offrendogli un bacio pieno e se stessa, amore e tutto ciò che era. Ti amo, amami. Amare era offrire e offrirsi, era toccarsi e sentire un tuffo al cuore, una stretta al petto. Era trarre infinito piacere dal loro amore.
Gli si aggrappò al collo.
Ti amo, ti adoro, amore.
Lui le portò le mani sullo stomaco, salendo sul petto. Lì prese, i palmi aperti.
La sensazione la travolse d'energia. Con una forza che non sapeva di possedere, gli si buttò addosso, spingendolo sulla schiena.
Le sembrò di percepire una risata silenziosa contro la sua bocca. La staccò da quella di lui e allargò gli occhi di gioia, sorridendo lei stessa: gli stava sdraiata... sopra.
Audace, hm?

Lui le prese la testa tra le mani, confermando con un bacio divertito la sua impressione.
Usagi volle bearsi appieno del proprio potere e appoggiò le mani sul materasso, sollevandosi lentamente, godendosi la vista. A metà strada non resistette, gli accarezzò la fronte, liberandola per metà dai capelli. Sarai sempre tutto per me.
Benché non fosse una domanda, lui non le disse di sì, sollevò invece le mani e le catturò di nuovo i seni tra i palmi, dimostrandole che lei sarebbe sempre stata tutta per lui.
Oh, andava più che bene anche così.
Le titillò le punte con dita esploratrici, portandola ad inarcarsi all'indietro, a sedersi. Ad appoggiarsi completamente contro di lui, duro e ben presente sotto di lei.
Gli scappò un sussulto che lo spinse a tirare su le anche.
Lei gli afferrò i polsi tra le mani, senza sapere se rimanere o scappare.
Lui lo capì e rimase fermo, permettendole di assaporare l'ombra della sensazione dolorosamente intensa ancora viva dentro di lei.
Mamoru attese altri due secondi, poi si tirò su col torso, raggiungendola.
Lievemente spostata all'indietro, Usagi se lo ritrovò davanti con incredibile felicità. Mamo-chan. Gli bastava non vedere nient'altro che lui per dimenticare ogni cosa, per riuscire a ricordarsi cos'era sentire solamente. Gli circondò le spalle con le braccia, si abbandonò al tocco umido e bollente delle loro bocche. Quando lui la circondò per la vita, lei trovò il coraggio per premersi e sfregarsi completamente contro il suo corpo, dai seni nudi contro il petto di lui fino allo squisito punto in mezzo alle gambe di entrambi.
I suoni nella sua gola rimasero soffocati tra le loro labbra.
Dentro di lei era iniziata una tensione meravigliosa dall'ormai chiaro significato e tentare di alimentarla fu naturale. Usò il proprio peso per ondeggiare contro di lui, schiacciandosi di nuovo verso il basso.
Si sentì ricadere all'indietro, di lato, e si ritrovò sdraiata sulla schiena, sovrastata.
I baci non le trovarono più la bocca, le esplorarono invece il viso e ogni angolo del collo, divenuto d'improvviso nuovo punto di sensibilità estrema.
Usagi cercò con le mani qualcosa da toccare e afferrare. Optò mentalmente per le spalle di lui, ma finì col mettergli le dita tra i capelli: la lunga scia umida sul collo non le aveva lasciato scampo. Persa, gli massaggiò la nuca, sentendo il percorso mortalmente rapido della bocca di lui verso il basso, una striscia di labbra lievemente bagnate che non si fermò in mezzo ai suoi seni o su una delle tante curve, ma direttamente su un preciso punto d'interesse.
Con la lingua, Mamoru le lambì voluttuosamente un capezzolo. Non le diede il tempo di produrre un gemito, lo prese in bocca e iniziò a suggerlo tra le labbra.
Usagi piegò la schiena in un arco impossibile, emetttendo un grido sommesso, mozzato.
La sensazione si interruppe immediatamente. «Troppo? Scusa, non-»
Grazie alla presa sui capelli, lei lo riportò esattamente dov'era stato prima. Sciocco e ottuso-
La carezza umida non si fece aspettare per più di un altro secondo.
No, bravo e capace.
Tanto capace da non permetterle di abituarsi alla sensazione: nessun movimento era uguale all'altro, tutti generavano picchi diversi, così, così incredibilmente...
Si strinse un labbro nella bocca e chiuse gli occhi.
Mamoru la sentiva vibrare ogni volta che la assaggiava, che gustava tra le labbra la protuberanza turgida del seno che tanto a lungo aveva voluto vedere. Continuava a sentire il respiro spezzato di lei e, ancora una volta, appena percepibili, i suoni che lo pregavano di non fermarsi.
Ed era davvero lui, proprio lui, a provocarle quelle reazioni, a regalare tutto quel piacere alla sua vera Usagi e non a quella che si era limitato ad immaginare. La sua vera Usagi era deliziosa, ricettiva, altamente sensibile, uno spettacolo per gusto, olfatto, vista, udito, tatto.
Mani rapide gli tirarono la testa verso l'alto. Lui tornò sopra, a ricambiare immediatamente la frenesia dei baci senza fine di lei, l'entusiamo che andava oltre ogni suo sogno e immaginazione.
Si lasciò cadere sul fianco, catturandole un fianco con la mano. Infilò un dito sotto l'elastico dei pantaloncini gialli e iniziò lentamente a tirarlo giù, su un solo lato. Usagi rabbrividì, ma non protestò. Quando l'altra sua mano toccò il fianco opposto, lei si sollevò, permettendogli di sfilare l'indumento anche da quella parte.
Lui seguì con gli occhi il movimento delle proprie dita che, tirando giù, scoprirono mutandine bianche e gambe, gambe che, in proporzioni perfette, divennero ginocchia e infine piedi; tutto vicino come non l'aveva mai avuto, a incredibile portata di... tocco.
Lanciò via i pantaloncini del pigiama.
Tornò a concentrarsi sul viso di lei con minuscola riluttanza, ansioso di assaporare appieno la nuova vista che sapeva di scoperta. La dimenticò quasi quando le mani di Usagi gli trovarono l'elastico dei boxer; le dita di lei presero la strada della sua schiena e lì lo fecero irrigidire oltre l'impossibile, perché... andarono giù, come alla ricerca di qualcosa. Si fermarono dopo pochi centimetri che quasi lo stroncarono.
Si librò in aria una risatina bassa, imbarazzata. Le mani di Usagi uscirono rapide dai suoi boxer. «Pensavo-... credevo avessi qualcos'altro sotto.»
Lui tentò di ridere, ma fu un suono più roco che limpido. «No... niente.» A parte la traccia ancora viva che quelle dita gli avevano lasciato sulla pelle.
Il bianco del sorriso di Usagi fu accentuato dalla debole luce notturna, una luce che le ricadeva su tutto il profilo, un bagliore che in quel momento sembrò esistere solo per illuminare quanto di più bello e sensuale lui avesse mai visto.
Le posò il palmo aperto sul fianco; accarezzò in lungo e in largo, causando un sospiro e un movimento che si offrì al suo tocco. Lui percorse con le dita la stoffa leggera che la copriva, fino a giungere sul punto che aveva già imparato a stimolare oltre il culmine. Lo sfiorò di nuovo, col dorso delle unghie.
Lei si tese, emettendo un suono sordo di abbandono.
Girando la mano, Mamoru la accarezzò coi polpastrelli, premendo di quel poco che- Con un ansito, lei separò le gambe, invitando il contatto appena più in basso, quei pochissimi centimentri che facevano tutta la differenza. L'umidità sotto il cotone rese ogni sua carezza più semplice, tanto piacevole da essere quasi mortale per entrambi.
Mamoru sentì il respiro accelerato di lei contro il collo.
L'avrebbe spaventata di nuovo se avesse cercato di toglierle le-?
A bocca aperta, Usagi gli fece sentire il segno dei denti sulla giugulare e lui non pensò più: con l'indice scostò di lato il tessuto che lo ostacolava, trovandola con le altre dita, tanto pronta e umida che il primo contatto quasi gli fece male.
Usagi sentì il tocco diretto tra le gambe, dove non era mai stata così morbida. La prima lieve carezza la ferì di piacere. La seconda alimentò una tortura di cui si poteva voler morire. Alla successiva, ogni pensiero divenne una smaniosa richiesta di completezza.
Più in alto, gridò tra sé. No non- Oh sì lì, più forte, no non così for- di nuovo, per fav-
La colpì una scarica. No! Gli afferrò il polso, non facendo in tempo a fermare un secondo sussulto. «Aspetta» ansimò senza forze.
Cosa? le chiese lui in silenzio.
«Insieme» spiegò lei. «Questa volta insieme.»
Il sospiro di Mamoru parve l'essenza stessa del sollievo.
«Sarà insieme» le sussurrò sulla fronte. «Ma vorrei sentire di nuovo mentre tu... Puoi farlo tante volte.»
Usagi rabbrividì. «TanteQuante ne aveva in mente? Lei oltre quella già-
Lo sentì sorridere. Lui abbassò la testa e le sfiorò le labbra. «Una alla volta.» La convinse con una carezza leggera delle dita, della bocca.
Quando il tessuto elastico sui suoi fianchi venne lievemente allontanato dalla pelle, Usagi chiuse gli occhi, concedendosi ad uno choc desiderato con un semplice abbraccio.
Mamoru le abbassò gli slip oltre i fianchi e trattenne il respiro. Lo completò solo sforzandosi di continuare. Sollevandosi prima e piegando le gambe poi, Usagi lo aiutò a sfilarle di dosso l'ultimo indumento.
Mamoru la strinse a sé mentre lei faceva lo stesso. La assaggiò con trattenuta frenesia sulla guancia, scendendo sul collo e finendo sulla spalla. Le percorse la schiena, il fianco nudo e la prima parte di una gamba: lei era incredibilmente soffice e calda in ogni dove e ora lui poteva toccarla dappertutto.
Spostò la mano sul davanti e poi sotto, in mezzo, dove i tocchi portavano più piacere. Scivolò con le dita su e giù, piano, lungo un brevissimo spazio che per lei significava ogni cosa. Questa volta non chiuse gli occhi, non si estraneò mordendo alcun lenzuolo: odorò lei, le serrò le labbra con la bocca, rimase concentrato sul suo corpo che, estasiato, si tendeva e si rilassava, che tornava a tendersi non appena lui sfiorava una piccola cresta, che vibrava al minimo tocco, sempre un po' più forte, più veloce.
La fine arrivò con mani che gli affondarono le unghie nelle braccia, con una bocca che gli rubò l'aria e un ventre che vibrò. Il bagnato sotto le sue dita palpitò lieve, incessante, animato.
Si sarebbe unito a lei proprio lì.
Ne accarezzò più forte una parte più grande, causandole un sussulto che si dissolse in un respiro perduto e mai ritrovato.
Proprio lì, pensò lui, solo un poco più sotto, dove si poteva andare dentro e a fond-
Allontanò la mano, stringendo i denti. Percepire la sensazione immaginaria gli aveva causato una stretta troppo intensa dove... Gli si seccò la gola. Dove Usagi si era appena appoggiata, stringendosi a lui.
Gli sarebbe bastato abbassare i boxer e, con una spinta dei fianchi, avrebbe trovato lei e il piacere più assoluto; talmente in fretta che le avrebbe fatto male di sicuro.
Con cautela, attento a limitare qualunque contatto, si scostò piano all'indietro. Si sdraiò per metà sulla schiena, come a cercare lo stesso riposo che si era presa lei, con la testa sopra una sua spalla.
Usagi sembrava spossata, tranquilla.
... avrebbe dovuto fare piano, dopo. Fare attenzione e andare abbastanza piano da non farle sentire dolore e abbastanza veloce da non uccidersi nell'attesa. Ma non poteva pensare al tutto come un'impresa: doveva calmarsi un po', concentrarsi magari su-
Sulla mano di lei che trovò il suo bacino e passò molto vicino a dove lui si tendeva.
Mamoru sussultò, piegandosi di scatto all'indietro.
Lei si fece sentire con una risatina quasi incredula. «Ancora ti allontani?»
Per quel che gli riusciva, rise anche lui. «Scusa.» Tornò come prima. «Solo... non adesso.» Non ora che il minimo tocco minacciava di farlo esplodere.
No? Usagi ne rimase confusa: aveva creduto che gli sarebbe piaciuto, come era piaciuto a lei. E poi voleva iniziare a dargli anche lei qualcosa, perché fino a quel momento aveva solo ricevuto, lui era sempre stato in grado di farle dimenticare tutto e- Oh! «Mamo-chan.»
«Sì?»
Nel cuore le crebbe una triste amarezza, sciocca ma impossibile da mandare via. «Questa... non è la tua prima volta, vero?»
«Certo che lo è.»
La nota di incredulità offesa la riempì di istantanea felicità. E così ricordò meglio com'era stato lui un paio di anni prima, quando lo aveva conosciuto. Già, che dubbio assurdo che le era venuto. La scosse una risatina bassa.
Lui si sistemò meglio su un fianco, concentrato. «Perché credevi che non lo fosse?»
«Niente, così...»
Mamoru la vide distogliere lo sguardo e all'improvviso volle assolutamente saperlo. Andò a mordicchiarle un orecchio, a farle il solletico.
Usagi si dimenò tra piccole risate, senza successo.
«Dimmelo, altrimento continuo.» Accentuò la richiesta con un altro lieve morso al lobo destro.
«Non saprei, quello stai facendo non è così male...»
Usagi scoprì subito che il solletico insistente alla pancia poteva essere quasi male da quanto la faceva ridere.
Le venne concessa una tregua.
«È solo che» terminò di sussultare, «sai cosa fare, dove e come mettere le mani e... Ora non montarti la testa.»
Lui stava sorridendo apertamente, come quella stessa mattina. Sorrideva maliziosamente, ecco cosa le era sfuggito!
Comunque, era sempre il solito modesto. «Come hai imparato?» ridacchiò lei.
«Hm... Studio.»
St-? «Studio?» Grazie alla peggiore attività sulla faccia della Terra?
«Sì, perché volevo saperne di più.
» Lui notò il suo evidente disgusto con un nuovo sorriso. «Non penso di aver imparato tanto. E' perché non so molto che sto attento a quello che faccio ed è perché tu non sai niente che trovi ogni cosa... nuova. Funziona per questo, credo.» Le sistemò una sottile ciocca di capelli dietro l'orecchio. «E perché quando sbaglio non commetto più lo stesso errore. Forse mi ispira l'amore.»
Ohhh. «Che dolce sei.» Usagi si riempì di allegra tenerezza. «Sai, ti meriti di montarti un po', perciò... A me tu sembri proprio bravo, sappilo.» Rise di gusto, provocando in lui la stessa reazione.
«Non ti credo se ridi. Vuoi dimostrarmelo invece?»
«Ah sì, e come?»
In volto gli tornò uno sguardo serio, profondo e... In lei, il tremito fu involontario. Non poté che aumentare quando sentì di nuovo la carezza che si intrometteva tra le sue gambe, delicata e insistente.
«Così.»
Le uscì un ansito che non fu gemito solo per incredile forza di volontà. «Ancora?»
Lui bloccò i movimenti. «E'... perché sia insieme, questa volta. Non so quanto riuscirò a resistere quando io...
» Si interruppe, come se continuare gli risultasse doloroso. «Perciò un po' così, prima.»
Okay, pensò Usagi. Va bene, si sarebbe sacrificata.
Chiuse un respiro forte nella bocca.
Però basta stare sdraiata senza fare niente, doveva partecipare un po'.
Si schiacciò contro di lui e fece scorrere le mani più lentamente che poteva, dal petto alle sue spalle, fino alla sua schiena, cercando di accenderlo.
Lui iniziò a muovere una nocca a ritmo lentissimo su di lei, esattamente nella maniera giusta.
Usagi gli sfuggì con un sussulto, spostandosi di scatto verso l'alto. Non sarebbe stato insieme se lui si metteva a fare così e- Ansimò di colpo a bocca aperta, intrappolata dal bacio sul seno che si fece assaggio immediato, forte, di un unico punto.
Gli catturò i capelli tra le mani, schiacciandosi contro il suo viso, separando le gambe per accogliere meglio anche il tocco lì mezzo.
Oh, era un completo fallimento! Per lui non riusciva a fare proprio- Si bloccò, quasi gelandosi.
La mano di lui era scesa più in basso e un dito aveva trovato un... apertura.
Mamoru scivolò piano verso l'alto, tornando con la testa alla sua stessa altezza. «Forse è più facile se prima...»
Certo, quello era un prima. Perché ci sarebbe stato un dopo e lei doveva solo rilassarsi. Voleva quel dopo, lo desiderava. «Ah-ha.» Si fidò di lui, e si trattenne dal graffiargli il gomito quando lo sentì... entrare. Il suo corpo si richiuse immediatamente attorno a quell'unico dito e Usagi spalancò gli occhi. Se era così adesso, come avrebbe fatto poi a-
Si distrasse col bacio sulla bocca, quello che fu così dolce e bello da farle ricordare subito perché l'esitazione non aveva senso. Era fare l'amore, lo avrebbero fatto in quel modo, unendosi fin- Fin dove stava toccando adesso lui, sempre più in fondo.
Era quasi piacevole, forse.
Una carezza molto in fondo le fece cambiare idea: poteva essere molto piacevole. E non era male neanche nel punto tra dentro e fuori, lo stesso movimento di entrata e uscita causava un piccolo sfregamento che... Ansimò. Oh, a fidarsi di lui faceva sempre benissimo.
Abbassò le palpebre e gli accarezzò con decisione il viso, nutrendosi delle sue labbra e di tutte le sensazioni che le stava dando. Erano meno acute di tutte le altre volte, ma forse più intense, forse- Le sembrò che lui avesse iniziato a cercare qualcosa, verso l'alto, a metà strada. Insisteva lì, perché? Mamoru continuò a farlo in una ricerca lenta che le sembrò quasi inutile, almeno fino all'istante in cui non ebbe pieno successo. Si irrigidì di piacere. «Cosa-
«Studio.»
Le parve di cogliere un sorriso.
Lo soffocò nella propria bocca, 
abbracciandogli la schiena e schiacciandosi piano contro la sua mano, 
L'invito fu colto in un nuovo modo, con la parte inferiore del suo palmo che premette verso l'alto e su di lei, ondeggiando, coordinando il ritmo con l'altro movimento.
Usagi ne venne stravolta, tramortita.
Era meglio, ogni volta stupendamente meglio. E anche se tra poco avrebbe finito di nuovo, non aveva importanza, perché quella sensazione era nuova, doveva sentirla completamente, doveva.
Non ci riuscì, perché ogni movimento di lui
si interruppe bruscamente.
Mamoru portò la mano che l'aveva toccata su di sé, unendola all'altra per creare un fruscio rapido di tessuto su pelle. La penombra e lui stesso le impedirono di vedere; notò solo il lancio distratto dei boxer oltre il letto e il modo in lui cui tornò da lei, sulle ginocchia e sulle braccia, senza toccarla, solo... mettendosi sopra, con gli arti a creare quasi una gabbia attorno al suo corpo.
Usagi si sentì costretta a rimanere sdraiata, bloccata. Stupidamente, si sentì persino minacciata e venne percorsa da un brivido di timore.
«Ehi, no.»
Ehi, no era la voce di lui, di Mamo-chan.
«Sono... solo io.» Lo disse come se lui stesso fosse incerto su quanto quel fatto potesse essere rassicurante per lei.
L'insicurezza le causò un sorriso, una sottile felicità che si cementò quando sentì la fronte di lui contro la propria.
Gli accarezzò il volto tra le mani. Era solo Mamoru, l
'amore in cui riponeva ogni fiducia, l'amore che non aveva nulla a che fare con la paura.
Alzò il mento e gli sfiorò le labbra con le proprie.
Mamoru espirò, invaso da un sollievo che poteva non durare, lo sapeva. Piegando il braccio, riuscì a toccarle una guancia. «Se ti farà male, mi fermerò... o smetterò, non dobbiamo...» No, non dovevamo, ma lui lo voleva talmente tanto che smettere lo avrebbe stroncato. Eppure a lei non poteva farlo capire, perché sarebbe stata capace di subire qualunque dolore e costringersi a continuare oltre la propria volontà pur di farlo contento. Le lacrime che le sarebbero cadute dagli occhi non lo avrebbero ferito; lo avrebbero ucciso.
Usagi spezzò un sorriso. «Non... non è normale il dolore, la prima volta?» E magari non sarebbe stato tanto, pensò. Magari non dovevano preoccuparsene in quel modo. Aprì e piegò le gambe, quindi, con un braccio sulla schiena di lui, lo invitò ad avvicinarsi. Lo sentì colmare parte della distanza tra loro. «Resisterò un pochino...
» 
Il bacio fu come mille altri che si erano scambiati, unione pura e desiderata.
La sensazione non fece che aumentare quando percepì il tocco delle dita di lui che tornava ad alimentare il piacere prima interrotto. Concentrarsi su quello e nient'altro fu naturale, tutt'altro che difficile: vibrava e pulsava per lui, voleva lui e un desiderio da raggiungere insieme. Abbandonarsi sembrò giusto e fu proprio quello che sentì fare anche a Mamoru quando le si appoggiò contro, i fianchi all'interno del suoi. La toccò proprio con quella parte di lui che- Ma non per entrare, solo... Si appoggiò su di lei, fece semplicemente e solo quello.
Il contatto le tolse il respiro.
Era sconcertante, delizioso oltre ogni limite, ma lo sentiva lungo tutta la pelle umida e impossibilmente calda e fu immediato avere un'idea di ciò che non aveva ancora visto. Si irrigidì contro di lui, staccando le labbra dalle sue. Percepì il respiro di piacere contro la bocca e capì che il lieve sussulto del proprio corpo lo aveva fatto fremere, costringendolo a lasciarsi andare a sensazioni che avevano percorso anche lei. E... sì, era quello che voleva: dare piacere a lui.
Assaporò senza altri pensieri il movimento che lo fece scivolare contro di lei, poi lui prese a sfregarsi ripetutamente contro... oh. Usagi gli afferrò la schiena e buttò all'indietro la testa.
Mamoru la sentì sciogliersi e fu costretto a smettere, perché continuare sarebbe servito solo a fargli perdere del tutto la ragione. Lo attanagliavano insieme un disperato bisogno di trattenersi e il desiderio folle di provare solamente. Cercò di far prevalere il primo e di dimenticare il secondo, perché adesso, si disse, doveva concentrarsi.
Si scostò un poco e trovò di nuovo con la mano l'apertura del corpo di lei. Spostò subito le dita, questa volta appoggiandosi proprio dove sarebbe dovuto ent-... ansimò e strinse i denti. I fianchi di Usagi si ritrassero d'istinto, senza trovare spazio per spostarsi.
Doveva aiutarla a non pensarci, a rilassarsi.
Tornò con le dita sul centro umido di lei, in alto, con l'indice piegato. La massaggiò con quell'angolo e poi col polpastrello
Il primo sospiro gli fece pregustare quello che gli sarebbe piaciuto provocarle col suo stesso corpo, da dentro di lei. Ormai doveva solo...
Abbassò lo sguardo, ma più che vedere, andò a sensazioni. Forse... Forse le avrebbe fatto meno male se la abituava lentamente; magari tante piccole spinte avrebbero funzionato meglio, all'inizio. Provò.
Usagi si rilassò quando non giunse alcun dolore. I tanti brevi movimenti contro di lei, sempre più tesi verso l'interno, non le facevano per niente male e continuava a ricordarsi soprattutto la carezza delle dita, quei tocchi che la stavano di nuovo facendo impaz- Le sfuggì un ansito acuto, sorpreso, quando col corpo iniziò a racchiudere la prima parte di lui.
Mamoru serrò le palpebre con forza, concentrandosi sull'effimera sensazione generata dalla sua mano. Quasi non la sentiva più; come se non gli appartenesse, si muoveva per inerzia, sempre più piano. Lei lo percepì e sembrò quasi calmarsi, ma invece doveva concentrarsi solo su- Lui tornò con la mente sulla mano e si impose di muoversi più in fretta, più forte. Usagi sussultò, inarcandosi fino ad accoglierlo un poco di più, persino stringen-
I denti schiacciati non lo aiutarono a non sentire tutta la forza della morsa calda, impareggiabile.
Senza pensarci, mosse più veloce le dita e lei gli strinse disperatamente i fianchi con le mani, talmente persa che-
Che forse non avrebbe provato dolore, comprese all'improvviso.
Tolse di colpo la mano e si spinse con decisione in avanti, d'istinto. Non arrivò in fondo, ma lacerò qualcosa.
Sotto di lui Usagi si era paralizzata, in gola un sospiro interrotto.
Nessuno dei due si mosse.
Nel silenzio iniziarono i respiri rapidi e spezzati che sapevano di lacrime, che non appartenevano a lui.
Mamoru andò a circondarle la testa con le braccia, causando involontariamente un incastro più profondo, che per lui fu- Si morse le labbra. Il brivido di lei non era stato di piacere. «Usa... stai bene? Resto fermo, stai bene?»
Non ricevette risposta e si abbassò a sfiorarle una guancia con le labbra. Fu felice di non trovarla bagnata, ma sentì ugualmente crescere il panico.
«... è solo strano averti...» Usagi deglutì. Sì, aveva fatto male, ma era meglio non- «Ha bruciato un po'... sto bene.»
Il sospiro di sollievo di lui fu talmente grande che, per un momento, lei si preoccupò più dei suoi nervi che dei propri. Avrebbe voluto dirgli che non faceva male, ma non ne era sicura. Girò la testa per un rapido tocco di labbra, poi desiderò - solo per un secondo - essere padrona della situazione. «Per favore, non muoverti... voglio provare a...
» Lo fece, invece di spiegarlo. Tirò su le anche. Dove si incontravano intimamente provò un leggero fastidio, ma preponderante fu la sensazione di... pienezza. E quello che aveva appena fatto lo aveva sentito anche lui, perché si era lasciato sfuggire un suono che... ed era la prima volta da quando avevano cominciato. La prima volta che a lui, finalmente, piaceva così tanto.
Usagi gli sfiorò la guancia con le labbra, rilassandosi e stringendolo a sé con le braccia. «Sì, non... sì, va' avanti.» Perditi in me, proprio come me.
Con la successiva spinta, lo sentì entrare fino in fondo. Alla fine i loro bacini si incontrarono quasi e, quando lui spinse ancora contro di lei, si sfregarono sulla parte alta, provocandole il delizioso e già noto piacere, diverso perché questa volta lo aveva dentro di sé. 
Meglio, gemette, sempre incredibilmente meglio.
Il respiro caldo sul viso le fece aprire gli occhi.
Mamo-chan. Con lei, dentro di lei, una cosa sola nel cuore, nell'anima.
Con una nuova unione, lui la completò come mai prima di allora. Completezza. Una cosa sola in ogni modo, ora. Quanto di più bello ci fosse in qualunque universo, nel loro.
Labbra bisognose si cercarono.
Mamoru entrò di nuovo in lei, rabbrividendo e toccando il corpo che si muoveva assieme al suo. Usagi. Unita a lui, in grado di fargli provare il piacere più grande che potesse esistere, capace di provarlo anche lei con i medesimi movimenti. Lo accoglieva dentro di sé, lei che gli aveva dato tutto e che lui amava più di ogni altra cosa.
Abbandono.
Cercarono i fianchi l'uno dell'altra, l'incastro perfetto che poteva essere solo quello infinito, ancora. Ancora.
Creati per unirsi, sentirono i propri sospiri sulle guance, sugli occhi, sulla bocca. E ancora quell'unica connessione, nuova e ora indispensabile.
Nuova e da approfondire.
Usagi piegò le gambe verso l'alto, strappandosi un gemito e regalando un ansito nella nuova unione.
Nuova e da catturare.
Lo fece cadere su di sé quando gli strinse attorno i muscoli che lo avvolgevano, inconsciamente, in una sorpresa fantastica.
Unione nuova che donava naturale e desiderata follia.
Mamoru si allontanò quasi del tutto, riunendosi a lei in un solo affondo, facendole tendere il corpo verso l'alto e poi alla ricerca spasmodica di lui.
Baci non finiti, ripresi e continuati, con un incastro che cambiava angolo solo per donare sempre più sospiri, per far perdere aria.
Si dovettero più volte ricordare di inspirare, espirare.
Usagi sentì pulsare di follia il calore che aveva conosciuto solo quel giorno, ma questa volta batteva e tremava attorno a lui e raggiunse un culmine ignoto e assoluto mordendogli un labbro, ansimando e gemendo e stringendogli le braccia attorno al corpo come se fosse la sua unica possibilità di salvezza. Batté con lui, solo e sempre più forte per lui.
Mamoru sentì la stretta che chiedeva di più e non diede più tregua agli affondi, a lei o a se stesso, accogliendo ogni suo invito fino a che non le offrì tutto quanto, se stesso e fino all'ultimo spasmo di sensazioni.
Nella fine, arrivò una rigidità di piacere che bloccò il tempo. Si dissolse in un istante, trasformandosi in lieta spossatezza.
Usagi lo sentì completamente abbandonato su di sé, pesante. Un peso non opprimente, desiderato e amato.
Mamoru la sentì sotto di sé, che tentava come lui di riprendere fiato. Trovando le forze da dove non ne aveva, scivolò in basso, appoggiando la testa sul petto di lei, le orecchie sopra il battito di vita.
Per forse un minuto, Usagi fece scorrere dita tranquille sulla sua testa.
Mamoru se ne lasciò ipnotizzare fino a che non chiuse gli occhi. Prima di addormentarsi si costrinse a staccarsi, a sedersi fino a raggiungere le lenzuola terminate a metà del letto. Le prese in un pugno, sdraiandosi accanto a lei e portandole sopra entrambi.
Trovarono l'abbraccio nello stesso momento.
Usagi lo sentì appoggiare la testa sulla propria, colse l'odore della sua pelle viva alla base del collo.
Mamoru sentì il corpo di lei, amato, quieto ed esausto, mentre riposava contro il suo.
Pochi istanti dopo, il sonno catturò entrambi.



CONTINUA...

Note del 2011.
Per chi ha Facebook, ecco alcune note del capitolo (con immagini allegate) da condividere se volete.

Se avete commenti al capitolo, io leggo e rispondo sempre tutte le recensioni, anche quelle vecchie :)
ellephedre



NdA 2 (Luglio 2010): capitolo revisionato. Di nuovo, già :D:D:D Non tanto per il concorso in sé, ma perché stavo presentando a tante persone un testo che non rispecchiava più il mio stile, ma soprattutto un testo con cui sentivo di poter trasmettere di più, ora (forse anche grazie alla raccolta 'Red Lemon' ;) ). Perciò l'ho rivisto e, come con ogni revisione, sono sempre più soddisfatta :)
Non è cambiata la trama, né le azioni, né la sostanza di tutti i dialoghi, ho solo aggiunto più sensazioni da parte di Usagi e Mamoru a tutta la prima parte della scena lemon, nonché a tutta la prima parte del capitolo, cambiando lo stile con cui esprimevo i loro pensieri.
Credo che rivedrò anche il resto della storia, cercando di migliorare qualche problema, ma soprattutto lo stile acerbo di qualche tempo fa.

Hmm... nota a parte: visto che questo capitolo è parecchio cliccato (tipo 1000 visite in più di tutti gli altri :D) forse vi interesserà anche leggere il capitolo 3 della raccolta 'Interludio'. Sempre rating rosso, sempre Usagi/Mamoru, ma un paio d'anni dopo. La scena si inserisce nel ciclo dei sequel di Oltre le stelle, su cui potete trovare maggiori informazioni nelle mie note dell'autore.

NdA originali: è stato più difficile di quello che pensavo. :)
Grazie anche questa volta per avermi fatto sapere quel che pensavate del capitolo due. Devo dire che mi piace leggere particolarmente le recensioni in cui spiegate cosa vi ha più o meno colpito, mi aiutano a capire se ho comunicato quello che volevo.
Questo capitolo è stato particolarmente sofferto e credo smetterò di pensare che per il prossimo capitolo in fondo ho già il materiale pronto, anche se in effetti anche il quarto è già in gran parte formato.
Penso che questa storia non avrà più di cinque capitoli.
Come dicevo nelle note al primo capitolo, forse ho in mente di scrivere qualcosa di più articolato, inventare una trama più corposa. Però devo vedere se avrò davvero in mente del materiale con cui dare vita a questa idea, per cui per ora la mia produzione su Sailor Moon si concluderà col capitolo cinque di questa fanfic.
Non escludo one-shot se non riuscirò a concretizzare la long-shot di cui parlavo.


Grazie a tutti di aver letto e per ogni commento che vorrete lasciarmi.

Ellephedre

   
 
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