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Autore: Miss Yuri    25/11/2014    2 recensioni
Makoto e Mukuro, per mettersi in salvo dalla minaccia dei Monokuma, sono costretti a rifugiarsi sul tetto di un palazzo. Ma, sfortunatamente, per loro non è più possibile scendere.
Post-Danganronpa IF
~ Mukuro/Naegi ~
Questa storia partecipa al Multifandom Contest " Fluff Is In The Air - Seconda Edizione " di Class Of 13
Genere: Angst, Drammatico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ikusaba Mukuro, Naegi Makoto
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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Sarò per te la speranza
 

 
«Scegliamo il nostro mondo successivo in base a ciò che noi apprendiamo in questo. Se non impari nulla, il mondo di poi sarà identico a quello di prima, con le stesse limitazioni». [Richard Bach - "Il gabbiano Jonathan Livingston"] 




Un alito di vento la ridestò leggermente, facendole socchiudere gli occhi stanchi. Le braccia nude le si irrigidirono. Portò le ginocchia contro il petto, cercando di disperdere la minore quantità di calore possibile. Era faticoso mantenere la sua immagine di stoica guerriera, la debolezza che sentiva era molta, ma doveva farlo, per infondergli sicurezza. Se anche lei fosse crollata, Naegi sarebbe sprofondato nello sconforto e nell’ansia. E non doveva accadere, non poteva permettere ciò.
Qualcosa di morbido le si posò dolcemente sulle spalle, donandole immediatamente una sensazione di piacevole tepore.
Mukuro alzò il capo.
« Naegi, ne hai più bisogno tu che io. »
Makoto sorrise, visibilmente affaticato, il verde emaciato dei suoi occhi era solo un pallido spettro del suo  sguardo sempre vivace, da lei ricordato con una punta di triste amarezza.
« Morirai di freddo se non ti copri. » Replicò il castano, riusciva ancora a sorridere e ad essere altruista, nonostante la situazione in cui si trovavano.
Mukuro abbassò lo sguardo, mosse timidamente il braccio sinistro e circondò le spalle di Naegi. Il lieve rossore, che aveva ridato colore alle guance del ragazzo, le fece comprendere che anche lui era imbarazzato per quel contatto. I loro corpi, mai stati tanto vicini prima di allora, aderivano l’uno contro l’altro, a condividere il poco calore di una coperta fin troppo piccola e leggera. Avrebbe voluto scostarsi da Naegi e lasciargli la stola che ora stavano condividendo, ma non lo fece. Makoto voleva sopravvivere e voleva che lei gli restasse accanto, a tutti i costi. Ma Mukuro, quel loro ostinarsi a non cedere alla morte, cominciava a trovarlo inutile. Il coraggio di esprimere quel pensiero ad alta voce, però, non riusciva a trovarlo.
Avevano passati tre interminabili giorni su quella terrazza, sopra alle loro teste un cielo vorticante di nuvole grigie, sotto ai loro piedi i Monokuma, che tentavano insistentemente di buttare giù la porta, sbarrata dai due liceali. Purtroppo, per salvarsi dai coltelli e dalle motoseghe di quegli orsi perversi, si erano scavati la fossa da soli.
Nelle ore successive, la soldatessa aveva vagato senza sosta da un lato all’altro della terrazza, per cercare una via di fuga che potesse salvarli da quella posizione scomoda. Non ne aveva trovate.
Con un’inflessione seria e incolore della voce, aveva dato il proprio resoconto a Naegi: erano in trappola, l’alternativa era una soltanto. Aveva poi accennato con la testa al vuoto sotto il corrimano della terrazza. Gettarsi di sotto.
Il castano era impallidito. Eppure, con un sorriso tirato, la aveva incoraggiata, convincendola che potevano sempre sperare in un intervento dei loro compagni, da cui si erano separati proprio a causa dei Monokuma.
Mukuro aveva acconsentito, assecondando quella luce di speranza che Naegi era capace di infondere lì dove governava solo disperazione.
Le scarse provviste di cui disponevano le avevano esaurite il giorno prima. L’acqua era venuta a mancare dopo una sola giornata. Razionare i pochi sostentamenti che possedevano non era servito a niente, se non a prolungare la loro lenta agonia. Mukuro era capace di resistere per un periodo di tempo abbastanza lungo senza cibo, grazie al suo addestramento da soldato. Lo stesso non poteva dire di Naegi, che diventava sempre più debole ad una velocità preoccupante. E lei non poteva impedire al corpo del ragazzo di brontolare per la fame, o di soffocare per la sete. Le faceva male non poterlo aiutare. Troppo.
Lo strinse a sé, quasi come un gesto di scuse. Lo avrebbe ucciso proprio in quell’istante pur di non prolungare la sua sofferenza, dandogli una morte degna di un fiero soldato, ma non era questo che Naegi voleva. Lui voleva continuare a sperare in un futuro felice, che la Kibougamine, la Vetta della Speranza, non aveva loro donato. Mukuro non aveva la giusta determinazione per opporsi alla sua scelta, la rispettava passivamente, come aveva sempre fatto, sia con i suoi superiori nel Fenrir, sia con sua sorella. Ma, inspiegabilmente, era riuscita ad opporsi ai progetti di Junko per la sua personale scuola di omicidi. Perché, allora, non poteva fare lo stesso con Naegi?
Sentì le gambe inumidirsi.
Alzò la testa. Stava piovendo.
Sentì il castano farlo a sua volta.
« Acqua! Hai visto, Ikusaba? C’è ancora una speranza! » Disse, con una ritrovata vitalità. I suoi occhi verdi brillarono, entusiasti quasi come un tempo.
Mukuro aveva sorriso. Un sorriso che voleva essere rassicurante, ma colmo solamente di una muta e sottile disperazione.
Si erano ritirati un po’ di più sotto la tettoia che li riparava ed avevano allungato le mani. I loro palmi si erano riempiti in fretta ed avevano subito portato alle labbra l’acqua piovana raccolta. Era fresca, ma leggermente acida, a causa del fumo che aveva inquinato l’aria. Dovevano accontentarsi.
Bevvero fino allo stremo, riempiendo anche le loro borracce.
“ Sì, c’è ancora una speranza. ” Pensò Mukuro. “ Una speranza che durerà al massimo altri cinque giorni. ”
 

Stava cominciando a perdere la cognizione del tempo. Da quanto erano lì?
Trovò un barlume di energie per spostare il capo e il suo sguardo spento si posò sulle loro borracce. Vuote. Quando le avevano riempite?
Ricordò. Sette giorni prima. Una settimana.
Contro le sue aspettative pessimistiche, erano ancora in vita, tuttavia avevano ormai passato tre giorni senza bere. Nove senza toccare cibo.
Tenere il conto dei giorni non era semplice, alle ore nemmeno ci badava più. Sotto quel cielo infinito che si estendeva fino all’orizzonte, turbinante di nubi grigie ed eteree, niente mutava. A parte le sporadiche folate di vento, tutto era immobile, come in una dimensione parallela, in un limbo sospeso tra il sogno e la realtà, solitario passato e doloroso presente. A volte si appisolava, Mukuro, ma il sonno veniva subito spezzato dalla sua mente, che le imponeva di rimanere vigile in ogni circostanza. Per proteggere Naegi, anche solo per consolarlo con qualche parola. Ma di parole incoraggianti, lei, non ne aveva. Entrambi avevano scelto il silenzio, inusuale per Naegi, abituale per Mukuro, in cui ognuno dei due si perdeva nei pensieri che affollavano la loro testa. Pensieri che non esprimevano a voce, per motivi differenti o forse simili. Chi poteva dirlo?
Eppure, non si erano mai allontanati l’uno dall’altra. Era un modo come un altro per darsi conforto a vicenda, o probabilmente il più conveniente e semplice tra tutti.
Mukuro appoggiò piano il mento sulla testa di Makoto. Le sue labbra premettero leggermente contro i capelli spettinati del ragazzo, se era un gesto di intenzionale affetto, o un involontario atto di protezione, non sapeva dirlo. Non era mai stata capace di comprendere i sentimenti, propri e altrui, e l’apatia in cui era piombata non le era d’aiuto. Ma, in fondo, non le importava più di tanto capire perché avesse sentito il bisogno di assumere quella posizione.
Un vago odore di erba, foglie, frutti maturi, le stuzzicò il naso. Erano gli odori dell’estate, quelli che stranamente sentiva, di pomeriggi di sole e di tiepide mattine. Era il profumo dei capelli del ragazzo. Ed era bello e rasserenante. Non si aspettava una cosa del genere, nemmeno la avrebbe mai immaginata, e la sorpresa la ridestò dal suo stato di dormiveglia. 
« Ikusaba? »
Da giorni non aveva più sentito quella voce. Era leggermente roca e debole, ma la mora la riconobbe subito.
« Sì? »
Naegi levò il capo, tremando lievemente per lo sforzo. Delle sottili occhiaie gli contornavano gli occhi, di un verde fumoso, vacuo. Le labbra leggermente secche si sforzavano di piegarsi in un sorriso. Non sembrava essersi accorto del suo gesto di poco prima.
« Credo c-che… sia giunto per noi il momento di andare… no? » Disse, riappoggiando la testa sulla sua spalla con uno o due sospiri, per riprendere fiato.
Mukuro guardò verso l’orizzonte, punteggiato dalle cime dei palazzi cadenti ed anneriti, a volte più vicini, a volte più lontani. Sì… dovevano andare.
Aiutò Naegi ad alzarsi. Il ragazzo quasi non si reggeva sulle sue gambe per la debolezza, per fortuna lei riusciva ancora a camminare, anche se con un passo incerto e malfermo. Scavalcarono il corrimano e lo usarono per reggersi. I loro piedi erano sul bordo del cornicione, ad un passo dal nulla.
Chiuse gli occhi, ispirando. Una tenue angoscia la prese all’altezza del petto. Credeva di essersi preparata a sufficienza per questo momento inevitabile, ma non era servito. Dopotutto, voleva vivere, voleva sopravvivere ancora un altro anno, uno soltanto, solo per non incontrare la morte adesso, per soccombere davanti ad una fine più degna, più felice, diversa. Non dopo aver sopportato dieci giorni di fatiche, non con tutti i rimpianti che aveva, non con tutte le parole non dette, i debiti non pagati e i soffocanti rimorsi. Non con quel profumo d’estate che ancora sentiva vagamente.  
« Mukuro… »
Mukuro smise di respirare. Naegi la aveva chiamata per nome. Era la prima volta che lo faceva.
« Non abbandonare… la tua speranza. Mai. » Le sussurrò Makoto. « Forse, in questa esistenza… più di qualcosa non è andato come volevamo. Ma… dobbiamo guardare avanti, con convinzione. »
« Naegi, come puoi dire questo? » Gli chiese lei, un velo di sorpresa ad adombrarle il volto.
« Spero di incontrarti di nuovo, Mukuro. Magari in un contesto diverso, senza disperazione alcuna. Saprò riconoscerti. Lo prometto. » Sorrise il castano.
Gli strinse più forte la mano. Naegi non sembrava avere rimpianti, aveva deciso di abbandonare sé stesso e di sperare in un futuro incerto. Cosa avrebbero trovato oltre il ciglio del cornicione di quella terrazza? Mukuro non lo sapeva, Makoto nemmeno. Una fine o un inizio? Avrebbe dovuto affrontare entrambe. E voleva farlo con lo stesso coraggio di Makoto.
Lo guardò per un’ultima volta.
« Naegi, no, Makoto, ti proteggerò sempre, qualunque cosa accadrà d’ora in poi. Lo prometto. » Gli disse, ricambiando timidamente il suo sorriso.
Il castano annuì.
« A-andiamo? »
« …Sì. »
Un passo.
La caduta nel vuoto.
 

La aveva notata da qualche giorno. Non aveva mai nessuno intorno, a parte Junko Enoshima, la sua lunatica gemella. Ogni volta che la osservava, vedeva sempre quell’espressione fredda, distante, disinteressata. Forse, la sua era solo un’apparenza. Forse, era timida e non sapeva come approcciarsi con gli altri. Forse, anche lei voleva avere degli amici. 
Si era convinto di questo e si era ripromesso di provare a parlarle. 
Lo fece. 
Si avvicinò al suo banco. Lei aveva alzato la testa, la sua espressione glaciale non era mutata. 
« Ciao! Tu sei Ikusaba Mukuro, giusto? » Le avevi chiesto. 
Aveva annuito in risposta, squadrandolo come per chiedergli perché era venuto a parlare proprio con lei. 
« Ecco, volevo salutarti. » Le spiegasti, tranquillamente. « E, visto che siamo compagni di classe, potremmo anche diventare… amici. »
Le labbra della ragazza si erano schiuse leggermente. Sembrava sorpresa.
« G-grazie, Naegi. Piacerebbe… anche a me… » Aveva risposto, abbassando lo sguardo con imbarazzo. 
Le avevi sorriso. Lei lo aveva fatto a sua volta, con timidezza. 
Le tue supposizioni iniziali erano fondate. Anche Ikusaba Mukuro voleva degli amici. 
 

Aprì gli occhi, ma il respiro gli si mozzò subito. Sentiva la gola come corrosa dall’acido. Acqua, aveva bisogno di acqua.
Qualcuno gli sorresse la testa e gli adagiò contro le labbra quello che sembrava il collo di una bottiglia di vetro. Non ci pensò due volte ad ingoiare il suo contenuto, poteva essere veleno, ma a Naegi non importava. Fortunatamente, quella che sentì scendere in gola era dell’acqua fresca.
Sollevò le palpebre e incontrò lo sguardo vispo e dolce di Fujisaki, che gli sorrideva entusiasta, e il viso mascolino e l’inconfondibile capigliatura a pannocchia di Owada.
« Naegi, ti sei ripreso! » Esultò Chihiro, inclinando leggermente la testa da un lato.
« Hai fatto preoccupare tutti di là, pivellino. » Commentò Mondo, ma era chiaramente sollevato di vederlo cosciente. 
« Fujisaki e Owada…? » Mormorò, confuso. Quella era un’allucinazione, o anche Fujisaki e Owada erano passati a miglior vita durante la sua assenza? Non voleva prendere in considerazione una simile eventualità, ma in quel momento gli sembrava la conclusione più razionale e ovvia.
La programmatrice lo riadagiò contro il cuscino, indecisa se andare ad avvertire i compagni o restare lì a prendersi cura del convalescente Naegi.
« Ehm… uh… torno subito, okay? Owada resterà qua con te nel frattempo. » Lo rassicurò, per poi uscire subito dalla stanza con passo veloce.
Makoto sbatté le palpebre stordito. Dove si trovava? Lui non doveva essere morto? Ricordava perfettamente di essersi buttato giù con Mukuro dal palazzo sopra cui erano rimasti intrappolati, non dovrebbe essere vivo. Nessuno sarebbe mai sopravvissuto ad una caduta del genere.
Prese dei grossi respiri, per tentare di calmarsi. Doveva capire cosa era successo. Ma nessuna ipotesi poteva spiegare l’improbabile situazione in cui si trovava.
Si passò una mano fra i capelli, ma il suo braccio ricadde mollemente giù dal lettino, a penzoloni nel vuoto, privo di forze. Forse, era stato solo un sogno? Un sogno lungo e terribile? No, il suo stomaco completamente vuoto e la sua gola secca erano certamente reali. Allora, come era sopravvissuto ad un volo di decine di metri?
Delle voci lontane lo distrassero da quel flusso intricato di pensieri. Si avvicinavano sempre di più, ma improvvisamente un rumore rapidissimo di passi le coprì.
Sulla porta, Naegi vide comparire una affannata Mukuro. I lineamenti del suo volto si distesero un poco non appena i loro sguardi si incontrarono, ma la tensione non li abbandonò completamente. L’attenzione del ragazzo, però, venne immediatamente catturata dal cerotto che le copriva il sopracciglio destro e dalle bende, parzialmente insanguinate, lungo il braccio sinistro. Come si era procurata quelle ferite?
Lo schiamazzare si fece molto più vicino, fino a che non vide i volti allegri e affettuosi dei suoi compagni. C’erano tutti ed era stata Fujisaki a chiamarli. Incontrarli nuovamente alleviò in parte il turbamento che sentiva addosso dal suo risveglio.
« Ehi, Naegicchi! Sono contento che sei vivo! » Quella era la voce di Hagakure. Gli era parso anche di sentire un Altrimenti i tuoi familiari avrebbero dovuto pagare i debiti al posto tuo., ma non se ne curò.
« Non affollatevi troppo attorno a lui. » Quel rimprovero apparteneva di sicuro a Kirigiri.
Nella confusione generale, sentì qualcuno prendergli la mano. E carezzargliela, lentamente e delicatamente. Non controllò. Sapeva già a chi apparteneva quel tocco. E sorrise.
« BASTA COSÌ, COMPAGNI! NAEGI HA BISOGNO DI RIPOSARE E LA CONFUSIONE NON LO AIUTERÀ A GUARIRE! » La potente voce di Ishimaru si elevò sopra le altre, come quella di un sergente che richiama all’ordine le proprie reclute.
Il chiasso si acquietò velocemente e le povere orecchie di Makoto trovarono un po’ di pace. Ma tutto quel vociare, in realtà, non gli aveva dato fastidio.
La voce angelica di Maizono ruppe quei brevi secondi di silenzio.
« Ho preparato del bento d’alghe e un piatto di wagashi per te, Naegi. » Disse, appoggiandoli sul tavolino vicino al suo letto. « Spero ti piacciano! »
Naegi la ringraziò. Probabilmente, pensò, Sayaka stava ancora cercando di scusarsi per aver provato ad addossargli la colpa di un omicidio. Omicidio che, per fortuna, non si era poi verificato.
« Sarebbe meglio lasciare Naegi tranquillo. Ikusaba potrebbe restare e aiutarlo a mangiare! » Aveva proposto con fare innocente Asahina, facendo inconsapevolmente arrossire la soldatessa. Al suo fianco, Oogami annuì, trovandosi d’accordo con l’amica.
« BENE! ALLORA NOI CE NE ANDREMO E RESTERÀ SOLO IKUSABA! » Decretò Ishimaru.
« Sì, ma smettila di urlare, amico. » Borbottò Kuwata, che già aveva programmato di fermare Maizono e provare per l’ennesima volta ad attaccare bottone con lei.
Si trovarono tutti d’accordo e uscirono lentamente dalla stanza, Fukawa che aveva ripreso immediatamente a tallonare un annoiato Togami ed un docile Yamada che faceva la corte ad una spazientita Celestia.
Dopo tutto quel caos, la completa assenza di rumori gli parve strana e inquietante. Gli ricordava quei giorni di silenzio, scanditi dai dolori della fame e della sete.
Sentì Mukuro sospirare.
« Come ti senti? » Gli aveva chiesto. Avvertì chiaramente la preoccupazione nel suo tono di voce.
« Sono un po’ debole, ma guarirò. » Le rispose, ridendo leggermente.
« Meno male. » Mormorò lei. Gli lasciò andare la mano, come se con quel contatto avesse rimediato una scottatura. Le guance della ragazza si colorarono di un rosso leggero mentre lo metteva a sedere contro la spalliera del letto e avvicinava la sedia al suo capezzale.
« Mukuro, perché siamo ancora vivi? » Le domandò, prima di addentare il primo boccone di riso e alghe, offertogli con la forchetta dalla mora.
Mukuro non rispose subito, sembrava stesse riflettendo sulla risposta da dargli.
« Mentre stavamo precipitando, ho visto una finestra rotta. Purtroppo, ho potuto solo afferrarne il davanzale e sfruttare lo slancio della caduta per entrare nell’edificio dalla finestra sottostante. Ho cercato di farti scudo col mio corpo dai vetri. Per fortuna, ne sei uscito incolume, ma hai perso conoscenza. » Spiegò brevemente. « Ci siamo ricongiunti con gli altri una volta usciti in strada. »
« Ma… come ci sei riuscita? » Naegi era seriamente impressionato dalla prontezza di riflessi di Mukuro. Ciò che aveva fatto aveva dell’incredibile e stentava quasi a crederci.
Un'altra pausa. Più lunga della precedente. Quasi si preoccupò di aver posto una domanda scomoda.
La risposta lo stupì.
« Quando ti dissi che quella era la nostra unica via di uscita, ero rassegnata. Sapevo che avrei dovuto morire. Ma… ecco… »
« Continua. » La incalzò lui, curioso di conoscere il seguito.
« Ma qualcosa mi ha fatto cambiare idea. E mi ha spinta a lottare, un’ultima volta. »
Il ragazzo sorrise.
« È stata la speranza. »
« No, Makoto. » Lo contraddisse lei. « Sei stato tu. »
Naegi boccheggiò.
« Io? »
« Senza di te, non sarei mai riuscita ad afferrare quel davanzale. » Mukuro scosse la testa, i suoi occhi grigi si erano fatti lucidi. « Eppure ce l’ho fatta, proprio perché non ero sola, perché non volevo terminare così questa vita. Non volevo ricominciare da capo, non volevo dimenticarmi di te. »
Il ragazzo era senza parole. Era assurdamente insolito che Mukuro si aprisse così tanto con una persona, non aveva perciò il coraggio di interromperla.
« Ho commesso tanti errori in soli quindici anni, molti di questi imperdonabili. Nonostante ciò, non volevo lasciarmi alle spalle questa esistenza, perché tu, Makoto, non meritavi di morire, ma di vivere. E se questo mondo disperato non ti soddisfa più, allora ne creerò uno io, migliore e più bello, per te. »
La mora aveva posato la sua mano su quella del castano.
« Io ti proteggerò, Makoto, te lo avevo promesso. Perché sei tu la mia speranza. »
Naegi era ormai ammutolito. Quella era la cosa più simile ad una dichiarazione d’amore che avesse mai avuto l’occasione di udire. Si sentiva impacciato, come se non meritasse tutte quelle preziose parole.
Dopo parecchi secondi, scelse la replica che gli parve più adatta.
« Non dovrai farlo da sola. Ti aiuterò io. Lo creeremo insieme, il nostro nuovo mondo. »
Mukuro aveva spalancato lievemente gli occhi, Naegi non la sentiva più respirare.
Improvvisamente, si ritrovò circondato dalle braccia della ragazza, in un forte abbraccio, caldo e dolce, che fece affiorare il riso sulle labbra di lui.
Fu un gesto naturale quello di posare la mano sinistra sui suoi capelli corvini. La destra, invece, formò un delicato intreccio con le dita di Mukuro.
Speranza e amore. Ecco cosa permetteva al mondo di sopravvivere alla disperazione e all’odio.
Il gorgogliare del proprio stomaco fece ridacchiare di vergogna Naegi. Stava morendo di fame e, con tutti quei discorsi, i piatti di bento e wagashi erano decisamente passati in secondo piano.
La mora si ritrasse, visibilmente a disagio, come se quei borbottii provenissero dal suo ventre invece che da quello del ragazzo. 
« Eh, scusami, Mukuro. » Disse con una risatina ingenua Makoto, poggiando sulle proprie ginocchia la confezione di bento e il vassoio di dolci e cominciò a rimpinzarsi con foga, abbandonando coltello e forchetta dopo i primi tre bocconi.
La ragazza assistette silenziosamente al suo pasto, talvolta sorridendo davanti alle espressioni buffe di Naegi.
Una parte del loro essere era morta quel giorno, sopra quella terrazza. Una parte viveva ancora, per costruire un futuro in un mondo di contraddizioni. Il loro nuovo mondo.



Note 
Ciao a tutti! Torno a infestare quesoa fandom con un'altra Mukuro/Naegi!
Probabilmente, saranno arrivati in pochi alla fine di questo "mostro" di fanfiction ( non ho mai scritto una One Shot così lunga )! Ma, in ogni caso, spero sia stata di vostro gradimento e di aver rispettato l'IC ( purtroppo non credo di esserci riuscita pienamente con Mukuro, ma un'esperienza del genere è capace di cambiare almeno in parte il tuo modo di pensare a mio parere ).
Sono un po' insicura visto che non ho mai provato ad affrontare tematiche così delicate, come il suicidio, in una fanfiction. Per questo, vorrei avere dei pareri molto più mirati del solito, magari consigli per migliorare e, in futuro, riuscire a trattare meglio questi argomenti. Spero anche di non aver esagerato mettendo il rating arancione, ma un rating giallo mi sembrava poco adatto.
Grazie a tutti e alla prossima!
Baci!

Miss Yuri
  
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