Grazie a tutti e buona lettura . Vi abbraccio virtualmente.
CAPITOLO I: Dicono sia l'ora più bella
Un
altro anno, un' altra estate, ancora Alassio. Sole, mare, amici,
feste , discoteche. Doveva essere un mese di puro divertimento
in onore dei bei tempi in cui eravamo degli adolescenti che si
divertivano a fare gli incompresa e che possedevano un'insana voglia
di vivere ma ci pensavano i problemi della vita "adulta" a
ricordarci che non era più così.
L'università, il lavoro,
l'economia, i problemi d'amore. Eppure lì era tutto come
allora,
perfettamente immutato: il solito bagnino Mario, il gelataio della
piazza e lo storico baretto. Anche il gruppo negli anni non era
variato di molto, solo qualche aggiunta in più.
L'ambiente
era lo stesso da più di vent'anni , ma eravamo noi giovani
ad essere
cambiati. Matteo, allora così presente in spiaggia, si
vedeva poco o
nulla, l'unico ad avere sue notizie era il fratello, Giacomo. Elena,
che da bambina non era mai stata granché estroversa, parlava
ancora
meno e leggeva di più, sembrava animarsi al solo nome del
fidanzato
storico, lo stesso invisibile Matteo. Per ultimo, c'era il mio fidanzato, Paolo. Anni di
pseudo corteggiamenti e conversazioni telefoniche notturne mi avevano
finalmente vinto ma la nostra relazione si poteva difficilmente
definire tale: niente smancerie, baci o paroline dolci sussurrate su
un letto condiviso, un abbraccio freddo una volta ogni tanto quando
entrambi sentivamo una carenza affettiva era più che
sufficiente.
Paolo
era pressoché un bambino occupato per il trenta per cento
del suo
tempo a giocare e il restante settanta a mangiare, nulla di
più
nulla di meno. Nessun lavoro, pochi e saltuari studi in una scuola
privata di provincia, e l'aria perennemente annoiata che non gli
consentiva di interpretare gli sguardi sempre più esasperati
dei
suoi compagni di giochi e scorribande. Pur avendo più di
vent'anni
sembrava avere le capacità cognitive di un bambino di sette,
otto
anni al massimo
Mi voltai a guardarlo, sostava vicino alla riva
imbracciando un fucile d'acqua carico, incurante delle occhiate
confuse dei passanti, minacciava Giacomo e Nick di colpirli se non
gli avessero rivelato dove avevano nascosto il nuovo pacchetto di
figurine. Le facce di Giacomo e Nick raccontavano molto di
più di
quanto non osassero confessargli tanto che per più di un
attimo
provai pena per loro, decisi quindi di intervenire quando una
passante poco entusiasta si lamentò con il bagnino per gli
schizzi
d'acqua gelata ricevuti.
-Paolo! Smettila stai infastidendo i
passanti, se i ragazzi non vogliono giocare avranno le loro buono
ragioni- urlai dal lettino su cui ero intenta a leggere un
settimanale di moda trovato per caso.
-Ragazzi basta, state
infastidendo la mia ragazza vero Alessandrina? Arrendetevi.-
Abbandonai qualsiasi speranza e incrociando lo sguardo di Valerio, il
nostro bagnino, mi resi conto che il resto della compagnia aveva
già
perso le speranze da anni.
Sorrisi, quasi scusandomi, a Nick
che mi osservava con la confusione dipinta sul volto e gli indicai
che era meglio lasciarlo perdere. Paolo si allontanò dalla
riva e
venne a sedersi accanto a me buttandosi con noncuranza sul lettino,
bagnando l'asciugamani di spugna e scrollando i lunghi capelli scuri
come un cane bagnato.
Lo
osservai in attesa che si scusasse, ma ancora una volta
preferì far
finta di nulla e iniziò a disegnare cerchi sulla sabbia.
A
volte mi sentivo soffocare dalla sua presenza, come se fossi stata
avvolta da una bolla di fumo così densa da impedirmi da
trovare una
via d'uscita. La verità è che sapevo benissimo
come liberarmene ma
ne avevo paura, troppa paura; temevo di ricadere in un turbine di
sensazioni che mi avevano avvolta per troppo tempo e di cui alla fine
non mi ero mai liberata. Non sapevo ancora che, in un mondo o
nell'altro, quelle sensazioni sarebbe tornate a tormentarmi.
Mi
alzai scostando il corpo di Paolo dal mio e mi stiracchiai.
-Dove
vai amore?- mi domandò più per il fastidio di
essere stato spostato
che per interesse.
-Vado a fare due passi al molo, dicono che
questa sia l'ora più bella.- Pregai che non si offrisse di
accompagnarmi, parve pensarci per qualche secondo ma il commento di
poco prima era ancora chiaro nella sua mente così, con un
broncio
infantile, scrollò le spalle e tornò ai suoi
disegni senza
rispondermi, meglio così.
Camminare sulla sabbia a piedi
nudi mi piaceva e mi rilassava, sentire il profumo di salsedine con
in sottofondo i versi dei gabbiani era il mio concetto di
libertà,
quella agognata per un intero anno di freddo, nebbia e pioggia . Il
molo nel tardo pomeriggio dei primi di agosto era all'incirca deserto
se non per qualche pescatore accompagnato dalla sua fedele canna da
pesca o adolescenti in cerca del brivido di un tuffo, la mia panchina
preferita direzione "isola Gallinara" era libera.
Mi
sedetti incrociando le gambe nude sul legno ancora caldo e chiusi gli
occhi concedendomi per qualche secondo di assaporare i più
dolci dei
ricordi. Me bambina, quel delfino gonfiabile più grande di
me che mi
trascinavo sulla riva del mare nonostante non fossi neanche capace di
stare a galla da sola, il primo bacio scambiato su quella stessa
panchina in una sera di pioggia, lento e incerto ma sospeso nel tempo
per dare l'illusione che potesse durare per sempre. Ci avevo creduto,
creduto davvero, che quella storia a cui avevo donato me stessa, le
mie prime esperienze, i primi sentimenti veri, durasse in eterno. Ero
una bambina e in confronto a me lui era così maturo; le sue
labbra
erano mature, già assaporate da un'altra bocca, le sue
guance un po'
ispide erano già state levigate da altre mani eppure a lui
non
sembrava importare o almeno era quello che mi era parso di leggere in
un paio di profondi e scuri occhi color cioccolato. Un movimento
brusco contro le sbarre di metallo mi destò, riaprii gli
occhi di
scatto convinta di dover rispondere alle domande di qualche turista
ma tentennai non appena incrociai due occhi così simili a
quelli del
ricordo.
-Tutta sola al molo, Alessandrina? Come mai non ti sei
portata dietro la guardia del corpo? Si potrebbero fare incontri
pericolosi...i malfattori sono sempre dietro l'angolo.- Inghiottii a
vuoto, quasi come se avessi scordato come respirare correttamente.
Era la prima volta che lo vedevo, almeno quell'estate, e potevo
affermare con certezza che non fosse cambiato di una virgola, stesso
sguardo, stesso tono sarcastico e prepotente di chi credere di essere
migliore degli altri, una spanna superiore a tutti, ma che in
realtà
non osa guardarsi allo specchio.
-Ti
riferisci a te stesso, Matteo? Chissà perché non
avrei problemi ad
immaginarti come tale.- Risposi distogliendo lo sguardo dagli occhi
che vedevo brillare di luce ingannatrice, rispondere al fuoco con il
fuoco, mi era sempre riuscito bene.
-La simpatia è una dote di te
che ho sempre apprezzato- ribatté con un sorriso
impertinente, prima
di continuare questa volta con più serietà. -Mi
stupisce davvero
vederti qui, insomma, mi era sembrato di capire che non fossi
un'usuale frequentatrice del molo. È un anno che non ci
vediamo-.
-Non per colpa mia, sei tu che non sei più venuto in
spiaggia, io non mi sono mai mossa. Sai com'è il detto...
"stessa
spiaggia stesso mare"- spostai lo sguardo verso la distesa blu,
incapace di reggere ancora il suo sguardo indagatore per paura che
leggesse qualcosa di troppo nei miei occhi. In quei pochi secondi in
cui mi era stato concesso osservarlo avevo notato una voce se
possibile più profonda e mascolina, le braccia, pur non
essendo mai
state esili, sembravano essere state sviluppate con duri allenamenti
in palestra. Matteo appoggiò la canna da pesca al suolo
asciugandosi
le mani sul costume da bagno prima di prendere posto sulla panchina
accanto a me.
-Enrica mi ha accennato qualcosa , sì. Mi ha detto
che senza di me la compagnia è una noia mortale, concordi?-
Faticavo
a seguire la conversazione, il suo profumo era così
inebriante e
persistente, lo stesso di quando era poco più che un
adolescente, in
grado di suscitare un fiume di ricordi difficili da arginare.
Impiegai qualche secondo prima di rispondergli.
-Siamo cambiati
Matteo, cresciuti. E' ovvio che non ci mettiamo più a fare i
gavettoni come una volta.-
-Fossi in te domani preparerei dei
palloncini, tanto ci sei abituata, no? Il tuo fidanzato deve averne
una casa piena considerata la sua età mentale-. Lo guardai
confusa,
non capendo nell'immediato l'illusione, mi soffermai sul sopracciglio
destro alzato provocatoriamente e compresi spalancando gli occhi.
Qualcosa mi diceva che di lì a poco sarebbero iniziati i
guai ma
preferii non ascoltare quella voce razionale così simile a
quella di
mia madre, erano trascorsi cinque anni, ero guarita.
-Quest'anno
si pesca ben poco e non ha senso perdere tempo. Potrei passare per
una visitina e chissà, magari mi fermo più a
lungo.-
-Fai come
vuoi - risposi controllando la voce un po' rauca e tremolante. -Ma
non ti aspettare che ti accolgano tutti a braccia aperte, sono finiti
i tempi in cui eri la star della spiaggia- incrociai le braccia al
petto come per difendermi dalla sua posa altera.
-Dici?
Io non ne sono così sicuro. Mi sembra di ricordare che senza
di me
il divertimento sia finito, insomma, non vi parlate nemmeno
più. Che
stupido, dimenticavo che ormai sei una donna impegnata-. Non risposi
alla provocazione, continuai a fissare la Gallinara, così la
chiamavano i vacanzieri storici, in attesa che se ne andasse. La sua
presenza mi impediva di assaporare a pieni polmoni il mio angolo di
paradiso.
-Ti ricordavo più loquace ma non importa, ti lascio ai
tuoi pensieri, ho una ragazza da portare a cena fuori stasera e non
vorrei fare tardi. Ci si vede.- Recuperò l'amo e la
cassettina in
plastica, senza nemmeno voltarsi una volta, si allontanò a
passo
cadenzato ma per nulla frettoloso lasciandomi sola con più
pensieri
di quanti non ne avessi prima di accomodarmi.
Osservai la sua
schiena da lontano e per una frazione di secondo non riuscii a
reprimere il desiderio di essere Elena, almeno per una sera. Mi
sarebbe piaciuto avere un ragazzo con cui condividere i miei
pensieri, le mie preoccupazioni, con cui confrontarmi davanti ad un
bicchiere di vino. Invece erano anni che non uscivo a cena con il mio
ragazzo se non per un panino unto davanti allo stadio prima di una
partita, niente più candele o baci al limite della decenza
per un
bicchiere di troppo. Eppure, anche se per un periodo così
breve da
sembrare soltanto un sogno, avevo avuto la mia dose di dolcezza e
passione, mi ero seduta a un tavolo con una candela e avevo concluso
la serata con baci infuocati. L'avevo provato, gustato, prima che mi
venisse tolto senza che avessi la possibilità di lottare e
sfoderare
gli artigli e a me non restò altro che ricucire le ferite
del mio
cuore in attesa che qualcuno riuscisse a ricomporlo. Mi diedi un
pizzicotto sul braccio, forte, per svegliarmi dallo stato di trans in
cui ero caduta.
Mi incamminai verso lo stabilimento, un nuovo
desiderio di solitudine si agitava nel mio cuore, sentivo
contemporaneamente l'esigenza di pensare e il bisogno di spegnere
quella voce petulante e fastidiosa che non aveva smesso nemmeno per
un'istante di tormentarmi. Neanche il suono dei gabbiani, fino a
qualche minuto prima così confortante, era in grado di
oscurarla.