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Autore: Alexiel Mihawk    29/11/2014    11 recensioni
«No, no, non è cieco» dice tra i singulti «C’è qualcosa che posso fare per te…?»
«Persefone, no, in realtà mi stavo solo annoiando e avevo voglia di chiacchierare, e tu sei sempre qui, quindi mi è sembrato normale farmi un po’ di fatti tuoi mentre sono in pausa. Aspetta, stavi lavorando?»
Ade ride di nuovo, perdendosi a osservare le lentiggini sparse su tutto il suo volto e i suoi occhi verdi, che brillano di curiosità e preoccupazione.
«No, ho finito» anche se, ovviamente, non è vero e quando tornerà in ufficio avrà il doppio di cose da fare «Posso offrirti qualcosa?»

[Ade/Persefone, coffe shop!AU - La prima volta che Ade e Persefone si incontrano lei lavora in un caffé e nessuno dei due ha minimamente idea di chi abbia di fronte, ma di una cosa il dio dei morti è sicuro: non ha mai visto una ragazza più bella.]
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ade, Altri, Persefone
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Caffé nero e semi di melograno'
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Autore: Alexiel Mihawk | alexiel_hamona (LJ)
Titolo: Caffé nero e semi di melograno
Fandom: Mitologia Greca
Personaggi: Ade, Thanatos, Persefone, Ecate, Zeus, Poseidone, Era, Demetra (e tutti gli Olimpi, o quasi)
Genere: generale, commedia, sentimentale
Rating: verde, sfw
Avvertimento: one shot, implied!Incest, modern!AU
Parole: 4767
Prompt: Mitologia, Ade/Persefone, Modern AU in cui Demetra va a trovare sua figlia
Note: Prompt di kuma_cla, nato da un’iniziativa su LJ che si chiama FanFiction Meme. Funziona così, io dò una lista di fandom e il mondo mi lascia dei prompt su quei fandom/quelle ship, in modo che io possa poi scriverci. Trovate la mia lista sul mio Livejournal (link nel capitolo precedente o sul mio profilo), se volete passare e lasciare dei prompt sentitevi liberi di farlo.
Qualche nota tecnica. Cliff Edwards aka Ukelele Ike è un musicista realmente esistito; tutti i nomi di ansiolitici da me citati esistono davvero (e sono bellissimi, chi li inventa è il mio mito). Per quanto riguarda la caratterizzazione degli dei in questo capitolo, sento di dovermi spiegare. Io non credo che Zeus sia un totale cazzone, nemmeno che Era sia solo una gran stronza, non solo almeno, in questa storia si vede poco, ma ognuno di questi dei ha i sui pregi e i suoi difetti. Zeus se si impegna può essere un buon padre e nonostante tutte le volte in cui ha tradito Era, sono anche convinta che a modo suo la ami. Era è una madre, sì è una donna gelosa e vendicativa, ma è anche una sorella e donna e capisce certe cose meglio di tutti, inoltre me la immagino che non si scandalizza per nulla, dopo tutto ha sposato Zeus. Persefone sta attraversando una fase molto ribelle della sua vita, Demetra non è di per sé cattiva, ma è una madre iperprotettiva che non si mette nei panni di sua figlia e non ne capisce le esigenze; qui Persefone scoppia, non ne può più e quindi arrivano a litigare. Non ho voluto concludere con un “si sposarono e vissero tutti felici e contenti”, perché mi sembrava prematuro.
Con questo capitolo si conclude questa raccolta, ma non la mia esplorazione di questa coppia, ho già in programma un’altra one shot legata a questo universo, e poi beh, credo mi darò alla pazza gioia con altro, visto che di prompt Ade/Persefone ne ho ricevuti tantissimi.
 
 
 
Caffè nero e semi di melograno
Capitolo terzo: in cui Demetra per ripicca organizza una riunione non richiesta e Persefone decide di dimostrare la sua indipendenza.
 
 
 
Il dio dei morti è sempre stato un uomo pacato e abitudinario.
La sua sveglia suona sempre alla stessa ora e, dopo essere rimasto cinque minuti (ma non di più, perché lui è una persona seria) a poltrire nel letto, il dio dei morti si lava, si veste e va a fare colazione, sempre in quest’ordine. Ha i suoi rituali, rituali che gli piace compiere ogni mattina appena sveglio, tra di essi compare bersi una tazza di caffè nero, rigorosamente senza zucchero, rigorosamente fumante. Da quando Persefone abita con lui, in quel grande palazzo un po’ meno deprimente, il caffè delle nove è migliore, forse perché è lei a farlo, forse semplicemente perché è lei a versarglielo nella tazza con un sorriso (e Ade si scioglie, perché quei gesti sono così naturali, così quotidiani, che sembra che non ci sia altro luogo in cui la giovane dea sia destinata a stare).
Quando riesce a bere il suo caffè, leggere l’Eco dei morti, magari addirittura ascoltare le chiacchiere sconclusionate di Persefone appena sveglia, allora sa che la giornata inizierà bene e, se è fortunato, proseguirà meglio.
Quel mattino, tuttavia, non sembra essere destinato a far parte di questa ambita schiera di piacevoli giornate; Ecate e Thanatos piombano nella sala da pranzo urlando e agitando la posta come dei forsennati, facendogli rovesciare il caffè sulla camicia bianca e facendo quasi cadere Persefone dalla sedia. Ade trattiene a stento una bestemmia e l’impulso di incenerire quei due sul posto.
«Siete ubriachi?» domanda scocciato. Non sarebbe la prima volta.
«No, ascolta, è successa una cosa» esclama Ecate, che quella mattina dimostra una trentina d’anni.
«Una cosa orribile» aggiunge Thanatos.
«Hai finito lo shampoo?» domanda Ade sarcastico cercando, invano, di pulirsi la camicia.
«Il copri poltrona rosa non si intona col rossetto?» chiede Persefone, rincarando la dose e meritandosi un’occhiata adorante da parte del dio dei morti; l’Averno la sta rendendo più ironica.
«Ridete pure, stronzi» ribatte Ecate piccata «Intanto Demetra è andata a lamentarsi da Zeus accusandoti di averle rapito la figlia!»
Silenzio.
«E Zeus ha deciso di autoinvitarsi qui, insieme a tutta la combriccola, per una –, passami il foglio per favore. Ah, ecco. Una riunione familiare di emergenza, che avrà sede presso la reggia di Ade, Averno, in data 23 Settembre» legge Thanatos, non indossa gli occhiali da sole e in quel momento i suoi occhi rossi mandano lampi «Siamo fottuti».
«Ma il 23 è dopodomani» Persefone lascia cadere la brioche sul tavolo e si mette le mani tra i capelli.
«Calmatevi!»
La voce di Ade è regale come poche volte l’hanno udita. Tutti sanno quanto il dio dei morti detesti le riunioni familiari, i suoi parenti sono pettegoli, rumorosi e spesso imbarazzanti, tuttavia quella gli sembra una buona occasione per dimostrare a sua sorella che no, non ha rapito Persefone; senza contare che sull’Olimpo tutti sono curiosi come una perpetua il giorno delle confessioni di vedere la misteriosa figlia di Demetra e, Ade ne è convinto, anche lei non vede l’ora di incontrare la sua famiglia.
E poi, sì, vuole togliersi lo sfizio, perché quei bastardi dei suoi fratelli non sono mai venuti a trovarlo, nemmeno una volta, con la scusa che “È tutto buio, scusa, ma l’assenza di spazi aperti me lo ammoscia” e quello che dice Zeus è legge, quando fa comodo.
«Per prima cosa, qualcuno mi porti una camicia pulita» borbotta facendo un cenno a un’arpia di passaggio «Poi radunate tutti, bisogna organizzare questa riunione. Non posso mica servire ai miei parenti idromele di bassa qualità e ambrosia del secolo scorso».
 
«Se ci dovesse essere Afrodite non farti infinocchiare dai suoi occhioni azzurri e dalla sua voce melliflua, è una vera manipolatrice. E ricordati di essere sempre gentile con Ares, o di mandarlo al diavolo, è tuo cugino, ma è anche in parte tuo fratello, insomma fai come ti pare. E se Zeus o Apollo dovessero allungare le mani, ti autorizzo a trasformarli in un cespuglio di rovi, o a scatenargli dietro Cerbero» borbotta Ade cercando, invano, di allacciare la cravatta.
«Lascia, ci penso io» ride Persefone alzandosi dalla poltrona sulla quale si è adagiata nell’attesa «E quindi sono quasi tutti miei zii, cugini e fratelli, giusto?»
Ade annuisce, mentre le mani candide della ragazza si muovono attorno al suo collo andando a formare un nodo perfetto.
«Ti ho già detto quanto è disfunzionale la nostra famiglia? E quanto tuo padre non sappia tenerselo nelle mutande?» risponde Ade a cui la vicinanza di Persefone fa sempre un effetto strano.
Lei ride e gli posa un bacio leggero sulle labbra.
«Andrà bene» gli sussurra e il suo cuore si scioglie un pochino quando il dio degli inferi le sorride dolcemente, le passa una mano dietro la schiena e l’attira più vicina per baciarla di nuovo.
Ade si chiede per quanto tempo riuscirà a limitarsi a baciarla, perché, davvero, se continua così rischia di impazzire e nessuno vuole un dio dei morti impazzito, che preleva anime a caso e lascia uscire titani dal tartaro per fargli fare passeggiatine serali sull’olimpo. Forse è meglio pensare ad altro, come alla comitiva di spostati che in quel momento sta facendo ingresso a casa sua.
Zeus guida la truppa, e a vederlo con il suo completo marrone, la camicia bianca, il viso abbronzato e i capelli biondi, sembra che non sia possibile che abbia un qualsiasi grado di parentela con Ade, la cui carnagione pallida è evidenziata dal completo total black che indossa quella sera (e Persefone ci ha provato a dirgli che camicia nera su giacca nera con cravatta nera forse era un po’ eccessivo, ma il dio degli inferi non l’ha ascoltata).
Segue Poseidone, con un cappellino di paglia, una maglietta azzurra con enormi fiori viola stampati sopra, un paio di pantaloncini color kaki e quello stramaledetto ukulele sotto braccio; io glielo brucio, pensa Ade vedendolo entrare.
Era è particolarmente tranquilla, probabilmente si è presa un’intera boccetta di Valium prima di arrivare ed è, cosa assolutamente incredibile, accompagnata da Ares e Afrodite, anche se Ade ricorda bene che durante l’ultima riunione la regina degli dei ha chiamato la dea dell’amore con epiteti non esattamente eleganti. Era Vacca grassa? O forse, no, ricorda male, probabilmente si trattava di Sgualdrina con le labbra rifatte. In ogni caso, lui lo sa, Afrodite è lì solamente per godersi lo spettacolo, non certo per aiutare una divinità sotto sedativi. Seguono gli altri figli di Zeus: Dioniso, Apollo ed Ermes, mancano solo Efesto e Atena, che, pur essendo gli unici veramente ben accetti in quel luogo, non sono riusciti a venire. A chiudere la fila ecco Demetra (che in realtà tutti si aspettavano sarebbe entrata per prima urlando come una furia e mettendo a soqquadro ogni cosa) accompagnata da Artemide.
Non c’è nemmeno bisogno di aspettare che lo salutino, perché inizi la scenata plateale della dea dell’agricoltura.
«Tu!» esclama la donna puntando un lungo dito abbronzato contro il dio dei morti.
«Io» Ade rotea le pupille e va a sedersi sul suo scranno, ad un’estremità di un enorme tavolo rotondo che ha fatto preparare apposta (rotondo, così che nessuno litighi per chi deve stare a capotavola).
«Hai rapito la mia bambina! La mia meravigliosa, innocente bambina! Zeus, digli qualcosa!»
Il capo degli dei, osserva Demetra, poi lancia uno sguardo a suo fratello, la cui aria non potrebbe essere più scocciata di così, quindi a quella che immagina essere Persefone, e porca merda, capisce perfettamente cosa abbia spinto Ade!
«Dammi il cinque fratello! Sei grande!» esclama avvicinandosi con il braccio per aria.
«Zeus!» Demetra è sull’orlo del collasso.
«Padre!» rincara la dose Artemide, che è sempre la prima a difendere le fanciulle il cui onore è stato macchiato da qualche maschio senza dignità.
«Sì, sì. Ade sei stato molto cattivo! Cattivo Ade» borbotta sedendosi a fianco del fratello e dandogli di gomito.
Ora lo ammazzo e getto il suo cadavere a concimare le praterie degli Asfodeli, pensa il dio dei morti esasperato.
In quel momento, fortunatamente, interviene Persefone, meravigliosa nel suo lungo abito verde e arancione.
«Madre, ora smettila! Ade non mi ha rapito, lo sai benissimo!»
Il gruppo di divinità alle spalle di Demetra esplode in una fiumana di commenti: “Mi sembrava strano”, “Ade non è come quel porco di papà”, e anche “Demetra, mi hai presa in giro, stronza!” probabilmente di Artemide stessa.
«Son scappata di casa perché ero stufa di vivere segregata tra quattro mura, perché ero stufa di non poter fare niente, di non conoscere la mia famiglia e di non poter avere una vita».
«Figlia ingrata!»
«Piantatela!» esclama Zeus, e la sua voce risuona potente come un fulmine per tutta la sala «Prendete posto. Adesso. O andate a ubriacarvi da qualche parte, oh! Ciao Ecate!»
«Ciao questo paio di palle! Mi devi ancora dei soldi dall’ultima guerra, bastardo!» risponde la donna con astio, ora dimostra almeno quarantacinque anni e indossa un tailleur nero; al suo fianco Thanatos ridacchia sotto i baffi, lanciando occhiate d’intesa a Dioniso.
Qualcuno si siede, qualcuno segue il consiglio di suo padre e, con un’anfora sottobraccio, si fa strada verso la terrazza; Demetra sulla sua sedia sembra affranta, i suoi ricci si sono afflosciati e il suo sorriso si è spento, Era li fissa tutti come se fossero idioti (e probabilmente ha ragione). Al tavolo oltre a loro si sono seduti Persefone, Afrodite e Poseidone, che pare veramente molto impegnato ad accordare l’ukulele.
«Merda, dovevo farlo fare ad Apollo! A quest’ora avrebbe già finito!»
«L’unica cosa che dovevi fare, fratello, era lasciarlo a casa quello schifo di coso!» borbotta Ade innervosito dal rumore, passandosi le dita lungo le tempie e facendosi versare due dita di vino, sapendo che non lo calmerà comunque.
«Schifo farà il tuo completo da becchino! Lo sai da quanto tempo giriamo assieme io e questo strumento? Lo sai?» esclama il dio del bare con voce tonante «Mi è stato regalato nel 1920 da Ukelele Ike!»
Afrodite si mette le mani nei capelli, Zeus sbatte la testa contro il tavolo.
«Fantastico» borbotta Era aprendo una boccetta di Valium «Di nuovo la storia di quello strumento del cazzo. Vuoi cara?»
Demetra scuote disperatamente la testa all’offerta della sorella mentre lancia occhiate di sottecchi a sua figlia, che, seduta a sinistra di Ade, osserva con interesse i membri di una famiglia a cui non è nemmeno stata presentata.
«…e dopo che lo trassi in salvo dalla tempesta, Clif per ringraziarmi mi regalò il suo primo Ukulele e mi insegnò anche a suonarlo! E poi dicono che i mortali non fanno più niente per noi!» Poseidone finalmente conclude la sua storia, che tutti hanno cercato di ignorare visto che è stata raccontata almeno ottanta volte negli ultimi novant’anni.
«Parla per te. Io sono ancora parecchio apprezzata dai pagani» ridacchia Ecate avvicinandosi al tavolo con un bicchiere di martini in mano, si appoggia alla spalla di Zeus e, approfittando bassamente dello stato di rincoglionimento di Era, gli sussurra «Peccato che queste religioni neopagane diano maggiore spazio alle divinità femminili, non trovi. Chi è che prega Zeus al giorno d’oggi? Ah, sì, nessuno».
Scompare ridacchiando, evitando per un pelo un fulmine, mentre il re degli Dei mastica silenziosamente maledizioni tra i denti.
«Quando avete finito di dare sfoggio di tutte le vostre tare mentali» interviene Ade sarcastico «C’è qualcuno che vorrei presentarvi».
Porge la mano a Persefone per aiutarla ad alzarsi e le sorride (cosa che ovviamente ai suoi fratelli non sfugge).
«Vi presento Persefone, che Demetra ha gentilmente nascosto per tutti questi secoli».
La ragazza sorride timidamente e azzarda un timido “Come va?”, prima di essere bruscamente interrotta da Zeus che, rovesciata la sedia (ma mi raccomando, comportiamoci pure come se i mobili fossero IKEA), le si avvicina e la abbraccia con foga.
«Demetra! Come hai potuto nascondermi una figlia così bella!»
Probabilmente perché sei un porco, è il pensiero che sfreccia nelle teste di tutti i presenti al tavolo.
«Sei bellina davvero» interviene Afrodite approvando silenziosamente i capelli ramati e il viso delicato.
Persefone, ancora stretta nell’abbraccio paterno, arrossisce: «Grazie, ma tu sei molto più bella».
Sceglie di seguire i suggerimenti di Ade, consapevole di quanto gli dei possano essere permalosi a volte.
«Ben detto, tesoro» ridacchia Afrodite sistemandosi una ciocca bionda oltre l’orecchio «Ora, se questi vecchi rompiscatole si decidono a lasciarti andare, ti porto a conoscere il resto della famiglia. Visto che tua madre non sembra intenzionata a farlo».
Demetra mastica un’imprecazione tra i denti e si trattiene dal sollevare il dito medio all’insegna della dea della bellezza, si alza con un moto di stizza e, lanciando uno sguardo glaciale a tutti, si avvicina alla figlia.
«Non sarò intenzionata a farlo, ma nulla mi vieta di venire con voi» anche perché a quanto pare è l’unica occasione che ha per parlare con Persefone e non vuole sprecarla.
Come scompaiono dietro la porta Zeus si rimette a sedere e si scambia uno sguardo d’intesa con Poseidone.
«Dunque» comincia il re degli dei «Persefone, eh?»
«Persefone cosa?» domanda di rimando Ade, già scocciato.
«Tu e lei, sotto lo stesso tetto… Sì, insomma, mi stai dicendo che non è successo niente?» passa una mano sulla spalla del fratello con fare complice, mentre in sottofondo Poseidone suona due note col suo fido strumento, come ad accompagnare l’insinuazione di Zeus.
Ade vira dal bianco lenzuolo al fucsia rossetto di Ecate.
«Devi ammettere, fratello» interviene il dio del mare «Che tu non sei mai stato tipo da soccorrere damigelle in difficoltà o da prestarsi alle richieste di chiunque, anche quando si trattava di belle donne».
«Te la sei fatta?» continua Zeus, realmente interessato.
«Siete dei bastardi! E no, non ci sono andato a letto!» esclama il dio dei morti imbarazzatissimo.
«Ma se l’è fatta» borbotta Era intervenendo per la prima volta nella discussione e attirando su di sé una serie di sguardi sorpresi.
«Cosa, cosa c’è? Solo perché sono donna non posso parlare? Guardate che sono la dea del matrimonio, queste cose le noto. Tra voi due c’è così tanta tensione sessuale non risolta che Elena e Paride impallidiscono al confronto».
«Ecco la donna che ho sposato!» interviene Zeus ridendo e prendendole la mano, in uno dei suoi rari slanci d’affetto.
«Ma tu non eri strafatta di ansiolitici? Che ne so Valium, Prozac, Lexotan, Tavor, Oblivon, niente eh?» domanda Ade, che ora è dello stesso colore dei capelli di Persefone.
«Io la trovo carina» esclama Poseidone, mollando finalmente l’ukulele sul tavolo e facendosi più vicino «Secondo me sareste una bella coppia».
«Se ti senti in colpa perché è mia figlia non farlo, hai la mia benedizione!»
«Mi sento in colpa perché è mia nipote, idiota!»
«Oh, certo» borbotta nuovamente Era sarcastica «Perché siamo sempre stati così attenti a queste cose noi, niente incesto, assolutamente».
«Senza contare, che se non te la fai tu me la faccio io!» esclama Zeus convinto, ricevendo uno scappellotto dalla moglie.
«Per Urano! È tua figlia! Non hai un minimo di decenza?» persino Poseidone è schifato.
«No» è la placida risposta del dio del cielo.
«Zeus, io te lo dico. Sei mio fratello, e, nonostante la tua insopportabile testa di cazzo, ti voglio anche bene. Ma se ci provi sei morto» borbotta Ade, incrociando le braccia sul petto con fare oltraggiato e strappando una risata ai presenti.
 
«…il tizio sdraiato sul parapetto a provarci con le arpie è Ermes e quello che abbraccia la giara cantando è Dioniso» conclude Afrodite, che stringe la mano a un uomo grande e grosso con iridi di fuoco e ispidi capelli neri.
«Donne e giovinetti amanti, viva Bacco e viva Amore! Ciascun suoni, balli e canti!» sta gridando a squarciagola il dio del vino, con un braccio stretto attorno alla giara di vino e l’altro sulla spalla di Thanatos.
«In realtà gli viene meglio quando c’è Eros con lui» borbotta Ares, riferendosi agli orribili duetti di suo figlio e Dioniso.
«Solo perché sono due spostati» rimbrotta Demetra, ma Persefone sta ridendo.
Apollo le si avvicina baldanzoso e la invita a unirsi a loro, seduta in un angolo Artemide sbuffa, ancora offesa per essersi fatta raggirare in quel modo da sua zia.
«Benvenuta in famiglia!» esclama il biondissimo dio del sole porgendole un bicchiere di vino.
«Grazie» risponde la ragazza arrossendo.
«Se avessi saputo che stavi bene me ne sarei rimasta a casa» mugugna la dea vergine sorseggiando di malavoglia un bicchiere di ambrosia.
«Oh, ma io sono tanto contenta di averti conosciuta, Artemide! Ho sentito così tanto parlare di te, ti ammiro tanto!» Persefone cerca di risollevare il morale sorella-cugina, riuscendo a strapparle un sorriso.
«Oh, gente, dovete sentire Dioniso, sta raccontando di quella volta che –» Thanatos viene interrotto dal dio del vino stesso che si fa avanti ciondolando.
«Stavo parlando io! Vi ricordate quella volta, al compleanno di Ade, quando Eros si è presentato con Eos e Selene e ha cercato di presentarle a Phobos e Deimos, dicendo che erano troppo soli e gli mettevano tristezza?»
Apollo scoppia a ridere: «E invece di accettare quei due l’hanno inseguito per tutto il ristorante, dandogli dello stronzo perché li aveva definiti tristi. E chi se lo scorda».
«E rincorrendosi sono inciampati nella scultura di ghiaccio, che crollando ha ribaltato il tavolo» aggiunge Ermes tra i singulti.
«E Zeus ed Era si sono ritrovati coperti di salsa rosa e zuppa di miso» finisce Artemide che non riesce a respirare.
Persefone li guarda e ride con loro, un calore sconosciuto le si fa strada nel petto, mentre per la prima volta si trova circondata da gente uguale a lei, persone per cui è più di un’estranea, persone che cercano di rimediare al tempo perduto raccontandole aneddoti del passato. E in parte è ancora tremendamente arrabbiata con sua madre, che fino a quel momento l’ha privata della possibilità di avere una famiglia, ma se dovesse bilanciare i sentimenti sarebbe più forte la felicità che prova in quel momento, con il braccio di Artemide sulle spalle e Apollo che gesticola imitando il verso di qualche animale.
È a casa e ha di nuovo una famiglia ed è tutto merito di Ade; questa consapevolezza la fa sorridere e Persefone si rende conto di volerlo lì, si rende conto che sarebbe tutto ancora più perfetto se Ade fosse lì adesso, a ridere con lei.
A interrompere il momento ci pensa Demetra, che, ripresasi dallo stato di sconforto iniziale, afferra la figlia per un braccio e la tira in piedi per poi prenderle dalle mani il bicchiere di vino.
«Non posso crederci! Non solo sei scappata di casa, ma ti sei pure data all’alcool!?»
Persefone sbatte le ciglia osservando il calice mentre compie un perfetto arco e si sfracella per terra.
«Lo sapevo io che l’Averno ti avrebbe rovinata» continua la dea.
Prende la figlia per il polso e inizia a trascinarsela dietro.
«Madre, cosa stai facendo?»
«Ti porto a casa, lontana da questa desolazione, dove arrivano i raggi del sole» esclama Demetra, e la sua scenata inizia ad attirare l’attenzione, non solo di coloro che si trovano sulla terrazza, ma anche di quegli dei che sono rimasti all’interno.
Persefone si ferma di colpo e si divincola dalla presa ferma di sua madre.
«No» risponde con rabbia.
«Scusa, come?»
«No» ripete la ragazza fissando i suoi profondi occhi verdi in quelli nocciola della madre «Non tornerò indietro con te. Quella non è casa mia, è casa tua. E io sono stufa di seguirti come un cane e di non poter fare niente. Io resto qui».
Zeus, Poseidone e Ade osservano la scena dalla portafinestra che dà sul terrazzo, la bocca di tutti e tre è spalancata, gli occhi sono sgranati ed Era, in piedi di fronte a loro, trattiene una risatina nel vedere come i suoi fratelli si assomiglino nelle piccole cose pur essendo così diversi fisicamente.
«Qui? Qui nell’Averno? Oh, per piacere! In questo posto c’è solo morte e buio e nebbia, non fa per te».
«Sei tu che vedi solo morte, solo il buio, solo la nebbia, perché non riesci ad andare oltre la superficie! C’è molto più calore qui che in quella che tu chiami casa, con un fuoco acceso e il sole che entra dalla finestra!» ora Persefone sta urlando, un leggero rossore si è diffuso sulle sue guance e gli occhi brillano di rabbia e passione.
«Quella è anche casa tua, bambina» risponde Demetra irata.
«No, fidati, Madre, quella non è mai stata casa mia!»
«E invece questa sì? L’Averno non è casa tua, Persefone» ed è così sicura mentre lo dice che la giovane dea della primavera sente l’impulso di prenderla a schiaffi ed è una sensazione del tutto nuova, perché mai ha sentito così tanta rabbia nei confronti di sua madre.
Abbassa gli occhi e infila una mano nella tasca del vestito, in cui riposa un leggero involto di stoffa rossa.
«Ma potrebbe esserlo» mormora tra i denti a voce così bassa che Demetra riesce a malapena a sentirla.
«Come hai detto? Conosci le mie idee sul borbottio».
«Ho detto» Persefone solleva il capo e la fissa nuovamente negli occhi, per poi spostare lo sguardo prima su Thanatos (e sa che il cenno di approvazione con cui le risponde non se l’è immaginato) e poi su Ade, che la fissa a metà tra l’ammirato e il preoccupato «Ho detto che potrebbe esserlo».
«Oh, smettila di dire scemenze, verrai con me a costo di trascinarti fuori da qui a forza, Zeus!?»
Nessuno si aspetta quanto accade dopo, Persefone estrae dalla tasca del vestito un fagotto di stoffa, così piccolo che nemmeno le sporge dalla mano, lo apre e di fronte allo sguardo attonito dei presenti ne mostra il contenuto: semi.
Quando Ade si rende conto di cosa sono è troppo tardi, non fa in tempo ad urlarle di non farlo che già lei se li è portati alla bocca e li ha ingeriti; quando la raggiunge i suoi occhi neri mandano lampi, la scuote per le spalle e ringhia: «Persefone, cosa hai fatto?»
«Cos’è? Ade, cos’era?» domanda Demetra, preoccupata nel vedere lo scatto d’ira del fratello, perché il dio dei morti non si infuria mai, non si agita mai e non lascia mai che le emozioni prendano il sopravvento.
«Semi di melograno» mormora l’uomo a mezza voce «Presi dal mio giardino».
Non è solo Demetra a impallidire a quella risposta e un brusio inquieto di domande concitate e proteste sommesse invade la terrazza, ognuno sembra impegnato a dire la sua; Ade non sente niente, i suoi occhi rimangono fissi in quelli di Persefone, che da parte sua si rifiuta di interrompere quel contatto.
«Dove li hai presi?» e la domanda del dio dei morti è un sussurro roco, si contiene a fatica e la ragazza lo nota. Scuote il capo, rifiutandosi di rispondere.
«Si può sapere che diamine sta succedendo?» domanda in quel momento Ecate comparendo dall’interno del palazzo, ha sedici anni e un brutto paio di leggins zebrati indosso.
Ade la ignora, ma non Demetra che le si avventa contro puntatole un dito dorato a mezzo centimetro dal naso.
«Tu!» esclama furibonda «Sei stata tu! Mi hai sempre odiato».
«A fare cosa? Cioè, non sto negando che mi stai sul cazzo, ma non ho fatto nulla. A meno che tu non stia chiedendo chi è stato a spargere il diserbante sulle tue azalee».
«Ti avevo detto che non ero stata io!» esclama Persefone da dietro il dio dei morti.
Demetra la zittisce con un gesto della mano e i suoi occhi tornano a posarsi sulla donna di fronte a lei.
«Sei stata tu a dare a mia figlia i semi di melograno, non è così!?»
«No» risponde per lei una voce maschile «Sono stato io».
Thanatos si avvicina, gli occhi rossi brillano di sicurezza e spavalderia, non teme nessuno il dio della morte, e non risponde a nessuno, nessuno tranne Ade. Appoggia una mano sulla spalla di Ecate e fissa lo sguardo sul Re dell’Averno.
«Sono entrato nel tuo giardino, ho preso uno dei frutti del tuo melograno e ho dato a Persefone i semi».
«Quanti?» ruggisce il dio dei morti.
«Sei».
«Ade, ti prego. Non prendertela con lui» la giovane dea della primavera gli afferra la mano con le proprie e lo costringe a guardarla negli occhi «Gliel’ho chiesto io, sapevo a cosa andavo incontro, ma è stata una mia scelta».
L’uomo si libera debolmente dalla presa e si passa una mano stanca sul volto; lancia un’occhiata disperata ai fratelli, che fortunatamente capiscono al volo, ma ancora prima che possano intervenire è Era stessa a prendere l’iniziativa.
«Credo sia il momento di levarci tutti dalle palle, anche tu Demetra. Vieni cara, ho del Nirvanil nella tasca della giacca che credo potrebbe farti bene».
«Lasciane un po’ anche a me» si lamenta Ade disperato.
«Tranquillo, ti ho lasciato del Nottem sul tavolo».
 
Persefone osserva le fiamme crepitare nel camino, sono verdi e fredde e creano strane sfumature di luce sulle pareti; si trova nelle stanze di Ade ed è la prima volta che ci mette piede, ma il dio era così furioso prima: l’ha trascinata per tutta la reggia, l’ha fatta entrare e se ne è andato sbattendo la porta, dicendo qualcosa a proposito dello sistemare Thanatos una volta per tutte. E ora lei aspetta.
Cammina distrattamente per la stanza, osserva i dettagli, il mobilio e cerca di incamerare ogni informazione; nota come sia tutto ordinato, non ci sono vestiti fuori posto, non ci sono soprammobili che stonino, né libri o riviste in giro, il portatile che tante volte a visto nel bar è appoggiato su una scrivania, nel centro esatto del piano. Forse è un po’ ossessivo compulsivo, pensa dentro di sé, mentre si affaccia alla camera da letto; vorrebbe entrare, ma si limita a osservare il grande baldacchino da lontano.
Quando Ade ritorna ha la cravatta allentata, la giacca del completo in mano e l’aria stanca di chi è appena sopravvissuto a un litigio con un mentecatto.
«Non ho ucciso Thanatos» esordisce, mentre Persefone gli va incontro, pensando che quello sia già un inizio positivo: niente vittime accidentali.
«Ade, io-»
«No, Ade un corno! Hai idea di cosa hai fatto? E meno male che sono solo sei semi, pensa se avessi mangiato un intero frutto!» lancia la giacca sul divano e si volta verso di lei.
«Mi hai chiesto tu di restare» mormora Persefone abbassando lo sguardo e lui si sente un verme, perché, sì, è vero, è stato lui a dirle che quella sarebbe potuta essere anche casa sua, ma non intendeva questo.
«Ma non pensavo a questo prezzo» risponde avvicinandosi e accarezzandole il viso.
La dea della primavera strofina la guancia contro la mano insolitamente calda dell’uomo e sorride.
«Sono consapevole di quello che ho fatto. Sei semi, sei mesi. Ho pensato anche di mangiarne di più, ma sono pur sempre la dea della primavera e devo fare la mia parte, anche se – lo sai – quasi tutto il lavoro lo fa già Gea, con le stagioni».
«Persefone sono sei mesi chiusa qui dentro, sei mesi in cui non potrai allontanarti per più di quarantotto ore; la tua vita è legata all’Averno ora, ne fai parte».
La ragazza lo guarda negli occhi e sorride.
«Anche tu ne fai parte Ade, e ora ne facciamo parte insieme: sono sei mesi con te».
Il dio dei morti vorrebbe trovare la forza di ribattere, di dirle che è sbagliato e che non è giusto, ma non riesce a farcela, perché in quel momento si sente come se il cuore dovesse saltargli fuori dal petto per dargli del pollo innamorato, ed è felice, irrimediabilmente felice: Persefone ha scelto lui.
La dea gli appoggia le mani sul torace e lascia che Ade la stringa contro di sé, poi lo fissa negli occhi e sorride, sollevandosi in punta di piedi e baciandolo con delicatezza. Un braccio dell’uomo risale lungo la sua schiena accarezzandone la linea sinuosa, fino ad immergersi nei suoi capelli, mentre l’altro la stringe in vita sollevandola appena.
Persefone socchiude la bocca per dargli libero accesso e Ade non si fa pregare, le morde il labbro inferiore e continua a baciarla, lasciando che sia la sua lingua a scegliere il ritmo.
«Wow» mormora la ragazza quando il bacio finisce.
I suoi occhi verdi brillano di desiderio e, quando gli sorride, Ade si trattiene dal ricominciare a baciarla di nuovo, magari questa volta trascinandosela addosso da qualche parte: il divano dovrebbe essere comodo.
Come se gli avesse letto nel pensiero Persefone lo afferra per la cravatta e, camminando all’indietro, con gli occhi ancora fissi nei suoi, inizia a trascinarlo verso la camera da letto.
«Ti ho già detto» gli sussurra con fare sornione mentre Ade chiude la porta «Che amo le tue cravatte?».







   
 
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