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Autore: SemplicementeCassandra    31/10/2014    1 recensioni
Alessandra è un'abitudinaria, il mese di agosto coincide da almeno un decennio con la piccola Alassio. Ma nell'estate del 2008 con il tormentone di Estelle che le rimbomba nelle orecchie e nel "Budello", un ricordo creduto lontano si concretizza per diventare, forse, qualcosa in più. Non è casuale che Alassio venga ricordata come la "città degli innamorati"e Alessandra lo sa bene. Se lo ricorda ogni volta che osserva un paio di occhi marroni, simili ai suoi ma più profondi, che la tormentano nelle notti insonne e la abbagliano di giorno. In un mese che dell'estate conserva qualche sporadico giorno di sole è giunta l'ora di chiudere i conti con un passato ingombrante, una ferita ancora aperta che appare impossibile da ricucire.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Vorrei salutare e ringraziare tutti coloro che leggeranno la mia storia e li prego di non avere grandi aspettative. Spero di non deludervi e vi invito a farmi sapere cosa ne pensate se vi va.
Grazie a tutti e buona lettura . Vi abbraccio virtualmente.

CAPITOLO I: Dicono sia l'ora più bella

Un altro anno, un' altra estate, ancora Alassio. Sole, mare, amici, feste , discoteche. Doveva essere un mese di puro divertimento in onore dei bei tempi in cui eravamo degli adolescenti che si divertivano a fare gli incompresa e che possedevano un'insana voglia di vivere ma ci pensavano i problemi della vita "adulta" a ricordarci che non era più così.
L'università, il lavoro, l'economia, i problemi d'amore. Eppure lì era tutto come allora, perfettamente immutato: il solito bagnino Mario, il gelataio della piazza e lo storico baretto. Anche il gruppo negli anni non era  variato di molto, solo qualche aggiunta in più.
L'ambiente era lo stesso da più di vent'anni , ma eravamo noi giovani ad essere cambiati. Matteo, allora così presente in spiaggia, si vedeva poco o nulla, l'unico ad avere sue notizie era il fratello, Giacomo. Elena, che da bambina non era mai stata granché estroversa, parlava ancora meno e leggeva di più, sembrava animarsi al solo nome del fidanzato storico, lo stesso invisibile Matteo. Per ultimo, c'era il mio fidanzato, Paolo. Anni di pseudo corteggiamenti e conversazioni telefoniche notturne mi avevano finalmente vinto ma la nostra relazione si poteva difficilmente definire tale: niente smancerie, baci o paroline dolci sussurrate su un letto condiviso, un abbraccio freddo una volta ogni tanto quando entrambi sentivamo una carenza affettiva era più che sufficiente. 
Paolo era pressoché un bambino occupato per il trenta per cento del suo tempo a giocare e il restante settanta a mangiare, nulla di più nulla di meno. Nessun lavoro, pochi e saltuari studi in una scuola privata di provincia, e l'aria perennemente annoiata che non gli consentiva di interpretare gli sguardi sempre più esasperati dei suoi compagni di giochi e scorribande. Pur avendo più di vent'anni sembrava avere le capacità cognitive di un bambino di sette, otto anni al massimo
Mi voltai a guardarlo, sostava vicino alla riva imbracciando un fucile d'acqua carico, incurante delle occhiate confuse dei passanti, minacciava Giacomo e Nick di colpirli se non gli avessero rivelato dove avevano nascosto il nuovo pacchetto di figurine. Le facce di Giacomo e Nick raccontavano molto di più di quanto non osassero confessargli tanto che per più di un attimo provai pena per loro, decisi quindi di intervenire quando una passante poco entusiasta si lamentò con il bagnino per gli schizzi d'acqua gelata ricevuti.
-Paolo! Smettila stai infastidendo i passanti, se i ragazzi non vogliono giocare avranno le loro buono ragioni- urlai dal lettino su cui ero intenta a leggere un settimanale di moda trovato per caso.
-Ragazzi basta, state infastidendo la mia ragazza vero Alessandrina? Arrendetevi.- Abbandonai qualsiasi speranza e incrociando lo sguardo di Valerio, il nostro bagnino, mi resi conto che il resto della compagnia aveva già perso le speranze da anni.
Sorrisi, quasi scusandomi, a Nick che mi osservava con la confusione dipinta sul volto e gli indicai che era meglio lasciarlo perdere. Paolo si allontanò dalla riva e venne a sedersi accanto a me buttandosi con noncuranza sul lettino, bagnando l'asciugamani di spugna e scrollando i lunghi capelli scuri come un cane bagnato.
Lo osservai in attesa che si scusasse, ma ancora una volta preferì far finta di nulla e iniziò a disegnare cerchi sulla sabbia.
A volte mi sentivo soffocare dalla sua presenza, come se fossi stata avvolta da una bolla di fumo così densa da impedirmi da trovare una via d'uscita. La verità è che sapevo benissimo come liberarmene ma ne avevo paura, troppa paura; temevo di ricadere in un turbine di sensazioni che mi avevano avvolta per troppo tempo e di cui alla fine non mi ero mai liberata. Non sapevo ancora che, in un mondo o nell'altro, quelle sensazioni sarebbe tornate a tormentarmi.
Mi alzai scostando il corpo di Paolo dal mio e mi stiracchiai.
-Dove vai amore?- mi domandò più per il fastidio di essere stato spostato che per interesse.
-Vado a fare due passi al molo, dicono che questa sia l'ora più bella.- Pregai che non si offrisse di accompagnarmi, parve pensarci per qualche secondo ma il commento di poco prima era ancora chiaro nella sua mente così, con un broncio infantile, scrollò le spalle e tornò ai suoi disegni senza rispondermi, meglio così. 
Camminare sulla sabbia a piedi nudi mi piaceva e mi rilassava, sentire il profumo di salsedine con in sottofondo i versi dei gabbiani era il mio concetto di libertà, quella agognata per un intero anno di freddo, nebbia e pioggia . Il molo nel tardo pomeriggio dei primi di agosto era all'incirca deserto se non per qualche pescatore accompagnato dalla sua fedele canna da pesca o adolescenti in cerca del brivido di un tuffo, la mia panchina preferita direzione "isola Gallinara" era libera. 
Mi sedetti incrociando le gambe nude sul legno ancora caldo e chiusi gli occhi concedendomi per qualche secondo di assaporare i più dolci dei ricordi. Me bambina, quel delfino gonfiabile più grande di me che mi trascinavo sulla riva del mare nonostante non fossi neanche capace di stare a galla da sola, il primo bacio scambiato su quella stessa panchina in una sera di pioggia, lento e incerto ma sospeso nel tempo per dare l'illusione che potesse durare per sempre. Ci avevo creduto, creduto davvero, che quella storia a cui avevo donato me stessa, le mie prime esperienze, i primi sentimenti veri, durasse in eterno. Ero una bambina e in confronto a me lui era così maturo; le sue labbra erano mature, già assaporate da un'altra bocca, le sue guance un po' ispide erano già state levigate da altre mani eppure a lui non sembrava importare o almeno era quello che mi era parso di leggere in un paio di profondi e scuri occhi color cioccolato. Un movimento brusco contro le sbarre di metallo mi destò, riaprii gli occhi di scatto convinta di dover rispondere alle domande di qualche turista ma tentennai non appena incrociai due occhi così simili a quelli del ricordo.
-Tutta sola al molo, Alessandrina? Come mai non ti sei portata dietro la guardia del corpo? Si potrebbero fare incontri pericolosi...i malfattori sono sempre dietro l'angolo.- Inghiottii a vuoto, quasi come se avessi scordato come respirare correttamente. Era la prima volta che lo vedevo, almeno quell'estate, e potevo affermare con certezza che non fosse cambiato di una virgola, stesso sguardo, stesso tono sarcastico e prepotente di chi credere di essere migliore degli altri, una spanna superiore a tutti, ma che in realtà non osa guardarsi allo specchio.
-Ti riferisci a te stesso, Matteo? Chissà perché non avrei problemi ad immaginarti come tale.- Risposi distogliendo lo sguardo dagli occhi che vedevo brillare di luce ingannatrice, rispondere al fuoco con il fuoco, mi era sempre riuscito bene.
-La simpatia è una dote di te che ho sempre apprezzato- ribatté con un sorriso impertinente, prima di continuare questa volta con più serietà. -Mi stupisce davvero vederti qui, insomma, mi era sembrato di capire che non fossi un'usuale frequentatrice del molo. È un anno che non ci vediamo-.
-Non per colpa mia, sei tu che non sei più venuto in spiaggia, io non mi sono mai mossa. Sai com'è il detto... "stessa spiaggia stesso mare"- spostai lo sguardo verso la distesa blu, incapace di reggere ancora il suo sguardo indagatore per paura che leggesse qualcosa di troppo nei miei occhi. In quei pochi secondi in cui mi era stato concesso osservarlo avevo notato una voce se possibile più profonda e mascolina, le braccia, pur non essendo mai state esili, sembravano essere state sviluppate con duri allenamenti in palestra. Matteo appoggiò la canna da pesca al suolo asciugandosi le mani sul costume da bagno prima di prendere posto sulla panchina accanto a me.
-Enrica mi ha accennato qualcosa , sì. Mi ha detto che senza di me la compagnia è una noia mortale, concordi?- Faticavo a seguire la conversazione, il suo profumo era così inebriante e persistente, lo stesso di quando era poco più che un adolescente, in grado di suscitare un fiume di ricordi difficili da arginare. Impiegai qualche secondo prima di rispondergli.
-Siamo cambiati Matteo, cresciuti. E' ovvio che non ci mettiamo più a fare i gavettoni come una volta.-
-Fossi in te domani preparerei dei palloncini, tanto ci sei abituata, no? Il tuo fidanzato deve averne una casa piena considerata la sua età mentale-. Lo guardai confusa, non capendo nell'immediato l'illusione, mi soffermai sul sopracciglio destro alzato provocatoriamente e compresi spalancando gli occhi. Qualcosa mi diceva che di lì a poco sarebbero iniziati i guai ma preferii non ascoltare quella voce razionale così simile a quella di mia madre, erano trascorsi cinque anni, ero guarita.
-Quest'anno si pesca ben poco e non ha senso perdere tempo. Potrei passare per una visitina e chissà, magari mi fermo più a lungo.-
-Fai come vuoi - risposi controllando la voce un po' rauca e tremolante. -Ma non ti aspettare che ti accolgano tutti a braccia aperte, sono finiti i tempi in cui eri la star della spiaggia- incrociai le braccia al petto come per difendermi dalla sua posa altera.
-Dici? Io non ne sono così sicuro. Mi sembra di ricordare che senza di me il divertimento sia finito, insomma, non vi parlate nemmeno più. Che stupido, dimenticavo che ormai sei una donna impegnata-. Non risposi alla provocazione, continuai a fissare la Gallinara, così la chiamavano i vacanzieri storici, in attesa che se ne andasse. La sua presenza mi impediva di assaporare a pieni polmoni il mio angolo di paradiso.
-Ti ricordavo più loquace ma non importa, ti lascio ai tuoi pensieri, ho una ragazza da portare a cena fuori stasera e non vorrei fare tardi. Ci si vede.- Recuperò l'amo e la cassettina in plastica, senza nemmeno voltarsi una volta, si allontanò a passo cadenzato ma per nulla frettoloso lasciandomi sola con più pensieri di quanti non ne avessi prima di accomodarmi.
Osservai la sua schiena da lontano e per una frazione di secondo non riuscii a reprimere il desiderio di essere Elena, almeno per una sera. Mi sarebbe piaciuto avere un ragazzo con cui condividere i miei pensieri, le mie preoccupazioni, con cui confrontarmi davanti ad un bicchiere di vino. Invece erano anni che non uscivo a cena con il mio ragazzo se non per un panino unto davanti allo stadio prima di una partita, niente più candele o baci al limite della decenza per un bicchiere di troppo. Eppure, anche se per un periodo così breve da sembrare soltanto un sogno, avevo avuto la mia dose di dolcezza e passione, mi ero seduta a un tavolo con una candela e avevo concluso la serata con baci infuocati. L'avevo provato, gustato, prima che mi venisse tolto senza che avessi la possibilità di lottare e sfoderare gli artigli e a me non restò altro che ricucire le ferite del mio cuore in attesa che qualcuno riuscisse a ricomporlo. Mi diedi un pizzicotto sul braccio, forte, per svegliarmi dallo stato di trans in cui ero caduta.
Mi incamminai verso lo stabilimento, un nuovo desiderio di solitudine si agitava nel mio cuore, sentivo contemporaneamente l'esigenza di pensare e il bisogno di spegnere quella voce petulante e fastidiosa che non aveva smesso nemmeno per un'istante di tormentarmi. Neanche il suono dei gabbiani, fino a qualche minuto prima così confortante, era in grado di oscurarla.


  
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