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Autore: Rivaleth    27/11/2014    3 recensioni
Wendy, devi riuscire a chiuderlo, il cassetto. I tuoi sogni ti stanno uccidendo.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Campanellino, Peter Pan, Wendy Darling
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Crescere: una faccenda oltremodo barbara

-Non mi dimenticherai, vero?
-Io? Dimenticarti? Mai.

Invece era successo. Tra un duello in punta di spada e un volo su quei mari dimenticati, estraniato dal tempo e dalla realtà, lui l’aveva dimenticata davvero.
I mesi seguenti al suo ritorno erano stati talmente frenetici che neanche ci si era fermata, a pensare che non lo avrebbe più rivisto. Tale era stata la gioia di essere finalmente tornata a casa, dalla sua famiglia, che non si era mai concessa un attimo per riflettere sui sentimenti che provava all’idea di averlo lasciato per sempre. Non ci pensava, e neanche ne soffriva. Forse dava troppo per scontato che lui sarebbe tornato per ascoltare le favole che aveva da raccontare. Poi, però, un giorno si era guardata allo specchio, e ciò che aveva visto l’aveva turbata: il volto non era più rotondo, ma si stava allungando, i tratti dolci si erano fatti più affilati, l’espressione più seriosa. Della bambina esuberante che era stata un tempo, quella che doveva mettersi in punta di piedi per riuscire a specchiarsi, era rimasto poco o niente.
E allora aveva avuto paura. La consapevolezza del tempo trascorso da quando si erano salutati le era piombata addosso con una forza tale da lasciarla quasi senza fiato. Aveva dovuto aggrapparsi al lavandino per controllare l’orribile senso di vertigine che l’aveva assalita.
Era andato via. Non lo avrebbe rivisto mai più.
Da quel giorno si era fatta più irrequieta, controllando ogni cambiamento del proprio corpo, sentendo un’angoscia inspiegabile montarle dentro quando, di sera, si affacciava alla finestra nella speranza di vederlo seduto su uno dei rami di fronte, in attesa che tutte le luci si spegnessero per poterla raggiungere in camera.
Non c’era. I rami ospitavano solo foglie, uccelli, neve. Il cielo sembrava ogni volta un po’ meno stellato delle precedenti notti.
E lei stava crescendo, inevitabilmente.
I giorni avevano iniziato a scorrere più lentamente, i suoi pensieri tornavano sempre più spesso a quel ragazzo, e paradossalmente se lo immaginava tutto solo, su un’isola lontana, troppo lontana, schiacciato dalle proprie paure, dominato dai propri volubili desideri, e il magone la portava sull’orlo delle lacrime. Poi la razionalità prendeva il sopravvento: era una sciocca a pensare che lui sentisse la sua mancanza, o che fosse triste, in qualsiasi luogo si trovasse. Lui non avrebbe chiesto altro che quello.
Io voglio, per sempre, rimanere bambino e divertirmi.
Sicuramente a quell’ora se ne stava comodamente sdraiato su un’amaca, nel suo albero, a suonare il pan. O magari brandiva una spada in un’altra delle sue eterne lotte con chiunque avesse deciso di prendere il posto di Uncino.
Oppure...
Il pensiero peggiore. Quello che la colpiva come una freccia avvelenata all’altezza del cuore. Ogni volta che lo formulava, si trovava sempre nei pressi della finestra, a scrutare il cielo, gli occhi sempre più stanchi, la speranza sempre più fievole in lei.
Oppure...stava volando in quello stesso cielo, diretto in una casa che non era la sua, ad ascoltare le favole di una bambina più piccola, qualcuno che avrebbe ancora creduto in ciò che raccontava, che avrebbe saputo dare la giusta intonazione a sogni non ancora sbiaditi sotto il peso della vita.
Forse l’aveva dimenticata perché adesso, nel suo cuore, c’era un’altra ragazza.
Spesso crollava su una poltrona, la bocca tappata da una mano nel tentativo disperato di soffocare il gemito di dolore che quell’eventualità le provocava. Altre volte invece si limitava a tamponarsi gli occhi con le mani, per poi voltare bruscamente le spalle alla vetrata.
Sempre più spesso, ormai, iniziava a chiudere la finestra.
I suoi fratelli non sembravano così reticenti all’idea di archiviare quell’avventura. O meglio, non l’avrebbero mai davvero archiviata. La custodivano gelosamente, da qualche parte in fondo al cuore, e di tanto in tanto ci ripensavano, nei momenti di difficoltà. Ma i loro ricordi erano sereni, i loro volti distesi, il loro approccio verso la maturità pieno di aspettative e curiosità. Avevano accettato l’idea di crescere, e a loro andava bene dover rinunciare all’infanzia per doverlo fare.
Lei non poteva. Perché rinunciare all’infanzia avrebbe significato rinunciare a Peter.
E l’idea di relegarlo in mezzo a ricordi destinati a divenire confusi con l’avanzare dell’età, le faceva venire la nausea. Aveva bisogno di lui, aveva bisogno di vederlo ancora una volta, e sapere che non aveva mai smesso di pensarle, che gli era mancata, che l’avrebbe voluta con sé anche se fosse diventata adulta.
Ma lui non arrivava mai. Gli inverni passavano, lei si faceva più alta, più magra...più donna. E il cielo oltre la finestra era sempre più buio.
Lo sconforto arrivò con il primo discorso di suo padre circa la possibilità di sposarsi. Lui fu molto discreto, pieno di tatto e di affetto, anche quando vide i suoi occhi inumidirsi e grosse lacrime rigarle il volto. La prese tra le braccia, facendola sedere sulle gambe e coccolandola amorevolmente. E lei gli pianse contro la spalla, aggrappandosi convulsamente alla sua camicia, atterrita dal terrore. Non entrò più in argomento per diverso tempo, temendo di averla turbata, ma lei lo sapeva, che prima o poi avrebbe dovuto affrontare la realtà. E nella realtà le ragazze della sua età venivano date in moglie.
John, Michael e i bimbi sperduti, che adesso avevano quasi rimosso il loro vecchio nome, erano uomini fatti e finiti, e smaniavano per lasciare il nido. Nel giro di pochi mesi andarono al college, conobbero nuove persone, voltarono pagina. Senza amarezza, senza rancore.
E lei veniva lasciata indietro, ad arrancare lungo un sentiero che sembrava di giorno in giorno sempre più irto e pieno di ostacoli. La mente si piegava, il corpo obbediva, ma il cuore…il suo cuore…si ribellava furiosamente.
In quella casa, che l’aveva vista nascere, crescere e che adesso la stava vedendo morire lentamente, era rimasta soltanto lei.
La cameretta era cambiata. Niente più giocattoli sparsi sul pavimento, niente più spade nei bauli, case delle bambole, letti da bambini. C’era solo un unico, grande baldacchino, dove passava più tempo a piangere che a dormire.
Nana era l’unico tramite rimasto tra la vita attuale e quella di un tempo. Ormai era troppo vecchia per correre, troppo stanca per abbaiare. Quando Michael se n’era andato di casa, poco tempo prima, come segno di congedo per i servizi resi aveva voluto toglierle la cuffietta da tata. Si era chinato e l’aveva stretta tra le braccia, ringraziandola per essere stata la bambinaia migliore del mondo. A quattordici anni ormai era giunto il momento di sollevarla dall’incarico, visto che comunque il college lo avrebbe tenuto lontano per diversi mesi.
Adesso Nana dormiva al piano inferiore, le scale la affaticavano troppo.
E lei trascorreva sempre più tempo accanto alla finestra, o davanti allo specchio, a guardare affranta i segni dell’invecchiamento.
Quanto aveva lottato per crescere! E adesso che finalmente era alle soglie dell’età adulta, adesso che avrebbe potuto iniziare a vivere veramente, si riscopriva atterrita all’idea di doverlo fare senza Peter al suo fianco.
Non poteva buttarsi tutto alle spalle. Non ci riusciva, era più forte di lei.
Anche se lui l’aveva dimenticata, lei non era in grado di fare altrettanto.
Quante notti insonni le era costata quell’anima scissa a metà, e quanti pianti disperati che i signori Darling non riuscivano a spiegarsi. Si sentiva divisa, combattuta tra il desiderio disperato di riuscire a trovare la pace in quel presente, e sentirsi al tempo stesso troppo inadeguata per farne parte, ancora così tenacemente attaccata al passato. Un passato che, di anno in anno, sembrava sempre più irreale.
Una volta, cercando una spilla riposta in un cassetto, aveva ritrovato il bacio regalatole da Peter. Quella minuscola ghianda, il buco lasciato dalla freccia ancora perfettamente circolare. Se l’era portato alla base del collo, e il dolore l’aveva sopraffatta.
Lui non sarebbe tornato mai più, a prendersi il suo bacio.
Un giorno, parlando con John, gli aveva confessato il motivo della sua infelicità. Lui le aveva messo una mano sulla spalla, sorridendole fraternamente.
-Ti ricordi quello che ci disse una volta la mamma, a proposito di papà?- le aveva domandato –Sul fatto che lui fosse un uomo coraggioso. Noi non riuscivamo nemmeno a concepirlo.
-Me lo ricordo.- aveva risposto con voce liquida –Esistono tanti modi di essere coraggiosi.
-Lui lo era perché per noi aveva chiuso i suoi sogni in un cassetto...e ogni tanto, a notte fonda, tornava ad aprirlo, per ammirare quei sogni.
-...E poi lo richiudeva.
-Già.- l’aveva abbracciata teneramente. Quando si era staccato da lei, lo sguardo era implorante –Wendy, devi riuscire a chiuderlo, il cassetto. I tuoi sogni ti stanno uccidendo.
John aveva ragione. Peter era stato un sogno, un bellissimo sogno. Più il tempo passava, più le sembrava che a viverlo fosse stata un’altra persona. Eppure, per quanto lottasse, non riusciva a separarsene.
Anche quella sera, seduta sulla poltrona accanto alla finestra, a osservare pensosa il tramonto all’orizzonte, giunse alla conclusione che per lei non ci sarebbe stato un lieto fine. Non avrebbe mai trovato un posto in quell’esistenza da adulta, perché, per quanto bramasse la felicità, non poteva rinunciare a Peter. Lui era tutto ciò che voleva, come bambina e come donna. E la vita senza di lui, non sarebbe stata vita.
*        *        *        *
A svegliarla fu un soffio di vento gelido. In preda ai brividi, aprì lentamente gli occhi, guardandosi intorno come aveva fatto molte altre volte, alla vana ricerca di un bambino che piangeva sul pavimento perché aveva smarrito la propria ombra.
Non c’era.
Intirizzita dal freddo, si alzò, strofinandosi le braccia per restituire un po’ di calore alle mani. Era tardi, il sole era sparito da un pezzo, e anche il rosso infuocato del tramonto era stato inghiottito dalla notte. Fuori nevicava appena.
Doveva chiudere la finestra.
Fallo e basta, pensò come ogni sera. Tanto lui ormai non torna più.
Lo fece, ricacciando il nodo alla gola che minacciava di trasformarsi in pianto. Era troppo stanca persino per abbandonarsi alle lacrime. La sera diventava sentimentale, non doveva lasciarsi sopraffare dal romanticismo. L’indomani tutto sarebbe sembrato meno grave, visto attraverso le lenti della razionalità.
Si diresse in bagno, per lavarsi il viso e indossare la camicia da notte.
Dopo aver spento tutte le luci, tornò in camera illuminando l’ambiente con una candela. La prima cosa che le saltò all’occhio, fu la finestra: era spalancata.
Il primo pensiero, curiosamente, andò a un ladro.
Senza curarsi di richiuderla, la mente annebbiata dallo spavento, fece per raggiungere il corridoio e la camera dei genitori.
E lo vide.
-Wendy?
Seduto sul suo letto, a gambe incrociate, c’era un ragazzo dall’aspetto trascurato, quasi selvatico, col viso sporco e i capelli spettinati.
Per poco non le cadde di mano la candela. Riuscì a mantenere la presa solo perché l’idea di scatenare un incendio non le arrideva particolarmente.
-Peter.- mormorò in un soffio –Sei tornato.
Sembrava stupida come cosa da dire, dopo tutto quel tempo. La faceva passare per ragazzina ingenuamente aggrappata a una promessa fatta anni addietro -e mai mantenuta, tra l’altro-, eppure non aveva potuto impedirsi di dare voce al proprio stupore.
Peter si mise in ginocchio sulle coperte, puntellandosi contro la testata in fondo al letto, e studiandola in silenzio.
-Quanto tempo è passato?- domandò poi, occhieggiando incerto al suo corpo fasciato in una camicia da donna.
-Sei anni.
-Davvero?- sembrava sorpreso –Così tanto?
-Per me è come se fosse passata un’eternità.
-A me sembrava...sembrava trascorsa una settimana...
Esitò. Le labbra di Wendy tremarono violentemente.
-Perché tu sei sempre troppo impegnato a divertirti e pensare a te stesso, per renderti conto del tempo che passa.- sbottò con voce incrinata, sbattendo le palpebre rabbiosamente per impedirsi di piangere.
Gli voltò le spalle, così da non doverlo guardare, con la scusa di appoggiare la candela sul mobile vicino alla finestra.
Peter non tentò di ribattere.
-Adesso quanti anni hai?- domandò invece, a voce molto bassa.
-Quasi diciannove.
-Dove sono John, Michael e i bimbi sperduti?
-Peter...- si voltò verso di lui –Loro se ne sono andati. Sono grandi ormai, e stanno vivendo la propria vita.
-E tu?
Come ogni bambino, sapeva centrare il cuore pulsante della ferita senza neanche rendersene conto.
-E io non ci riesco.- ammise frustrata –Perché non sei mai tornato? Mi avevi fatto una promessa...
-Sono tornato. Non credevo che fossero passati anni, la mia concezione del tempo è diversa dalla tua.
-Potrà anche essere diversa, ma sei anni non possono essere confusi con una settimana.- ribatté stizzita.
-Mi dispiace, Wendy. Sei delusa?
-I-io...sì…ma da me stessa, non da te.
-Perché?
-Non vuoi saperlo realmente.- considerò nervosamente –E in ogni caso non potresti capire.
-Perché sono un ragazzo?
Le rivolse uno sguardo ferito, ritraendosi sul letto quando lei andò a sedersi accanto a lui, decidendosi a deporre l’ascia di guerra. La guardò quasi con diffidenza, come un animaletto selvatico davanti a un potenziale cacciatore.
-Proprio così.- ammise con un sorriso triste, per poi battere una mano sul posto vicino a sé –Avvicinati, Peter. Non mi vuoi guardare?
Lui valutò la possibilità. Lentamente, si fece più vicino. Poi le si sedette a fianco.
-Sono così diversa da allora?
-Un po’…però hai gli stessi occhi, e le stesse labbra.
Lei sorrise, leggermente rincuorata.
-E ora che lo vedo, anche lo stesso sorriso.
-Tu invece sei esattamente come ti ricordavo.- ironizzò col nodo in gola, dovendosi schiarire la voce con un colpetto di tosse.
Quando lui parlò, i suoi occhi erano abbassati sulle proprie mani, e sul viso sembrava arrossito appena.
-Sei diventata molto bella, Wendy. Sei anni di differenza sono molti nel tuo mondo?
-No.- rispose con un sospiro –Ma in genere l’uomo è più grande.
-Quindi adesso non sarà più come prima...
-Non è più come prima da sei anni, ormai. Io sto crescendo, tra qualche tempo probabilmente mi sposerò, avrò dei figli...invecchierò...
-Non sembri felice.
-Lo sono, ma solo per metà.
-Perché?
-Perché...avrei voluto che tu facessi queste cose insieme a me.
Scese un silenzio che parlava da sé. Peter si morse il labbro inferiore, grattandosi la testa pensosamente.
-Non ti ho mai dimenticata. Mai. Ogni singolo giorno, durante tutto questo tempo, l’ho passato pensando a te, e a come sarebbe stato se noi...
Non terminò la frase. Forse neanche sapeva in che modo continuare. Wendy lo vide in evidente difficoltà, a cercare di esprimere a parole sentimenti che magari non aveva neanche chiari. E come poteva, del resto? Aveva avuto sei anni per rifletterci sopra, e a lui erano sembrate solo settimane. Come poteva pretendere di comprenderli nel giro di pochi istanti?
-Sei qui per chiedermi di tornare con te sull’Isola, Peter?
Lui azzardò una mezza occhiata, per poi scuotere la testa.
-Non verresti, te lo leggo negli occhi.
-Lo sai anche tu che non sarebbe giusto.
-Perché? Questa vita non ti piace! Tu vuoi stare con me, o no?
-Sì, certo, ma...
-Anche io lo voglio, Wendy! Mi sei mancata da morire, ed è per questo che sono tornato. Perché non puoi semplicemente darmi la mano e tornare con me sull’Isola?
-Perché io voglio questa vita.- affermò esasperata –Voglio questa vita, e voglio anche te.
-Vuoi stare con me in questa vita, cioè?
Resse lo sguardo cupo del ragazzo, perché sei anni l’avevano preparata a quel momento, anche se mai avrebbe creduto che potesse arrivare.
-Sì.- rispose con tono duro.
-E se io non volessi?
-Ci siamo già passati, no? Sappiamo entrambi che nessuno cederà.
-Quindi ci diremo addio?
-E forse ci rivedremo tra dieci anni. O forse non ci rivedremo affatto.
Sospirò pesantemente.
-Io non posso obbligarti a fare questa scelta. Ma non sarei felice sull’Isola, lontana dalle persone a cui voglio bene. Io voglio crescere, andarmene da qui, innamorarmi, avere dei bambini...e voglio che anche tu sia felice. Se puoi esserlo solo rimanendo bambino, va bene.- si strinse nelle spalle, mentre una lacrima scendeva lungo la guancia –Mi basta sapere che non ti sentirai mai solo.
-Io sono già solo.
Quell’affermazione la lasciò disorientata.
-Co-come?- si rese conto che in effetti mancava qualcosa –Dov’è Campanellino?
-A Kensington Garden.
-Perché non è qui?
-Perché le ho detto di aspettarmi lì.
-E allora perché ti senti solo?
-Perché...- faticò nel cercare le parole -Da quando te ne sei andata, è come se avessi perso una parte di me. Uncino non c’è più, nessun bambino è più arrivato...io stesso ho cercato altre ragazzine racconta favole…- ammiccò irriverente –Ma non mi sono mai fermato a nessuna finestra per oltre una notte. Nessuna di loro era come te.
-Io ormai non le racconto più, le favole.
-Lo so. Sei troppo grande.
Wendy si asciugò la lacrima, sapendo che a breve l’avrebbe perso sul serio.
-Peter...- mormorò prendendogli una mano. Era calda, e inevitabilmente più piccola delle sue –Volevo solo dirti che...lo so che è sciocco, ma volevo dirti...se mai mi sposerò...per me non cambierà niente. Ora che sono cresciuta me ne rendo conto. Sei stato il mio primo amore, e sono innamorata di te da sei anni. E anche quando ne avrò quaranta, una parte di me continuerà ad amarti. Finché avrò vita, un po’ del mio cuore sarà tuo. Anche quando avrò novant’anni e tu sarai sempre un moccioso.- aggiunse con un sorriso umido.
Peter si abbandonò a una debole risata.
-Sapevo che non sarei riuscito a convincerti.
Le strinse le mani, per poi avvicinare il viso al suo. Wendy rimase immobile, così lui esitò un istante, gli occhi blu grandi e incerti, le labbra schiuse in una domanda che non riusciva a porle. Allora lei appoggiò una mano sul suo volto, attirandolo a sé e baciandolo.
E non fu il bacio delicato di sei anni prima. Questa volta lei era una donna, desiderava il ragazzo che aveva accanto con ogni fibra del proprio corpo, e lui doveva saperlo.
Peter la strinse a sé, una mano affondata tra i capelli, l’altra appoggiata su un fianco. La baciò come un uomo adulto: con devozione, con amore, con passione. Il suo corpo si accese come carta esposta alle fiamme. Ora che lo baciava, non era più tanto sicura di poterlo lasciare andar via di nuovo.
E poi, quasi all’improvviso, Peter si separò da lei, affannato.
Guardò verso la finestra, e Wendy si sentì morire.
Quando si alzò dal letto fu quasi sul punto di gettarsi ai suoi piedi e implorarlo di restare.
-Peter...
-Chiudi la finestra, Wendy, o prenderai un malanno.
Era davanti al davanzale. Un salto e lo avrebbe perso definitivamente. Non sarebbe sopravvissuta...questa volta l’avrebbe uccisa...
E poi, lo vide chiudere la finestra.
Lui però era rimasto dentro.
Si portò una mano al cuore, certa che a momenti l’avrebbe colta un infarto. Con l’altra mano si resse contro la testiera del letto.
-Sapevo che non sarei riuscito a convincerti.- Peter si voltò a guardarla. I suoi occhi erano lucidi, il sorriso era quello di un bambino commosso –E ho riflettuto molto sul diventare adulto.
Wendy lo guardò a occhi sgranati, incapace persino di respirare.
-Senza di te, Wendy, la mia vita ha perso la magia che aveva prima. E anche se crescere mi spaventa, e sono sicuro che a tratti lo detesterò, se tu mi sarai vicina ogni cosa –brufoli, scuola, lavoro, responsabilità- sarà meno tragica di come mi sembri adesso.
-Stai dicendo...stai…- boccheggiò, shockata.
-Che tu sei il pensiero felice che ancora mi permette di volare? Sì.
A Wendy scappò un singulto. Tutto ciò le sembrava quasi surreale.
-E che preferisco crescere pur di non perderti? Anche.
Le andò incontro, guardandola con un’espressione da ragazzino caparbio.
-E che intendo restare qui? Pure.
Santo cielo, l’aveva traumatizzata.
-Sempre che per te non sia un problema avere sei anni in più rispetto a me, qualunque sia la mia età.
-Oh, Peter...- crollò in ginocchio, le gambe improvvisamente troppo molli per reggerne il peso, il cuore che stava per scoppiare di gioia.
-Però devi promettermi che rimarrai sempre al mio fianco.
-Te lo prometto.
-Mi sopporterai quando sarò adolescente, con tutti i disagi che ne conseguono?
-Ti ho sopportato da bambino: l’adolescenza ti renderà più ragionevole.
-E se invece mi intestardisse ancora di più?
-Io troverò il modo per addolcirti.- rispose con un sorriso lungimirante.
-E mi amerai anche durante le crisi di rabbia adolescenziale?
-E anche durante quelle dell’età adulta.
-E i brufoli?
-Andranno via.
-Potrei provare attrazione fisica nei tuoi confronti, lo sai?
-Spero che succeda. Non vedo l’ora che succeda.
-E se col tempo dovessi non amarmi più?- domandò, e nei suoi occhi blu Wendy lesse il terrore che ciò potesse accadere.
Così gli prese le mani, stringendole dolcemente, e lo avvicinò a sé.
-Peter, dobbiamo fare un passo alla volta. E’ vero, potrebbe accadere, così come potresti essere tu quello che si stancherà di me. Ma io ti prometto, qualunque cosa succeda, che per te sarò sempre un punto di riferimento. Non ti abbandonerò mai, e ci sarò in ogni momento. La vita è bella, Peter, anche se fa paura, anche se andare a scuola è noioso e lavorare è faticoso. Avrai soddisfazioni, delusioni, momenti di depressione e attimi di felicità. E’ questo il bello della vita, che non è mai lineare. Qui non c’è “E’ tutto solo facciamo finta”, e ci sono delle regole che dovrai seguire. Ma sono sicura che tu meglio di chiunque altro saprai dove tornare a cercare il bambino che è in te. Crescere non significa smettere di vivere.
-Ma non sarò più bambino.
-Non siamo stati fatti per restare bambini. O meglio, una parte di noi è destinata a rimanere bambina per tutta la vita. Quella dei nostri sogni, delle speranze, degli ideali. Però la maturità ti regalerà gioie che non puoi provare finché resti ragazzo.
Sapeva che per lui era difficile rinunciare a quell’unica vita che aveva conosciuto, ma se fosse rimasto, avrebbe lottato per la sua felicità.
-E io ti amerò, Peter.- mormorò con dolcezza –Io ti amo già adesso.
-Quindi non ti importa se adesso sono più piccolo di te?
-No, certo che no. Non mi sarebbe importato neanche se ci avessi messo dieci anni per tornare…questo ovviamente non ti autorizza ad andartene e ripresentarti tra quattro anni.
Peter scoppiò a ridere. Si inginocchiò di fronte a lei, sorridendole teneramente.
-Io resto, Wendy.
-Io ti amo, Peter.
E, per sottolineare il concetto, lo attirò a sé e ricominciò a baciarlo.

*        *        *        *
Lontano da Wendy e Peter, dalle parti di Kensington Garden, un bambino di circa tredici anni stava scappando di casa, correndo a perdifiato senza neanche sapere dove si stava dirigendo di preciso. Di una cosa però era certo: quella sera, sentendo i suoi genitori parlare di cosa avrebbe fatto da grande, aveva deciso che non sarebbe mai diventato ciò che loro volevano. Lui neanche ci pensava, a crescere.
Ogni cosa era meglio che crescere, persino scappare di casa, senza un luogo dove andare, in pieno inverno, e di notte oltretutto.
Un orologio lontano scoccò la mezzanotte.
Campanellino seppe che Peter non sarebbe più tornato. Glielo aveva detto quando si erano salutati, che se non l’avesse visto arrivare entro quell’ora, non avrebbe dovuto più restare ad aspettarlo. Dunque anche lui aveva trovato il proprio angolo di felicità.
Ragionando da fata, non lo avrebbe mai capito fino in fondo: a lei la propria vita piaceva da impazzire, e sinceramente quella Wendy le aveva provocato più grattacapi che altro. Diavolo, per colpa sua era persino morta!
Però Peter non era più quello di un tempo, da quando l’aveva persa, e vederlo così triste, aveva rischiato di ucciderla una seconda volta. Così aveva accettato la realtà, rassegnandosi all’evidente fatto che la loro vita insieme era giunta agli sgoccioli. Ragionando da essere umano, era fiera di lui. E certa che avrebbe saputo vivere la vita da uomo sfruttandola al massimo. Sicuramente, avere qualcuno che lo amava e su cui poter contare, gli sarebbe stato d’aiuto.
Ad ogni modo, ormai Peter andava messo da parte. A ore dodici il suo nuovo amico stava correndo come se fermarsi ne andasse della propria vita.
Per fortuna un altro maschio.
Ma d’altronde si sa, le femmine sono troppo intelligenti per scappare di casa a notte fonda e dirigersi verso un parco buio e desolato.

The end


**NOTE FINALI**
Questa è la mia prima one-shot su Peter Pan. Ultimamente sento molto la nostalgia dell’infanzia, e quale tema potevo trattare se non quello del bambino che non vuole mai crescere? Devo ammettere, però, che la fine del film mi ha lasciato un po’ a bocca asciutta. Non che Peter dovesse rimanere, certo che no, ma addirittura sparire per sempre mi è sembrato esagerato. E poi mi piace pensare all’idea di un ciclo, una volta che il bambino di turno si decide a crescere, ne arriva un altro, proprio perché c’è una parte di noi, nascosta e segreta, che rimarrà per sempre attaccata al desiderio di non diventare mai adulta. Insomma, il mio animo romantico preferisce questa versione per permettere a Peter e Wendy di stare insieme. Stravolgo la storia? Sì, indubbiamente. Ma non ho potuto evitare questo diverso epilogo.
L’ultima parte l’ho ripresa dalla battuta di Peter nel film “Le femmine sono troppo intelligenti per cadere dalle carrozzine.”
Bene. Ho detto tutto. Spero vi sia piaciuta.
Baci a tutti!

 

  
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