Chiudi gli occhi.
Il vento ti sbatte violentemente in faccia, ti scompiglia i capelli.
Un passo, un altro, ti fermi e ti volti.
Il fiume scorre, lento.
Continui il cammino, indecisa, con passi deboli, nella nebbia di novembre fitta e densa che ti avvolge.
Avanzi, lenta, le foglie che cadono, si aprono i cancelli e tu continui a camminare.
Chiudi gli occhi e rivedi i suoi.
Scorgi il suo profilo, così famigliare ma ormai così lontano.
Ti manca, ti si stringe lo stomaco.
A forza di camminare sei quasi arrivata; la vedi, là in fondo, la sua foto.
Sorride, felice.
Quanto è ormai che non sorride più?
Ti scende una lacrima che il vento aggredisce, screpolandoti la guancia.
Ti sembra di vederla lì, nel vialetto, tra i cipressi e le statue di angeli.
Ti guarda e sorride, ancora, proprio come in quella foto, ferma lì ormai da quasi tre anni.
Perché non l’hai salutata prima che se ne andasse?
Quando la smetterai di vederla?
E’ ancora lì, che ti fissa.
Scuoti il capo, come per scacciare i pensieri, le lasci i fiori e ti volti per andartene.
Ti pare di udirla sussurrare, ma non ti volti, non più.
E finalmente la lasci andare, perché tu, in fondo, a casa hai chi ti aspetta.
N.A.
Ho scritto questa storia per due persone molto importanti.
In primo luogo è per Sara, perchè sono finalmente riuscita a "lasciarla andare".
In secondo luogo è per Emma, perchè...lei lo sa il perchè.