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Autore: SignoraKing    29/11/2014    3 recensioni
Forse è la conversazione migliore che avrete mai, quella con un vecchio amico con cui non parlavate da anni e con cui non parlerete più.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Esistenze'
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Incontri

 

Fondamentalmente la differenza tra una conversazione tra due persone che hanno intimità,
che sono molto amiche, e una tra due persone che si conoscono poco, o per niente, sta nel
silenzio.
Non nella durata, ma nella sensazione che esso lascia nei partecipanti al dialogo.
Sarà capitato anche a voi, che finiti gli spunti di un determinato argomento si rimanga
un po’ in silenzio e ciò ci faccia sentire stupidi e che ci imbarazzi al punto di cercare
qualcos’altro di cui parlare, facendolo in modo animalesco, febbrile, una ricerca senza
traccia di ragionamento, sprecando ogni energia alla caccia di qualcosa da dire o da
fare per togliervi da quel silenzio che ormai sembra durare da secoli.

E come lo definiamo questo silenzio?
Imbarazzante.
Ma è imbarazzante solo perché voi non conoscete il vostro interlocutore, perché quando
questa ricerca è misurata e lenta e il silenzio fa parte di una conversazione che state
avendo con un vostro carissimo amico, non sentite imbarazzo e siete calmi, non vi importa
che quel silenzio duri troppo.

Quindi il problema, stringendo, siamo noi e la persona con cui parliamo.
Fine.
Ma se noi la conosciamo quella persona, ma non lo la vediamo da tanto?
Se non sappiamo più se il suo colore preferito è il rosso e se ama ancora il gelato al pistacchio?
È difficile, anzi, difficilissimo.
Sentite le guance calde, magari qualche farfalla nello stomaco dalla felicità di averla
rincontrato e non sapete più che dire o fare.

Siete impietriti e i vostri pochi movimenti sono sconnessi e sbadati.
Ma forse c’è qualcosa di ancora più bello in quest’ultimo tipo di conversazione
rispetto agli altri, c’è qualcosa di infantile e gioioso nel nervosismo che accompagna
le parole, i sorrisi e le guance che arrossiscono.

Forse è la conversazione migliore che avrete mai, quella con un vecchio amico con cui non
parlavate da anni e con cui non parlerete più.


Quel 17 maggio era diverso, quello era un giorno speciale, un po’ perché il sole era caldo e le persone potevano finalmente spogliarsi delle loro giacche e delle sciarpe, un po’ perché quel giorno il destino voleva fare un regalo, o forse un dispetto, a due persone non proprio a caso.


Carola si era accorta che quel giorno sarebbe stato bellissimo, speciale addirittura, e aveva scommesso con sé stessa che ci sarebbe stato il caldo, nonostante il meteo e i giorni passati facessero presagire il contrario e quindi quel giorno aveva optato per un magnifico vestitino lilla, con piccoli ricami e un cerchietto bianco che le teneva i lunghi capelli castani indietro. Ai piedi aveva le scarpe da ginnastica perché nonostante il caldo, il vestito e il suo essere donna era anche molto probabile che avrebbe perso tempo alla fiera e avrebbe poi dovuto correre per recuperare. Uscì di casa decisa e sorridente, diretta al mercato.

Riccardo guardava dritto davanti a sé, con il solo desiderio di allontanarsi da quella calca.
“Perché mai ad ogni fiera ci deve essere tutta questa gente?”
Quello era il suo unico pensiero.
Le grandi folle lo irritavano, soprattutto se era da solo.
Percorreva con lunghe falcate il viale e poco prima di superare l’ultima bancarella andò a sbattere contro qualcuno.
Gli sfuggì una mezza bestemmia, e la ragazza, che aveva buttato a terra dalla forza dell’impatto, lo rimproverò con un mezzo sorriso: «Richi, ma che fai? Non sai che non si bestemmia?»
Solo in quel momento la guardò e si accorse di aver appena buttato a terra la  persona che molti anni prima era la sua unica ragione di vita.
«Ehi, scusa.» non riusciva a spiccicare una parola di più, e per togliersi dall’imbarazzo la aiutò a tirarsi su.
Per un paio di secondi nessuno dei due disse nulla e poi Carola, un po’ imbarazzata, propose: «Perché non andiamo a prendere un caffé?»
Si guardarono e per un momento l’imbarazzo venne messo da parte dalla felicità, pura e semplice gioia per essersi incontrati, così per caso, e ricomposti ricordando per un attimo tutte le cose, belle o brutte che fossero, passate insieme.

Seduti ad un tavolino, in un bar qualsiasi, restavano fermi con lo sguardo posato su tutto tranne che sull’altro.
Arrivò  il cameriere e allora ordinano una spremuta d’arancia e un the freddo, come facevano quindici anni prima. E così facendo si sentivano come allora, e non importava il marito e i due figli di lei e neanche la barba di lui, che lo rendeva eccezionalmente uomo, non importava nulla. Era come essere ancora quei diciassettenni pazzi e senza futuro che passavano i pomeriggi a osservare la gente, silenziosi come ombre, e a capirsi senza dire una parola.

«Allora? Come va?» Carola cercò di tirare fuori una conversazione e di interrompere il silenzio imbarazzante che si era intromesso tra i due.
«Bene. Tu?»
«Bene.»
Il silenzio calò su di loro di nuovo e sembrava che nulla potesse allontanarlo.
Il cameriere portò loro le bibite e il conto, tutti e due tesero il braccio per prendere lo scontrino e pagare, ma quando le loro mani si toccarono dimenticarono il motivo del loro gesto e si bloccarono un attimo.
Toccando la mano di lei, Riccardo aveva notato la fede dorata all’anulare e estasiato di aver trovato uno spunto per parlare, ma anche un po’ geloso le chiese stupidamente: «Sei sposata?»
Lei arrossì leggermente e abbassò la testa, nascose la mano sotto al tavolo come se fosse stata beccata in procinto di rubare qualcosa.
«Sì.» Prese una piccola pausa e alzando la testa gli sorrise. «Ho anche due figli. Tu non ti sei sposato?»
Lui si passò una mano tra i capelli e fece un sorriso che sembrava più una smorfia e scosse la testa.
«Non fa per me. Io sono un lupo solitario.»
«Quando stavi con me non sembravi di questa idea.»
Si zittirono, spaventati di tirar fuori discorsi che avrebbero rivangato troppo il passato e che avrebbero fatto solo male.
Allora Riccardo, ricordandosi del conto, tirò fuori il portafoglio e posò i soldi sul piattino.
«La prossima volta paghi tu.» Ammiccò ebbro di gioia, di ricordi felici e del ricordo del profumo della pelle di Carola.
Il silenzio li avvolse e penetrò nelle ossa come il freddo.
«Ti ricordi la prima volta in cui ci siamo visti?» La ragazza sembrava spaventata dall’idea che lui potesse essersi dimenticato, mettendola da parte come aveva fatto con chissà quante ragazze.
«Come fosse ieri. Mi ricordo tutto. Non ti ho mai dimenticata.»
Si sorrisero e in quel momento restare in silenzio sembrava l’unica cosa giusta da fare, oltre che ricordare i vecchi tempi.

La conversazione continuò per ore, e i silenzi non erano più imbarazzanti, erano solo dei momenti che si prendevano per guardarsi negli occhi.
Parlarono di quello che avevano fatto, dei loro sogni che si erano realizzati, di quelli che si erano infranti.
Parlarono della famiglia di lei e del fatto che lui non ne volesse una.
Parlarono finché il buio non li sorprese e il bar chiuse.
Parlarono.
Ma rimasero anche in silenzio.

   
 
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