Do do do don.
Immaginatevi: una scuola per supergeni, bulloni alle finestre, mitra per impedirti di uscire.
La solita lagna, in questo setting. O no? O sì e vi stiamo prendendo in giro?
Genere: Drammatico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Makoto Naegi si
svegliò su un banco. Gli doleva la testa e
si sentiva stranamente appesantito. Che… che
cos’era successo? Perché… Aveva perso i sensi
appena messo piede alla Kibougamine, la scuola per super geni a cui una
fortunosa lotteria gli aveva permesso di entrare pur non avendone
affatto i titoli. Non era né un giocatore di baseball dal
talento sopraffino, né il capo indiscusso della
più grande gang motociclistica del Giappone, né
l’erede della famiglia più famosa e influente
della nazione. Era solo un semplice
ragazzo estratto da un cilindro. Sì, proprio
fortunato. Il suo primo giorno di scuola cominciava in un aula buia,
con un mal di testa titanico e… delle finestre sbarrate. Perché
cavolo c’erano delle finestre sbarrate? E delle…
telecamere? “Cos’è
successo? Sono svenuto all’ingresso e
poi…” disse, rivolto a nessuno. Era solo nella
stanza, a parte la fredda lente della telecamera che lo faceva sentire
osservato come se ci fosse qualcuno che lo spiava da dietro una colonna. Si guardò
attorno alla ricerca di qualche indizio, qualcosa che gli facesse
capire. Non trovandolo. E allora pensò che, perso per perso,
tanto valeva uscire. Vagò senza
una meta precisa per i corridoi, con una strana luce violacea ad
accompagnarlo in questa sua prima avventura nel nuovo mondo scolastico.
Era abbastanza inquietante, dovette ammetterlo, e l’assenza
di una qualunque forma di vita non lo faceva di certo sentire meno a
disagio. Poi, in questo
peregrinare a casaccio, capitò in quello che gli
sembrò l’atrio d’ingresso. Se lo
ricordava in maniera confusa mentre entrava, ma dodici secondi di
coscienza non sono sufficienti a dartene la certezza. Lì,
finalmente, trovò qualcuno. “...e con
questo siamo sedici.” Ad accoglierlo
all’ingresso della scuola, trovò quindici paia di
occhi che lo fissavano più o meno incuriosite. “Q-quindi
anche voi…” “...ci siamo
svegliati in un aula dalle finestre sbarrate? Non ricordiamo nulla di
quanto successo tra l’arrivo a scuola e il risveglio? Ebbene
sì, non sei l’unico, specialissimo fiocco di
neve.” La risposta
arrivò da un ragazzo biondo con gli occhiali, e
l’aria snob. “Siamo tutti
sulla stessa barca” commentò un’altra
voce, appartenente ad una montagna di muscoli dai lunghi capelli
bianchi. Poco dopo aggiunse: “Perdono, non mi sono
presentata. Il mio nome è Sakura Oogami.” È…
è una ragazza?! fu il pensiero di Makoto
mentre si presentava a sua volta; poco a poco il giro di presentazioni
si estese a tutto il gruppo, quando vennero interrotti da una voce
gracchiante proveniente dagli altoparlanti alle pareti. “PIM POM PAM
POOOOOOON! Prova prova? Questo è un annuncio! Ma…
funziona questa roba?” Makoto
scambiò occhiate perplesse con gli altri studenti,
chiedendosi in che diamine di situazione si erano cacciati, quando la
voce riprese a parlare: “Riuscite a sentirmi? Oh beh, in ogni
caso… Cari studenti, siete pregati di recarvi in palestra
per dare inizio alla cerimonia di inizio anno. PIM POM PAM
POOOOOOOOM!” Makoto e gli altri si
guardarono nuovamente, forse nella speranza che qualcuno di loro avesse
una risposta sensata a tutto questo. Ma evidentemente nessuno la
trovò, e si arresero quindi ad andare tutti in palestra.
“Solo chi
uccide un’altro studente potrà lasciare la scuola.
Mi sembra una regola molto semplice! La più atroce delle
azioni porterà alla migliore delle conclusioni, quindi spero
che tutti quanti collaborerete! Upupupu!” Makoto era allibito,
così come lo erano tutti gli altri. Quello che in palestra
si era presentato come loro “preside” era in
realtà una specie di orso meccanico - che diceva di
chiamarsi Monokuma, il quale aveva appena rivelato loro il
più assurdo dei piani: erano prigionieri della Kibougamine.
Avrebbero vissuto rinchiusi lì per sempre, senza poter
uscire… a meno che non avessero ucciso un altro studente. “Ma che,
stiamo scherzando? Brutto orso di merda!” urlò con
tutto il fiato che aveva in gola, o almeno così
pensò Naegi, quello che si era identificato come Mondo
Oowada. Il Super Teppista. L’uomo con la pettinatura a banana
e i capelli arancioni. Si staccò
dal capannello degli studenti e si avvicinò al podio
occupato dall’animale, il quale non sembrava intenzionato a
spostarsi o a reagire in una qualsivoglia maniera. Lo
afferrò e cominciò a scuoterlo, insultandolo in
lungo e in largo. “Bastardo!
Cosa cazzo ti metti a dire che dovremmo ucciderci, eh? Ti stacco gli
artigli e te li faccio mangiare, fottuto quattrozampe!”. Non una sola parola da
parte di Monokuma durante la tirata. Poi, ad un tratto, si
sentirono queste parole: “Violenza contro il preside.
Proibizione. Attuare protocollo 5162”. Seguite da un BEEP
BEEP che pian piano cominciava a crescere
d’intensità e velocità. “Mollalo,
Oowada! Mollalo!”. Era stata Kyouko Kirigiri a lanciare
questo avvertimento, e il biker non ebbe da ridire mentre lo lanciava
per aria. Esplose. “Porca…
porca miseria…”. Si accese uno schermo
a lato del palco, ancora con quell’orso in bella vista:
“Ehi ehi ehi, è maleducazione cercare di mettere
le mani addosso al preside. Oowada, verrai punito in maniera adeguata.
Ora potete andare, ma non prima che vi informi di una cosa: ognuno di
voi bastardi troverà in camera la propria scheda
identificativa. Vedete di non perderla, ci sono sopra le regole e ha un
sacco di funzionalità utili e interessanti. Ora marsch,
marmaglia. Disperdete i ranghi”. Alcuni dei ragazzi
rimasero a fissare il monitor nero per qualche secondo, mentre il resto
della combriccola già abbandonava la palestra. Fra i
ritardatari c’era Makoto Naegi, interdetto
dall’imprevisto succedersi degli eventi e dalle conseguenze
che essi portavano. Questo
dev’essere un incubo, non vedo altra spiegazione possibile.
Una sorta di orsetto meccanico spunta fuori dal nulla e ci comunica che
siamo chiusi in questa accademia per il resto della nostra vita.
Aggiunge che per uscire di qui dobbiamo... ammazzarci a vicenda.
Abbiamo anche un alieno verdastro e sette tonnellate d’oro
massiccio, tanto per gradire? Se non avessi percepito la
serietà nel suo tono di voce, come d’altronde
hanno fatto tutti gli altri, penserei a una gigantesca candid camera.
Mai come in questo momento rimpiango il non avere uno stand. Concluse che restare
fermo come uno stoccafisso non gli avrebbe dato nessun vantaggio,
pertanto si avviò verso la propria stanza… che
non sapeva dove fosse. Oltre al danno la beffa.
Nell’ora
successiva, appurarono diverse cose sull’accademia e sulla
loro attuale situazione: ad ognuno di loro era stata assegnata una
camera, apparentemente insonorizzata, dotata di ogni comfort; ognuno di
loro aveva un kit - cacciaviti e simili per i ragazzi, un kit da cucito
per le ragazze; avevano a disposizione una caffetteria e una cucina
fornita di ogni sorta di cibo, e la stanza delle scorte altrettanto
piena; c’era una lavanderia, una sauna ancora chiusa,
un’infermeria anch’essa chiusa, la sala audiovideo,
lo spaccio (la cui utilità sembrava alquanto dubbia), un
inceneritore e una porta rossa misteriosa, il cui scopo rimaneva ancora
ignoto. Appresero anche che ogni loro movimento era monitorato dalle
telecamere di sorveglianza, presenti persino nelle loro stanze, e che
al loro preside peloso piaceva apparire senza preavviso sugli schermi
disseminati per la scuola. A parte questo, la
loro situazione era in una fase di stallo totale. Makoto
sospirò, guardandosi attorno: seduti attorno al tavolo
più grande della caffetteria, i ragazzi erano intenti a
discutere sul da farsi; chi proponeva soluzioni più o meno
futili per scappare, chi faceva notare in maniera poco cortese che le
finestre erano blindate e impossibili da scardinare, altri ancora
piagnucolavano o cercavano inutilmente di moderare la discussione.
Più di una volta i suoi occhi si posarono su Kyouko
Kirigiri, che per la maggior parte del tempo era rimasta in silenzio.
Si chiese quale potesse essere il suo titolo, ma la ragazza aveva
sempre glissato sulla domanda ignorandola del tutto. Mentre la discussione
era ancora in corso, Kirigiri si alzò e uscì
dalla caffetteria. “Kirigiri!
Kirigiri, dove vai? Non ti ho dato il permesso di uscire dalla
stanza!” berciò qualcuno, che Makoto riconobbe
come Ishimaru - il Super Prefetto, a cui nessuno però dava
mai retta. Chissà
dove sta andando… si chiese Makoto, visto che
tutto lo spazio a loro disposizione era già stato
ispezionato da cima a fondo. Ebbe la tentazione di alzarsi e seguirla,
ma una frase lo fermò: “Adattarci. Mi sembra
l’unica cosa saggia da fare.” Celestia Ludenberg
sorrideva, serena, come se avesse appena proposto l’ipotesi
più logica dell’universo. Tutti si guardarono
perplessi, finché Fujisaki non diede voce ai probabili
pensieri di tutti: “Intendi dire che… dovremmo
semplicemente arrenderci e accettare di vivere qui, come
reclusi?” “Lo spirito
di adattamento è ciò che fa la differenza tra la
vita e la morte” rispose Celes. “Non sono i
più forti o i più furbi a sopravvivere, ma quelli
capaci di adattarsi ad ogni situazione” concluse, quel
sorriso sinistro ancora dipinto sulle labbra. Makoto
provò un leggero brivido, rendendosi conto che avrebbe
dovuto prestare parecchia attenzione a quella ragazza… e
tuttavia, continuava a sperare che potesse esserci una soluzione
semplice a tutto, un modo per uscire illesi da quel posto, che tutto
fosse solo uno scherzo di pessimo gusto. La speranza parlava in quei
toni, ma la ragione gli urlava di smetterla e che quella era solo la
punta dell’iceberg. “La tua idea
è puerile, Ludenberg” sentenziò Togami
con il suo ormai classico gesto di sistemarsi gli occhiali con
l’indice “e solo amebe come voi possono illudersi
di vivere in pace in questo posto. Al contrario io, Byakuya Togami, non
ho nessuna remora nel fare quel che va fatto pur di vincere questo
gioco e certificare così la mia evidente
superiorità su tutti voi”. Wow.
Togami, stai pur sicuro che non voterò per te quando ci
sarà il concorso Scegli il tuo Compagno di Classe
più Simpatico. La discussione fra la
Super Giocatrice d'Azzardo e il Super Erede proseguì, ma lui perse presto
interesse. Era molto più curioso di sapere che fine aveva
fatto Kirigiri. Si dileguò
senza far casino dalla caffetteria, mettendosi a cercarla in lungo e in
largo per tutto il piano. Fallendo, senza riuscire a capacitarsi del
come. Oh
beh, poco male. Mi dà la sensazione di una che se la sa
cavare da sola, comunque. E di certo non ho nessun istinto da principe
azzurro nei suoi confronti. Si rassegnò
a tornarsene in camera, non volendo sentire gente che si azzuffava
verbalmente su diversità filosofiche e stili di vita
incompatibili. Sperò con
tutto se stesso, però, che il punto di vista di Celes
facesse più presa sugli altri. D’accordo, non era
entusiasta davanti alla prospettiva di vivere segregato per il resto
dei suoi giorni… ma meglio quello che un omicidio, forse
più di uno. Rabbrividì rendendosi conto che, a
conti fatti, tutte quelle persone erano per lui degli estranei e non
sapeva cosa poteva agitarsi realmente nelle loro teste. Sdraiandosi sul letto
si impose la calma. Nessuno era davvero tanto pazzo da seguire le
insensate imposizioni di quel buffo orso meccanico. Forse.
“PIM POM PAM
POOOOOOOOM! È appena stato rinvenuto un cadavere!”. Dopo giorni di
apparente tranquillità, il quinto risveglio tra le mura
della Kibougamine cominciò con l’annuncio che
nessuno avrebbe mai voluto udire. Makoto, ancora
intontito dal sonno, ci mise qualche secondo prima di realizzare. Cadavere.
Omicidio. Qualcuno l’ha fatto davvero! Si vestì
alla svelta e uscì subito in corridoio, dove gli altri
studenti si erano già radunati: alcuni stavano arrivando
dalla caffetteria o dalle proprie camere, come Makoto.
Quest’ultimo si avvicinò, cercando di capire a chi
appartenesse la camera… “Naegi-kun!” “A-Asahina-chan?”
La ragazza si fece
largo tra gli altri, avvicinandosi a lui. A giudicare
dall’espressione sconvolta, doveva aver assistito al
ritrovamento del cadavere. “Asahina-chan”
chiese, “chi… chi è?” “Na...Naegi!
È colpa mia!” rispose con voce tremolante. “N-Non
è colpa tua! Ma… p-puoi dirmi chi-” “Ci eravamo
date appuntamento in caffetteria ma… ma… non
arrivava e…” non riuscì a concludere,
scoppiando a piangere. Sakura Oogami le si avvicinò e la
abbracciò nel tentativo di consolarla, per poi rivolgersi a
Naegi: “Quello che Asahina-chan voleva dire è che,
dopo aver aspettato più di venti minuti, siamo andate a
bussare alla sua porta. Dato che non rispondeva ho deciso di buttarla
giù, temendo che... “ si fermò un
attimo e sospirò, poi riprese: “beh, i miei timori
erano fondati… e quando anche Maizono-san ci ha raggiunte
è scattato l’avviso di Monokuma.” Le due poi si
allontanarono, e Naegi rimase col dubbio
sull’identità del cadavere. Non
mi rimane che farmi largo fino alla porta. Quando
riuscì ad entrare nella stanza, trovò Kirigiri
già intenta ad investigare; Togami, nell’angolo
opposto, osservava la scena in silenzio. E appeso alla maniglia
della porta del bagno… Oddio… Per un attimo
rischiò di vomitare lì sul posto. Era la prima volta che
vedeva un cadavere e… di certo non credeva sarebbe stato
così, impiccato alla maniglia con un lenzuolo. “Fujisaki-san…” “Stupito? E
perché mai? Mi sembrava ovvio che uno di voi proletari,
prima o poi, si sarebbe fatto prendere da impulsi animaleschi di bassa
lega e avrebbe ucciso un suo simile”. Non ebbe nemmeno
bisogno di girarsi verso chi aveva pronunciato quella frase. Erano solo
in tre e né lui, né Kirigiri sapevano essere
così sgradevolmente crudeli. Non volle
rispondergli. Ci pensò lei: “Tu sei il primo che
ha sbandierato ai quattro venti l’intenzione di eliminare uno
di noi, Togami. Ti consiglierei di scendere dal tuo piedistallo fatto
d’aria fritta”. “Come…
come ti permetti, sgualdrina? Vuoi che i corpi in questa stanza
raddoppino magicamente?”. “Allora, la
volete finire voi due? Vi rendete conto o no che Fujisaki-san
è morta!” sbottò Makoto, guadagnandosi
un grugnito da Byakuya e un rispettoso silenzio da Kyouko. Togami
sbuffò, non degnando lo sbotto di Naegi di ulteriore
considerazione. Poi si rivolse di nuovo alla ragazza dicendo
“Kirigiri, immagino di aver ragione dicendo che non si tratta
di un suicidio”. “Immagini
bene. Questa è palesemente una messiscena atta a fuorviarci.
Risulta davvero troppo scomodo impiccarsi infilando un lenzuolo nella
maniglia di una porta. Quindi abbiamo per le mani una morte violenta,
causata da qualcuno. Fra l’altro, ancora prima di esaminare
il cadavere, ho cercato una nota d’addio non trovandola, il
che non significa necessariamente nulla ma dà forza
all’ipotesi”. Kami,
alla fine qualcuno ha ceduto. Qualcuno è ricorso
all’omicidio. Qualcuno non ha saputo reggere la pressione e,
per volontà o per caso che sia stato, ha posto fine alla
vita di Fujisaki. È terribile. Prese a guardarsi
attorno, addocchiando un po’ tutti con
un’espressione spaventata. In mezzo a tutte quelle facce,
alcune che lo guardavano incuriosite e altre che lo rifuggivano, si
nascondeva un assassino. Come un mattone in testa una scomoda
verità lo colpì: la sua vita era realmente in
pericolo. Fino a quel momento, pur avendo presente la
possibilità, la scartava dicendosi che nessuno di loro
poteva davvero scendere a tanto. In quel momento ebbe
la dimostrazione, pratica e dolorosa, del contrario. Improvvisamente lo
schermo della camera di Chihiro prese vita e vi apparve
l’ormai odiata silhouette di Monokuma: “Bene
bastardi, ora si dia inizio alla fase investigativa. Quando ve lo
dirò io, e solo quando ve lo dirò io,
interromperete la vostra raccolta di capelli e peli e vi porterete di
fronte alla porta rossa che per l’occasione sarà
stata aperta. Buon divertimento”.