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Autore: shalalahs    21/11/2014    1 recensioni
I pensieri erano come pesci voraci. Cambiavano direzione in una maniera impressionante, riavvicinandosi e sfuggendo come sapone. Non importava quanto stringessi l'attenzione attorno ad essi, riuscivano sempre a scivolare via ed allontanarsi, soppiantati da parole fastidiose e mal volute.
Un piccolo frammento, come un vetro che rotea su sé stesso e rifrange parzialmente la luce. Si trattava di uno di quei pensieri insopportabili, che mi costringevano a distogliere lo sguardo, a cercare disperatamente un modo per pensare a qualcos'altro. Quel volto giovane e vitale aveva, troppo tardi, riempito di nuovo i miei pensieri. Perché lui? Perché, fra tutti coloro che potevano capitare, lui?

[sequel di "Al di là dell'incubo" di Megara X.]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: I Cinque Guardiani, Jack Frost, Pitch, Sorpresa, Un po' tutti
Note: Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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!WARNING! LA SEGUENTE STORIA È IL SEQUEL DI QUESTA FANFICTION, SCRITTA DA MEGARA X. SI CONSIGLIA, QUINDI, LA LETTURA DELLA PRECEDENTE ONE-SHOT PER LA COMPRENSIONE DELLA STORIA. OGNI AVVENIMENTO A CUI FACCIO RIFERIMENTO FA PARTE DELL'ORIGINALE.
GRAZIE PER L'ATTENZIONE <3



 


[...]

I piani filavano lisci. Filava tutto liscio come l'olio. Era tutto perfettamente e stranamente tranquillo, nonostante le notti di quei bambini non-credenti venissero affollate costantemente da incubi. Amavo gli incubi anche per altri piccoli particolari. Era più facile, per chiunque, ricordare un incubo che un bel sogno. Perciò, qualcuno di essi aveva iniziato a notare sagome scure che si muovevano nell'ombra. Esseri sinuosi dagli occhi dorati che inseguivano i loro sogni, come i cavalli selvaggi inseguivano il vento nelle praterie. Ero in piedi ai lati del letto di una bambina, godendomi la sua vista afflitta e preoccupata dall'evidente incubo che stava avendo.
Stavano migliorando, poco a poco, seppur non era niente di impressionante e potente come lo era stato una volta. Mi accontentavo, non potevo certo fare altro, per il momento. Bisognava avere pazienza ed attenersi al piano. Erano passate settimane e, con mio grande sollievo, Frost non si era minimamente fatto vedere. Ignoravo il costante sentore di solitudine che mi assillava ogni tanto, seguito da quella domanda che l'altro mi aveva rivolto, segnando la fine della discussione.
Poco a poco, avevo iniziato a creare una mappa di dove si trovassero i bambini che iniziavano anche a dubitare dell'esistenza dei Guardiani, affacciandosi all'età più matura, ma senza ancora volersi abbandonare definitivamente a quelle false speranze. Era facile farli vacillare ancora di più, farli sentire non protetti, scoperti. I loro eroi non sarebbero stati lì per proteggerli, perché se dal Globo qualche luce scompariva era solo che naturale. Ogni anno, la “vecchia” generazione cresceva e perdeva interesse, soppiantata da quella nuova, più giovane e suscettibile.
Gli Incubi meglio formati, perciò, erano stati inviati da loro, mentre invece quelli più “giovani”, per così dire, li guidavo e li crescevo da solo. Serviva, soprattutto, a tener occupata la mente da pensieri e questioni scomode. Era più facile dimenticarsi di qualsiasi cosa potesse affliggere i miei pensieri, se ero concentrato su qualcos'altro di più importante. Il che, fortunatamente, occupava la stragrande maggioranza del mio tempo, visto che come sorgeva l'alba in un emisfero, dall'altra parte calava l'ombra.
Così, nel mentre che attendevo che la notte si facesse inoltrata, mi lasciai ricadere nuovamente nelle ombre, ritornando nella mia casa diroccata e scura. Sospirai appena, iniziando ad incamminarmi all'interno dei vari tunnel. Lentamente, m'insinuai nel dedalo che, ormai, conoscevo a menadito. Ogni piccola deformazione, ogni cambiamento di direzione. Quali fossero crollati e quali no. Poco a poco, raggiunsi una nicchia abbastanza grande ed alta da permettermi di restare in piedi e camminarci all'interno. La rientranza nella roccia si allungava, poi, alla mia destra, lì dove un paravento esotico celava parzialmente alcune scatole. Era un po' un angolo dei passatempi, quello. Carte d'epoca, scacchiere in avorio ed ebano, oggetti di ogni dimensione che nel tempo avevo semplicemente arraffato perché mi piacevano e mi interessavano. Una semplice collezione. Stavo per avviarmi oltre di esso, quando un movimento attirò la mia attenzione. La grotta era stata riempita di cuscini di un ocra scuro, caldo, simile all'oro sporco che colorava gli occhi dei miei Incubi, assieme a rifiniture rosse e calde, anch'esse scure. Uno stile molto orientaleggiante, assieme ad un tavolo basso, circolare di ebano. E, proprio su uno dei cuscini, un arabesco ghiacciato si diramava in un disegno ordinato ed intricato, fatto di tanti minuscoli cristalli. Trattenni il fiato per un attimo.
Com'era arrivato lì?
«Frost!» sentii gridare alla mia voce, in un impeto di rabbia ormai più trattenuto.
Eppure, non l'avevo visto nei tunnel, perciò, poteva solo significare che avesse davvero usato qualcosa per teletrasportarsi via.
Un colpo di tosse mi fece distogliere lo sguardo dai cuscini e dal resto della grotta, nel mentre che mi voltavo -frenetico- a cercare la faccia strafottente dello Spirito del Gelo. Me la ritrovai in alto. Troppo in alto per essere effettivamente la sua statura normale. Difatti, oltre che in alto, era anche al contrario. Si era rifugiato, a quanto pare all'ultimo secondo, all'interno della nicchia situata sopra l'ingresso del tunnel.  
Feci per aprire bocca, ma lui alzò le mani in segno di.. resa? Sembrò intimorito.
«Come hai fatto ad arrivare fin qui?» chiesi a denti stretti, serrando la mandibola così forte da farmi quasi male. «Dammi un buon motivo per non ucciderti ora e subito, Frost!» più che un’esclamazione, sembrò un ringhio il mio, senza neanche permettergli di rispondere.
«Te l'avevo detto che sarei tornato! Ma non c'eri mai, quindi..» si strinse nelle spalle, iniziando a muoversi con gesti impacciati, fino a scendere giù, adagiandosi avanti a me, il bastone stretto nella mano destra. «Insomma, che ne sapevo che avevi la stanza dei ricordi -o quel che è..!» stava ironizzando, o cercando di sdrammatizzare?
In entrambi i casi, la mia reazione fu più che chiara: non era uno scherzo. Non riuscii a trattenere la mano che, veloce, schizzava verso la sua gola, afferrandola e tirandolo su di peso, sollevandolo fino a premerlo contro il muro. Emise un grido soffocato di sorpresa, afferrandomi il polso con entrambe le mani -e facendo anche cadere il bastone- come se quel gesto potesse bastare a farmi allentare la presa. Quando notò con la coda dell'occhio il bastone per terra, riuscii a percepire le sue paure che, taglienti come il ghiaccio, s'insinuarono nei suoi pensieri. C'era confusione, preoccupazione per quel mio gesto, per il mio volto, per.. ciò che aveva fatto? L'ho offeso. L'ho offeso e manco posso biasimarlo.
Rimasi in silenzio, nel mentre che lui scalciava qua e là, inutilmente. Finché le paure non iniziarono a cambiare, bruscamente, come un lampo a ciel sereno. Vidi lampeggiare un cielo vacuo e liquido, scuro, freddo. Si muoveva come l'acqua, sospeso sopra la mia testa -o meglio, sopra la testa di Jack. Le mani che si muovevano freneticamente per cercare di raggiungere quella luce bianca, improvvisa, ritagliata da delle lastre di ghiaccio. E poi, con orrore, realizzai che non era il cielo ad essere liquido, ma la superficie del fiume che, lentamente ed inesorabilmente, si allontanava. Così come realizzai l'assenza del respiro e sperimentai i ricordi di terrore, perché non respiravo. Perché sarei morto. Perché Jack era..
Mollai bruscamente la presa, facendolo cadere a terra in un colpo di tosse forte ed improvviso. Eppure, i miei occhi rimasero fissi avanti a me, ancora preda di quella paura. Una sensazione di nausea mi attanagliava la bocca dello stomaco, facendomi rivoltare le viscere. Le paure erano nettare, solitamente. Come mai, allora, stavolta sembravano più veleno? Abbassai lo sguardo, spaesato ed esitante, osservando il ragazzo esile e sottile sotto di me, ai miei piedi, raggomitolato ed ancora scosso dai colpi di tosse.
Le labbra si erano schiuse in una lieve sorpresa mista ad orrore. Le richiusi di scatto. Sentivo la bocca asciutta e secca. Uno spaventoso e freddo vuoto nella mia mente, come se non riuscissi più a pensare a nient'altro. Le parole sfuggivano prima ancora che potessi pensare ad esse. Fu come cercare di afferrare la sabbia. Scivolava via dalle mie dita, così le parole sembravano bloccarsi tutte assieme subito prima della mia bocca e, proprio quando cercavo di farle uscire, sparivano in un sol colpo.
Realizzai che, all'improvviso, mi ero fissato a scrutare gli occhi di Jack e che lui, di rimando, mi stava osservando. Non appena realizzò il contatto visivo, lo Spirito lo interruppe bruscamente, voltandosi e cercando di afferrare a tentoni il bastone che, poco lontano, giaceva malamente a terra.
Feci per muovere un passo, ma una raffica improvvisa di vento mi investì, portandosi via il corpo del ragazzo attraverso i tunnel. La mano mi lanciava delle piccole fitte, ma ignorai il ghiaccio che si era formato su di essa, così come si era formato sulla parete contro cui era finita la schiena del Guardiano.
Rimasi in silenzio per un attimo, in un moto di indeterminazione che parve eterno. Ebbi l'amara sensazione di star per rifare lo stesso errore, la stessa scelta sbagliata. La stessa identica fossa in cui ero inciampato. E mi voltai verso il tunnel, immergendomi nell'ombra e scivolando velocemente, all'inseguimento del ragazzo. Lo ritrovai facilmente, ancora intento a cercare la strada per uscire da lì. Sembrava davvero convinto. Sarei dovuto esserne felice. Finalmente aveva compreso che non poteva restare là, a farmi “visita”. Eppure, non potei evitare un moto di amara delusione a riguardo. Cos'altro mi aspettavo?
Sobbalzò, quando per poco non mi impattò contro, trattenendo un'esclamazione. Sentii il timore montargli in testa. Timore per cos'altro avrei voluto fare.
«Senti.. Senti, mi dispiace, okay? Non l'ho fatto apposta, non lo sapevo!» esclamò, stringendo convulsamente il bastone fra le mani. Ora sì che riconoscevo quelle paure. Reverenziali, timorose, inquietate dalla mia presenza. Il Re degli Incubi non faceva nessun altro effetto. Ci voleva molto a capirlo?
Rimasi ugualmente in silenzio, scrutandolo negli occhi.
«Sta' lontano da me, Jack.» sentenziai alla fine, serio, quasi greve nel tono. Sembrava una condanna, più che un avvertimento. Eppure, la sua reazione sorpresa fu inaspettata. Non capii subito, ma sperai che non fosse sicuramente per l'amarezza che cercavo disperatamente di nascondere ai suoi occhi. Stava relativamente bene, almeno. Era di questo che volevo accertarmi? Di non averlo ferito troppo?
La sua sorpresa, infine, si trasformò in un'espressione ostile, quasi infastidita e sprezzante. Non riuscii ad interpretarla. Non volevo interpretarla.
 

Alla fine, il ragazzo riuscì a ritrovare la via d'uscita dai tunnel. Lo seguii nelle ombre fin quando non fu fuori. Rimasi nascosto, dietro uno dei tanti massi, finché non divenne un puntino bianco in mezzo alle nuvole, trascinandosele dietro, scomparendovi all'interno.

[...]

C'erano molte cose che non riuscivo a spiegarmi. Ovviamente si trattava di "cose" di cui non avrei neanche voluto interessarmi. Avevo, momentaneamente, perso interesse nel mio scopo principale: nutrire ed accrescere i miei Incubi. Me ne stavo in silenzio, annoiato, a fissare i vari bambini che finivano per addormentarsi e contorcersi fra le coperte, cercando di sfuggire alla mia ombra e alla mia risata, mentre la sabbia nera si cibava della loro paura e dei loro spaventi. La mia mente roteava attorno ad un'unica, insolita e fastidiosa immagine. Il volto di Frost prima sorpreso, poi ostile. Cercavo in tutti i modi di togliermelo dalla testa, ma inutilmente. Sembrava più una maledizione, che altro. Neanche fossi improvvisamente tornato umano e fragile. Da quando i miei pensieri erano così incontrollabili ed autonomi? Non mi piaceva minimamente la sensazione di dipendenza e l'influenza che quel ragazzino esercitava su di me. Inaccettabile, soprattutto perché era stato un nemico -e solo gli stupidi si fidano dei nemici. Io non ero uno stupido.
Avevo perfino sfiorato delle ipotesi, nel corso dei giorni: rapire Frost e costringerlo a stare con me, benché poi sarebbe sicuramente toccato lottare contro gli altri deviati dei Guardiani; cercare Frost per tentare di farlo cambiare con le buone, nascondendomi dietro un atteggiamento meno ostile -e poi pensai che manipolarlo sarebbe stato ignobile e degno di me, di qualcuno che restava sempre nella parte sconfitta. Se Frost l'avesse mai scoperto, cosa sarebbe potuto succedere?
Le opzioni erano tante e fin troppo ridicole. Non avrei finto di essere qualcosa che non ero. Per quanto riguardava ottenere ciò che volevo con la forza ed i sotterfugi.. Beh, si trattava totalmente di un discorso diverso.
Rimasi per tutta la notte immobile, nello stesso punto, in piedi vicino al letto dell'ennesimo bambino che non credeva nei Guardiani, scrutandolo mentre si contorceva e mormorava. 
Sapevo che si sarebbe svegliato, prima o poi, ma non avrebbe visto nient'altro che la sua stanza. Mi voltai, iniziando a curiosare sulla scrivania piena di cartacce scarabocchiate e matite. C'erano disegni -se di disegni si poteva parlare.
Un'esclamazione provenne dal bambino, nel mentre che altre coperte si muovevano. Il respiro affannato che irrompeva nel silenzio del buio. I lampioni gettavano ombre trasversali sul letto, lungo le coperte. Una di esse incontrò il mio volto, mentre mi voltai per osservare il bambino dai capelli mori e gli occhi a mandorla sollevarsi a sedere, ancora cieco e spaesato, mentre l'ombra dell'Incubo si dileguava, turbina di in mia direzione ed attorcigliandosi al mio corpo, risalendo dal busto, concentrandosi nel palmo della mia mano. Lo mossi lentamente, movimenti circolari ed armonici, ormai abituali, prima di stringere le dita e dissolverla. Il bambino, lentamente, sembrò calmarsi. Eppure, quando si voltò in mia direzione, non rimase in silenzio passando oltre, bensì trattenne il fiato e rimase.. a fissarmi.
Fissarmi?
Rimasi impassibile, raddrizzando la schiena in un piccolo accenno di curiosità e attesa.
«Ch-chi sei?» non era inglese, quella lingua. Thailandese.
Curvai la testa da un lato. Riuscivano già a vedermi?
«L’Uomo Nero.» risposi con flemma nella voce, mantenendola fredda e distaccata.
«Sei in camera mia.. Non abbiamo niente --non c'è niente da rubare.» balbettò, guardandosi attorno spaesato.
«Oh, ho già ottenuto quel che volevo, non preoccuparti.» sorrisi. Negli occhi notavo il mio riflesso, o meglio, il riflesso argenteo della luce che trapelava dalle persiane, disegnando una silhouette netta e sottile, elegante.
«Oh, no!, ti prego, mia madre è sola! Non può mantenermi ancora per colp-»
«Chi ti fa credere che sia interessato ai vostri effimeri beni materiali, marmocchio?» lo interruppi, fissandolo. «Hai già nutrito i miei Incubi, così tanto da aver paura dell'ombra, di me.» sibilai, avvicinandomi di un passo. «Io sono l'Uomo Nero e tu ora crederai nella mia esistenza.» conclusi, la voce greve, bassa.
Il bambino rimase in silenzio, osservandomi in un misto di confusione e diffidenza.
«Non.. Non t'interessa dei nostri soldi?»
Era realmente tutto ciò che l'altro aveva capito del discorso?  
«Voi umani e l’attaccamento a simili oggetti materiali..» sbuffai, roteando le iridi al cielo. «Come se fossero eterni.» e feci anche per andarmene.
«A-aspetta!» mi fermai. In realtà non avevo voglia di andarmene. Andarmene sarebbe significato dover trovare qualcos'altro da fare per tenere occupata la mente dai soliti pensieri. Mi voltai a vederlo. «Se.. Ti basta davvero che io creda in te?» chiese.
Annuii nuovamente, annoiato.
«Allora crederò per sempre in te..! P-però.. Tu potresti farmi un favore?»
Arcuai un sopracciglio, come se poi l'altro fosse in grado di dettare le leggi di quel gioco. Ma sembrava divertente, perciò rimasi in silenzio, senza ancora dire niente. L'altro, mal interpretando, sembrò spronato a parlare ancora, spiegandomi cosa mai avrei dovuto dargli in cambio per la sua "fede".
«Ci sono degli uomini che hanno rubato a mia madre tante cose e a volte la minacciano.. Per favore, tu puoi farli smettere?» la sottospecie di letto su cui era seduto -un materasso steso a terra con delle coperte, senza neanche un cuscino- venne scoperto quando il bambino tolse le coperte, mostrando una gamba steccata e livida, probabilmente rotta o fratturata. «Io non riesco mai ad aiutarla, ma tu.. Tu potresti?»
Sembrava esitante, smontato dal mio silenzio. Lo sguardo sembrò pormi una domanda: allora?
Emisi uno sbuffo che, però, assomigliava molto ad una risata. «Credi davvero di essere nella posizione di avanzare delle richieste, marmocchio?» chiesi, senza mai sorridere, mantenendo un'espressione sprezzante ed infastidita. «Credi forse che non mi nutrirò ugualmente delle tue paure solo perché tu minacci di non credere più in me? Io sono il Re degli Incubi, non uno di quegli stupidi beniamini che tutti i tuoi simili stimano ed adulano.» il bambino emetteva paura da tutti i pori. Potevo annusarla, assaggiarla e vederla, erano come delle parole, dei flash che comparivano nella mia mente. Continuai, imperterrito. «Perciò rivolgiti all'umanità di qualcun altro, poiché io non ne ho.»
Il bambino inizialmente parve spaesato, prima di cercare di alzarsi ed allungare le mani verso di me.
«Aspetta! Per favore-!!»
Mi dileguai nelle ombre, sospirando all'eco di quelle parole e sentendo le mani del bambino che picchiavano sulle ombre che mi avevano ospitato pochi istanti fa. Soffiai via l'aria, nel mentre che mi dirigevo nella mia dimora fatta di pietra e solitudine. Pace e silenzio, finalmente.

 

Un movimento attirò la mia attenzione. Le ombre erano nuovamente in subbuglio, nel mentre che qualcuno le attraversava, velocemente. L'ennesima immagine che non avrei voluto vedere. Sospirai, ma stavolta neanche mi mossi, quando la cesta di capelli bianchi e ribelli comparve all'ingresso dell'enorme atrio, circondato da ponti e passaggi diroccati. Un alone di freddo iniziò a disperdersi dalla sua figura, come faceva sempre, congelando tutto ciò che poteva avere vicino, qualunque cosa fosse. Stavolta, la semplice e già fredda pietra.
«Pitch!» mi chiamò, facendomi però rimanere in piedi dov'ero.
Stavo scrutando il globo illuminato dalle mille e più luci che credevano nei Guardiani, in coloro che tutti gli adulti -o quasi- chiamavano favole, bazzecole per bambini.
Sospirai, nuovamente, socchiudendo le palpebre e passandomi un paio di dita sulle tempie massaggiandole. «Devo ammettere che sei più ingenuo di quanto dai a vedere.» mormorai, voltandomi ad osservarlo con aria seria, impassibile, mentre le immagini di ricordi recenti mi passavano davanti agli occhi, celati a quelli azzurri dell'altro. Almeno erano passate parecchie settimane, da quando Frost aveva deciso di farsi vedere.
«Cosa? Hey!» fece lui, offeso. «Aspettavo che ti passasse il momento da devo-essere-il-cattivo-perché-ho-deciso-così.» corrugai la fronte.
«Devo essere perché ho deciso io così?» ripetei i concetti che più mi premevano della questione. «Magari sono semplicemente nato così, non credi? La cattiveria è insita nelle persone a volte.» spiegai, sbattendo le palpebre un paio di volte.
«Si, si. Va bene. Come dici tu, Mr. Cattivone.»
«Sai, è ironico di come tu abbia questa utopistica idea di potermi trattare come un tuo amico e pari.»
«Beh, teoricamente dovresti ringraziare per la gentile concessione, visto che ti ho fatto il culo, l'anno scorso.» sogghignò ridacchiando. Era palesemente ovvio che stesse cercando di sembrare simpatico.
«Cosa vuoi, Frost.» ribadii. Sembrò quasi un riverbero familiare.
Sbuffò, roteando gli occhi al soffitto, prima di avanzare e congelare cose a destra e a manca. «Cosa ti fa credere che io voglia necessariamente qualcosa da te?» borbottò, quasi contrariato.
«Non saprei, magari stai solo cercando di abbindolarmi per poter evitare nuovi rancori e vendette future da parte mia. Se mai dovessi addirittura avvicinarmi ad uno di voi Guardiani, allora forse la mia vendetta non sarebbe un chiodo fisso nella mia mente, mh?» notai l'altro che, lentamente, iniziava a recepire il concetto, realizzando quel ragionamento. E, infine, uscirsene con un sordo: «Oh.»
Come se poi non potesse essere ovvio.
«Okay, non voglio niente di tutto ciò.. Manipolarti, intendo; ma se proprio posso evitare di far pesare la sconfitta lasciandoti a marcire nella solitudine, allora avresti indovinato.»
«In effetti, ora che ci rifletto sarebbe stupido mandare uno come te a cercare di manipolarmi.» Mi scappò una risata. Scossi la testa. «Evitare di far pesare la sconfitta?» ripetei, sarcastico. «Esattamente, ripeto, cos’è che ti fa credere che tu possa anche solo fare qualcosa per me?» domandai, di nuovo, inclinando la testa da un lato ed arcuando un sopracciglio, abbastanza eloquentemente. Probabilmente non avrei dovuto farlo, ma sorrisi, cercando di mantenere comunque un’aria abbastanza criptica -fortunatamente, con Jack non avrei dovuto sforzarmi chissà quanto, data la sua capacità di analisi.
«Hey, almeno ci sto provando, non vanificare subito i miei sforzi -mai dire mai, no?»
«Tieniti quelle stupide osservazioni per qualcuno che se le beve, Frost. Magari funzionano.» sospirai.
«Andiamo, Pitch. Dammi una possibilità.» borbottò lui, fissandomi con quel paio di schegge azzurre. Rimasi immobile, fissandolo, rompendo il silenzio solo con il suono del mio respiro. Saggiai le possibili risposte e, alla fine, nessuna di esse mi sembrò abbastanza decente per poter stroncare il discorso.
C’era, invece, una domanda che assillava la mia mente da quando si era palesato di nuovo nella mia casa.
Perché?
Perché, nonostante tutto?
Perché, nonostante e dopo tutto ciò che gli avevo fatto?
«Cosa ti sfugge del fatto che potrei ucciderti da un momento all’altro?» domandai, avvicinandomi a lui di un passo e fissandolo con aria abbastanza accigliata. Sentii una sottospecie di impulso, il rimasuglio di un pensiero, di sfiorare di nuovo quella pelle, toccarla come era successo nel mio incubo. Sbattei le palpebre, costretto a distogliere lo sguardo ed allontanare quel pensiero fastidioso, indiscusso ed ineccepibile. E subito l’attenzione venne catturata da quella sottospecie di timore he l’altro cercava di smorzare.
Allora ce l’hai ancora, paura di me, riflettei, amaro, lanciandogli un’occhiata.
«Non mi fai pau-»
«Risparmiami le bugie, Frost. Un tempo, forse, camminavi nel bel mezzo della mia casa senza realizzare il pericolo che correvi, ma ora sappiamo entrambi che non è più così.» lo interruppi, senza riguardi. «E dimentichi, forse, che le paure sono chiare e palpabili, davanti ai miei occhi -e se c’è qualcosa che ora provi, al momento, è paura
Lo vidi bloccarsi ed irrigidire la mascella, aprire bocca e richiuderla, come se non sapesse come rispondermi. Rimasi anch’io in silenzio, inclinando il capo da un lato, l’espressione abbastanza eloquente: ed ora, cosa dovresti rispondermi, Frost?
«Okay, okay, ma non puoi biasimarmi, cazzo.» ribatté, all’improvviso, fissandomi con un po’ di ostilità. «Non è colpa mia se tu vuoi far paura alla gente, eh?» si impettì, prima di avvicinarsi di un passo. Era abbastanza ovvio che stava cercando di combattere ed ignorare quel senso di timore nei miei confronti. «Probabilmente ha funzionato, visto che te ne stai qui tutto il tempo, da solo; ma non stavolta -lo so che c’è qualcosa di più, sotto tutti quegli strati di stronzaggine che mostri.» ..stronzaggine? «Quindi, smettila di fare lo stronzo e rendi le cose più facili ad entrambi!» sbottò di nuovo, battendo il bastone a terra, senza però rilasciare alcuna scarica ghiacciata.
Rimasi in silenzio. Più spiazzato, che altro, da quell’improvvisa risposta energica. D’altronde, era impossibile che uno come lui potesse arrivare ad elaborare simili concetti. Categoricamente impossibile. Feci un passo avanti verso di lui, riecheggiando in tutta la caverna.
Il respiro si spezzò per un attimo. Sentivo la maschera di indifferenza e fastidio che crollava per lasciar spazio allo stupore, mal trattenuto e celato. Mi sforzai di richiudere le labbra e serrare i denti, man mano che Jack riusciva a superare le sue paure. Non potevo certo permettere a questo ragazzino anche solo di pensare di potermi mettere i piedi in testa. Per quanto sincero e fastidiosamente credibile potesse sembrare, certe cose non avvenivano e basta. Il cattivo non diventa mai l’amichetto di giochi di un buono. Punto e basta. Fine della storia. Dunque, perché continuare questa sceneggiata?
Corrugai la fronte, quando notai quella sicurezza nei suoi occhi. Era addirittura sicuro di potermi scalfire, dunque? Mi ero fermato, giusto per vedere la sua reazione, ma quello sguardo non fece altro che ridurre la mia pazienza e rendere più difficili le cose -per me, per lui.. non sapevo ben per chi dei due. Probabilmente per entrambi -probabilmente.
Avanzai, d’impeto, cercando di afferrarlo nuovamente per il bavero del suo golf azzurro. Il timore esplose nella testa dello Spirito, reattivo, ma smorzato rispetto all’altro giorno. Stavolta Jack non fece cadere il bastone e me lo ritrovai puntato contro, prima che potessi fare alcunché. Io trattenevo lui per il bavero di quel -ridicolo- golf azzurro e lui mi puntava quella stecca di legno addosso. Sentivo i cristalli di ghiaccio sfiorarmi le clavicole, sotto il collo, ma non abbassai lo sguardo. I miei occhi rimasero in quelli dell’altro e mi accigliai, lasciandomi sfuggire una smorfia di fastidio, a quella reazione.
Sì, beh, era sempre stato un tipo che reagiva a certi tipi di situazioni, anziché subirle. Strinsi entrambi i pugni, uno afferrò vuoto, l’altro rinforzò la stretta esercitata sull’indumento di Jack. Lo vidi fare lo stesso col bastone, ma non indietreggiò.
«Non mi fai paura, Pitch.» ribatté, all’improvviso, come se poi avesse capito già l’antifona.
Ma davvero?, era strano ed inusuale, scrutare negli occhi di qualcuno e non sentirvi la paura -o almeno, non quella nei miei confronti. Evidentemente non pensava che gli avrei potuto fare del male.
Dove avevo sbagliato? Cosa avevo sbagliato?
Esitai.
Esitai ed entrari in una sottospecie di circolo vizioso. Lo fissavo e mi ripetevo di non indietreggiare. Indietreggiare sarebbe solo significato come una resa. Ma la mia mano non sembrava intenzionata né ad avanzare, né ad indietreggiare. Lo tratteneva lì, a pochi centimetri da me, senza sapersi decidere se avvicinarlo od allontanarlo come aveva chiesto. Strinsi le labbra, quando notai di nuovo i suoi occhi macchiati di confusione ed attesa, forse anche una vaga speranza. E, di nuovo, l’incubo tornò a rovinare i miei pensieri, a riportare alla mente immagini e sensazioni che non volevo decisamente ricordare.
Era vicino, più vicino di quanto potesse essere stato in tutto questo tempo, vicino e non cercava neanche di scappare.
Lo scrutai, mentre il fastidio lasciava parzialmente il posto all’amaro, assieme alla rassegnazione -un tarlo, una muffa. Qualcosa che rischiava ogni volta di bloccare i miei intenti.
All’improvviso, sentii una stretta fredda afferrarmi la bocca dello stomaco, come un brivido lungo la schiena. E se stesse realmente giocando? O peggio, se dicesse sul serio?, fu una realizzazione, più che una domanda. Cosa speravo di fare? Possibilità e fallimenti erano due cose diverse. E quell’opzione che mi si apriva davanti, la proposta di Frost, sembrava più un fallimento, che una possibilità. Secoli di solitudine non permettono ad una persona di cambiare così facilmente. Non lo permettono e basta.
E poi, realizzai che quella strana sensazione si faceva quasi più familiare -terribilmente familiare. Paura. Paura di poter effettivamente essere quacos’altro, qualcosa che non avrei mai pensato di poter essere -no, ma cosa, qualcosa che non avrei mai voluto essere. Non agognavo la normalità, la felicità. Non quel tipo di felicità. La mia felicità era fatta di sofferenza altrui e di realizzazioni egoistiche, personali. Non certamente raggiunta assieme a qualcuno.
Ma ora..
Se fossi stato diverso fin dall’inizio, sarebbe cambiato qualcosa? Se non fossi stato sbagliato, perché antagonista, perché astioso, perché malevolo, sarebbe cambiato qualcosa? Ma, soprattutto, se lo fossi diventato ora, sarebbe potuto realmente cambiare qualcosa?
Un nitrito irruppe il silenzio, facendo voltare me e Jack all’unisono. Non capii molto di ciò che stava succedendo, perché feci a tempo a sentire Jack domandare «Cos’è stato?» prima che uno degli Incubi più sviluppati comparisse da uno dei tanti cunicoli, piovendomi addosso, seguito da altri tre simili, scalciando e.. bramando le mie paure.
Lanciai un grido, allontanandomi da Jack per cercare di scappare dalle mie stesse creature, mentre queste -veloci- mi si gettavano addosso con altrettanta voracità, facendomi provare le più orribili fra le sensazioni.
Tutto quello che avevo provato fino a pochi istanti prima, amplificato, esasperato fino al limite. Mi ritrovai di nuovo nella stessa caverna, accovacciato a terra, circondato da quei cinque volti disgustosamente conosciuti -come nemici di vecchia data, ormai familiari.
«Sei davvero così patetico, Pitch, pensavo avessi un po’ più di sale in zucca!» ridacchiò qualcuno, con la voce molto simile a quella di Frost, ma mescolata con tutte le altre. Parlavano assieme, ma il suono non proveniva da nessuna delle loro bocche.
«Forse ora finalmente riusciremo a disfarci di te.» risaltò l’accento australiano di Bunnymund. «Così la pagherai per ciò che hai fatto a quelli della mia specie.» ringhiò sommesso, mentre il suono dei suoi boomerang riecheggiava nel buio.
«Jack, sei stato bravo.»
Jack? Cosa aveva fatto Jack per essere stato bravo?
«Gli devo parecchie cose, Nord, avevi promesso che l’avrei fatto io.»
«Lasciatemi in pace» «Perché non vuoi morire, Pitch?» «Sono restato sottoterra» «Dovevo congelarti quando ne avevo la possibilità» «Cosa potevo fare?» «Chi crederebbe mai in te?» «Non mi avete lasciato altra scelta!» «I bambini vogliono noi» «Non avevo altra scelta!!»
«Pitch»
Mi voltai.
«Perché non muori?» e l’unica cosa che riconobbi furono i suoi occhi azzurri, prima che un suono assordante mi costrinse a chiudere gli occhi.
Venni risucchiato e poi sputato, sbattuto a destra e a manca, in un vortice, il mulinello di un onda, mentre qualcosa di molto simile al dolore cominciò a districarsi, espandersi, coinvolgere ogni singola membrana del mio corpo. Partiva dal centro, dal mio petto -forse dal cuore?- come un pugnale, come un rasoio. E, lentamente, si disperdeva, si rafforzava, graffiava e si espandeva a macchia d’olio. Prima gli arti superiori, poi quelli inferiori, infine la gola. E, solo quando arrivò alla testa, solo in quell’istante
Buio.
«Pitch! Pitch! Stai bene?!»
Cos’è successo..
Il corpo duoleva ovunque, mentre riprendevo, lentamente, coscienza. Rimasi un attimo senza fiato, prima di accorgermi dove fossi: sullo stesso pavimento, accovacciato su un lato, le braccia avvicinate al volto a mo’ di scudo. Rimasi immobile -inerme- per qualche istante, mentre un tocco mi raffreddava la spalla -che riprese ugualmente a bruciare, come se fosse ustionata all’interno.
«Pitch?» chiese con la stessa voce preoccupat- preoccupata?
Il corpo si contrasse ed io cercai velocemente di allontanarmi, mettendomi a sedere, il volto graffiato, così come tutto il resto del corpo. Sperai che non fosse un tremolio, quello che mi sembrava di emettere, perché sarebbe stato..
«Pitch-»
«Sta’ lontano da me!» alzai la voce senza neanche accorgermene, voltandomi e fissandolo con astio e -timore? Che stupido, da parte del Re degli Incubi, aver paura di qualcosa, provare una simile paura. Gli occhi cercarono attorno, ma trovarono tutto, fuorché Incubi. Finché, a poca distanza, non incontrai qualcosa che sembrava ombra, sì, ma ghiacciata. Completamente deformata in un gioco di onde e curve.
Ritornai su Jack. Lo vidi esitare, la mano ancora a mezz’aria, le dita protese verso di me.
«Ma..» azzardò.
«Ho detto: sta’ lontano da me, Frost.» sbottai, all’improvviso. Se solo Frost non fosse entrato nei miei sogni. Se solo i miei sogni.. Man mano che il tempo passava, più che il turbinio di emozioni si placava, facendomi ragionare un minimo. Presi un respiro profondo, lento, sentendo di nuovo lo stesso nodo alla gola.
Vidi Jack fare per avvicinarsi di nuovo e gli lanciai un’occhiata.
Si fermò.
«Sparisci, Frost. Sparisci.»
E, benché non era così che sarebbe dovuta andare la scena, fui io a dissolvermi nelle ombre; incapace di sostenere ulteriormente quello sguardo, quegli stessi occhi, quell’espressione che sembrò più ferita, colpevole, che adirata. Dovevo trovare un’altra tana. Un altro posto. Un posto dove lui non sarebbe riuscito a trovarmi. Dove la mia vita non sarebbe stata turbata.
Sembrò l’unica opzione possibile.
«Sei fuori?!» la voce di Jack ruppe nel silenzio. Qualcosa mi stava trattenendo, in basso, lungo la gamba, all’altezza della caviglia, circa. Abbassai lo sguardo, in mezzo al turbinio di ombre. Ed io, che ero un’entità non dissimile da esse, ero totalmente confuso fra queste. In compenso, la presenza di Frost fu una sottospecie di raggio di luce. Qualcosa di stonato ed estraneo. L’avevo già visto viaggiare fra i miei portali, creati appositamente per poterlo distrarre e confondere ancora di più, per mantenere quella sottospecie di tensione e gioco di paura-calma. Ma, stavolta, era diverso.
Stavolta mi avrebbe seguito, a prescindere, dovunque fossi andato. Perché stavo andando da qualche parte, fino a qualche istante fa, prima di realizzare della sua presenza. Il che, fu più a causa del dolore, che altro. Se solo mi fossi accorto del suo slancio, del fatto che mi avesse afferrato -anziché sentire solo dolore e fastidio-, allora avrei potuto fermarmi.
Cademmo, a metà percorso. Il portale smise di formarsi nell’istante in cui la mia concentrazione si stabilizzò sulla figura dello Spirito. Cademmo e non seppi minimamente dove fossimo, ma doveva trattarsi di un punto -spaziale- a metà fra la partenza e l’arrivo. Un pezzo di terra brulla e completamente arida.
Jack colpì il terreno con lo sterno, mollando la presa per evitare che la faccia finisse contro la terra. Io finii semplicemente col battere la schiena, assieme probabilmente alla nuca, vista la fitta che mi arrivò proprio dietro gli occhi, assieme al senso di spossatezza.
«Ti ha dato di volta il cervello?!» lo sentii sbottare. «Piantala di scappare! PIANTALA!» riprese.
Mi rialzai, accigliato, puntellandomi sui gomiti e fissandolo. «Non mi lasci molta scelta, d’altronde.» sibilai, ancora per il dolore. «Tu e la tua presenza mi assillate come carcerieri di una prigione!» ribattei, astioso.
«Perché non puoi semplicemente accettare il fatto che non puoi stare da solo?!»
«Perché è stupido, che tu possa credere una simile assurdità!» lo fissai, sgranando di poco gli occhi, stravolto dalla rabbia e dalla vergogna. Per essere stato attaccato dai miei stessi incubi, per colpa sua. L’orgoglio era stato punto nel vivo, ma questo solo io potevo saperlo -il che rendeva tutto molto, molto più difficile.
«Stai zitto, tu sei stupido, con queste stronzate di credenze da lupo solitario!» lo vidi rialzarsi, così come feci io. Non avevo sostegni, a differenza dell’altro, che usò il vento ed il bastone.
«Come mai all’improvviso ti interessa così tanto, mh?» domandai, fissandolo in cagnesco. «All’improvviso, non sono più il nemico da temere, ma un povero essere da consolare e a cui tenere compagnia?» lo vidi indurire lo sguardo. «Cos’è, hai i sensi di colpa? Dovevi pensarci prima, di farmi ricadere nel mio buco.» perché, alla fine, la mia dimora -checché ne dicessi- era quello, nient’altro che un buco.
Jack rimase in silenzio, fissandomi storto, prima di avvicinarmi. «Perché ti hanno attaccato gli Incubi?» domandò, fissandomi.
«Devono avere un motivo per attaccare qualcuno che non è più il loro padrone, Frost?» domandai, cominciando ad incamminarmi. Dove diavolo sono finito, adesso?
«Oh, nossignore!» sentii sibilare l’altro.
Feci a tempo a voltarmi, che una saetta di ghiaccio si schiantò proprio contro i miei piedi. Le schegge e tutto il resto cominciarono a risalire lungo gli arti, bloccandoli ed immobilizzandoli. Mi ribellai, come potevo, ma fu davvero difficile, senza l’aiuto materiale della sabbia nera.
«Non te ne vai di nuovo!» sbottò lui, avvicinandosi e puntandomi il bastone contro.
«Liberami.» ordinai. «Immediatamente.» gli puntai un indice contro.
«Non prima che tu abbia risposto alle mie domande!» sbottò lui. «Piantala di farti pregare!» continuò. «Sono stanco di provarci e ricevere schiaffi in faccia!» sembrava più uno sfogo, che un vero e proprio tentativo di farmi ragionare. Corrugai la fronte. «Quindi ora fa’ un favore a tutti e due: dialoga!»
Sbattei le palpebre, più confuso, che altro.. stava davvero facendo ciò che stava facendo?
Mi guardai attorno, infastidito, più che altro, mentre il ghiaccio cominciava a sciogliersi -troppo lentamente- e mi inumidiva gli arti, intorpidendoli. Fortuna, almeno, che il dolore sembrò smorzarsi di conseguenza.
«Frost.» lo chiamai di nuovo, accigliandomi. «Liberami.» l’ennesimo ordine. «Adesso.»
Lui mi fissò, un’espressione infastidita sul volto fin troppo giovane, per portarsi dietro tutti quegli anni. Lo fissai di rimando, abbastanza accigliato a mio modo, cercando di mantenere un’espressione più autoritaria possibile: spalle dritte, come la schiena. Mai arretrare.
«Se te ne vai, giuro che ti congelo casa. Letteralmente.» minacciò. «E ti vengo a cercare dovunque, se non vieni tu a lamentarti.»
Roteai le iridi al cielo, prima di emettere un sospiro di esasperazione. Era davvero estenuante, avere a che fare col ragazzino, mh?
E Jack sembrò sul punto di manipolare il ghiaccio, fare qualcosa, qualsiasi cosa. Finché, al suo fianco, non comparve un portale. Una spirale, più precisamente, luminosa, come fosse fatta di raggi di luce, che qualcosa di effettivamente solido e materiale. Finché, dopo di questa, non comparve il ventre enorme di Nord, seguito a ruota dal resto del corpo del Guardiano. Il che fu una sottospecie di shock. Finché, oltre a Nord, non arrivarono dietro il resto dei Guardiani. Completamente. Letteralmente.
Sgranai gli occhi per un attimo. Fissando i presenti, i quali fissarono me di rimando, confusi.
«Jack.» cominciò Babbo Natale. «Che fai in simile posto?» domandò, per poi lanciarmi un’occhiata.
«Pitch?» la voce di Dentolina mi fece voltare verso di lei.
«Che diavolo sta succedendo?» intervenne Bunnymund.
Sandy.. beh, Sandy rimase in silenzio, mezzo addormentato. Come al solito.

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NA:
sono in ritardo, lo so. Lo so, mea culpa.
Ho cominciato l'università, per non parlare del fatto che mi è partito una pseudo domanda interiore sul senso di questa storia, visto che non deve essere piaciuta troppo, dato il feedback quasi inesistente. In ogni caso, grazie a Megara X  e darkmagic31 per aver inserito la storia nelle seguite. Apprezzo, davvero ç_ç
In ogni caso, spero di non star facendo una cavolata/schifezza assurda, davvero XD
Ora come ora ho proprio paura di mal interpretare il personaggio di Pitch Black.
Chiunque avesse critiche -soprattutto negative- mi faccia sapere, pls!
Alla prossima, sperando di leggere i pareri di qualcuno y.y7

paZZo e chiudo,
Shà<3


ps: non so cos'è successo, ma ho evidentemente sbagliato a modificare il capitolo e.e'' quindi l'ho anche cambiato un po', visto che non mi piaceva la piega che aveva preso la storia. In ogni caso, giuro che dal prossimo le cose dovrebbero movimentarsi ç_ç e, in più, avverto che cambio la persona. Più per evitare di fare strafalcioni e cambiarla inconsapevolmente, che altro. In più, mi riesce meglio per trasmettere tutto ciò che è il subconscio del personaggio -cosa che mi è impossibile, in prima persona é_é visto che è tutto ciò di cui s'accorge Pitch. blah. La terza persona mi permette pure di cambiare punto di vista, circa, senza stravolgere tutto(?). In ogni caso, avvertimento inutile. Spero di non dia fastidiosdfouashfousdh

 

  
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