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Autore: Black_fire    31/10/2014    8 recensioni
Bella potrebbe dirsi una normale diciottenne come tante altre sue coetanee, se non fosse per due particolari non proprio indifferenti: il primo è quello di avere una famiglia adottiva, i Cullen, composta da vampiri ultracentenari. Il secondo, e anche il più pericoloso, quello di essersi perdutamente innamorata di Edward, uno dei suoi fratelli che ormai lei non riesce più a vedere appunto come tale.
L'ennesimo trasferimento della famiglia Cullen, Bella compresa, a Forks vedrà comparire all'orizzonte una svolta decisiva nelle vite di tutti loro.
Genere: Dark, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Buongiorno!
Allora, da dove cominciare? Direi dal fatto che questo prologo sarà decisamente lungo.
Si è reso necessario, però, per darmi la possibilità di farvi entrare nel vivo della storia già dal prossimo capitolo.
Una piccola precisazione a cui tengo: è a tutti gli effetti una “what if”, però i personaggi manterranno il più possibile le linee guida degli originali.
Alla fine di ogni capitolo, se mi sarà possibile, inserirò uno spoiler del capitolo successivo, dato che lo trovo piacevole, io per prima, come lettrice.
Sono, ovviamente, aperta ad ogni critica e/o consiglio, il confronto è sempre un momento accrescitivo.
Non mi resta che augurarvi buona lettura… e tenere le dita incrociate!
BF
 
 
C'è un principio di energia
Che mi spinge a dondolare
Fra il mio dire ed il mio fare
E sentire fa rumore
Fa rumore camminare
Fra gli ostacoli del cuore

Quante cose che non sai di me
Quante cose che non puoi sapere
Quante cose da portare nel viaggio insieme

Quante cose che non sai di me
Quante cose che non vuoi sapere
Quante cose da buttare nel viaggio insieme
 
“Gli ostacoli del cuore” - Ligabue
 
 
 
 
La prima volta che mi resi conto che la mia famiglia poteva non essere come le altre, avevo all’incirca cinque anni.
All’uscita dell’asilo c’era mia madre, come sempre, ad attendermi.
Mi ero appena tuffata nel suo abbraccio, quando la maestra ci aveva raggiunto.
- Sig.ra Cullen, posso parlarle un momento?
Avevo sentito le braccia della mamma stringermi solo un po’ più forte, così l’avevo guardata negli occhi: non erano più sorridenti come quando mi aveva vista uscire.
- Certo, Stacy, mi dica…
- Isabella, che ne dici di andare a salutare ancora Mrs. Honey, mentre io parlo con la tua mamma?
Avevo capito che la maestra cercava un modo per mandarmi via ed avevo guardato mia madre in cerca di conferma.
Lei era tornata a sorridere, ma non come faceva di solito, e mi aveva fatto cenno di andare come la maestra aveva detto.
Ricordo che continuavo a sbirciarle dalla mia posizione vicino all’enorme orso di peluche, Mrs. Honey.
Stacy gesticolava sempre più animatamente, mia madre sembrava diventare sempre più rigida.
Ero solo una bambina, ma avevo intuito che quel gesticolare fosse legato a ciò che durante il pranzo avevo nuovamente ribadito sia ai miei compagni, che alla maestra.
“Quando sarò grande, anch’io mangerò e dormirò di meno. Il mio papà, la mia mamma e i miei fratelli è così che fanno, per avere più tempo per fare le cose che vogliono. Per esempio, fare le gite nel bosco. O giocare a baseball quando c’è il temporale. Insomma, fare solo cose divertenti.”
Avevo anche intuito che mia madre, forse per la prima volta, mi avrebbe sgridato.
L’avevo vista, con una certa ansia, salutare la maestra e venire verso di me. Mi aveva preso per mano ed eravamo uscite in silenzio.
Solo in macchina, guardandomi attraverso lo specchietto retrovisore, mi aveva parlato.
- Amore, ricordi cosa ti avevo detto?
Mi ero subito sentita in colpa.
- Sì, mamma.
- E’ importante, sai amore? Se no, non ti avrei mai chiesto di stare attenta…
- Lo… so… mamma…
Avevo parlato a fatica, perché già ero scoppiata a piangere. L’idea che avessi deluso mia madre era insopportabile.
- Bella, tesoro, non piangere… lo so che non volevi…
- Mamma, non lo farò più…
- Amore… sono io che ho sbagliato… non potevo pretendere…
Aveva appena fermato la macchina, ma già era accanto a me, sul sedile posteriore, che mi abbracciava forte.
- Piccolina, non dovevo nemmeno chiedertelo… sono stata una sciocca…
Il suo profumo, che mi ricordava quello delle mie caramelle preferite, mi aveva avvolto come sempre ed aveva avuto il potere di rasserenarmi.
- Anzi, sai cosa facciamo? Appena arriviamo a casa, ti preparo la tua merenda preferita: pane, burro e marmellata! Che ne dici?
Mi ero sentita subito più felice. Mia madre mi voleva ancora bene. Con i miei cinque anni, alla fine, solo questo contava: mi aveva già perdonata per aver parlato di cose che non avrei dovuto.
L’avevo stretta forte anch’io, pensando solo per un attimo che sarebbe stato bello se lei avesse condiviso con me quella merenda.
Ma subito dopo, l’avevo già cancellato dai miei pensieri: che mangiasse con me, o no, rimaneva la mamma migliore al mondo.
Di più, non avrei potuto desiderare.


 
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Le prime domande più coscienti erano arrivate con i miei otto anni.

Avevamo lasciato la città dove avevamo sempre abitato, ed ero tremendamente arrabbiata con i miei genitori.
Mi chiedevo perché non capissero quanto era stato doloroso dovermi dividere dalla mia amica Rebecca.
Era l’unica bambina con cui andavo d’accordo, l’unica che non mi considerasse “strana”, perché vivevo in una famiglia un po’ “strana”, per via di abitudini che ai miei occhi erano del tutto normali.
Proprio su questo mi ero concentrata, sul fatto che nel posto nuovo tutti, nessuno escluso, lo avrebbero pensato.
Ero anche arrabbiata, perché loro sembravano dedicare più attenzione ai nuovi arrivati, due ragazzi che sarebbero diventati anche loro parte della famiglia.
Come se non bastasse che di fratelli ne avevo già tre, e tutti più grandi di me. Che mi volessero molto bene anche loro, non ne dubitavo, però rimaneva il fatto che non sempre mi tenevano molta compagnia. A volte, sparivano per giorni interi, e se non avessi avuto Rebecca, sarei rimasta a giocare da sola.
I nuovi arrivati poi, un ragazzo ed una ragazza, sembravano avere delle difficoltà nell’accettare che io esistessi e facessi parte della famiglia. Mi guardavano con molta diffidenza.
Così, quella volta, andai da mio padre a chiedere spiegazioni.
E’ vero che avevo solo otto anni, ma avevo già un carattere piuttosto determinato.
Tanto che mio padre mi aveva affrontato con più serietà del solito.
- Bella, lo so che adesso sei arrabbiata, e ne hai tutte le ragioni. Però, Alice e Jasper, hanno davvero bisogno del nostro aiuto. Anche del tuo. Per loro è difficile abituarsi a… ad una nuova famiglia.
- E allora perché si sforzano? Per colpa loro, siamo stati costretti anche a cambiare casa!
- Se ci siamo trasferiti, non è per colpa loro. E’ colpa mia, sono io che ho accettato un nuovo lavoro…
- Non è vero! Rebecca mi ha detto che ha sentito suo padre parlare con sua madre, e stavano dicendo che ce ne andavamo per evitare che la gente facesse troppe domande su di noi e sui nuovi arrivati…
A questo punto, mi aveva fatto sedere in braccio a lui, stringendomi in un abbraccio affettuoso.
- Le domande su di noi ci sono sempre state e sempre ci saranno… l’importante è non farsene un cruccio. Arriverà il momento che potrai davvero capire…
- Io voglio capire adesso, papà! Non quando sarò più grande!
Gli avevo visto tornare l’espressione serena di sempre. Ma non avevo fatto in tempo a dire altro, che la porta si era aperta.
- Bella! Non vorrai perderti l’inizio del tuo telefilm preferito!
Sulla porta era comparso mio fratello Emmet.
- Ora sto parlando con papà…
Aveva scrollato le spalle alla mia risposta, iniziando a richiudere la porta.
- Edward! Bella dice che non le interessa… puoi pure guardare…
Mi ero alzata di botto.
- Col cavolo che non lo guardo!
Emmet aveva toccato il tasto giusto: la sola idea che l’altro mio fratello pensasse che non volevo vedere quel telefilm per cui mi prendeva sempre in giro, mi aveva completamente assorbito.
Dopotutto, avevo pur sempre otto anni, e non ancora la capacità di comprendere appieno cosa succedeva intorno a me: ero cresciuta in quella famiglia “strana”, per cui non la percepivo come tale. Potevano esserci delle cose che non capivo di loro, ma questo non mi impediva di essere felice di far parte di quella famiglia.
Questa era l’unica cosa che comprendevo molto bene. L’amore di cui mi circondavano sempre e comunque.
- Edward, la televisione è mia! Sto arrivando!
Ero certa che avrebbe fatto il solito spettacolino: fingere di non volermelo far vedere, con tanto di solletico per impedirmi di prendere il telecomando.
Così, correndo per le scale, avevo solo sentito vagamente le parole che si erano scambiati Emmet e mio padre.
- Non potremo mentirle ancora per molto, Carlisle…
- Lo so, Emmet. Ma più tardi sarà, più sarà in grado di comprendere…
Ricordo di aver pensato vagamente che ero già grande, in fondo avevo otto anni, e che avrei chiesto spiegazioni a papà anche di questo. Ma poi ero arrivata in salotto, e mio fratello Edward era sul divano, il telecomando tra le mani, e la tivù sintonizzata sul canale dello sport.
Ci eravamo guardati, consapevoli entrambi che la battaglia stava per iniziare.
Mi ero gettata su di lui, e lui mi aveva immediatamente imprigionata nella sua stretta, le mani che mi solleticavano impietose nonostante le mie proteste giocose di bambina.


 
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A undici anni la verità mi aveva spinto a fuggire di casa.

Una sera, che mi era sembrata lunga come tutta la mia vita, mamma e papà mi avevano detto tutto su di me e su di loro.
Non potendo più tergiversare, perchè le mie domande erano diventate quasi delle certezze, avevo saputo come fossi anch’io una figlia “adottiva” e anche “quanto” fossi diversa da tutti loro.
Forse nutrivo ancora qualche piccola speranza che non potesse essere così, che tutte le differenze che ora mi apparivano evidenti, avessero una spiegazione logica, ma così non era stato.
La realtà mi era piombata addosso con la violenza di una tempesta, cancellando di botto tutto ciò su cui si era sempre basata la mia vita sino ad allora.
Avevo passato tutto la notte a programmare la mia fuga. Tutta la mia vita era stata un’enorme bugia. Tutti loro mi avevano tradita, ingannata, ferita.
Sapevo che la mattina dopo, papà sarebbe stato di turno in ospedale, che mamma avrebbe avuto i suoi impegni di volontariato, che i miei fratelli sarebbero stati a scuola.
Ognuno sarebbe stato occupato a mettere in scena quella parodia di vita che ora sapevo essere indispensabile perché potessero apparire come gli altri.
E io ero certa di non voler fare più parte di quella vita, né di quella famiglia.
Perché ero io, la “diversa”, io ero quella che non c’entrava niente con loro.
Ed ero certa che prima o poi si sarebbero resi conto che ero io a dovermene andare, perché non potevo più fare parte di quella famiglia..
Come ero altrettanto certa che a lungo andare, non mi avrebbero più voluto bene, che si sarebbero accorti che io non ero abbastanza per loro.
Li avrei inevitabilmente delusi con la mia natura fragile, limitata, umana.
Così a scuola avevo aspettato l’intervallo, il momento di maggior confusione, per varcare l’uscita della scuola.
Nello zaino avevo messo qualche provvista, quel cibo che loro avevano sempre finto di gustare per colpa mia, e qualche decina di dollari che avevo preso dal portafoglio di mio padre.
Nonostante tutto, era così che continuavo a pensare a loro: papà, mamma, fratello, sorella.
Carlisle, Esme, Edward, Emmet, Jasper, Alice, Rosalie: i vampiri che formavano la mia famiglia.
Mentre mi recavo alla stazione degli autobus, aveva iniziato a nevicare. Freddo, pioggia, neve, avevano sempre fatto parte della mia vita.
Ed ora sapevo anche il perché, il vero motivo per cui il sole non scaldava mai nemmeno la mia pelle: papà mi aveva spiegato che esporsi ai suo raggi avrebbe rivelato la loro natura diversa, che mi avrebbero mostrato come, ora che sapevo tutto anch’io. Ma non ne avrebbero avuto modo, dato che me ne stavo andando.
Non avevo deciso una meta, avevo pensato di prendere il primo autobus in partenza, ovunque fosse diretto: un posto valeva l’altro.
La neve aveva iniziato a scendere sempre più fitta, il freddo era diventato più intenso.
Le lacrime sembravano congelarsi sul mio viso. Ma ricordo di aver pensato che era familiare anche quella sensazione: perchè le mani che mi avevano sempre accarezzato, o stretta in abbracci affettuosi, o presa per mano, erano sempre state gelide.
A bloccare il mio cammino però, quel giorno, era stato mio fratello Edward.
Semplicemente, sollevando lo sguardo, me lo ero trovato di fronte sul marciapiede.
Una figura dai contorni sfocati, dato che le lacrime continuavano a sgorgare copiose. Un ragazzo apparentemente come tanti nei suoi jeans e nel giubbotto dal cappuccio sollevato; un fratello che andava incontro a sua sorella.
Ma niente, invece, era così semplice tra noi.
Lui non era un ragazzo come tanti, era un vampiro, e io non ero una ragazzina come tante, ero un’umana adottata da una famiglia di vampiri.
Non riuscivo a capire come avessero potuto mentirmi per tutti quegli anni, e l’unica spiegazione che mi ero data, era che lo avevano fatto per pietà.
E io non volevo la loro pietà, volevo che mi volessero bene, come se ne volevano tra di loro.
- Bella, fa freddo. E’ meglio se torniamo a casa…
- Quella non è più casa mia! E voi non siete più la mia famiglia!
Glielo avevo gridato, sperando che la rabbia mascherasse il dolore che provavo nel vederlo lì, un’espressione che mi sembrava davvero esprimesse pietà per me.
- Sei arrabbiata, hai ragione di esserlo. E se andiamo a casa, potremo parlarne quanto vorrai…
Sapeva l’ascendente che aveva su di me. Edward c’era già nei miei primi ricordi, prima ancora di Emmet e Rosalie. Probabilmente era già con Carlisle ed Esme, quando mi avevano trovata.
- E di cosa dovremmo parlare, Edward? Di tutte le bugie che mi avete sempre raccontato?
Il dolore mi stava davvero sommergendo, tanto che mi sentivo la testa girare.
Odiavo Edward in quel momento, lo odiavo con tutta me stessa.
- Mi avete sempre ingannata… anche tu! Io ti credevo! Io credevo… credevo…
Non volevo più vederlo, non volevo più vedere nessuno di loro.
Ero scesa dal marciapiede per evitarlo, e proseguire nel mio cammino.
Probabilmente la neve aveva reso scivolosa la strada, perché solo le braccia di Edward mi avevano impedito di cadere rovinosamente a terra e farmi male.
Sentire quella stretta affettuosa, era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso: la mia rabbia era diventata una furia distruttiva.
Ed Edward il bersaglio di quella furia. Volevo potergli fare abbastanza male, da fargli capire quanto stavo soffrendo io.
I miei pugni lo colpivano con tutta la forza dei miei  undici anni, ma se anche fossi stata un colosso, non lo avrebbero scalfito lo stesso.
Questo, però, non mi impediva di provarci lo stesso. Alla fine, per farmi smettere, gli era bastato stringermi solo un po’ più forte: mi ero ritrovata con il viso sepolto nel suo giubbotto, stretta a lui.
Gli volevo bene, poteva essere quello che era, ma rimaneva il fratello che era sempre stato per me.
- Esme è molto preoccupata per te. Voleva che venissi subito a scuola, che non ti lasciassi arrivare sino a qui. Ma Carlisle ha pensato che era un buon modo, per te, di riflettere su quello che volevi veramente …
Ero ancora arrabbiata, ma anche confusa. Sapevano che volevo fuggire? Come avevano fatto a scoprirlo?
Ci avrei pensato dopo, perché in quel momento, pensavo solo che Carlisle aveva avuto ragione: volevo capire quanto mi volessero bene. E nel pensare di fuggire, c’era tutta la speranza che loro me lo impedissero.
E me lo stavano impedendo. Edward era lì, con me. E me lo stava dicendo non solo a parole, ma con l’affetto che traspariva dal suo sguardo, dai suoi gesti.
- Ti voglio bene, pulce. Tutti ti vogliamo bene, e il tuo posto è a casa, con noi.
Sentivo un nodo stringermi sempre di più la gola. Quel soprannome, pulce, me lo aveva dato proprio lui. Diceva sempre che gli stavo appiccicata come una pulce fastidiosa, quando in realtà era lui che mi veniva sempre a cercare non appena entrava in casa.
Anche i miei genitori, perché non riuscivo a smettere di pensare che loro lo fossero, e anche gli altri avevano preso l’abitudine di chiamarmi così.
Mi volevano tutti davvero bene, e me lo avevano dimostrato con le azioni, più che con le parole.
Avevano vissuto per me una vita ancora più umana di quanto non fossero già costretti a fare per non essere i mostri che la loro natura avrebbe voluto fossero.
- Edward… non dovrete mai più dirmi bugie. Non voglio soffrire così, mai più. Ho pensato… ho pensato che mi stavate dicendo la verità perché volevate liberarvi finalmente di me… che volevate spingermi a fuggire…
- Non devi nemmeno dirlo, Bella! Sei la cosa più preziosa che ci è capitata in questa vita… dannata.
L’uso di quella parola mi aveva colpito, anche se non potevo comprendere appieno il significato che gli stava dando Edward.
- Voi non siete dannati, siete speciali. E siete la mia famiglia. Va bene così.
Probabilmente Edward sapeva che non sarebbe stato facile, da lì in poi, riprendere il nostro cammino insieme.
Forse, già immaginava che inevitabilmente li avrei visti diversi. E che questo, avrebbe inevitabilmente cambiato i nostri rapporti, nel bene o nel male.
Forse, non aveva immaginato davvero quanto avrebbe cambiato me, nei suoi confronti.


 
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Mi sono scoperta innamorata di Edward a quindici anni. Lui, sicuramente lo aveva già capito mesi prima.

Dopo aver scoperto la verità, ovvero il mio essere "diversa" da loro, davvero non era stato facile riprendere la vita di sempre.
Per un certo periodo, quando pensavo alla mia famiglia, non era “noi” che mi veniva in mente, ma “me e loro”.
Avevo avuto bisogno di tempo per tornare a pensare “noi”. Mesi in cui avevo scoperto tutto sulla loro vera natura. Mesi in cui si erano fatti scoprire, mostrandosi senza più riserve, per quello che erano davvero: vampiri.
Ma erano quei vampiri che avevano sempre e solo voluto il mio bene, che mi avevano voluto bene.
Che mi avevano fatto crescere senza farmi mancare affetto, cure, attenzioni.
Avevo ancora dei genitori, dei fratelli pronti a sostenermi, ad affiancarmi nel mio crescere, nell’affrontare qualsiasi difficoltà incontrassi.
E così, giorno dopo giorno, con ognuno di loro avevo ricostruito il rapporto di fiducia ed amore che c’era sempre stato.
Solo con Edward non ero riuscita a far tornare le cose come prima.
Era lui ad essermi stato più vicino nei primi momenti. Non lasciava mai che trascorressi più di un’ora da sola.
Mi accompagnava a scuola, mi veniva a prendere, mi aiutava nello studio, mi teneva compagnia in qualsiasi cosa volessi fare, anche il semplice fare una passeggiata.
E parlavamo. Parlavamo tantissimo. Rispondeva ad ogni domanda che gli rivolgevo, senza che pensassi mai che mi stesse ancora mentendo.
Mi aveva promesso che non lo avrebbe più fatto, e lo stava facendo.
Aveva riempito di particolari le spiegazioni che avevo già avuto da Carlisle ed Esme sul mio passato. Abbandonata davanti al piccolo ospedale di provincia in cui lavorava Carlisle, le autorità non erano riuscite a rintracciare la donna che mi aveva partorito. Il mio destino, nonostante avessi pochi giorni, era già quello di finire in un orfanotrofio e rimanerci il tempo previsto dalla legge perché mia madre cambiasse idea, o venisse quantomeno a riconoscermi, prima di potermi dare in adozione. Ma Esme, che mi aveva tenuta per prima in braccio, non era riuscita a rimanere indifferente alla mia sorte.
Così, d’accordo anche Carlisle, avevano deciso di prendermi in affido temporaneo.
Poi il tempo previsto per legge era passato senza che la mia vera madre, o qualcuno imparentato con lei, fosse venuto a riconoscermi, per poi magari occuparsi di me. Potevo finalmente essere adottata.
Esme e Carlisle, però, ormai mi volevano bene. Anche Edward si era affezionato a me. Nonostante fosse stato più difficile per lui superare la sete scatenata dal mio sangue.
Avevano così deciso di adottarmi, sicuri che sarebbero stati in grado di essere quella famiglia che mi era stata negata dal destino.
E di amore, me ne avevano regalato davvero tanto.
Solo che, affacciandomi nell’età dell’adolescenza, iniziavo anche a volere un altro tipo di amore. Lo stesso che vedevo tra Rosalie ed Emmet, o tra Alice e Jasper.
Con il tempo, e con il mio sapere la verità, avevano sempre più manifestato che il loro volersi bene era un amore diverso da quello che legava dei veri fratelli.
Era stato Edward stesso a parlarmene, forse senza pensare che anche noi non eravamo “veri” fratelli.
Forse, proprio in quei momenti, quando mi parlava dell’amore, di come lo avrei trovato sicuramente anch’io, avevo iniziato a sentirmi diversa nei suoi confronti.
Avevo iniziato a vedere la sua bellezza, nonostante l’avessi avuta sempre sotto gli occhi. Come i suoi occhi fossero espressivi, la sua voce melodiosa, i suoi movimenti forti ed eleganti insieme.
All’improvviso, tutto in lui mi faceva battere più forte il cuore.
E lui non aveva potuto non accorgersene. Io avevo solo quindici anni, lui centosette.
Così io avevo iniziato a volergli essere più vicina, e lui più distante.
Sempre più spesso erano Jasper, o Emmet, ad accompagnarmi a scuola, a venirmi a prendere, a tenermi compagnia. Rosalie, o Alice, ad aiutarmi con lo studio, ad accompagnarmi per una passeggiata, a raccogliere le mie confidenze.
E io parlavo volentieri anche con loro, e senza imbarazzo, ma non era la stessa cosa.
Era con Edward che mi batteva forte il cuore, era con lui che il tempo sembrava non bastare mai.
Il giorno del mio quindicesimo compleanno, era il giorno in cui avevo deciso che gli avrei detto la verità senza più girarci intorno.
Gli avrei detto che lo amavo, ma non più come un fratello. Lo amavo di quell’amore che una ragazza prova verso un ragazzo.
Lo avrei fatto dopo la festa che Alice aveva voluto organizzare a tutti i costi, nonostante sapesse che non mi piaceva essere al centro dell’attenzione.
Ma lui se ne era andato prima che lo potessi fare, e per sempre.
Aveva aspettato il momento in cui stavo per aprire i regali, quindi tutti riuniti, per comunicare che aveva deciso di accettare l’invito a trascorrere un po’ di tempo con il clan di Denali, cioè altri vampiri che avevano deciso di vivere in comunità e senza nutrirsi di sangue umano.
Non ero riuscita a dire nulla, o a fare nulla, troppo sconvolta dalla notizia.
E poi, quando avevo capito che dovevo parlargli subito, lui non c’era più.
Senza nemmeno salutarmi. Se ne era andato e basta.
Avevo pianto per giorni, abbracciata ad Esme, o Rosalie, o Alice.
Tutti avevano capito cosa mi stava succedendo, non solo Edward. Ed erano tutti convinti, Edward per primo, che la lontananza mi avrebbe fatto capire che non era vero amore quello che provavo per lui.
Continuavano a ripetermi che era un momento di confusione, che stavo crescendo, che avevo rivolto la mia attenzione proprio ad Edward perché mi era stato più vicino rispetto a tutti loro.
Sapevo che non era così. Sapevo che quel sentimento per Edward era vero amore.
Ma lui se ne era andato, senza nemmeno salutarmi guardandomi negli occhi. Non poteva voler dire altro, se non che per lui io ero davvero solo una sorella.
Faceva male. Tutti i giorni mi sentivo morire all’idea che lui non ci fosse più.
Sarei stata disposta ad averlo vicino ancora come fratello, pur di averlo ancora nella mia vita.
Ma lui non era più tornato. L’invito di qualche settimana, era diventato un vero e proprio trasferimento.
Aveva addotto come scusa il trovarsi bene lì in Alaska, dove appunto risiedeva il clan di Denali.
C’era un clima perfetto, oltretutto, che gli permetteva una libertà di movimento che non avrebbe avuto dove noi risiedevamo.
Telefonava spesso, e a volte parlava anche con me. Ma non aveva più la voce calda, affettuosa che ricordavo.
Era un parlare distaccato, un chiedere di banalità come il mio andamento scolastico, o della mia salute.
Ogni volta, mi faceva chiaramente capire che per lui le cose tra di noi, erano decisamente cambiate e che gli andava bene così.


 
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Ora, di anni ne avevo quasi diciotto.

Da due, ci eravamo trasferiti a Forks, nello stato di Washington.
Cittadina ideale per la famiglia Cullen, dato che aveva il più alto tasso di piovosità di tutti gli Stati Uniti.
Insieme ai miei “fratelli”, frequentavo la High Forks School. Stavamo per diplomarci, io per la prima volta, ognuno di loro per l’ennesima volta.
Le nostre giornate trascorrevano sempre uguali, e non annoiarsi diventava sempre più difficile.
Di amicizie vere non ne avevo fatte, dato che anch’io mantenevo un certo distacco dagli altri compagni. Mi veniva istintivo, dal momento che anche gli altri lo facevano per non entrare troppo in contatto con altri umani.
Se il mio sangue non aveva più alcuna attrattiva per loro, anche grazie al bene che mi volevano, non era così verso il sangue degli gli altri.
Anche a scuola, perciò, passavo il mio tempo libero con loro. Come stava avvenendo anche in quel momento, in mensa.
Dove ascoltavo le chiacchiere dei mie fratelli, mentre ero l’unica a mangiare il cibo che mi ero servita.
Anche loro ce l’avevano davanti, nei piatti che avevano riempito, ma lo stavano ignorando.
- Bella, ancora non ti sei stufata di quella roba? Tra tutto quello che mangi, è la cosa che veramente fa più schifo…
Emmet stava guardando il mio piatto di spinaci con un’espressione di vero disgusto.
- Non sai che fanno diventare più forte? Presente l’effetto che fanno su Braccio di Ferro? Potrei anche arrivare a darti la lezione che meriti dopo averli mangiati!
Jasper non era riuscito a trattenere una risata, probabilmente perché mi stava immaginando mentre davo una lezione ad Emmet.
- Sai quanti ne dovresti mangiare per potermi battere, pulce?
Per un attimo non mi ero vista più in mensa, circondata dal vociare incessante degli altri studenti, ma su un marciapiede, nel silenzio ovattato che solo la neve sapeva creare.
“Ti voglio bene, pulce. Tutti ti vogliamo bene, e il tuo posto è a casa, con noi.”
La voce di Edward era tornata a riempirmi il cuore, i pensieri, l’anima.
La sua assenza si era fatta dolorosamente viva, mi avvolgeva e mi stordiva.
Mi aveva mentito. Aveva detto che non lo avrebbe più fatto. E invece… se ne era andato.
- Bella, credo che Mike ti inviterà al ballo di fine anno… e credo lo farà non appena usciremo da scuola…
La voce di Alice, lo sguardo di Rosalie, l’empatia di Jasper, il dispiacere di Emmet, mi avevano riportato al presente.
Mitigando in parte quel dolore che aveva il potere di ferirmi così profondamente.
Perché ero ancora innamorata di lui. Anzi, lo ero sempre di più.
- E’ un’ipotesi, Alice, o una certezza?
Erano stati tutti sollevati nel sentirmi rispondere, soprattutto Emmet. Sicuramente sapeva che non sarebbe stato sufficiente per Rosalie, che comunque lo avrebbe rimbrottato duramente per essere stato così “stupido” da usare quell’espressione che era di Edward.
- Temo una certezza, Bella. L’ho visto realizzarsi due secondi fa, quando ho incrociato il suo sguardo…
- Potrei sempre fingere un malore ed andare a casa prima… eviterei l’imbarazzo di dovergli dire ancora un no!
- Oppure potresti accettare il suo invito…
Rosalie non aveva nascosto una certa durezza nel dirmelo.
- Andare al ballo con Mike? Il ragazzo che non è capace di dirmi due parole in croce senza balbettare? Rosalie, mi vuoi così bene?
- Forse è proprio perché ti voglio bene, Bella, che te lo dico…
Capivo che il suo non accettare di scherzarci sopra, poteva essere il preludio di una discussione già avvenuta solo due sere prima e non avevo voglia di ripeterla a breve distanza.
- Ci penserò, Rosalie, promesso.
Avevo cercato di chiudere l’argomento evitando danni più seri. Dato che due sere prima, la discussione era poi degenerata in un litigio vero e proprio che solo Carlisle era stato in grado di interrompere.
- Non mi basta come risposta, Bella. E’ quella che ho già sentito negli ultimi due anni… e anche con altri ragazzi più o meno interessanti.
- Rose, devo dare atto a Bella che Newton non è che sia proprio il massimo…
- Jasper, sai bene che il problema non è Newton…
Sentivo che avrei potuto arrabbiarmi di nuovo sul serio. Capivo che Rosalie lo faceva davvero per il mio bene, ma non cambiava comunque la situazione: sapevano benissimo come la pensavo. La mia vita mi andava bene così, perché era con loro che la volevo condividere.
- Rose, per favore, non ho voglia di litigare ancora… possiamo chiudere qui l’argomento?
- Lo potrei fare se tu accettassi l’invito di Mike. Devi vivere anche la tua vita, Bella, non solo la nostra…
- Rose ha ragione, Bella.
- Alice! Anche tu ti ci metti? Ma che cavolo avete oggi contro di me? Se è per gli spinaci… non  li prendo più!
Stavo ancora tentando di lasciargli una scappatoia, la possibilità di unirci tutti insieme in una risata che riportasse la conversazione su argomenti spensierati come poco prima.
- Bella, lo so che non vuoi sentirtelo dire… ma dovresti frequentare anche ragazzi come te, con le tue stesse “esigenze”…
Era successo, ero arrabbiata sia con Alice, che con Rose. Ultimamente mi stavano davvero troppo addosso con questa storia.
- E voi due, anche voi la pensate così? Vi piacerebbe vedermi avvinghiata a Mike Newton sul sedile posteriore della sua auto?
Emmet e Jasper avevano iniziato ad essere gelosi della loro “sorellina” umana da quando eravamo arrivati a Forks. Ora che ero cresciuta, e che i ragazzi davvero mi guardavano con un occhio diverso, si erano trovati in difficoltà.
Spesso, si erano dovuti trattenere a fatica davanti a commenti appena sussurrati da qualche ragazzo al mio passaggio, e che loro sentivano benissimo.
- Non credo che Newton oserebbe tanto… almeno non subito, visto i fratelli che ti ritrovi… perciò…
Era stato Emmet  a rispondermi, ma anche Jasper annuiva convinto.
Alice e Rosalie continuavano a sostenere il mio sguardo, convinte che fossi io in errore.
Non capivano che sarebbe stato tutto inutile? La mia vita avrebbe avuto un senso solo accanto ad Edward.
E non avevo ancora confessato loro l’altra mia convinzione, quella che avevo iniziato a maturare da un anno a questa parte, mentre attendevo di diventare maggiorenne.
Volevo arrivare a condividere davvero la loro vita, volevo essere come loro.
Sapevo anche che se lo fossi diventata, Edward mi avrebbe visto con occhi diversi.
Non avrei più avuto quell’anima che, una volta, mi aveva detto era la cosa che più temeva perdessi vivendo accanto a loro.
Ma non avrei potuto davvero parlargliene ora, quando erano così convinti che avrei dovuto “occuparmi” di più della mia natura umana.
Forse per trovare quella felicità che volevano per me, ma che mai sarebbe potuta arrivare proprio da lì.
- Capisco. E’ una congiura di famiglia. Devo pensare che anche Carlisle ed Esme la pensino così?
Mi era bastato vedere le loro espressioni per sapere che era così. Che probabilmente ne avevano parlato davvero tutti insieme, arrivando a quella conclusione.
Avevo deciso d’istinto che si sarebbero pentiti di avermi spinto in quella direzione. Li avrei accontentati, ma li avrei anche tagliati fuori.
Volevano che provassi ad essere l’umana che ero?
Benissimo, non ci sarebbe stato più spazio per loro. Non me ne sarei andata, ovviamente, come avevo provato a fare all’età di undici anni, ma avrei fatto in modo che la mia presenza si riducesse al minimo.
- Okay, avete vinto voi.
Mi ero alzata di scatto, attirando immediatamente sguardi curiosi: al tavolo dei fratelli Cullen, era raro vedere qualcuno di loro andarsene da solo.
- Volete che Newton entri nella mia vita?
- Bella, lo sai cosa volev…
- Rosalie, ho capito, davvero. Lo fate per il mio bene. E voi sapete cosa è meglio per me, giusto? In fondo, io sono solo la “piccolina” di famiglia… come posso pretendere di saperne più di voi?
Sentivo che Jasper stava tentando di controllare la mia rabbia, ma io sapevo contrastarlo se volevo. E in quel momento lo volevo davvero.
- Tranquillo, Jasper. Non farò qualche stupidata. Sto solo per seguire il consiglio di Rosalie…
Ero arrabbiata, ma non volevo davvero dare spettacolo più del dovuto. Non avrei mai messo in pericolo tutti loro.
- Andrò a fare amicizia con chi potrà capire meglio le mie “esigenze”…
E li avevo lasciati così, gli sguardi ora più incupiti, probabilmente anche dispiaciuti per avermi fatto arrabbiare.
E lo ero davvero, arrabbiata. Perché non riuscivo a smettere di pensare che se ci fosse stato Edward, tutto questo non sarebbe successo.
Lui avrebbe capito meglio di tutti quello che provavo.
O forse, volevo solo illudermi che se ci fosse stato, non mi avrebbe permesso di andare da Mike.
Mi avrebbe fermato prima, dicendomi che il mio posto era accanto a lui.
Ma Edward non c’era. Era lontano, e di quello che provavo io, probabilmente non gli interessava veramente.
Questo pensiero mi aveva resa ancora più determinata nel mio intento.
Così, con passo sicuro, avevo colmato la distanza tra il nostro tavolo e quello dove Mike sedeva con altri miei compagni di classe.
Mi aveva visto dirigermi verso di loro, e avevo visto la sua espressione diventare sempre più sorpresa.
Per diventare incredula, quando mi ero rivolta direttamente a lui.
- Ciao, Mike.
- Ci… ciao Bella!
- Ora ti sembrerà strano quello che sto per dirti…
Avrei voluto essere nei pensieri di Mike come sapeva fare Edward. Credo che l’avrei trovato, forse, anche divertente.
- … ma mi chiedevo: ti andrebbe di venire a mangiare una pizza con me, una di queste sere?
Per un attimo avevo temuto che potesse cadere dalla sedia, tanto lo aveva preso in contropiede.
E temevo la stessa cosa anche per Angela, Eric, Jessica e Tyler, dato che anche loro mi guardavano increduli.
L’unica certezza che avevo, era che i miei fratelli stavano sentendo tutto con molta chiarezza, e speravo potessero già essere pentiti della mia decisione.
- Bè… ovvio che sì!
Mike non era caduto dalla sedia, ma anzi era scattato in piedi a sua volta.
Non era un brutto ragazzo ed era anche vagamente simpatico.
Solo che non sarebbe mai potuto essere Edward.
Nessuno sarebbe mai potuto essere Edward.
Io avrei amato lui per sempre.
- Anzi… direi che potremmo già fare stasera! Inaugurano giusto una nuova pizzeria in centro… con i ragazzi stavamo pensando di andarci…
- Perfetto, allora! Poi mi fai sapere a che ora devo arrivare…
Mi ero voltata solo un attimo, per vedere le facce dei miei fratelli, e ne ero rimasta soddisfatta.
Fingevano indifferenza, ma io sapevo che erano preoccupati che avessi reagito così istintivamente.
Peggio per loro, avrebbero dovuto pensarci prima.
Ora che ero riuscita nel mio intento, sentivo la rabbia sbollire rapidamente. E avevo pensato che andare fuori, per respirare un po’ d’aria, mi avrebbe fatto bene.
Solo che non avevo messo in conto l’effetto che avrebbe avuto su Mika Newton quel mio improvviso interesse per lui.
Non avevo fatto in tempo a salutarli, dicendo che ci saremmo visti dopo a lezione, che Mike già si stava offrendo di tenermi compagnia, magari scambiando due chiacchiere.
Non avrei mai voluto la sua compagnia, avrei voluto stare un po’ in pace, ma rifiutare sarebbe apparso ancora più strano del mio improvviso interesse per lui.
Così, con lui al mio fianco, avevo lasciato la mensa.
Consapevole di avere addosso gli sguardi dorati di quattro vampiri.
 
 
 
 
 
 
 



E per incuriosirvi un pochino di più ecco un piccolo assaggio dal primo capitolo...
 
 
 
Era stata una serata assolutamente da dimenticare.
Non mi ero mai sentita più fuori luogo, come in mezzo a quel gruppo di ragazzi. I loro scherzi, i loro discorsi, i loro sogni, tutto mi sembrava assolutamente lontano da quello che ero io.
Vedevo in loro tutto quello che non avrei mai voluto diventare.
Avevo finto l’allegria necessaria per arrivare sino in fondo alla serata, senza fargli capire che non ci sarebbe stata una seconda volta.
Questo pensavo mentre imboccavo la strada che mi portava verso casa.
Che avrei dovuto trovare una scusa plausibile per rifiutare l’invito che mi era stato rivolto di andare a fare surf sulla spiaggia di La Push.
Perché non mi interessava quello che avrebbero voluto per me i miei fratelli, io ero certo che quella vita non facesse per me.
Non è così che sarei stata felice.
Nel frattempo ero arrivata davanti alla villa che era diventata la nostra casa.
Era isolata in mezzo ai boschi e abbastanza lontana da Forks, da concedere quella riservatezza di cui la mia famiglia aveva bisogno.
Il buio della notte era rischiarato solo dalle luci all’interno. Sicuramente qualcuno mi stava attendendo e mi avrebbe domandato della serata.
Immaginavo sarebbero state sicuramente Alice e Rosalie.
Da quando eravamo tornati da scuola, a quando ero uscita per andare in pizzeria, non avevo spiaccicato parola con loro.
E loro avevano preferito non insistere, sapendo che mi avrebbero solo fatto arrabbiare di più.
Mi conoscevano davvero troppo bene, e sicuramente sapevano che quando fossi tornata, sarei stata più propensa a parlarne.
Ero appena scesa dal mio pick-up, quando un brivido premonitore mi aveva attraversato la schiena.
- Ciao, Bella.
Era qui, era tornato.
Mi ero voltata lentamente, convinta di scoprire che era stata solo la mia immaginazione.
Ma non era stato un sogno.
Edward era lì, di fronte a me.
  
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